Capitolo 21
Il profumo di buon cibo accolse Nick come un caldo abbraccio. Dopo cambi di treni e ritardi dovuti al maltempo era finalmente arrivato a destinazione, nella città in cui aveva deciso di mettere radici buttandosi alle spalle il passato e le delusioni che lo avevano reso duro come ferro.
Il Prairie flower sembrava deserto in quella piovosa mattinata, probabilmente le ragazze stavano ancora dormendo, considerò, avviandosi su per le scale. Fu la nota di cannella e cioccolato nell’aria a farlo arrestare a metà strada, quasi come se le gambe non volessero proseguire, molli sotto la tempesta dei ricordi.
Cannella e cioccolato. Hope e le sue torte. La loro tenda in quelle città di fango, lei con Andrew Scott e il violento addio del quale lui avrebbe portato per sempre i segni, non sulla pelle ma nel cuore.
Stava ancora annegando nella valanga di ricordi, quando mollò a terra la valigia e ridiscese i gradini fino a trovarsi davanti alla porta chiusa della cucina. Le dita si posarono sulla maniglia, ma le lasciò lì, immobili, incapace di spalancare l’uscio e scoprire se i timori si sarebbero trasformati in realtà. Il cuore scoppiava nel petto e la mano tremò quando si decise a ruotare la maniglia.
Socchiuse appena la porta, svelando a poco a poco una cucina sottosopra e poi lei, Hope... I capelli castani raccolti in una treccia, una guancia sporca di farina, le dita affondate nell’amalgama al cioccolato dove si bloccarono, paralizzate al pari delle gambe di Nick che a stento lo reggevano ancora.
La vide abbassare gli occhi sull’impasto e deglutire a vuoto, forse per mandar giù l’imbarazzo che però, beffardo, rimase ad aleggiare tra loro.
Spostò lo sguardo attirato da un movimento accanto alla dispensa e rimase a osservare una ragazza di colore scrutarlo con curiosità. Chi diavolo era?
«Buongiorno signore» fece la sconosciuta in un inchino. «Posso esservi d’aiuto?»
Sì, se fosse stata in grado di prendere il suo cuore e rallentarne i folli battiti. Era così scosso da non riuscire a proferire parola e si sentiva un perfetto idiota, immobile ancora sulla soglia.
Affrontare Hope da sobrio era tutta un’altra faccenda, non c’era lo scudo dell’alcol a riparare l’anima e tramutare il dolore in rabbia. C’era solo lui e si sentiva spoglio di ogni arma di fronte agli occhi che ora era tornato a fissare.
Diavolo quant’era bella.
«Per favore Louise, lasciaci soli.» Hope aveva parlato in un sussurro e l’altra eseguì l’ordine senza dire una parola. Quando rimasero soli la tensione tra loro si fece palpabile. ‹‹Non è stata una mia idea, non sarei qui se avessi saputo…» prese a dire lei in tono di scusa.
‹‹Saputo cosa?››
La osservò ripulirsi le mani con gesti nervosi. Era ovvio
che nessuno dei due gradisse la situazione.
‹‹Rachel mi aveva detto che questo era il suo albergo... solo suo, e che aveva bisogno di denaro e di una socia. Così, eccomi qua, in un bordello a cucinare torte.››
‹‹Socia?›› ripeté lui, sgomento.
Hope annuì. ‹‹Una parte di questo posto adesso è anche mia.››
Non era possibile, Rachel non poteva aver fatto una cosa tanto meschina! Evitò di rispondere e inforcò la porta, passando accanto a una spaesata Louise impegnata a lucidare la ringhiera di legno delle scale che lui salì con la furia di un uragano.
Quando spalancò la porta della stanza di Rachel, lei era immersa nella vasca da bagno, avvolta dal vapore e dalla penombra. Non si degnò nemmeno di salutarla, le lanciò un telo e le ordinò di uscire dall’acqua.
‹‹Immagino tu l’abbia già incontrata›› fece la socia, senza scomporsi minimamente.
‹‹Chi ti ha dato il diritto di chiamare Hope e di farla diventare nostra socia? Come ti è saltato in mente?›› era così arrabbiato che l’avrebbe presa a schiaffi.
‹‹E cosa avrei dovuto fare? Aspettare una qualche tua brillante idea che non sarebbe mai arrivata?» Era arrabbiata e lo capiva, ma ciò non le dava il diritto di giocare con i suoi sentimenti. «Hai perso al gioco tutto ciò che ci era rimasto mentre deliravi tra una sbronza e l’altra... Diavolo, Nick, hai anche il coraggio di venire qui a fare l’offeso? Il Prairie flower non è ancora fallito soltanto grazie a me, altrimenti saremmo di nuovo appresso alla ferrovia in una di quelle dannate città ad affondare nel
fango e a farci ammazzare dagli indiani o da qualche idiota con la pistola in mano!››
‹‹Questo posto è mio quanto tuo e non voglio quella puttana qui dentro!›› ringhiò, mentre l’afferrava per un braccio e la faceva alzare, con furia.
‹‹Quella puttana
ci ha salvato dalla bancarotta.››
‹‹Beh, fa’ in modo che se ne vada.›› Le voltò le spalle, indignato, mentre lei si avvolgeva nel telo.
