Capitolo 11

Antelopeville, Territorio del Nebraska
Il giornale comparve sotto il naso di Hope, tenuto in mano da una preoccupata Rachel.
«Leggimi la notizia in prima pagina, tesoro. Un operaio della stazione ha detto che i Cheyenne hanno fatto deragliare un treno.»
Aveva sperato di udire notizie meno nefaste, ma smise di rassettare il letto e afferrò il quotidiano. Le parole stampate offrivano immagini raccapriccianti che le costarono un sussulto e alimentarono la paura che provava da giorni, da quando aveva visto quei guerrieri fermi a un passo dai binari.
«È una notizia di quasi due settimane fa.» E ciò la diceva lunga sull’importanza di quella città dove le giornate parevano vuote e infinite. Non vi era il via vai di North Platte o Julesburg, era un mortorio fangoso fuori dal mondo, in cui le notizie giungevano sempre con grande ritardo. «Dice che gli indiani l’altra notte hanno causato un incidente a Plum Creek mettendo una traversina sulle rotaie, e un carrello di servizio con a bordo degli operai del telegrafo ci si è schiantato contro. Poco dopo è sopraggiunto un treno merci che è deragliato. Uno degli operai, un certo William Thompson, si è salvato fingendosi morto, ma quei selvaggi gli hanno preso lo scalpo ed è vivo per miracolo.»
«Oddio, lo scalpo... da vivo!» Rachel si tappò gli occhi con i palmi delle mani e si buttò a sedere sul letto tornando poi a guardarla. «Si dice che questi Cheyenne arrivino da sud... si sono spostati dai territori di caccia attraversati dalla Kansas Pacific e ora se la prendono con noi!»
«Stanno difendendo ciò che è loro, come biasimarli.» Chiuse il giornale e cercò di scacciare l’ansia. «Siamo noi che non dovremmo trovarci qui.» E ogni giorno si domandava cosa la spingesse a restare. La risposta stava tutta in un paio d’occhi verdi e un sorriso da furfante al quale non riusciva a resistere.
Passò la mano sul ventre. Plum Creek era parecchio distante da loro, forse duecento miglia a est ma ciò non rendeva più remota la possibilità di un attacco nei pressi di Antelopeville. Gli indiani compivano razzie e tafferugli a notevole distanza dai propri accampamenti e tutti loro erano bersagli sui quali stavano di certo puntando lo sguardo.
«Mi domando che futuro darò a mio figlio. Davvero posso crescerlo tra gente capace di ammazzarsi per una partita a carte e pellerossa pronti a scotennarci? In un posto dove la vita e la morte corrono sullo stesso dannato binario?»
«Non immaginavi sarebbe stato così quando sei partita, vero?»
Scosse il capo sentendosi sciocca per quanto era stata ingenua.
«Credevo sarebbe stato l’inizio di una vita migliore, e lo è stato perché ho trovato Nick e te... ma ora ho paura, Rachel.»
«Hai parlato con lui del bambino?»
«No.»
«Hope! Non lo potrai tenere nascosto in eterno ed è meglio se ti togli subito il pensiero. Diglielo chiaramente o cerca di capire come la prenderebbe. Te l’ho detto, puoi giocare d’azzardo con Nick e sei molto più furba di lui in certe faccende, lo sappiamo entrambe.»
A dire il vero lei si sentiva tutto fuorché furba. Come diamine si era cacciata in quella situazione? Vedova e incinta di un amante che non intendeva avere figli, né moglie.
«Se fossi rimasta incinta subito avresti potuto far passare questo bambino per il figlio legittimo di Bart e cercare aiuto dai suoi parenti» prese a dire Rachel, pensosa. «Ma, purtroppo, non si resta incinte con un marito morto da cinque mesi.»
«È orribile anche solo che tu stia pensando una cosa simile! Non avrei mai potuto truffare quella gente!»
Rachel sbuffò, in volto una smorfia di delusione. «Allora sei meno furba di quanto credevo. Nemmeno li conosci e ti fai tanti scrupoli!»
Se essere furbi significava comportarsi da disonesta, era ben felice di non esserlo. Poteva ingannare al tavolo dei dadi o mostrarsi seducente con false promesse agli uomini con cui danzava, ma non avrebbe mentito su una cosa tanto importante .
Riprese il giornale, attirata dal trafiletto che menzionava la città di Cheyenne. I binari non erano ancora giunti fin laggiù e già si era formato un insediamento con saloon, due giornali, un albergo, magazzini e millecinquecento abitanti che la popolavano in attesa di essere collegati al resto del paese. Il generale Dodge aveva assicurato che le rotaie avrebbero raggiunto la città prima dell’inverno e pareva deciso a mantenere la promessa. Ciò significava che presto anche loro sarebbero partiti.
