Capitolo 8
Julesburg, Territorio del Colorado
Julesburg non era diversa da ciò che si erano lasciati alle spalle. Un’unica via sulla quale si affacciavano spoglie costruzioni di legno e tende disseminate nei dintorni, in netto contrasto con l’aspetto elegante di certi abitanti che avevano trovato fortuna tra i tavoli da gioco e vivevano nel lusso dell’unico albergo. Hope varcò la soglia del bordello da poco rimesso in piedi e sospirò. Era lì, in quella città appena sorta, che proseguiva la sua avventura.
«Cosa ci fai tra noi comuni puttane, tesoro?» Rachel se ne stava seduta su una sedia, l’abito scarlatto metteva in mostra le spalle e il seno prosperoso. Tra le dita un bicchiere di whisky e un sigaro dal fumo dolciastro.
«Tu non lo sei, o sbaglio?» Si versò da bere a sua volta e sollevò il bicchiere in direzione dell’amica. «Alla nostra nuova vita in questo dannato posto.»
«Ho l’impressione che non ti piaccia granché.» Rachel rise e portò il sigaro alle labbra carnose. «E non piace troppo nemmeno a me. Puzza di guai.»
«Perché non hai fermato Nick, allora? Diavolo, tu sei l’unica che potrebbe farlo ragionare.»
«Nick...» Scosse il capo e si alzò ingollando il contenuto
del bicchiere. «A essere onesta ho smesso di provarci, comunque non avevamo scelta, come ben sai.»
«Perché è così difficile scendere a compromessi con lui?»
Era provata dal trambusto del viaggio e dal modo in cui lui aveva preso a comportarsi dopo il trasferimento a Julesburg. Lo sentiva distante, quasi avesse alzato una sottile barriera tra loro che oltrepassava in alcuni momenti di dolcezza infinita, capaci di accendere vane illusioni sul futuro. Per quanto si sforzassero di sistemare le cose, era ovvio che qualcosa si era incrinato da quando entrambi avevano messo in chiaro cosa si aspettavano dal futuro.
«Beh, diciamo che tu non fai molto per aiutare la tua causa.» Le parole di Rachel la stupirono e aggrottò le sopracciglia in un modo che indussero l’altra a parlare: «Nick mi ha detto della lettera di Scott e della discussione che avete avuto.»
«E così è corso a confidarsi con te?»
«Corre sempre a confidarsi con me, io sono l’unica famiglia che ha avuto prima che arrivassi tu. Sono stata sua madre, sua sorella, la sua migliore amica... Lo conosco meglio persino di se stesso e so che si rode di gelosia, ma non ti darà quel che vuoi perché è un dannato cane randagio e non cambierà.» Fece una boccata di fumo e sorrise udendo i gemiti di un cliente provenire dalla stanza adiacente. «È questa la nostra vita, Hope: denaro a ogni costo, persino a quello della dignità e dell’onestà. Nessun legame, nessun affetto. Solo noi stessi e la nostra coscienza con la quale fare i conti alla fine della giornata.»
«Perché?» Non ne capiva il motivo, nella confusione che quelle parole le avevano gettato in testa
.
«Perché è più facile guardarsi in uno specchio e vedere il marcio in fondo alla propria anima, che specchiarsi negli occhi di chi amiamo e scorgerlo in quel riflesso.» Sbuffò, malinconica, come se quei discorsi avessero fatto emergere fantasmi dimenticati da tempo. «Lui ti ama, Hope, e questo non era previsto nei suoi piani. Gli hai sconvolto la vita ed è confuso. Perderti gli spezzerebbe il cuore, ma creare una famiglia renderebbe infelici tutti quanti.»
«Dunque cosa dovrei fare?» La voce tremava quanto le mani che unì in grembo.
«Forse te ne dovresti andare. Non è giusto sprecare la tua vita in questo modo.»
«Come stai facendo tu?»
Rachel sollevò lo sguardo, le iridi aguzze piantate nelle sue erano un miscuglio di emozioni, ma non ebbe il tempo di ribattere perché la porta si aprì per lasciare entrare un operaio di colore dall’aria stanca.
«Posso avere una ragazza?» La voce profonda, gli occhi scuri che galleggiavano nel bianco della sclera.
«No, non puoi. Va’ fuori di qui» rispose Rachel senza quasi degnarlo di uno sguardo.
«Posso pagare.»
«Lo so che puoi pagare, ma questo non è posto per te.» Indicò la porta con un cenno del capo. «C’è il bordello per voi neri, dovete smetterla di venire a perdere tempo qui. Le mie ragazze non sono per voi.»
Gli occhi dell’operaio trattenevano un fiume di parole non dette. A cos’era servita la guerra e la libertà se il risultato era quello?
Se lo domandava anche Hope, e allo stesso tempo
ammirava la determinazione di Rachel nel gestire uomini d’ogni tipo. Lei non ne sarebbe stata capace, era troppo sensibile ed emotiva, incapace di ferire il prossimo.
Ecco la differenza tra loro.
Ecco perché Rachel pareva perfetta per quel luogo, mentre lei si sentiva in balìa del destino come una nave nella tempesta.
L’operaio calzò il cappello e voltò loro le spalle. Nemmeno un cenno di saluto e uscì lasciandole nel silenzio rotto solo dai gemiti oltre la parete.
