Capitolo 15
Cheyenne, Territorio del Wyoming
Non era ancora metà pomeriggio, ma gli abitanti di Cheyenne avevano già assistito a una sparatoria e a un’impiccagione, e ora c’era Doyle che sbraitava come un pazzo con il suo inconfondibile vocione. Nick finì di passare lo straccio su uno dei tavoli e si affacciò alla porta senza capire il motivo di tale baccano, solo un istante più tardi vide una donna uscire dalla bottega del barbiere, l’abito elegante che risaltava come un faro in mezzo alla polvere della città, il cappellino a ombreggiare il volto che non ebbe tempo di ammirare, perché lei si voltò verso il barbiere.
«Dannata puttana!» le inveì contro Doyle, senza che la donna si scomponesse. «Hai avuto i tuoi soldi, ora torna da dove sei arrivata!»
Furono quelle parole a fargli tremare il cuore nello stesso istante in cui Andrew Scott compariva sulla soglia, con l’aria soddisfatta di chi aveva vinto una partita. Lui, invece, non riusciva a trovare il coraggio per posare lo sguardo sulla donna che adesso gli offriva il profilo, quando lo fece, rabbia e dolore destarono un malessere mai sopito.
Diamine se era bella! Raffinata, con il portamento di una
signora e l’aria innocente che lo aveva fatto innamorare. Hope Darnell era tornata e lui sentiva il cuore cadere in pezzi ai suoi piedi. Non attese un istante di più e rientrò nel locale con la voglia di annegare in una bottiglia di whisky e dimenticare quel volto dagli occhi color sottobosco, i baci che avevano appagato i sensi e conquistato il suo cuore di un amore che, infine, lo aveva distrutto.
Tutto era cambiato quando lei se n’era andata. L’entusiasmo di un tempo, la smania di vivere alla giornata al seguito della ferrovia, i continui spostamenti in cerca di un orizzonte diverso avevano perso il loro fascino. Stappò la bottiglia e fece una lunga sorsata di liquore, sperando bruciasse i pensieri oltre che le viscere.
«Partirà presto» esordì Rachel, in piedi nel varco tra la casa da gioco e la sala da ballo. Tutto ciò che restava delle loro attività, perché la sua condotta di quegli ultimi tempi aveva fatto andar via le prostitute in cerca di un datore di lavoro più affidabile. Solo Rachel gli era rimasta accanto, come sempre.
Era curioso che perdendo Hope avesse perso anche tutto il resto.
«Sapevi del suo arrivo?» ringhiò, furioso.
«Ho ricevuto il telegramma solo questa mattina.»
«E non hai pensato di avvisarmi?»
«Per vederti ubriaco già prima di mezzogiorno?» Rachel si avvicinò con le mani salde sui fianchi, come sempre quando qualcosa non le andava a genio.
«Me ne sarei andato pur di non vederla.»
«E dove? A bivaccare in mezzo alla prateria?
»
«Sarebbe stato meglio che vedere Hope con quel dannato riccone.» Fece per portare la bottiglia alla bocca, ma lei gliela strappò dalle mani con stizza. «Che diavolo! Mi vuoi lasciare in pace?»
«Quel dannato riccone le ha appena fatto avere il denaro che Doyle le doveva, e le sta facendo vivere una vita dignitosa... tutte cose che tu le hai negato.» Gli piazzò la bottiglia di nuovo in mano. «Ora ubriacati pure pensando a quanto sei stato idiota.»
«Una vita dignitosa?» Non poteva credere a quanto appena udito. «È una mantenuta! Potrà anche ricoprirla d’oro, ma resterà sempre una puttana agli occhi della gente.»
«E ai tuoi, Nick?»
Lui però non rispose, tracannò un altro sorso di whisky senza capire se fosse più disgustato da Hope o da sé stesso.
«Sai cosa ti dico?» riprese a dire Rachel, così costernata da mettertelo in allarme. «Prima o poi anche io mi stancherò di questa vita e finirà che resterai solo a mandare avanti la baracca.» Si voltò avviandosi alla porta, l’abito semplice e i capelli sciolti sulle spalle. Era amareggiata e lui sapeva che ne aveva tutte le ragioni.
«Non lo faresti mai... ci siamo fatti una promessa noi due: sempre uniti nel bene e nel male e a qualunque costo.»
Rachel si arrestò senza voltarsi. «Quel costo sta diventando troppo alto per me, Nick.» Un attimo dopo era sparita nella stanza attigua.
