Capitolo 12

Tutto finiva da dove era iniziato. Hope osservava la banchina della stazione al di là del finestrino, seduta in un vagone ancora deserto. Il treno sarebbe partito solo l’indomani, ma lei sentiva che una parte del suo cuore sarebbe rimasta lì, per sempre accanto a quello di Nick.
Faceva così male sapere di non avere scelta. Non andava via per se stessa ma per la vita che portava in grembo. Lei si sarebbe potuta accontentare di vivere in quel modo pur di stare con l’uomo che amava, ma non poteva condannare suo figlio a un’esistenza tanto precaria, con un padre che non lo avrebbe mai accettato.
Il vetro rimandava il riflesso del suo volto, gli occhi asciutti di un pianto che serbava nel petto. Era finito il tempo delle lacrime, ora doveva trovare la forza di fare le scelte giuste e non sarebbe stato facile. Tornare a New York da sola e incinta complicava le cose, ma era vedova e nessuno poteva sapere di chi fosse realmente il figlio. Non avrebbe ingannato la famiglia di Bart, ma poteva servirsi della vedovanza per evitare la vergogna e cercare un impiego dignitoso.
Suo figlio non sarebbe cresciuto in una pericolosa città del West ma nemmeno in un bordello di New York.
I pensieri si dissolsero quando notò Andrew Scott osservarla accigliato al di là del vetro. Un istante più tardi lo vide salire in carrozza, titubante nel rivolgerle uno sguardo incuriosito.
«Non sapevo foste in partenza» esordì con gli occhi che si posavano sulla valigia accanto a lei.
«A dire il vero, non ne avevo idea nemmeno io.»
«Cos’è accaduto, Hope?»
«Torno a New York. Come dicevate voi, non sono fatta per la vita nel West.»
«E Miller vi ha lasciato andare con tanta facilità?»
«Lo ha fatto, sì.» E lo odiava per come aveva preso a calci il suo cuore.
«Il treno parte tra molte ore, perché siete già qui?»
«Al momento non ho altro posto in cui stare.» Aveva rifiutato l’invito di Rachel a trascorrere la notte da lei, perché non poteva sopportare di essere così vicina a Nick ora che lo aveva escluso dalla sua vita.
Andrew tornò ad accigliarsi e, dopo un breve rimuginare, afferrò la valigia con fare deciso.
«Venite con me.»
Inutile rifiutare, lui si era già incamminato verso i vagoni di coda e non le restò che alzarsi e seguirlo. Avrebbe preferito evitare altre complicazioni, voleva restare sola con se stessa e i propri pensieri nel tentativo di organizzare un futuro che non fosse peggiore di quel presente.
Era difficile... troppo. Ogni volta che immaginava il ritorno a New York vedeva solo la miseria di un’esistenza precaria.
Andrew si arrestò davanti a una porta di legno che aprì con due giri di chiave, spalancando l’uscio su l’elegante vagone adibito a camera da letto. L’opulenza del legno intarsiato tirato a lucido e l’arredo ricercato la lasciarono un istante a bocca aperta. Se l’albergo di North Platte le era parso raffinato, questa carrozza aveva un aspetto regale.
«È l’alloggio in cui di solito viaggia Mr. Durant, ma lo ha messo a mia disposizione.» Andrew posò la valigia sul letto. «Un tempo è appartenuto al presidente Lincoln, sapete?»
Hope scosse il capo. «Non so nulla di treni e presidenti... a dire il vero so molto poco anche di Mr. Durant.» Ma era ovvio che gli piacesse trattarsi bene. «Perché siamo qui?»
«Potete passare qui la notte se lo vorrete. Io mi farò ospitare dagli impiegati della stazione.»
«Siete molto gentile, Mr. Scott, ma...»
Andrew sollevò una mano zittendola. «Vi prego, non potete rifiutare. Sarete mia ospite almeno fino a domattina.»
«È sconveniente, lo sapete.»
«Chi mai lo verrà a sapere, a parte noi?» Diede uno sguardo all’orologio da taschino e si avviò alla porta. «Devo sbrigare alcune faccende e, poi, se avrete piacere, potremo pranzare insieme. Devo rimediare all’idea pessima che vi siete fatta di me.»
In effetti non si sentiva a suo agio sola con lui. Il bacio rubato tempo addietro e l’arroganza del loro ultimo incontro alla sala da ballo avevano messo in luce un lato del carattere di Andrew che l’aveva delusa. Eppure, avrebbe potuto essere la sua carta vincente per il futuro. L’occasione di cui Rachel parlava sempre.