«Nick ti ha già detto quando ci sposteremo?» domandò, distrattamente.
«Tra una settimana, il tempo di trovare i carri per trasportare tutto. Ed era quasi ora, se potessi, non starei in questo posto un minuto di più!»
Hope si accigliò. Lui aveva già deciso e non gliene aveva fatto parola, quasi la faccenda non la riguardasse. Si guardò attorno e per la prima volta lo fece con occhi non velati dall’amore che provava per lui. La tenda in cui vivevano era misera, la casa da gioco un ammasso di gentaglia pronta a uccidersi per qualche dollaro, il bordello era quanto di meno dignitoso avesse mai visto in vita sua.
«Non intendo partire per Cheyenne» annunciò, con il petto preda di folli battiti. «Non andrò in un posto che ancora non è nemmeno raggiunto dalla ferrovia!»
«E dove vorresti andare?»
«A Julesburg! Sai anche tu che non saremmo mai dovuti partire.»
«Questa è una strada in cui si può andare solo avanti, tesoro. Tornare indietro non avrebbe senso e sai che Nick non sentirà ragioni. »
«Non ne sentirò nemmeno io. Se davvero mi ama accetterà di tornare indietro o trovare con me un luogo dignitoso in cui crescere nostro figlio.» Cercò conferme negli occhi di Rachel ma vi trovò solo compassione. Era ovvio ciò che l’amica stava pensando e faceva un gran male leggerle la verità in volto.
«Te l’ho già detto, Hope, devi pensare a te stessa e al tuo futuro. L’amore è qualcosa di meraviglioso ma non è roba per quelle come noi... ci piega e ci spezza, ci rende deboli alla mercé di uomini che non ci meritano davvero. Nick ti ama ma non scenderà a patti con te e capirà di aver sbagliato solo quando ti avrà perso.»
Rabbia, delusione, paura. Sentiva di non avere certezze nel presente così come nel futuro e ciò la disorientava.
Aveva bisogno di prendere una boccata d’aria e allontanarsi da lì e da lui, impegnato a servire da bere ai pochi avventori mattutini oltre la parete di stoffa che divideva il loro alloggio dal locale. Poteva udirne la risata calda, riusciva a immaginarlo con le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e un sigaro tra le labbra, fiero e deciso. Cosa gli mancava in fondo? Stava vivendo la vita che voleva e aveva un’amante a sua disposizione pur senza esservi legato.
La sola a uscirne perdente sarebbe stata lei.
«Scusa, vado a fare due passi.»
Non attese risposta, si gettò lo scialle sulle spalle e guadagnò la porta con gli occhi pieni di lacrime. L’accolse il vento caldo di agosto che scompigliò i capelli e i pensieri. Si sentiva alla mercé della vita come mai prima di allora. A capo chino s’incamminò verso la stazione. Il treno era arrivato da poco e forse c’erano notizie per lei da New York, magari una lettera dalle ragazze di Madam Maryann.
Stava cercando di distrarsi con quei pensieri quando, nel voltare l’angolo della stazione, impattò contro il petto di un uomo in abiti eleganti e si sentì afferrare per le spalle prima di rovinare malamente a terra.
«Hope! Perdio, vi siete fatta male?»
«Mr. Scott...» sussurrò, detestando il destino che pareva divertirsi con lei. «Dovete scusarmi, ero sovrappensiero.»
La presa in cui lui la teneva si allentò, ma indugiò un attimo di troppo prima di lasciarla andare.
«È strano e imbarazzante incontrarvi di nuovo.» Andrew passò una mano tra i capelli e abbassò lo sguardo. «So di non avervi dato la migliore visione di me l’ultima volta in cui ci siamo parlati, ma avevo sperato rispondeste almeno alla mia lettera, anche se vi dicevo addio...»
Accigliata, Hope scrutò le iridi che di nuovo si tuffavano nelle sue. «Quale lettera? Non ne ho più ricevute da parte vostra.»
«Dite davvero?» Lo sguardo sbigottito quanto il suo. «Dunque non avete mai ricevuto il mio regalo?»
«Non so di cosa stiate parlando, ve lo assicuro.» Invece aveva il pesante sospetto di saperlo. La collana ricevuta in dono da Nick le balzò subito alla mente, ma faceva troppo male anche solo pensarlo. «Era forse un altro abito?» azzardò, nella speranza di essersi sbagliata. Nick non poteva aver fatto una cosa tanto losca e meschina.
