Capitolo II

La domenica

Ore 1

Piazza Mercanti e la Loggia del Palazzo della Ragione sono fasciate di silenzio e d’ombra. Sedute sui gradini del loggiato, le due guardie notturne sonnecchiano. È comoda fazione quella che han da fare ai libri. Nessuno verrà a rubarli!

I neri volumi del Libro dei Libri giacciono sotto il copertone, con tutta la scienza, la poesia, la sapienza del mondo.

Qualche gatto vagola tra i banchi.

Ore 8

La piazza e la Loggia si destano. I tendoni vengono tolti, i libri multicolori tornano alla luce. Parole, parole, parole. Una sarabanda di parole a lettere cubitali.

I commessi, i fattorini, qualche autore si agitano attorno ai banchi.

– Se oggi va come ieri, questa Fiera batterà tutti i records!

La domenica è splendente di sole.

Il banco dei Libri dei Libri è ancora coperto dal tendone grigio.

Il primo a giungere è Bertrando coi suoi capelli di fiamma. Egli scioglie i nodi delle corde, libera la copertura e si mette ad attendere. Per togliere il tendone e arrotolarlo, ha bisogno di aiuto.

– Sei qui?...

Il colosso ha il fiato corto, perché s’è affrettato.

– Prendi dall’altra parte... – e lui afferra due capi della tela. – Giobbe verrà più tardi... È andato a casa del Pastore...

E in due cominciano a disporre i libri, che la sera prima avevano ammucchiati sul banco. Le falangi tentacolari del giovinetto riprendono la loro danza agile tra i volumi rilegati in tela nera.

Beniamino ha afferrato il rotolo del tendone e cerca cacciarlo sotto il banco. Spinge dalla parte anteriore, sollevando un poco la tela bianca e il rotolo non entra. Qualcosa lo inceppa.

– Guarda dalla tua parte, Bertrando... Deve essere una cassa, che impedisce al tendone d’entrare.

Il giovinetto si china, mette la testa rossa sotto il tavolato.

Un urlo di terrore echeggia per la piazza e sotto la Loggia.

Bertrando si rizza pallidissimo e vacilla.

– Che c’è? – chiede Beniamino, facendoglisi accosto.

Dagli altri banchi, tutti si son voltati e guardano. Qualcuno accorre.

Al limite della Loggia si sporgono autori e commessi.

– Lì... lì sotto... – proferisce a stento il ragazzo e tende la mano tremante.

Il colosso si curva a guardare e un’orrenda bestemmia gli esce dalla bocca. Il suo turbamento dev’essere addirittura sconvolgente, s’egli ha perduto in tal modo il controllo di sé.

– È Giobbe! – e fissa sotto il banco con gli occhi sbarrati. – Il vecchio s’è ubriacato!

– No!... No!... – riesce a stento a esalare il giovinetto.

– Che vuoi dire?...

– È morto!

– Morto! – ripete Beniamino.

Attorno s’è fermato un cerchio di curiosi. Tutti guardano. Qualcuno irresistibilmente ride. Bertrando ha lasciato la tela sollevata e il corpo di Giobbe è interamente visibile. Non può negarsi che lo spettacolo sia grottescamente comico. Il vecchio è disteso supino, il grosso naso all’aria; le scarpe enormi fanno angolo retto col terreno. Ha le braccia incrociate sul petto, il cappello tondo a melone gli posa sul ventre. Sembra un fantoccio mostruoso.

Qualcuno però osserva meglio e non ride più.

Quel fantoccio ha gli occhi fuori dell’orbita, la bocca spalancata, la lingua penzolante da un lato, tumefatta, violacea.

Giobbe Tuama è stato strangolato!

Allucinante! Nessuno ha la forza di resistere a guardarlo.

Bertrando sta per svenire. Beniamino stesso si ritrae, in preda a un orrore, che gli dà il tremito convulso.

Attorno al banco, il gruppo degli accorsi s’è fatto folla. Il grido lanciato da Bertrando ha richiamato gente da via Orefici e da via Mercanti. Sempre più essa si avvicina, si addensa, preme.

I banchi dei libri rimangono abbandonati.

Tra poco la Fiera verrà invasa.