Diamine, non voleva nemmeno pensare a certe cose! La sua vita doveva cambiare in meglio, non avrebbe fatto la mantenuta nel letto di Andrew Scott.
«Non dovete rimediare a nulla» mentì per cortesia. «Ma se ci tenete, possiamo pranzare insieme.» Probabilmente sarebbe stato l’ultimo pasto decente che avrebbe fatto e doveva pensare a suo figlio.
Osservò Andrew rivolgerle un cenno di saluto e lasciare la carrozza. La porta si chiuse e lei si guardò attorno con ammirazione. La carrozza appartenuta al presidente Lincoln! Nessuno ci avrebbe mai creduto se lo avesse raccontato. Dopotutto, Andrew era stato gentile a ospitarla e non aveva approfittato di lei nonostante la situazione.
Pensare di non essere completamente sola su quel treno le dava la forza di partire, perché il suo cuore altrimenti rischiava di tenerla inchiodata lì, nella vana speranza che Nick, un giorno, accettasse il loro bambino. Una parte di lei sperava di vederlo giungere in stazione per impedirle di partire, ma a cosa sarebbe servito rimandare l’inevitabile?
Andrew, invece, seppe sorprenderla durante quella giornata. Non pranzò con lei come promesso, alcuni impegni lo avevano trattenuto con gli altri ingegneri della ferrovia, ma le aveva fatto servire un ottimo pranzo e ora, mentre fuori l’imbrunire accarezzava i tetti e le poche tende di Antelopeville, lui le sedeva di fronte per condividere la cena in sua compagnia.
«Cosa farete una volta arrivata a New York?» le domandò, pulendo la bocca con l’angolo del tovagliolo. «Sapete già dove andrete? »
«A dire il vero, no. Alloggerò in qualche pensione fino a quando non troverò un impiego, poi vedrò.»
«Sarebbe sconveniente per voi se vi offrissi ospitalità in una delle case che posseggo in città?» La stava studiando e ciò costrinse Hope ad abbassare lo sguardo. Era ovvio a cosa stesse mirando, era troppo navigata per non capirlo, però il modo in cui Andrew aveva preso a corteggiarla era delicato e discreto. Poteva sopportarlo per qualche ora ancora, ma era meglio non offrire false illusioni.
«Siete molto gentile.» Alcune volte era davvero difficile trovare le parole giuste. «Ma c’è una cosa che dovete sapere. Aspetto un figlio da Nick, e capirete di sicuro che non posso più decidere solo per me stessa. Devo tenere conto di questa creatura e assicurargli la migliore esistenza che potrò offrirgli.»
Lo aveva lasciato senza parole. Gli occhi dilatati, la speranza che svaniva dal volto. Per un attimo si domandò cosa sarebbe accaduto adesso, pensò quasi che l’avrebbe cacciata, invece lui le afferrò le mani con garbo, sorprendendola ancora.
«Buon Dio, Hope! Un figlio... e lui vi lascia partire nonostante ciò?»
«Nick non lo sa. Avere dei figli non è nei suoi piani, per questo ho deciso di partire.»
«Allora non accetterò un rifiuto da parte vostra. Sarete mia ospite a New York, la casa è vuota da quando gli ultimi affittuari l’hanno lasciata e sarà un piacere per me se ci vivrete voi. Farò anche in modo di trovarvi un impiego, non dovrete preoccuparvi di nulla.»
«Non è davvero il caso, Andrew. Ero in società con Nick e Rachel... mi hanno liquidato con abbastanza denaro da poter vivere tranquilla qualche mese. Approfittare della vostra gentilezza mi sembra inopportuno.»
«Sarebbe inopportuno che io vi lasciassi da sola ad affrontare un simile periodo.» Ecco la mossa con la quale stava cercando di affossare il rivale. Lui, l’eroe romantico che la salvava dall’inferno in cui l’altro l’aveva gettata. Se solo fosse stato un gesto disinteressato...
«Accetterò solo se mi lascerete pagare come una qualsiasi affittuaria. Come vi ho detto, al momento ho abbastanza denaro e poi, troverò il modo di farmi pagare da quel farabutto di Doyle.»
«Non vi ha pagato per la bottega di Bart?» Le sopracciglia si aggrondarono ancor più quando lei annuì. «E immagino che Miller non abbia mosso un dito per farvi avere il dovuto.»
«Credeva che un litigio con lui potesse nuocere alle nostre attività.»
«Che razza di bastardo... Oh, perdonatemi, ma non riesco a capire come potesse dire di amarvi se poi si comportava in questo modo!»