Fissò la bottiglia senza più voglia di bere, aveva bisogno di prendere Bower e fare una cavalcata con il vento a
sferzargli il viso. Uscì senza dire nulla e si diresse alle stalle, lo sguardo che frugava ogni angolo della città in cerca di quel volto che ogni notte aveva incontrato in sogno, al contempo timoroso e bisognoso di scorgerlo tra la gente.
Quando la vide, sentì ogni ragione dissolversi nel nulla. In groppa a uno splendido baio, Hope stava lasciando la stalla insieme a Scott e un paio d’altri ingegneri. E così ora cavalcava da sola in quell’abito da amazzone tanto raffinato da farla sembrare una borghese. Ma lui sapeva chi era stata, il passato non si poteva cancellare.
Non si poteva cancellare nemmeno ciò che loro erano stati insieme. I mesi trascorsi ad amarsi parevano scorrere nelle iridi aggrappate in un muto, rabbioso abbraccio. I baci, i sorrisi, il piacere che si erano dati. Rabbrividì al ricordo della pelle di Hope sulla sua, il sapore di baci roventi e la dolcezza di tenere effusioni. Conservava tutto nel cuore, in un pozzo profondo quanto il tormento che lo divorava.
Era lo stesso per lei?
Cercò una risposta nei suoi occhi, ma si scontrò contro un muro di disprezzo. Algida, così diversa dalla ragazza scesa dal treno esattamente un anno addietro. Non vi era più traccia di insicurezza e ingenuità, davanti a lui c’era una donna che aveva imparato ad arraffare ciò che di buono la vita offriva.
Quelli come loro finivano per perdere l’anima, ed entrambi l’avevano ormai smarrita.
Hope diede di sprone, gli occhi piantati nei suoi mentre gli passava accanto in un trotto elegante. Non un saluto,
solo l’indurirsi delle labbra ad ammettere che, sì, anche a lei spaccava il cuore essere lì.
*
«Siamo partiti in fretta e furia dopo che tu te ne sei andata.» Seduta davanti a lei nel salotto dell’albergo, Rachel tormentava tra le mani la tazza di tè. «Come previsto, abbiamo abbandonato Antelopeville e siamo venuti qui con una carovana di carri, attraverso la prateria dove nessuna rotaia era ancora stata posata.»
«Deve essere stato un viaggio difficile.» Hope fece un sorso di tè, ricordando gli insegnamenti di Miss Parker riguardo al modo corretto di tenere la tazza. «Noi oggi ci siamo spinti solo fino al ponte in costruzione sul Dale Creek, e ora mi sento davvero stanca.»
«È stato stremante, ma sai com’è Nick quando si mette in testa qualcosa.» Distolse lo sguardo dal suo. «Comunque, come sai, ad Antelopeville non c’era nulla per cui restare e ora eccoci qui nella
magica città
[8]
!
»
«Un termine che le calza a pennello.»
«Puoi dirlo forte... Cheyenne si è popolata in un istante ed è una miniera d’oro, ancor più florida di North Platte e Julesburg.»
«E più malfamata. Ho sentito che le impiccagioni e le sparatorie sono ormai fatti quotidiani.»
«Siamo nell’inferno su ruote
, cosa pretendi?» Fece spallucce e si rilassò contro lo schienale. «Tu piuttosto,
sembri passartela bene con Scott.»
Domanda inevitabile alla quale sapeva di dover rispondere. Cercò le parole tra la confusione che aveva in testa, perché dopo aver incontrato Nick si sentiva sporca e delusa dalla vita e da se stessa.
«Andrew è un uomo gentile e sa come compiacere una donna.»
«Lo vedo. Non sembri affatto la stessa Hope che è partita da qui!»
«No, non sono più quella ragazza, ma in questo Andrew non c’entra nulla, sono state le circostanze a rendermi diversa.»
«Mi dispiace per come sono andate le cose, tesoro.» Rachel si protese verso di lei, fino a prenderle le mani. «Quando mi hai scritto del bambino sarei voluta partire con il primo treno e correre da te. Se solo fossimo state meno lontane...»
«Lo so, ma Andrew mi è stato vicino in quel periodo. Gli devo molto, anche se non è la vita che sognavo.»
«Vuoi fare cambio con la mia?» L’espressione di Rachel le strappò una risata. «Mi prendo Andrew se vuoi. Posso sacrificarmi per qualche abito e una bella casa!» concluse l’amica. Era ovvia l’intenzione di portare i discorsi su toni scherzosi e decise di non deluderla. Quando l’accompagnò alla porta, Hope ebbe l’impressione di aver ritrovato una parte di sé nel tempo trascorso con lei.