Alto, con incesso lento e solenne, un vigile dal corpo potente inguainato nell’uniforme di tela candida si apre il varco tra la folla e raggiunge il banco. Vede il cadavere e non può frenare un gesto di orrore.

– Chi è – chiede imperiosamente.

Beniamino e Bertrando tacciono.

Qualche voce si leva dagli astanti:

– È l’uomo delle Bibbie!

– È quel vecchio che ieri gridava!

– È stato qui fino a mezzanotte!

Il vigile non riesce ad afferrare subito e per intero la realtà. Pronuncia la domanda più assurda, che si possa fare in quel momento:

– Chi lo ha messo lì sotto?

Attorno gli risponde un mormorio. Se sapessero chi lo ha messo lì sotto!

– Ma è un delitto! – esclama il vigile, rendendosi conto di colpo di quel fatto mostruoso eppure evidente.

– E che cosa vuole che sia?!

– Crede che lo abbiano messo sotto al banco, per fare reclame alle Bibbie!

La situazione diventa grottesca. Un attimo ancora e attorno a quel morto cominceranno gli sghignazzamenti.

Tino Fiamma s’è spinto in prima fila. È pallido. Contempla lo spettacolo coi suoi grandi occhi glauchi pieni di stupore infantile.

– Ma è Giobbe Tuama! – pronunzia.

– Lo conosce?

Il vigile gli è piombato addosso. Si attacca a lui, perché ha parlato e perché è il più appariscente, in mezzo alla folla, con quella sua persona monumentale e i capelli corvini a battaglia sul testone rotondo.

– Lo conosce?

– Lo conosco... – mormora Tino Fiamma.

È ancora smarrito; ma in un attimo ritrova gli spiriti.

– Sì, lo conosco. È uno dei dirigenti la Lega Evangelica... Quelli sono i suoi compagni... – e indica il colosso e il giovinetto. – Ma avverta la Questura!... Faccia venire una lettiga!... Si muova, per bacco! Non vede cha tra poco avremo qui tutta Milano?

Qualche ragazzo si è arrampicato sul basamento e sulle colonne della Loggia degli Osii, qualche altro sul ripiano murato del pozzo cinquecentesco. Gli uomini salgono sui banchi. Tra la folla che gremisce il Loggiato, spicca il gruppo tutto colori vaporosi delle Egerie, strette attorno al vasto soprabito giallo canarino dell’autore alla moda.

Il vigile si volge attorno. Cerca disperatamente qualcuno che lo aiuti.

Altri due vigili appaiono.

– Telefonate alla Questura! Aiutatemi a tenere indietro la folla...

Uno dei due corre verso il grande caffè, che si apre tra Piazza Mercanti e Piazza del Duomo. L’altro raggiunge il collega.

– Indietro!... Indietro!...

E Giobbe Tuama strangolato giace sotto il banco, col cappello a melone sul ventre, le braccia incrociate e quelle sue scarpe enormi, piantate all’aria, scarpe da clown di circo, che tutti fissano, perché nessuno resiste a guardare il volto convulsamente stravolto del cadavere.

Ore 9

Da Via Mercanti irrompe sulla piazza una squadra di agenti, guidata da un commissario, che procede col cappello floscio sulla nuca, agitando il bastone davanti a sé.

– Largo!... Largo!...

La folla si apre, ondeggia, batte contro la facciata del caffè, incespica negli scalini del Loggiato.

Gli agenti allargano il cerchio attorno al banco del Libro dei Libri, producono il vuoto sul lastricato.

Il commissario si rivolge al vigile.

– Un delitto, eh? Chi lo ha scoperto?

Il vigile si stringe nelle spalle, indica il colosso.

– Quello lì è il padrone del banco.

Beniamino ha ritrovato la calma. Ha il volto chiuso, lo sguardo fiammeggiante.

– Siete il padrone, voi?

– Non ci sono padroni! Apparteniamo alla Lega Evangelica. Giobbe Tuama era un nostro fratello. Bisogna avvertire il Pastore.

– Chi lo ha ucciso?

Il perverso opera nella notte! Il volto di lui ci è sconosciuto. Ma il Signore lo vede e lo colpisce. Egli ha tolto la mano dal capo di Giobbe Tuama e la folgore lo ha colpito...