Faticava anche lei a comprenderlo, eppure sapeva che Nick l’amava, sebbene non più della propria libertà e del denaro.
Soldi, tutto girava intorno alla smania di possederne sempre più.
Quando più tardi rimase sola, si concesse il primo vero sospiro di sollievo stesa nel comodo letto che l’accolse. La certezza di poter contare sull’aiuto di Andrew era confortante e, d’improvviso, il futuro appariva meno cupo. Restava il dolore di un amore finito, il ricordo bruciante di baci e parole che le avevano rubato l’anima e che sempre sarebbero rimaste legate all’uomo al quale aveva lasciato il proprio cuore.
*
L’ennesimo sorso di whisky scivolò in gola mentre i primi raggi del sole coloravano il cielo di rosa in quel mare immenso d’erba lontano dalla città. Non faceva altro da quando aveva chiuso la casa da gioco a notte fonda, e ora non aveva più voglia né di colpevolizzare se stesso né Hope. Era ubriaco, disperato e pronto a giurarle amore eterno pur di riaverla per sé.
Rachel lo aveva messo di fronte ai propri errori, come sempre era stata una confidente e una spalla su cui piangere. Amica, sorella e madre, quella notte aveva avuto bisogno di ogni sua parola. E ora eccolo lì, in sella a Bower, nel mezzo della prateria, lungo i binari che avrebbero portato la sua donna lontano da lui; doveva solo trovare il coraggio di tornare indietro, scusarsi e pregarla di restare. Sentiva che niente sarebbe stato più lo stesso senza Hope, lui non sarebbe stato più lo stesso.
Mancava un’ora alla partenza del treno, poteva ancora fermarla. Spronò il morello e infilò la bottiglia nella sacca, consapevole che non avrebbe dato la migliore versione di sé.
«Torniamo a casa, amico.» Una carezza al collo possente del cavallo e quasi gli scappò da ridere per l’assurdità appena detta. Antelopeville non era la sua casa, non vi era un solo posto al mondo che potesse chiamare tale. Un barlume di lucidità gli ricordò che Hope se n’era andata proprio per quello, ma lo scacciò lanciando Bower in una folle corsa verso l’abitato.
Il treno era ancora in stazione, sebbene il vapore sbuffasse già dal fumaiolo. Saltò giù di sella e salì nel primo vagone, molle per la sbronza e la stanchezza. Alcuni passeggeri sedevano con i volti assonnati, il giornale aperto o una sigaretta tra le labbra. Facce note di quella piccola città. Carrozza dopo carrozza cercò Hope tra loro, ma di lei non vi era traccia e si arrestò davanti all’elegante porta del vagone di Durant, con la speranza che fosse tornata a casa.
Stava per voltarsi e correre alla loro tenda, ma si bloccò nell’udire la voce di Scott oltre l’uscio. L’aveva riconosciuta chiaramente e l’ombra del più letale sospetto avvelenò il sangue. Non si concesse nemmeno il tempo di pensare, alcol e fiele suggerivano l’irruzione nella stanza e lui obbedì spalancando l’uscio sui volti sgomenti di Hope e Andrew Scott.
Un letto disfatto, la colazione sul tavolo...
Il cuore sembrava essersi fermato, ma le gambe si mossero rapide verso la coppia seduta e d’improvviso muta. La vergogna negli occhi di Hope non lo gratificò abbastanza da saziare l’ego ferito e, mentre immaginava la sua donna tra quelle lenzuola con Scott, afferrò l’ingegnere per la giacca e schiantò le nocche sul volto elegante.
«Nick!» Hope aveva urlato, alzandosi di scatto e lui si voltò eliminando l’ostacolo del tavolino tra loro, che rovesciò in un fracasso di porcellana in frantumi .
«Non pronunciare mai più il mio nome, dannata puttana!» le biascicò in faccia, così vicino da avvertire il soffio del suo respiro agitato. Però, non l’avrebbe toccata nemmeno con un dito, anche se la voglia di trascinarla via da lì faceva fremere ogni parte di sé.
«Uscite, Miller» intimò Andrew, con il volto pesto e lo sguardo di chi ha perso la pazienza. «Hope non è più la vostra donna, fatevene una ragione.»
«Potete tenervela» ringhiò, rivolgendole il più disgustato degli sguardi. «Non riprendo indietro la merce usata.»
Un calcio al tavolo rovesciato a terra, poi fece su il proprio cuore e l’orgoglio e lasciò la carrozza tra il singhiozzare convulso di Hope... la sua Hope . Nel petto la sensazione che la vita fosse finita quel giorno.