«Sai, mi piacerebbe salutare le ragazze rimaste alla sala da ballo, ma l’idea di incontrare di nuovo Nick mi innervosisce... porta loro i miei saluti.»
«Lo farò. Tu, invece, tieniti pronta a ospitarmi; prima o
poi lascerò tutto e verrò da te a New York.»
Un abbraccio fraterno, poi Rachel tornò alla semplicità della sua vita mentre lei saliva le scale con il cuore pesante di ricordi e pensieri che la legavano a un’esistenza alla quale, nonostante tutto, sarebbe appartenuta per sempre.
L’accolse la solitudine della stanza deserta. Un letto nel quale quella sera avrebbe accolto l’amante, mentre non troppo distante Nick chissà cos’avrebbe fatto. Rachel aveva evitato di parlare di lui e della sua vita sentimentale, ma era ovvio che l’alcol non fosse l’unico mezzo con il quale stava cercando di dimenticarla.
Perché mai la vita era stata così ingiusta e il destino tanto crudele?
Si avvicinò alla finestra e scostò la tenda gettando lo sguardo sulla via affollata. Rachel stava camminando a passo spedito in direzione della casa da gioco e fu a quel punto che Hope notò Nick andare incontro alla socia, lo sguardo torvo e una bottiglia tra le mani.
Diamine, quei due stavano litigando in mezzo alla strada e non le era difficile capire il perché. Rachel tratteneva Nick con aria severa, la mano che arpionava il braccio e un dito puntato conto di lui come a fargli una ramanzina. Avrebbe voluto ascoltare ciò che si stavano dicendo, ma da quella distanza non le era possibile, capì però che Rachel gli stava intimando di non fare sciocchezze, lo lesse con chiarezza sulle labbra dell’amica. Nick, però, si liberò dalla sua presa con uno strattone e, con terrore, Hope lo vide avanzare verso l’albergo fino a sparire sotto alla tettoia che riparava l’ingresso.
Il cuore impazzito, le mani a soffocare il sussulto salito in
gola.
Stava andando da lei?
Non era pronta a quel confronto. Anche solo l’idea di rivolgergli la parola l’atterriva.
Paralizzata dall’ansia, stringeva tra le dita la stoffa della gonna, con la sensazione di essere in trappola. Udì i passi rapidi nel corridoio e osservò impotente lo spalancarsi della porta sul suo mondo fatto di illusioni. Eccola la realtà, stampata sul volto trasandato di Nick, negli occhi resi aspri dalla rabbia e dalla sbronza. Un lungo silenzio, il disprezzo che ne stravolgeva il volto tanto amato. Quelli come loro avevano i sentimenti dipinti in faccia.
«Volevo guardarti un’ultima volta, Hope, per cancellare il ricordo della donna che amavo e mettere al suo posto quello della sgualdrina che sei diventata» esordì lui, la voce impastata dall’alcol.
Hope deglutì a vuoto. Era difficile trovare le parole e la dignità, ma le cercò entrambe tra la rabbia per ciò che lui le aveva fatto perdere: la speranza, l’amore, la felicità.
«Bene, ora che l’hai fatto te ne puoi andare.»
«Altrimenti?» Avanzò verso di lei, l’aria strafottente a suggerire che non lo aveva impressionato. «Chiamerai il tuo amante?»
«Vattene, Nick» sibilò, autoritaria.
Lui però si fece ancora più vicino, fino ad afferrarle la nuca per attirarla a sé, a un soffio dalle sue labbra.
«Non ti fai nemmeno un po’ schifo?» Lo sguardo ferino piantato nel suo a intimidirla, la presa salda del palmo sul collo a riportarle alla mente ricordi di baci mai dimenticati. Però, in quegli occhi, non c’era ombra
dell’uomo che aveva amato, piuttosto pareva un demone pronto a dannare la sua anima per l’eternità. «Non ti disprezzi dopo che quel vecchio esce dal tuo letto e resti sola?»
Non erano parole ma lame affilate, ciascuna delle quali le si conficcò nel petto come fendenti letali. Sollevò il mento e raddrizzò le spalle, decisa a non soccombere.
«Credevo avessi detto che per te ero morta, Nick.» Il contrattacco era la sola difesa possibile in quel frangente. «Perché tu per me lo sei.» Una menzogna che la ferì nel pronunciarla.
Dio, quanto lo amava!