Il commissario spalanca gli occhi. Lo stupore che gli si dipinge sul volto è ineffabile. Oh! chi è mai questo pazzo, che parla come un invasato?

– Ma che dice? Chi è lei?

– Sono Beniamino O’ Garrich... Un servo del Signore...

Il commissario gli volta le spalle. Si vede davanti Bertrando. Il giovinetto è imbambolato. Tiene le braccia pendenti e dalle maniche troppo corte gli escono i polsi scarni, le grosse mani arrossate. Il commissario lo fissa. Soprattutto gli guarda i capelli, che urlano con quel loro straordinario colore.

– E tu?

– Anch’io appartengo alla Lega Evangelica. Ah! l’ho visto io per il primo... Chi può aver commesso un tale scempio?! Mi dica! E perché, perché?...

È febbrile. Gli occhi gli brillano. A un tratto sussulta.

– Il sacchetto! Il sacchetto!

– Che dici? – grida il commissario, che comincia a sentirsi ghermire dalla follia. – Ma che dici?

– È vero! – interviene Beniamino. – Il sacchetto col denaro del Signore!

Si china verso il corpo, solleva il cappello a melone.

– No! Non lo toccate!

– Non c’è! – dice il colosso, raddrizzandosi. – Gli hanno rubato il sacchetto...

– Ma quanto conteneva questo sacchetto?

– Tutto il denaro della vendita di ieri.

– Quanto?

– Non so. Forse, mille lire, forse più...

Per mille lire non si strangola un uomo, è il primo pensiero del commissario. Ma poi riflette che si sono dati casi in cui si è ucciso per molto meno.

Comunque, adesso l’essenziale è di far togliere il corpo dalla piazza, altrimenti tra poco l’assembramento della folla interromperà persino il traffico nelle vie adiacenti. E proprio in Piazza del Duomo, di domenica, con la Fiera del Libro!

Il giudice! Occorre il giudice che dia il nulla osta. Si penserà poi alle indagini. Provvederà il Questore. Lui, il commissario, era di servizio a San Fedele proprio per caso. Non vede l’ora di lavarsene le mani. È roba da Squadra Mobile quella lì e ci si divertirà il suo collega De Vincenzi, tanto non vuol altro, De Vincenzi, che i delitti misteriosi, i problemi complicati, gli enigmi! E con tutti quei pazzi avrà più di quel che desidera.

Ma dove trovare il giudice di domenica, alle nove del mattino? A casa sua. Bisognerà mandarlo a prendere.

Afferra un agente per un braccio.

– Va’ alla Procura del Re, fatti dar l’indirizzo del giudice istruttore di servizio, corri a casa, portalo via con te... Oh! Dì anche che provvedano pel cancelliere...

L’agente si allontana in fretta.

Il commissario fa segno al brigadiere.

– Voi! Rimanete qui. Non fate avvicinare nessuno. Non toccate il cadavere... Io vado a telefonare.

E, chiuso nella cabina del caffè, dice al Questore:

– Commendatore, un delitto alla Fiera del Libro... Ma sì... in Piazza Mercanti... La folla arriva sino in Piazza del Duomo... Un uomo con un naso enorme e due scarpe nere e quadrate. L’hanno strangolato... Ci sono due pazzi che denunciano la scomparsa di un sacchetto col denaro... Ma sì, dico pazzi per dire... Parlano come invasati... Appartengono alla Lega Evangelica... Che vuole? perdo la testa anch’io...

Tace e ascolta. Dice di sì col capo, inghiottendo la saliva.

Il Questore non dev’essere molto tenero, perché il volto del commissario si offusca ancor di più e assume un aspetto pietoso.

– Sta bene, commendatore. Sì, al giudice ho provveduto. Aspetto lei. Grazie!

Quando ritorna sulla piazza, deve alzare il bastone per farsi largo, perché la folla è aumentata.

Conta gli agenti, che lo circondano. Sono sei. Vede i tre vigili.

– Su, voialtri! Sgomberatemi la piazza. Tutti via!...

Gli agenti piombano sulla folla.

Si levano proteste. Comincia il tumulto. Qualche banco viene rovesciato.

– Via! Via! Via!...

Neh! u’ capite ca qui nce se pò stà!

Benedetta Matri!