«No, qualcosa di molto più prezioso.» Sorrise, l’imbarazzo era evidente, pareva un bambino costretto a confessare una marachella. «Una collana. Il motivo floreale del ciondolo mi aveva fatto pensare a voi... un fiore delicato in mezzo alla marmaglia al seguito della ferrovia, ma è evidente che qualcuno ci ha messo le mani sopra prima di voi.» Era amareggiato, lei invece era combattuta tra rabbia e tristezza.
Si era sbagliata su Nick, non era l’uomo che aveva creduto.
«Mi rincresce molto, Mr. Scott, doveva essere un gioiello magnifico.»
«Lo siete molto di più voi, non rammaricatevi.» Calzò il cappello e rivolse uno sguardo alla città. «Come vi avevo scritto nella lettera, siete preziosa e unica per me, ricordatelo sempre.»
Preziosa e unica.
Diamine, Nick gli aveva rubato persino le parole.
Era disgustata.
«Vi ringrazio» si sforzò di dire. «Lo ricorderò.»
Andrew si toccò la punta del cappello in segno di saluto, poi si incamminò verso gli uffici della ferrovia. Invece, lei rimase lì imbambolata, con il vento che sfiorava le guance portando aria calda da sud, mentre il mondo si sgretolava annullando ogni certezza.
Non si rese quasi conto delle gambe che già si muovevano verso la casa da gioco, sentiva solo le unghie conficcarsi nei palmi e la rabbia montare a ogni passo. Varcò la soglia del loro alloggio e frugò nel baule in cerca della collana, quando la trovò provò quasi ribrezzo nel tenerla in mano.
«Dove sei stata?» eruppe la voce di Nick alle sue spalle. Il tono dolce e caldo con il quale l’aveva conquistata. «Ti cercavo.»
Non tentò di calmarsi, né di mettere insieme le parole più adatte. Si voltò brandendo la collana, negli occhi il malanimo che sbatté in faccia a quel disonesto.
«Un tuo regalo, vero, Nick? Sei anche un ladro adesso?» Era così arrabbiata! Le dita fremevano dalla voglia di schiantarsi sul volto impassibile di fronte a lei. «Non hai nulla da dire?» incalzò, mostrando la collana con disgusto.
«Vedo che sai già tutto.» Arrogante farabutto.
«Come hai potuto fingere di averla comprata per me?»
«Che importanza ha chi l’ha comprata, Hope? Avrei potuto rivenderla e non dirti nulla... invece te l’ho regalata perché ti amo e volevo dimostrarti quanto sei importante per me!»
«Questa collana era un regalo di Scott, tu non mi hai regalato un bel niente!» Era incredula e ferita, si era aspettata di tutto da lui, ma non una simile bassezza. «E non credo tu abbia trovato in me qualcosa di indispensabile.»
«Nessuno di noi è indispensabile, nemmeno io per te. Però ci amiamo e questo mi basta... ma non basta a te.»
«E credevi di compensare regalandomi una collana? Pensi davvero che baratterei i miei desideri per un po’ di oro?»
«Volevo solo renderti felice.» Fece spallucce, ma era ovvio che si stesse irritando. «Però, forse, preferivi riceverla da Scott. Dopotutto deve essere gratificante sapere di aver rubato il cuore a un simile partito.»
«Dio santo, Nick... ti ho dato tutta me stessa e chiedevo solo di vivere felice al tuo fianco! »
«Io ti ho dato una casa, un lavoro e la mia vita.» Indurì lo sguardo, segno che la rabbia stava prendendo il sopravvento. «Ti ho dato cose che mai avrei creduto di concedere a una donna, ma per te non sono mai state abbastanza, vero? Eri disposta a sposare il primo venuto, ma non sai apprezzare un compagno che ti ama.»
«Mi ami, Nick? Davvero?» Sollevò il mento con decisione e lo guardò negli occhi decisa a pronunciare la mezza verità che teneva dentro da settimane: «Allora sappi che ho creduto di essere incinta, ma sbagliavo. E ora dimmi cosa avresti fatto se fosse stato vero.»
Aveva giocato d’azzardo gettando sul tavolo quella domanda che lo aveva colto di sorpresa, lo capì dal modo in cui lui deglutì a vuoto, negli occhi un lampo di emozione e smarrimento subito celato. Attendeva una risposta e intanto si sentiva morire dentro. Il pensiero di un rifiuto l’atterriva, avrebbe significato la fine della loro storia perché lei amava quella creatura anche più dell’uomo con il quale l’aveva concepita.