Non sapeva cosa aspettarsi ma sapeva cosa sperava accadesse. Agognava un suo bacio, nonostante tutto, malgrado l’orgoglio distrutto e il dolore che l’aveva dilaniata in quei mesi. Sognava il fondersi delle loro labbra, l’abbraccio nel quale curare il cuore, l’illusione che nulla fosse mai cambiato. Avvertì la presa sul collo farsi ferrea e il respiro di Nick sfiorarle la bocca in un gemito rabbioso, prima di ghermirla in un bacio che parlava di collera e dolore.
“Al diavolo!”
gridò lui tra sé, incapace di porre fine a quel bacio che lo stava trascinando tra le fiamme del peggior inferno. Sarebbe stato tutto più facile se Hope lo avesse respinto, invece, le labbra cedevoli sotto le sue dimostravano per l’ennesima volta quanto forte fosse l’alchimia tra loro, quanto sentimento covassero ancora entrambi sotto le braci del fuoco che li aveva divorati e distrutti
.
Le dita tra i capelli di seta, il petto premuto contro un seno che ora apparteneva a un altro. Chiamò a raccolta la propria volontà e si staccò da lei tremando per lo sforzo di resistere alla tentazione di prenderla sul letto alle loro spalle. Mise su un sorriso arrogante e fece un sorso dalla bottiglia.
«Ora lo sei davvero... sei morta per me.»
La delusione negli occhi di Hope non lo gratificò, e dovette aggrapparsi all’orgoglio per trovare il coraggio di voltarle le spalle e andarsene sotto il peso di un senso di colpa che non gli concedeva tregua. Conosceva i suoi errori, era troppo intelligente per negare che lei era andata via soltanto perché l’aveva ferita, sottraendo entrambi a una vita felice, ma ammetterlo faceva male quanto sapere di averla persa.
Scese dabbasso e uscì nel sole del tardo pomeriggio, la polvere della strada ad accoglierlo tra il via vai di carri e cavalli, facce losche e seni prosperosi affacciati alle soglie dei saloon. La magica città iniziava a stargli stretta, presto sarebbero partiti per Laramie e lì avrebbe iniziato una nuova vita, daccapo un’altra volta, alla ricerca di quella serenità cui agognava da sempre.
Raggiunse uno dei barili d’acqua piovana e vi immerse il capo per schiarirsi le idee e ritrovare un poco di lucidità. Nel riemergere, grondante e determinato, decise che mai più si sarebbe ridotto in quel modo per amore, a costo di strapparsi il cuore dal petto.
*
«È stato qui?» Andrew pose la domanda pur conoscendo la risposta. Aveva visto Nick lasciare l’albergo come un diavolo fuggito dagli inferi, e ora il viso stravolto di Hope non lasciava dubbi su quanto accaduto. La vide annuire, mesta e impaurita. «Cos’è accaduto?»
«Niente!» Il modo in cui le parole uscirono dalle labbra arrossate, però, dicevano tutto il contrario.
Nick Miller l’aveva baciata, era ovvio. Aveva avuto la faccia tosta di entrare nella loro stanza e prendersi le labbra della donna che ora apparteneva a lui. Le labbra e cos’altro? Strinse i pugni, arrabbiato e consapevole di non poter sfogare la propria rabbia sul rivale, gli mancava il coraggio per affrontarlo a mani nude ma non le risorse per combatterlo e vincere con metodi diversi.
«Avrei dovuto immaginarlo, deve bruciargli parecchio che tu sia ancora al mio fianco.»
«Era ubriaco e fuori di sé, ed è rimasto solo il tempo di sbattermi in faccia il suo disprezzo.» Hope teneva lo sguardo basso, le mani che si tormentavano tra loro. «Ti prego, considera chiusa questa faccenda, non voglio che qualcuno si faccia male a causa mia.»
«Temi possa fare a pugni con lui?» Si lasciò scappare una risata nervosa. «Non sono Miller, mia cara, e sono abituato a risolvere le faccende senza alzare le mani... o le armi.»
«Dunque cosa accadrà?»
«Nulla» mentì, mentre lo sguardo volava oltre la finestra, sulla casa da gioco di quel farabutto. «Giurami che non l’hai cercato tu e chiudiamo qui la questione.»
«È così, te lo giuro! Non desideravo incontrarlo.