Nove uomini contro una moltitudine. Ma la moltitudine indietreggia. La piazza è sgombra. Gli agenti e i vigili chiudono i quattro sbocchi. Il commissario percorre, tra i banchi, il terreno conquistato. Davanti al pozzo, si ferma a guardare la pentola di Penelope e aggrotta la fronte, perché non capisce che cosa ci stia a fare lì in mezzo.

Beniamino e Bertrando sono rimasti davanti al morto, che, con la lingua penzoloni, sbarra gli occhi sotto la tavola del banco, fissando l’eternità.

Ore 10

È arrivato il giudice col cancelliere.

E c’è il Questore che lo attende.

Due agenti aiutano il dottore a estrarre il cadavere di sotto il banco.

Operano con delicatezza. Il dottore è rotondetto. Col volto troppo grasso, di un grasso malsano. Lo sono andati a prendere alla Guardia Medica di via Agnello e lui è di cattivo umore, perché stava per andarsene a casa.

Dal Loggiato, gli autori, gli editori, i commessi e le commesse guardano. La piazza è sgombera, coi banchi abbandonati. Tutti quei libri al sole! E la pentola d’alluminio di Penelope manda bagliori.

In disparte, ai lati del banco del Libro dei Libri, si tengono Beniamino e Bertrando.

Il Questore ha, come sempre, l’aspetto curato, leccato, elegante. Prima di uscire dall’ufficio s’è tolto il fiore dalla bottoniera, ma nell’asola è rimasta una fogliolina lanceolata di garofano.

Scruta attorno a sé per la piazza, con quei suoi occhi vivi e penetranti. Ha subito capito che è una grana quella, che gli è capitata sulle spalle e ha mandato a chiamar De Vincenzi. Il commissario capo della Squadra Mobile è il suo parafulmine. S’è fatto un fama solida, oramai, il giovane funzionario. Molti dicono che è la Fortuna ad assisterlo e lui stesso chiama Caso il proprio nume tutelare.

Il Caso – simbolo materializzato di un’oscura legge di forze sconosciute, che risiedono in noi stessi – può indubbiamente aver contribuito a fargli padroneggiare gli avvenimenti e a dargli la chiave di enigmi indecifrabili; ma non si può trarre partito dal Caso, se non si hanno le cellule grige in pieno rendimento e una sensibilità pronta e vigile.

Il Questore lo sa e tiene quel suo prezioso collaboratore nel dovuto conto. Oramai la collana delle inchieste poliziesche condotte a felice termine da De Vincenzi è lunga: l’assassinio del banchiere Garlini, quelli ancor più misteriosi del senatore Magni e di Norina Santini, il groviglio fantastico del canotto insanguinato, che i giornali di tutto il mondo hanno chiamato «l’enigma dell’impermeabile rosso»... Ed ecco ora questo cadavere alla Fiera, che sbarra gli occhi nel vuoto sotto un banco e che sta gettando lo scompiglio proprio nel cuore di Milano.

Il Questore stringe la mano al giudice, gl’indica il corpo che il medico e due agenti hanno deposto sopra un gradino della Casa della Ferrata, ai piedi della saracinesca abbassata di un negozio.

– Abbiamo il fatto nostro!...

– Come lo hanno ucciso?

– Ce lo dirà il dottore...

Il giudice si morde nervosamente un labbro. È il tic di quell’omino arso e secco, col naso sottile, affilato, lunghissimo, da farlo sembrare un uccello di penne nere, così terreo com’è e coi capelli color carbone.

Il dottore ha manipolato per un poco, attorno al corpo del fu Giobbe Tuama.

Si volge e si avvicina al Questore.

– Strangolato! Gli hanno bellamente spezzata la carotide. Neppure una morsa di ferro!...

– L’ora della morte? – chiede il giudice, che è lettore accanito di romanzi polizieschi e che s’è già guardato attorno per vedere se il Questore abbia fatto venire dal Gabinetto di Polizia Scientifica i fotografi e gli esperti in impronte.

Il medico lo guarda con le sopracciglia sollevate, come si guarda un fenomeno.

– Durante la notte! – pronuncia, con ironia. – Vuol sapere l’ora! Come faccio a dirgliela, con un cadavere, che è rimasto all’aria aperta e senza che abbia a mia disposizione gli strumenti necessari? Le posso dire soltanto che dura ancora la rigidità cadaverica e che quindi l’uomo non può essere stato ucciso da più di un giorno, un giorno e mezzo...