Nick, invece, sentì il cuore sprofondare in un miscuglio di sentimenti che faticava a gestire. Timore e tenerezza, rabbia e impotenza.
«Incinta?»
Hope annuì. «Dimmi cosa avresti preteso facessi se fosse stato vero... e cosa pretenderai se accadrà.» C’era l’urgenza di una risposta in quelle parole, una speranza dolorosa e un bisogno di conferme che lui non poteva soddisfare.
Non era l’uomo adatto.
«Sei cresciuta in un bordello, sono certo che saprai come evitare questo genere di complicazioni.»
L’aveva delusa. Per l’ennesima volta le aveva spezzato il cuore, ma era pur meglio che rovinare la vita a un figlio. Chi era lui per meritare il privilegio di diventare padre? Non aveva nessuna certezza da offrire, nessun futuro. I ricordi di un’infanzia di stenti e fatica, della fame che rodeva lo stomaco e delle botte prese dal proprio padre bruciavano ancora nell’orgoglio, e il timore di ripercorrere quelle orme dannate era un freno che non intendeva allentare.
Sapeva di averla ferita e si maledisse per questo, ma erano un giocatore d’azzardo e una ballerina spersi tra le anime di quelle città infernali. Non avrebbe cresciuto un figlio in tal modo.
Sentiva di aver messo un punto a quei discorsi una volta per tutte, ma ciò non lo faceva stare meglio.
«Tu non mi ami affatto, Nick.» Le lacrime sulla soglia delle ciglia, ma lo sguardo dignitoso e caparbio. Non sarebbe arretrata di un solo passo e lui la sentiva scivolare via dalla propria vita senza poterla trattenere.
«Hai lasciato New York per creare qui la tua famiglia, ma non con me. Era Bart l’uomo che desiderava moglie e figli.»
«Ma lui è morto e ci sei tu al mio fianco, adesso.» Scosse il capo con mestizia. «Dici di amarmi... e la sola cosa che vuoi è avermi nel tuo letto.»
«Questo non è vero» ringhiò, arrabbiato per quell’accusa.
«E allora perché rifiuti un futuro vero con me? Perché non possiamo trovare un posto in cui fermarci, Nick? Cosa ti spinge a voler partire in continuazione, a voler mettere la nostra vita in pericolo e a impedirci di costruire la nostra famiglia?»
«E perché tu mi parli come se io ti avessi illusa? Non ho mai fatto mistero di ciò che voglio o non voglio. Io non ti sposerò mai e non metterò su nessuna dannata famiglia piena di marmocchi!» Distolse lo sguardo dal suo e si accigliò, le emozioni rendevano difficoltoso concludere quel discorso. «Abbiamo progetti opposti e io non intendo rinunciare ai miei.»
Hope sollevò il mento, mentre il petto si alzava e abbassava sotto la spinta del respiro affannoso.
«Beh, nemmeno io intendo rinunciare ai miei» sibilò, rabbiosa. «Quindi, se ciò che mi puoi dare si riduce nel fare di me un’amante e nulla di più, io non ci sto.» Prese la valigia da sotto il letto e iniziò a riempirla con gesti nervosi.
«Che diavolo, Hope!» L’afferrò con stizza, furioso e spaventato da ciò che stava per accadere. «Cosa credi di fare?»
«Non lo vedi? Me ne torno da dove sono venuta.» Gli abiti buttati dentro alla rinfusa, le lacrime che ormai solcavano le guance. «Non ho lasciato New York per diventare l’amante di un farabutto al quale importa solo il denaro… un imbroglione nella vita come nel gioco!»
L’aveva colpito al centro del petto, letale e precisa.
Sapeva di aver fatto lo stesso con lei, in quegli occhi poteva quasi scorgere i frammenti del suo cuore in pezzi.
«Non sarò io a trattenerti.» Che senso poteva avere costringerla a restare se ciò significava farla vivere da infelice? «Se questa è la tua scelta fa’ pure, vattene. Io devo tornare al lavoro.»
Le voltò le spalle con aria risoluta, ma le gambe tremavano a ogni passo. Avrebbe voluto piangere e supplicarla di restare, però sarebbe stato solo il prolungarsi di un’agonia alla quale non potevano scampare. Il loro amore era troppo debole per sopportare quel braccio di ferro tra loro.
Lui era troppo debole per mettersi in gioco e accontentare la sua donna. Preferiva battere in ritirata, vigliacco e impaurito da un futuro che rischiava di somigliare al passato.