»
Lui invece desiderava annientarlo, schiacciarlo come un chicco d’uva tra le dita. Ne aveva i mezzi e il potere, perdio, sarebbe bastata una sua parola a impedirgli di lavorare sul suolo della ferrovia, eppure sentiva che ciò non avrebbe sanato l’orgoglio. Hope era sua adesso e Nick Miller doveva sparire dalla loro vita in modo definitivo. Si sarebbe occupato della faccenda senza fare rumore, così come era abituato ad agire da tempo.
Non era lui l’artefice di tanti imbrogli alla Union Pacific? Non aveva forse lavorato nell’ombra per portare ingenti guadagni nelle tasche dei dirigenti? Anche se non ne andava più troppo fiero, sapeva di essere ben più potente di un parassita come Miller.
Calzò il cappello e si avviò alla porta. Non avrebbe fatto a pugni ma si sarebbe preso il piacere di sputagli addosso ciò che pensava di lui.
«Ci vediamo più tardi» disse, brusco.
«Dove stai andando?»
«Ho alcune faccende da sbrigare.» Le rivolse un cenno di saluto, scosso dalla consapevolezza che l’incontro con il vecchio amante le avesse suscitato emozioni impossibili da celare. Hope amava ancora Nick, era chiaro il tormento nelle iridi lucide di lacrime, così come era chiaro il senso di colpa dentro il quale stava annegando.
Lasciò l’albergo e si dileguò tra gli edifici in costruzione in un gran trambusto di voci e martelli al lavoro tra l’odore buono di legno piallato. Varcò la soglia del saloon e ordinò un whisky, poi scrutò la marmaglia seduta ai tavoli. Detestava trovarsi in mezzo alla semplicità di quei luoghi tanto quanto dover assecondare le richieste di Durant.
Aveva intascato abbastanza denaro da dirsi soddisfatto, eppure non poteva tirarsi indietro e lasciare il suo ruolo alla ferrovia, le conseguenze sarebbero state letali e lui era stanco di tutto quel peso sul petto. Ansia e un cuore che da tempo faceva le bizze. Avere un’amante giovane e bella poteva alleviare le pene e concedere l’illusione di sentirsi giovane e forte, ma la verità era che gli anni pesavano e le responsabilità delle sue azioni erano un macigno che lo trascinava sempre più sul fondo. La questione in sospeso con Miller gravava il peso e, nonostante i suoi timori, era un problema che andava risolto prima che diventasse di difficile gestione.
Mandò giù il whisky e fece una smorfia nel notare Nick lasciare la stalla in groppa a un morello dal trotto elegante. Bene, significava che gli avrebbe parlato fuori città e ciò metteva entrambi su un terreno neutrale.
Raggiunse il proprio cavallo e montò in sella con l’alcol a infondergli un coraggio che altrimenti non avrebbe avuto. Sollevò gli occhi verso la finestra della stanza in cui Hope lo aspettava e la vide, bella oltre il vetro, gli occhi puntati sul cavaliere che si stava allontanando. Che cosa si era aspettato? Attese di vederla sparire, poi spronò il cavallo e si mise all’inseguimento del rivale in amore con la consapevolezza di aver perso nonostante la vittoria.
Non badò alle facce incrociate lungo il cammino e ignorò il buonsenso che consigliava di evitare lo scontro con Miller. Cosa gli avrebbe detto una volta raggiunto? A cosa sarebbe servito affrontarlo se poi mancavano il coraggio e la capacità di portare a termine l’affondo? Spronò il cavallo al galoppo, stufo di dover combattere con la parte più
razionale di sé. Voleva solo guardarlo negli occhi e dirgli che sapeva quanto appena accaduto; poteva fare la figura del vigliacco ma non quella dello stolto.
«Miller!» gridò non appena gli fu dietro tra l’erba nuova della prateria. Pochi passi e lo raggiunse mentre l’altro si voltava scuro in volto come una nube in tempesta. Lo fissava senza parlare, ma le labbra si sollevarono in un sorriso di scherno. Andrew strinse le redini con furia. «Credete di essere più furbo di me, vero? Credete che io non veda ciò che accade sotto il mio naso?»
«E voi credete m’importi se lo vedete o no?»
«Dovrebbe.»
«Non siete nessuno per me.» Guidò il cavallo in un lento, inquietante giro attorno a lui, e Andrew sentì scivolar via il poco coraggio racimolato un attimo prima. Seguirlo era stata una pessima idea. «Non siete nessuno nemmeno per Hope. Potete illudervi di averla per voi adesso, ma sappiamo entrambi che possedete solo il suo corpo... e forse nemmeno quello.»
«Dannato farabutto! Avete osato toccarla!»