«Grazie per la compagnia e per la chiacchierata.» Hope si avviò all’uscita, nel petto un tormento maggiore di quando era arrivata.
«Ancora una cosa» la voce dell’amica suonò bassa e incerta. Si voltò per incontrarne lo sguardo e si lasciò travolgere dall’inquietudine che vi scorse. «Il giorno dell’assalto alla ferrovia mi hai chiesto cosa mi trattenesse qui... non mi trattiene nulla e non ho nulla per cui pensare di andare altrove. Ho sprecato la mia vita e non ho più tempo né voglia di provare a cambiarla. Tu invece puoi avere ancora tutto, puoi vivere il sogno che a me è stato negato.»
«E quale?»
«Quello di un’esistenza agiata.»
«Non so se è ancora il mio sogno. Non a ogni costo, almeno.»
«Lo ami così tanto?»
«Abbastanza da concedergli ancora un po’ di tempo.»
«Ti auguro con tutto il cuore di riuscire nel tuo intento e, se dovessi fallire, ti auguro di trovare la tua felicità
altrove.»
Hope ingoiò il magone che le serrava la gola. Le parole sarebbero state superflue. Tornò sui suoi passi e strinse l’amica in un abbraccio saldo quanto il legame che si era creato tra loro. Sapeva che Rachel aveva ragione, le sue parole erano oneste e vere, eppure sperava ancora di avere una possibilità con Nick.
Uscì dal locale e respirò l’aria fresca della sera ormai prossima, mentre lo sguardo vagava per la via solcata dagli ultimi raggi di sole. Osservò l’operaio di colore varcare la soglia del bordello destinato a quelli come lui; vi avrebbe trovato conforto e piacere, un attimo di normalità e tenerezza, o forse solo lo sfogo di un istinto primitivo.
La colonna di lavoratori di ritorno dal cantiere si divideva all’ingresso della città, come formiche attorno a un tozzo di pane. Alle sue spalle le ragazze di Rachel chiamavano i clienti con risatine civettuole, e fiorivano sorrisi sui volti luridi e stanchi degli operai. Ne osservò un paio passarle accanto e sparire oltre l’uscio, pronti a scaricare la fatica in un letto mercenario.
Diamine, ci voleva un gran coraggio a farsi toccare da quelle mani sudicie. Se ripensava al bordello di Madam Maryann, all’eleganza dei clienti per i quali aveva ballato, pareva trascorso un secolo, quasi fosse un ricordo che non le apparteneva più. Ormai faceva parte di quella terra e di quella vita. Polvere e fango, dannazione e fatica. Pensare di tornare a New York pareva impossibile.
Sulla scia di quei pensieri raggiunse la casa da gioco e si accigliò nello scorgere John Doyle seduto al tavolo da poker. Tra le dita una mano di carte e accanto il denaro
che avrebbe sperperato sul tavolo verde, invece di pagare lei per l’acquisto della bottega di Bart. Resse lo sguardo derisorio che le rivolse, ma sentì il sangue ribollire di rabbia. Avrebbe voluto prendere a schiaffi la faccia tempestata di lentiggini di quel farabutto.
Ignorò gli avventori già seduti ai tavoli, voleva parlare con Nick subito. Lo trovò dietro al bancone a versare whisky nei bicchieri che colmavano un vassoio.
«Doyle è qui a spendere il mio denaro, e tu non fai nulla?» domandò in un sussurro.
«Te l’ho già detto, è un buon cliente.» Seguitò a versare il liquore, con indifferenza. La camicia arrotolata sugli avambracci muscolosi, un ciuffo di capelli chiari che ricadeva sulla fronte.
«Credevo non avrebbe avuto la faccia tosta di farsi vedere nel nostro locale, dopo che mi ha derubato!»
«Infatti l’ho invitato io e gli ho portato le tue scuse» ribatté lui, rivolgendole uno sguardo severo.
«Cosa? Nick, sono la tua donna, dannazione! E voglio il mio denaro.» Era arrabbiata e delusa.
Lo vide sollevare lo sguardo. «E lui è un buon cliente con molti amici dalle tasche gonfie di soldi.» Indicò il vassoio e mise il tappo alla bottiglia. «Ora servirai da bere al suo tavolo e ti mostrerai carina. Non ho intenzione di perdere avventori per i pochi spiccioli che Doyle ti deve.»
«Pochi spiccioli?» Spalancò gli occhi, incredula. «Sono i soldi che mi ha lasciato Bart!»
«Ne guadagnerai molti di più a non perdere lui come cliente.» Le mise il vassoio in mano e le sorrise. «E saremo tutti contenti.
»
«Io non lo sarò affatto.» Afferrò il cabaret con stizza e si avviò al tavolo mettendo su il più falso dei sorrisi. Detestava quel genere di ingiustizie, le ricordava che, nonostante tutto, non era libera di decidere della propria vita nemmeno lì, nelle terre selvagge che per molti rappresentavano la libertà di una nuova esistenza.
Lasciò che lo sguardo lascivo di Doyle scivolasse nella sua scollatura, ma gli servì da bere palesando il proprio disappunto. Si allontanò dal tavolo e gettò il vassoio sul bancone, poi cercò rifugio nella sala adiacente.