‹‹Non se ne andrà senza il denaro che ha investito qui dentro e per ora non glielo possiamo restituire. Fattene una ragione, dovrai abituarti a riaverla sotto gli occhi.››
Maledizione!
Gridò Nick tra sé, stringendo i pugni. Si sentiva in trappola e non gli piaceva nemmeno un po’.
«Non posso credere che tu mi abbia fatto una cosa simile, davvero, Rachel.» Tornò a girarsi verso di lei, ferito e furioso. «Proprio tu che mi hai visto toccare il fondo per Hope.»
«E credi che lei non lo abbia toccato per te?»
«Questo dovrebbe rendere la cosa più piacevole?»
«Se ti fa tanto male significa che la ami ancora. Forse dovresti dirle che hai capito di aver agito come un povero idiota egoista, ma immagino sia chiedere troppo al tuo orgoglio.»
«È lei che se n’è andata.» Sì, era chiedere troppo all’orgoglio, la ferita pulsava ancora al centro del petto e sanarla pareva impossibile.
«Se la pensi così, allora trova in fretta i soldi da restituirle.»
Lo avrebbe fatto, era la sola soluzione.
*
Quella notte, quando il Prairie flower chiuse i battenti, tutti si ritirarono nelle proprie stanze. Tutti tranne Nick. Lui rimase al piano inferiore, in compagnia di una bottiglia e di se stesso.
Aveva creduto che non avrebbe mai più rivisto Hope. Fino a quel giorno era stato sicuro che non avrebbe mai più sentito la sua voce, ammirato il suo sorriso, accarezzato con lo sguardo quel suo corpo sinuoso. Quando ormai si era rassegnato all’idea di averla persa per sempre, lei era tornata a riaprire uno squarcio nel suo cuore, alimentando speranze irrealizzabili.
C’erano strappi impossibili da ricucire.
Di tutte le donne che aveva avuto in quell’ultimo anno, nessuna era riuscita a farlo innamorare. Erano state squisite amanti e null’altro. Non si era più lasciato conquistare dal delirio dell’amore, quel genere di ebbrezza lo aveva estasiato e annientato una sola volta e lo aveva fatto con tale violenza da prosciugarlo d’ogni sentimento. O almeno era stato così fin quando Hope non era tornata.
La verità era che lei era rimasta conficcata nel suo cuore come una spina impossibile da estirpare. Nessuna mai avrebbe potuto prenderne il posto e averla a un passo lo rendeva ancor più ovvio. Nick ne era consapevole e si odiava per questo. Si detestava perché, nel soddisfare gli appetiti tra le lenzuola di un’amante, aveva sempre desiderato di essere in un altro letto, tra braccia che lo avevano tradito ma alle quali sentiva di appartenere ancora
.
Al piano superiore, Hope si tormentava allo stesso modo. Lo aveva visto restare dabbasso e immaginava attendesse la compagnia di una delle ragazze. Ricordava bene le serate trascorse tra le sue braccia a fine giornata, quando il locale aveva chiuso i battenti e non erano rimasti che loro ad amarsi, stanchi ma felici.
Si alzò nervosamente dalla poltrona nella quale era sprofondata e raggiunse la finestra stringendosi nello scialle. Fuori la neve scendeva a grandi fiocchi sulla strada deserta. Il fuoco nel camino mandava bagliori di luce nella stanza altrimenti buia e lei si crogiolò nel suo calore, lasciando ai pensieri la libertà di fluire.
Dunque, alla fine era tornato da Pittsburgh, imprecò tra sé, ed era ancor più bello di prima. Sospirando, appoggiò la fronte al vetro gelido della finestra e riportò alla mente l’incontro di quel pomeriggio con lui. I capelli chiari, le belle labbra, la barba di qualche giorno, gli occhi verdi che l’avevano scrutata con sorpresa. Ripensò alla sua voce, quel tono caldo capace di accendere ricordi di notti lontane, di parole sussurrate, di baci e carezze che non sarebbero più tornate a dissetare il suo bisogno di essere amata. Amata da lui.
Sprofondò di nuovo nella poltrona, il destino era stato avaro con lei, ma ricacciò indietro le lacrime. Non avrebbe pianto.
Un rimbombare di passi pesanti echeggiò nel corridoio e, un istante più tardi, udì il suono di una porta chiudersi facendo calare di nuovo il silenzio. Era lui con una nuova amante? Era solo
?
Sentiva il cuore soccombere ai dubbi e alla gelosia.
Maledetto!
Soffocò l’istinto di mettersi a urlare per la rabbia che provava contro se stessa, per l’incapacità di annientare il desiderio di essere sua, ancora… per sempre.
Afferrò lo scialle e il lume, poi uscì diretta in cucina. Non avrebbe chiuso occhio quella sera e rigirarsi nel letto era meno invitante che sfogare la propria ansia impastando tra il profumo di zucchero e miele.
Cucinare restava l’unico modo che conosceva per non pensare e allontanare l’angoscia, ma questa volta temeva non sarebbero bastate un paio di torte e qualche biscotto a risollevarla dal baratro nel quale stava scivolando.