«L’ho solo baciata, anche se avrei potuto prendere molto di più. Vi ho reso il favore, ma siete troppo vile per regolare la questione e ve ne andrete con la coda tra le gambe.» Lo sguardo fisso nel suo, la colt bene in vista come una muta minaccia. «Ora ditemi cosa diavolo volete e poi tornate dalla vostra
donna.»
«Voglio solo avvertirvi, Miller... la faccenda non è finita qui.»
«Giocate bene le vostre carte, allora, perché al momento avete lo sguardo di chi ha una mano perdente.
»
Forse, ma non avrebbe perso, dannazione! Osservò l’altro incitare il cavallo e allontanarsi senza permettergli di ribattere, e avvertì la morsa della rabbia stritolare l’anima. Si sentiva umiliato e vigliacco, avrebbe potuto seguirlo e costringerlo a rimangiarsi quelle parole, invece fece girare il cavallo e tornò sui suoi passi, macinando una rabbia che alimentava ipotesi di vendetta.
*
Seduta al tavolo del vagone letto, Hope osservava l’amante studiare tracciati dei quali lei non capiva nulla e si sentiva fuori luogo quanto un pesce di lago nel mare.
«A cosa pensi?» Andrew aveva parlato senza sollevare lo sguardo dai fogli, e lei si prese un lungo minuto prima di rispondere.
Aveva la gola serrata da un magone che non le permetteva quasi di proferire parola senza scoppiare in lacrime. Il cuore le diceva di scendere da quel treno e mandare al diavolo Andrew e tutto quanto, la ragione la teneva salda nella vita agiata che altrimenti non avrebbe più avuto. Cosa ne sarebbe stato di lei se avesse compiuto scelte scellerate? Non aveva più nulla, solo se stessa e la vita alla quale, nonostante tutto, si aggrappava con forza.
«Stavo pensando che non sarebbe mancato molto alla nascita di mio figlio.» Un pensiero frequente da quando si era trovata Nick di fronte. Era stata quasi tentata di gridargli in faccia che aveva perso suo figlio e vedere l’effetto di quelle parole sul suo volto arrogante. Avrebbe provato almeno un po’ di dolore? «Sarebbe dovuto nascere
il mese prossimo, secondo i miei calcoli.»
«Capisco non sia facile per te.»
No, non lo poteva capire, ma Hope tenne la risposta per sé.
«Ho sempre creduto che un giorno avrei avuto una famiglia tutta mia, invece pare ovvio che il mio destino sia un altro.»
«Se è un figlio che vuoi...» prese a dire lui, sollevando lo sguardo per incontrare il suo, ma lei lo interruppe.
«Non così, Andrew, non da un amante che non potrà mai fargli da padre.»
Lo sguardo di lui s’indurì. «Avresti cresciuto da sola il figlio di Miller, con me sarebbe diverso, io vi garantirei una vita dignitosa.»
«Ti prego, non parliamone più.» Come poteva dirgli che non voleva alcun legame di sangue con lui, che crescere suo figlio le avrebbe ricordato ogni giorno di essersi venduta come una sgualdrina?
C’erano scelte che si compivano con la consapevolezza di dover rinunciare ai propri sogni. Asciugò le lacrime sfuggite dagli argini e si sentì una stupida.
«Tu lo ami ancora.» Il tono si era fatto gelido, lo sguardo denso di disprezzo. «Nonostante tutto ciò che ti ha fatto, stai piangendo per lui.»
«Potrei darti torto ma voglio essere onesta con te. Non ho mai detto d’aver smesso di amarlo, però sai che ti sarò fedele e riconoscente. Hai ciò che vuoi da me e la mia infinita gratitudine.»
«E cosa accadrà se lui tornerà a cercarti? Se un giorno deciderai di poterlo perdonare?
»
«Sono stata io a lasciarlo, ho fatto la mia scelta il giorno in cui sono salita sul treno ad Antelopeville e non tornerò sui miei passi.» Sollevò il mento e raddrizzò le spalle, decisa a trarre forza dalla dignità. «L’amore non è per quelle come me e, ti prego, dimentichiamo tutta questa storia.»
Andrew sospirò e chiuse il plico di fogli senza staccarle gli occhi di dosso. Era chiaro il modo in cui intendeva dimenticarsi di quanto accaduto.
Lo stomaco di Hope si contorse e non certo per il dondolio del treno. Concedersi a Andrew sarebbe stato ancora più difficile ora che il ricordo delle labbra di Nick le bruciava sulla sua pelle come un tizzone ardente.