Le note del pianoforte l’accolsero insieme al ritmico battere di mani dei presenti. Una delle ragazze stava ballando al centro della stanza, i capelli biondi sciolti sulle spalle lasciate nude dall’abito privo di maniche e la sottana sollevata a mostrare parte delle gambe sinuose. Rivide se stessa in quelle mosse provocanti, e provò quasi un pizzico di malinconia prima di ricordare che ora stava dalla parte di chi gestiva la baracca ed era di gran lunga una posizione migliore. Aveva lasciato ad altre il compito di deliziare i clienti con scabrosi balletti
e, doveva ammetterlo, era stata brava a insegnare loro i trucchi del mestiere.
Mise su una maschera di serenità per nascondere la delusione che ancora l’agitava, e stava per accettare l’invito a ballare di uno dei clienti più affezionati, quando si sentì afferrare per un braccio da Nick e trascinare via dalla presa dell’incredulo cavaliere.
«Cosa stai facendo!» sbraitò, appena fu sola con lui fuori dal locale. «Sei impazzito, per caso?»
«Impazzito io, Hope?» Le iridi verdi dense d’ira la inchiodavano al suolo. «Qui la concorrenza è spietata e la
gente pericolosa. Togliti quell’espressione da principessa e ricorda da dove sei arrivata.»
«Sono arrivata senza dubbio da un posto migliore di questo.» Si sentiva oltraggiata e ferita. Ultimamente lui riusciva sempre a spazzare via con poche parole ciò che di buono avevano creato insieme. Il loro amore era troppo giovane e debole per resistere all’agonia che Nick gli affliggeva nel mettere se stesso e le proprie ragioni davanti a tutto. «E forse ci dovrei tornare.»
Fece per andarsene, ma lui la riacciuffò, rapido e deciso. Lo aveva colpito al centro del cuore, lo sapeva, ma non servì a lenire le sue ferite, si disse mentre osservava il contrarsi della mascella a un soffio da lei.
«Tutto questo per dei stupidi quattrini?»
«Ti potrei fare la stessa domanda.»
«Sai, Hope, dovresti smetterla di ragionare come la ragazzina che sollevava la gonna per far divertire i clienti e iniziare a pensare come la donna che gestisce un locale insieme ai suoi soci» fece Nick nel lasciarla libera. C’era stizza e arroganza in quelle parole e lei vide la crepa tra loro espandersi fin quasi a dividerli. «Julesburg è una miniera d’oro per quelli come noi e mi dispiace che per te questo non sia abbastanza. Per te niente di ciò che faccio sembra mai abbastanza.» L’allusione al loro rapporto colpì Hope nel profondo, ma lui riprese a parlare senza lasciarle il tempo di ribattere: «Forse non ti rendi conto di quanto denaro ci entra in tasca ogni sera, né che non siamo l’unica casa da gioco in città. A proposito, stanno costruendo una nuova sala da ballo, si chiamerà “King of the Hills”, ti posso assicurare che, se tratterai i clienti come hai appena
trattato Doyle, finiranno per preferire la concorrenza.»
Sì, era troppo debole il loro amore per resistere a simili tempeste. Inutile soccombere alla passione, al bisogno di possedersi, se mancavano il rispetto e il sentimento a fare da collante tra loro. Per l’ennesima volta, Hope si ritrovò a domandarsi cosa diavolo la trattenesse lì, perché un paio d’occhi verdi che le erano entrati nell’anima fossero più importanti della sua dignità e dei suoi desideri. Eppure, già sapeva che quella notte le ostilità si sarebbero dissolte sotto la tempesta di baci e carezze di cui già avvertiva la mancanza. Sapeva che, una volta chiusi i battenti del locale, sarebbero tornati a essere semplicemente Nick e Hope, due amanti i cui cuori erano in balìa del destino.
Sollevò il mento, decisa a vincere quella partita. «Forse non ti sei accorto che non sono più la ragazzina spaurita giunta a North Platte con una valigia piena di sogni, e non m’importa di quanto denaro ci entri in tasca ogni dannata sera, ti assicuro che Doyle mi darà fino all’ultimo centesimo.»
«Perché ti sei intestardita su questa faccenda?»
«Perché non sopporto i prepotenti, Nick, e nemmeno il modo in cui tu sottovaluti sempre i miei bisogni. Credevi bastasse regalarmi un coperchio per cucinare le torte per tenermi zitta e buona? Dannazione, ho anch’io dei desideri e dei progetti, non ci sono solo la sala da gioco e il tuo strampalato bisogno di fuggire sempre da qualcosa!»
«Io non fuggo da un bel niente.» Ma era una bugia, perché indurì lo sguardo, come colpito dalla verità che gli aveva sibilato in faccia.
«Fuggi da me... anche se mi trascini nella tua vita senza
sapermi dare un ruolo.»
Di nuovo ebbe la sensazione di averlo colpito al cuore, perché lui l’afferrò attirandola a sé in un abbraccio protettivo.
«Sei la mia donna, Hope... perché pensi queste cose? Ho anche preso a pugni Scott per te!»
Il cuore di Nick batteva impazzito sotto il suo orecchio. Era amore o ira? Di certo c’era che lui riusciva a spazzare via il tormento alla stessa velocità con il quale lo causava. Stretta nel suo abbraccio, Hope si crogiolò in emozioni capaci di curare ogni ferita. Aveva bisogno di quell’amore come dell’ossigeno e non era facile ascoltare la ragione che le urlava di stare attenta, perché Nick era innamorato di lei quanto della propria libertà e non sarebbe sceso a compromessi facilmente.
*
L’arrivo del treno dall’Est era sempre motivo di eccitazione. Nuovi volti, merci e lettere che giungevano da lontano creavano fermento e curiosità.
Hope attendeva un pacco dalla cuoca di Madam Maryann. Le aveva scritto di procurarle ingredienti lì introvabili e inviato il denaro necessario a coprire le spese. Cacao, cannella e farina di buona qualità. Non vedeva l’ora di poter cucinare di nuovo qualche torta e saziare i sensi del profumo che aveva allietato la sua breve infanzia. Era come un balsamo per lo spirito, riusciva a penetrare nell’anima e placare l’ansia che spesso l’attanagliava.
«Hope Darnell!» chiamò l’addetto alla posta
.
Insieme a Rachel si fece largo tra la gente e raggiunse la postazione, stupendosi nel notare due pacchi anziché uno soltanto. Forse il denaro inviato era servito ad acquistare più merce del previsto?
«Sembra una scatola importante, questa.» Rachel afferrò la busta che spuntava da una fessura della carta del pacco più grande e le rivolse uno sguardo malizioso. «Scommetto che è da parte di Andrew Scott...»
«Lo è infatti» rispose amareggiata, nel leggere il nome del mittente.
«Vuoi vedere che il nostro Nick dovrà rompergli di nuovo il naso?»
«Oppure finirà per chiedere scusa anche a lui, così non perderà un cliente.»
Prese i due pacchi, seccata, e s’incamminò verso la casa da gioco in compagnia dell’amica.
«Non ti è andata giù la faccenda di Doyle, vero?»
Scosse la testa, delusa. «A volte non lo capisco proprio. Un attimo prima è il più premuroso degli innamorati e quello dopo ho l’impressione che mi venderebbe se fosse un buon affare.»
«Sai che non è vero.»
«No, non lo so, invece.» Si voltò per incontrare lo sguardo vispo dell’altra, intenta ad estrarre il biglietto dalla busta con aria maliziosa. «E credo non lo sappia nemmeno lui.»
«È un randagio, te l’ho detto... ma abbastanza addomesticato da non mordere la mano che lo vezzeggia» rispose distrattamente, mentre gli occhi scorrevano incerti le parole. «Quanto vorrei saper leggere!
»
«Smetterò presto di vezzeggiarlo
se non cambierà atteggiamento.» Poi gettò un’occhiata al pacco ricevuto da Scott e sentì montare la curiosità. «Cosa credi ci sia qui dentro?»
«A giudicare dalle dimensioni, forse un abito?»
«E perché mai dovrebbe regalarmi un abito?» Le strappò la lettera dalle mani e prese a leggere a voce alta. «Mia cara Hope, spero lo indosserete il giorno dell’inaugurazione di Julesburg. Accettatelo come dono di scuse per il mio vile comportamento. Per sempre vostro, Andrew Scott
.» Sbuffò, esasperata «Per sempre vostro... non credo si sia arreso.»
«Diamine, ma non poteva capitare a me uno come Scott?» Rachel si morse il labbro con fare infelice. «Sarei già stesa nel suo letto a quest’ora!»
«Ti sembrano discorsi da fare?» l’ammonì Hope, infastidita.
«Cara, sono pur sempre una donnaccia in cerca di redenzione... o di un colpo di fortuna.» Aprì la porta della casa da gioco ed entrò con il consueto passo deciso. «Ma la fortuna non aiuta mai quelle come me.»
«La fai troppo tragica.» Raggiunse il retro e posò i pacchi sul tavolo. «Il colonnello Moore non ti stacca gli occhi di dosso.»
«E nemmeno le mani, se è per questo!» fece l’altra, versandosi del caffè in una tazza.
«E non sei contenta? Forse è il tuo colpo di fortuna.»
«Ah, per l’amor di Dio, è un soldato e se ne andrà non appena lo chiameranno altrove. Magari avrà moglie e figli in qualche angolo del Paese.
»
Hope scartò il pacco e rimase un momento a osservare la confezione elegante che conteneva. Andrew Scott pareva deciso a conquistarla con ogni mezzo, ma lei non avrebbe accettato quel dono, teneva troppo alla sua storia con Nick per assestarle un colpo tanto violento.
Quanto era difficile amare un uomo come lui e penoso vivere con quella costante sensazione di incertezza. Sollevò lo sguardo sulla socia e ne studiò l’espressione pensosa tuffata nel nero del caffè. Sotto la maschera di risolutezza si celava la malinconia che Hope riusciva sempre a cogliere. Dopotutto, nessuna delle due era davvero felice.
«Rachel, ti sei mai innamorata?» Una domanda a bruciapelo alla quale non giunse subito risposta. La osservò bere un sorso e indurire le labbra in una smorfia amara.
«Una volta, sì... ma è passato tanto tempo.»
«E lui chi era?»
«Un dannato farabutto.» Ancora un goccio di caffè, forse per ingoiare ricordi poco piacevoli. «E io una sciocca ragazzina che si era lasciata riempire la testa di bugie. Ho imparato a non fare più affidamento sugli uomini e a tenermi stretto il mio cuore.»
«Non è così facile, purtroppo.»
«La verità è che io e te siamo diverse, Hope.» Si avvicinò e afferrò il coperchio della scatola che lei indugiava ad aprire. «Scommetto che stai pensando che non sia giusto accettare questo regalo... io, invece, lo accetterei senza alcun problema. Al posto tuo, non starei nemmeno qui a sprecare la mia vita con Nick, ma io sono io e tu sei tu, solo il tempo potrà dire chi delle due ha fatto le scelte giuste.»
Sorrise, gli occhi vispi e i boccoli chiari a conferirle l’aspetto di una bimba dispettosa. «Ora vuoi guardare o no l’abito che ti ha mandato Scott?»
Inutile impedirle di aprire la scatola e portare alla luce la raffinatezza di un corpetto color avorio dai delicati inserti verdi e dorati. Un fischio di approvazione uscì dalle labbra di Rachel, mentre lei sgranava gli occhi di fronte a un capo tanto elegante.
«Lo devi provare subito!» L’amica pareva più eccitata di lei. Aveva già tirato fuori l’abito in tutta la lunghezza della gonna di seta. «Diamine, questa non è certo roba da Julesburg!»
«Oh, Rachel! Rimettilo a posto, glielo restituirò non appena arriverà in città.»
«Nient’affatto! Lo proverai subito.»
«Mi domando cosa voglia dimostrare Scott con un simile gesto.» A dispetto del tono risentito, però, si stava già liberando della veste semplice che indossava. Sapeva che sarebbe stato inutile averla vinta su Rachel, e comunque smaniava dalla voglia di indossare quella meraviglia anche solo per un istante.
«Che può comprartene altri cento e farti fare una vita da regina?» Rachel pareva esasperata. Posò il vestito sul proprio petto e si esibì in una giravolta con aria sognante. «Mi domando ancora perché non sia toccato a me, che vita ingiusta!»
«La vita è ingiusta e il destino imprevedibile... me lo ripeteva sempre mia madre.» Lasciò che l’altra l’aiutasse a indossare la crinolina e poi l’abito, quindi si voltò perché chiudesse la fila di delicati bottoncini
.
«Fatti guardare, tesoro.» L’amica era estasiata. Le fece compiere un giro su se stessa e fischiò con ancora più enfasi di prima. «Sei uno splendore! Scott deve averti osservata per bene, questo abito sembra cucito direttamente su di te!»
«È davvero meraviglioso.» L’entusiasmo l’aveva contagiata al punto che si trovò a sorridere, felice come una bimba tra i doni. «Non ho mai posseduto nulla di tanto elegante!»
«E da dove arriva?» La voce di Nick ruppe l’incantesimo in un istante e il cuore di Hope balzò nel petto in un mare d’angoscia.
Pensare di accettare il regalo di un altro uomo pareva ancora più impossibile ora che l’unico al quale apparteneva il suo cuore era a un passo da lei, le sopracciglia aggrondate in un’espressione interrogativa e il sigaro tra le labbra.
«Arriva da New York» gli rispose Rachel parandosi tra lei e il socio. «Lo ha mandato Scott con le sue scuse e, prima che tu apra bocca, sappi che Hope lo terrà perché così ho deciso io.»
«E da quando tu decidi per Hope?» Era irritato e non faceva nulla per nasconderlo.
«Oh... non lo hai fatto anche tu, Nick?» Assunse un’aria pensosa. «Hai deciso che Hope debba rinunciare al denaro di Doyle, o sbaglio?»
«Non hai altro da fare che star qui a parlare di cose che non ti riguardano?» Il tono si fece tagliente. «Nessun letto nel quale saltare sperando che sia quello giusto?»
«Se pensi di ferirmi con le tue frecce avvelenate perdi
tempo, caro amico
.» Gli si avvicinò per aggiustargli il colletto con un’espressione canzonatoria stampata sul volto. «Piuttosto preoccupati di non far scappare chi hai nel tuo di letto... noi donne siamo pazienti fin quando non ci deludete troppo.»
Il silenzio calò nella stanza non appena Rachel sparì oltre la porta, e per la prima volta Nick si trovò a detestarla. Pareva che l’amica si divertisse un mondo a giocare con i suoi sentimenti, sapeva quali tasti toccare per rendere più acuto il fastidio e pungente la gelosia.
La mano corse alla busta abbandonata sul tavolo, diede una rapida occhiata alla breve missiva e soffocò la rabbia che gli incendiava le vene. Scott non aveva imparato la lezione ed era ovvio che volesse mostrare a Hope tutto ciò che lui non le poteva offrire. Una donna diversa avrebbe subito il fascino di quelle moine, ma lei ne sembrava infastidita, quasi come se il volerla comprare con doni e promesse la offendesse.
E lui? Lui moriva all’idea di perderla. Sentiva che Scott aveva ragione, avrebbe potuto offrirle cose per lui ancora irraggiungibili, ma non l’amore che li univa, sebbene crepato da stupide incomprensioni. Avrebbe trovato il modo di sanarlo.
«Dunque, è così? Lo terrai?» Gettò la lettera sul tavolo e piantò gli occhi in quelli fieri di Hope. Sembrava si aspettasse l’ennesimo scontro tra loro, l’avrebbe sorpresa evitandolo.
«No, e non l’avrei nemmeno indossato, ma sai anche tu quanto sia inutile discutere con Rachel.
»
Lo sapeva eccome, così come sapeva riconoscere la felicità negli occhi di una donna e la delusione di dover rinunciare alla fonte di tanto piacere.
«Ed è inutile che io ti dica quanto sei splendida con questo abito, vero?» Si avvicinò per prenderle le mani e attirarla a sé. «Sembri una donna di gran classe... nessuno direbbe mai che sei soltanto l’amante di un farabutto come me.» Aveva così voglia di baciarla che quando lo fece non si stupì del fremito al petto. Diamine, elegante e bella, troppo persino per uno come Scott.
«Ma non sarà mai mio.» Si voltò con un sospiro. «Aiutami a spogliarmi, prima che si sgualcisca. Voglio restituirlo come nuovo.»
«Perché non lo tieni, invece?» Posò un bacio sulle spalle lasciate nude dall’ampia scollatura. «Lo metterai la sera dell’inaugurazione, ma sarai al mio fianco e non al suo come lui si aspetta.»
«E creare così false aspettative?» Si voltò, lo sguardo alterato di chi credeva d’aver fiutato un inganno. «Cosa te ne verrebbe in tasca, altro denaro?»
«Nulla.» Fece spallucce. «Ma l’ho già preso a pugni in faccia una volta e non è servito a niente, questa volta prenderò a pugni il suo cuore e capirà che sei mia e mia soltanto.»
«È crudele e meschino.»
«E lui cerca ancora di trascinarti nel suo letto trattandoti come una puttana.» La fece voltare e prese a sbottonare il corpetto. «È ben più meschino di me, non trovi?»
«Vorrà dire che non scenderò al vostro livello.» Gli offrì di nuovo le spalle come chiaro incitamento a sbottonarle
l’abito. «Forse gioverebbe al tuo orgoglio, ma renderebbe me disonesta.»
«Non vuoi ferire il tuo spasimante?» La gelosia tornò a pungergli l’anima con ferocia, ma cercò di celarla dietro un tono di voce sommesso.
«Oh, credo che lo ferirò molto di più non accettando il suo regalo, ma almeno capirà che non mi può comprare.»
«Mi sorprende che tu voglia rinunciare a un qualcosa che forse non ti potrai mai più permettere.» Sbottonò il primo bottone, rincuorato dalla fermezza della risposta ricevuta. «Quelli come noi sono spesso affamati di ciò che non possono avere e disposti a tutto per ottenerlo. Un’altra, al posto tuo, avrebbe accettato.»
Ma lei non era scaltra come Rachel né opportunista come lui. Hope inseguiva il suo desiderio di riscatto procedendo su una strada ben distante dalla sua, quella dell’onestà. Era questo il guaio tra loro.
«La sera della festa indosserò il mio abito migliore e sarò sempre al tuo fianco, Nick.» L’abito scivolò dalle spalle scoprendo la schiena sinuosa. «E forse anche così lo prenderai a pugni nel cuore.» C’era quasi rammarico in quelle parole. Detestava sentirsi contesa da due uomini tanto ostinati, era ovvio persino a lui, eppure Nick sentiva che la guerra era solo all’inizio. Andrew Scott non avrebbe rinunciato a Hope, ne era certo.
*
Julesburg pareva il ritratto della dissolutezza. Si sentiva puzza di denaro in ogni anfratto e gli abiti eleganti
sfoggiati da semplici impiegati della ferrovia la dicevano lunga sul tenore di vita di quell’angolo d’inferno. Andrew gettò lo sguardo sulla casa da gioco gremita di clienti e scosse il capo con dissenso. Aveva sentito parlare della quantità di soldi che girava di mano in mano, delle donne abbigliate in abiti licenziosi e delle pistole che portavano bene in vista. Si domandò se anche Hope fosse caduta in quel baratro e il solo pensiero di lei gli costò un balzo al cuore.
Non l’aveva dimenticata per un solo istante. Agognava di incontrarla e trascorrere con lei anche un misero secondo, ma il dovere lo costrinse a seguire il corteo di politici e funzionari della ferrovia, verso il luogo in cui sorgeva il palco sul quale Thomas Durant avrebbe tenuto il discorso di inaugurazione della città.
C’era fermento, le note suonate dalla banda si libravano nell’aria trasportate dal vento leggero di giugno e lui frugava la folla in cerca dell’eleganza di un abito di seta dai tenui colori primaverili. Nella mente mille pensieri e timori, nel petto un solo e unico desiderio. Era questo che amava di Hope, l’inconsapevole beneficio che recava al suo spirito, spazzando via ogni pensiero con la sua sola vicinanza.
Il corteo si arrestò nei pressi del palco e Durant salì la scaletta insieme a Dodge e Casement
[6]
, sotto gli sguardi dei presenti. La ferrovia aveva guadagnato miglia e Andrew sapeva quanto bruciasse a Durant non avere più il
controllo assoluto dei lavori. I loro tracciati erano stati rivisti e modificati e c’era da sperare che non trapelasse nessuno dei sotterfugi che Thomas aveva usato per gonfiarsi le tasche.
A volte si malediceva per aver accettato di lavorare per lui. Durant e la ferrovia avrebbero portato denaro ma anche tanti guai, uno tra questi si chiamava Hope Darnell. Come poteva levarsi dalla testa la sensualità dei suoi gesti e la dolcezza di uno sguardo che la faceva apparire ingenua nonostante tutto? Lei era come un raggio di sole nella sua esistenza. Da troppo non provava quei brividi al cuore, l’inquietudine nel desiderare di perdersi in un paio d’iridi color sottobosco e ringiovanire grazie alla malia di un suo sorriso.
Chiuse gli occhi per scacciare l’ansia e si concentrò sul discorso emesso con voce solenne da Durant. Ringraziamenti e promesse, la visione del grande sogno di unire le due coste americane farsi sempre più concreta e la richiesta di continuare a lavorare con lena per realizzarla insieme. Era un grande oratore, un uomo di carisma che sapeva ammaliare e convincere. Andrew ne ebbe l’ennesima conferma nell’udire lo scrosciare degli applausi e i fischi di approvazione che si alzavano dalla folla.
Era felice di restare in ombra, di essere il braccio e non la mente, ma era immerso fino al collo nel pantano che Durant aveva creato intorno alla costruzione della ferrovia, e ciò lo inquietava ogni giorno di più.
Si voltò per sbirciare in direzione della casa da gioco e si scontrò con gli occhi arroganti di Nick Miller fermo sulla porta. Nessuna Hope al suo fianco né nei dintorni; nessun
abito elegante a spiccare tra gli altri. Forse era partita? Stava quasi per rinunciare all’idea di incontrarla, quando la scorse varcare la soglia. In testa un cappellino piumato abbinato all’abito cremisi che indossava. Nessuna raffinata eleganza la faceva risaltare tra quella marmaglia e non si stupì di vederle accettare il braccio che l’amante le offriva con un sorriso soddisfatto.
Aveva perso, ne era consapevole, eppure gonfiò il petto, battagliero. Avrebbe trovato il modo di parlarle, doveva restare da solo con lei anche un solo istante o sarebbe impazzito.
«Vi siete incantato, Mr. Scott?» La voce del colonnello Moore lo fece voltare di scatto, come un bimbo sorpreso a rubare dolciumi. «Si mormora che abbiate un debole per la donna di Miller.»
«Si mormora troppo in questo posto.»
«Beh, è di certo una femmina notevole. Ha conquistato tutti con quei suoi balletti, ma come ogni donna scaltra ha colto l’occasione al volo e adesso lascia che siano le altre a mostrare la mercanzia.»
«Dunque Miller non la fa più esibire?»
«La tiene tutta per sé, e come dargli torto?»
«Perché, invece, non parliamo della ferrovia, colonnello?» Sorrise, per celare il bisogno di deviare da quei discorsi. «Presto le due coste saranno unite, non lo trovate fantastico?»
Moore abboccò all’amo e lui si lasciò trascinare in una conversazione fatta di pro e contro, di operai cinesi che lavoravano senza sosta per la Central Pacific, di indiani furiosi, mandrie di bisonti, scalpi e rappresaglie che si
sarebbero fatte sempre più cruente. Il timore però non riuscì a spazzare via pensieri ben più gravosi, perché la furia di nessun selvaggio poteva eguagliare la paura che gli incuteva la giustizia se mai fossero venute alla luce certe faccende.
*
Si sentiva leggera e felice mentre Nick la faceva volteggiare sulle note suonate dall’orchestra, tra le luci delle lampade a olio, sotto il cielo stellato. Era la prima festa d’inaugurazione a cui partecipava, il primo ballo della sua vita e non importava se si trovavano in una pista da ballo in mezzo a quel nulla spesso inquietante. Era felice. I festeggiamenti avevano portato una ventata di allegria tra gli abitanti di Julesburg, Hope fece scorrere lo sguardo sui primi già impegnati a ballare e sorrise al suo uomo seguendolo nella danza.
«Amo vederti felice.» Nick era più elegante del solito quella sera. «E amo condividere tutto questo con te.» C’era orgoglio e gratitudine in quelle parole.
Hope gettò uno sguardo alle sue ragazze, assoldate per l’occasione così da sopperire la carenza del gentil sesso, e si sentì fiera di averle strappate ai letti dei bordelli di New York e offerto loro una vita più dignitosa. Essere pagate per saziare il bisogno di normalità di quegli uomini era ben diverso dal saziare altri appetiti.
«C’è da sperare che la mancanza di donne nel West duri ancora a lungo.» Si accigliò, pensierosa. «Almeno fino all’inaugurazione dell’ultima città.
»
«Stai diventando una donna d’affari, tesoro. Hai strappato un ottimo prezzo per le ragazze.»
«So come ottenere ciò che voglio da quel tipo di uomini» fece maliziosa, e non si stupì dell’occhiata scaltra che ricevette in cambio.
«Immagino tu abbia fatto esperienza a New York.»
«Non mi sono mancate le occasioni... è con quelli come te che sono carente di pratica.»
Nick scosse il capo con una lieve risata, mentre le note dell’orchestra scemavano alla fine del brano.
«Un altro ballo?» Le domandò, prima che gli occhi puntassero oltre le sue spalle e lo sguardo si facesse impenetrabile. «O forse ti lascerò al tuo spasimante, così potrai spiegargli una volta per tutte come stanno le cose.»
Inquieta, si voltò quel tanto da scorgere la figura di Andrew giungere alla festa in compagnia di Durant.
«Quindi lasci a me il compito di prenderlo a pugni nel cuore?» Sentiva l’ansia salire a serrare la gola. Detestava quella situazione.
«Preferisci che gli rompa il naso?»
«Sono certa che lo faresti se lui non fosse in stretti rapporti con chi gestisce la ferrovia e le concessioni.» Sbuffò, delusa. «Ma in ballo c’è la casa da gioco e la tua posizione qui. Meglio non fare troppo rumore intorno a noi, giusto?»
«Lo faccio per entrambi, Hope. Non voglio perdere la possibilità di seguire il denaro che la Union Pacific si porta dietro. Per via di questa faccenda ho già messo abbastanza in pericolo tutto ciò che ho ottenuto fino a oggi.» Prese un sigaro dal taschino e lo portò alle labbra. «Ma ti assicuro
che la voglia di prenderlo a pugni è davvero difficile da contenere.»
«Allora è meglio che risolva la questione da sola.» Accettò il bacio di Nick, dolce e rassicurante, la promessa di essere lì per lei se ne avesse avuto bisogno.
«Diamine... sei così bella stasera che è un peccato star qui a perdere tempo.» Un sorriso accattivante stampato sulle labbra, ma la gelosia a offuscare lo sguardo. Era chiaro che lasciarla a Scott anche solo per un istante lo innervosiva.
«Va’, prima che io cambi idea!»
«Fa’ in modo che tenga le labbra lontane dalle tue.»
Geloso e arrabbiato. Nick non era granché bravo a celare quel tipo di emozioni e Hope si crogiolò nel pensare di appartenergli come a nessun altro prima di allora. Lo osservò allontanarsi e raggiungere il colonnello Moore, con il fumo del sigaro che si alzava in dense volute e il portamento elegante nell’abito scuro. Era tutto ciò che lei non aveva mai sperato di possedere: un uomo che amava nel corpo e nell’anima, qualcuno per il quale poteva valere la pena combattere.
«Hope...» La voce di Andrew alle sue spalle la fece raggelare nonostante il tono cordiale e sommesso. Si voltò, pronta ad affrontare una conversazione che avrebbe di gran lunga evitato e attese che lui riprendesse parola. «Vedo che non avete indossato il mio regalo.» Il tono dispiaciuto, lo sguardo che sondava con irruenza il suo tra le note di un brano dai toni malinconici.
«Vi chiedo scusa, Mr. Scott, ma non l’ho potuto accettare.» Si concentrò sulle proprie mani unite in
grembo e cercò le parole giuste da dire. «Ve lo farò consegnare in albergo. Spero possiate comprendere che sono impegnata con un altro uomo e che intendo restare con lui.» Ora che lo aveva detto l’imbarazzo pareva svanito. Poteva tornare a guardarlo in faccia.
«Lo comprendo e me ne rammarico.»
«Non ne avete ragione, siete sposato.»
Questa volta fu Andrew a distogliere lo sguardo, come colpito da quelle parole schiette.
«E lui vi sposerà?»
«Lui mi ama.»
«Anch’io vi amo!» sussurrò, tornando a fissarla con occhi in tempesta. «Non ho pensato che a voi in queste settimane, al bacio che vi ho rubato e che ruberei ancora nonostante continui a chiedervi scusa per averlo fatto... perché mi siete entrata nel cuore e non volete uscirne.» Le afferrò le mani, ma lei le ritrasse dopo un lieve indugiare.
«Mi dispiace, credetemi, vorrei non trovarmi in questa situazione, ma devo chiedervi di non cercarmi più; inviarmi regali e lettere è inopportuno e mi imbarazza.»
Non attese risposta, gli voltò le spalle e si avviò verso Nick, desiderosa di riportare i battiti del cuore alla normalità e di godere della sicurezza che la sua presenza riusciva a trasmetterle. Nonostante la precarietà della situazione, lui era l’unico appiglio alla felicità. Mise su un sorriso cordiale e scacciò via l’ansia dal petto.
«Colonnello Moore, buonasera» esordì, ricevendo in cambio un cenno di saluto. «Ho forse interrotto i vostri discorsi?»
«Nulla di troppo interessante, si parlava dei Sioux e delle
loro scorribande.»
«È accaduto qualcosa?» Le mani si strinsero a pugno, lo sguardo pronto a rincorrere inquietanti ombre nel buio della prateria.
«Più a nord, lungo la Bozeman Trail. Nuvola Rossa non concede tregua ai nostri uomini, ma è lo scotto da pagare per portare la civiltà in queste terre selvagge.» Moore sembrava tranquillo, sicuro dell’esito positivo di quelle imprese.
Nick le cinse le spalle, protettivo. «Non roviniamo la serata con questi discorsi, colonnello, la mia Hope deve ancora abituarsi a molte delle cose che accadono qui nel West.»
Moore annuì, fece un sorriso di congedo e si diresse tra le braccia di Rachel, pronta a ballare con lui.
Intorno la festa era un tripudio di musica e volti raggianti. Hope cercò quello di Andrew tra la gente, ma non ne trovò traccia, per fortuna se n’era andato, forse umiliato dalle sue parole.
«Sei stata convincente, direi» esordì Nick, quasi le avesse letto nella mente. «Se n’è andato con la coda tra le gambe.»
«Ho fatto ciò che dovevo.»
Lasciò che lui l’attirasse a sé e gli offrì le labbra nell’intimità dell’angolo in cui erano appartati. In quel breve bacio c’era la felicità di un amore che poteva essere vissuto in libertà; il solo peccato risiedeva nel non essere sposati, ma lui era un giocatore d’azzardo e lei una ballerina, sul peccato avevano edificato la vita intera.