– Lo credo! Ieri sera era vivo!

– Ebbene, se era vivo iersera... se lei può dirmi l’ora in cui lo hanno veduto vivo per l’ultima volta...

Il commissario, che si è avvicinato al gruppo, interviene.

– Alle ventiquattro circa i suoi compagni si sono allontanati, lasciandolo solo accanto al banco...

– Dunque, calcoliamo a un’ora, un’ora e mezza il periodo della flaccidità di primo grado, a cui subentra la rigidità...

Il dottore s’interrompe, si avvicina di nuovo al cadavere, ne tocca le mani, prova a sollevargli un braccio, a piegargli un dito. Sta per allontanarsene, torna indietro, palpa la mascella.

– Credo di non sbagliarmi di molto, dicendo che è morto da non più di nove ore...

– Perciò alla una... – conclude il Questore e il giudice si volge al cancelliere:

– Prenda nota.

Il dottore sorride. Ha l’aria di dire: eccoli a posto! adesso, hanno trovato l’assassino!; ma non lo dice, nonostante l’umore e il carattere bilioso, che egli deve anche al suo fegato.

– Io me ne posso andare, no?... Facciano portare il cadavere all’Obitorio di via Ponzio... Domattina farò l’autopsia...

E si allontana lentamente.

Da via Mercanti arriva strombettando l’auto del Gabinetto di Polizia Scientifica. Scendono i fotografi. C’è un giovane biondo e timido, che si avvicina al cadavere con precauzione e prima di cominciare il rilievo delle impronte volge in giro gli occhi supplici, come a chiedere il permesso o a pregare che non lo osservino. Quando lui ha finito, attaccano i fotografi.

– Vadano poi a fotografarlo all’Obitorio, dopo la toletta... – ordina il Questore.

Quando i nuovi venuti se ne sono andati, il giudice si mette a dettare il verbale al cancelliere, che scrive col foglio disteso sopra un mucchio di Bibbie.

Il Questore aspetta De Vincenzi. Comincia a impazientirsi. La lettiga è sulla piazza e lui non vuol far portar via il cadavere prima che lo abbia veduto De Vincenzi...

– Copritelo...

Un agente prende il copertone di tela cerata e lo distende sopra il corpo del fu Giobbe Tuama.

Il commissario sta raccogliendo per la piazza e sotto il Loggiato tutti coloro che hanno avuto rapporti o che hanno soltanto veduto l’uomo delle Bibbie la sera prima e li fa raggruppare attorno a Beniamino e a Bertrando. Il colosso domina il gruppo e con lui la chioma corvina di Tino Fiamma, che ha gli occhi più che mai stupefatti e non osa neppure più far la bocca a cuore, tanto quell’avvenimento lo ha sconvolto. Dove troverà le mille lire che gli occorrono, adesso che Giobbe è morto? Poi riflette: per il solo fatto che è morto non dovrà pagargli alla fine del mese le tremila lire che già gli deve... E si rasserena un poco. Ma l’urgenza immediata come la fronteggerà? Neppure c’è speranza di vender firme a una lira l’una, con quella catastrofe abbattutasi di schianto sui banchi della Fiera!

Ore 10 e 35

Da pochi minuti, il cadavere è stato posto sulla lettiga e il veicolo è partito a suon di sirena.

Il Questore ha atteso invano il commissario De Vincenzi. Finalmente, ha dovuto dar l’ordine di trasportare all’Obitorio i resti mortali di Giobbe Tuama. Una delegazione di editori e di autori gli si è presentata, per renderlo edotto del danno sensibile, che sarebbe derivato agli espositori, se i banchi non avessero potuto riprendere la vendita. Gli sforzi di un intero anno irrimediabilmente frustrati. Molte ditte private di un incasso sul quale facevano assegnamento. La linea del diagramma a rompicollo giù dalle alte cime conquistate, come presa da vertigine.

E il Questore ha ceduto.

Il giudice sta per allontanarsi.

– A chi affida l’inchiesta?

– Uhm... Alla Squadra Mobile...

– Ah!

E poi con amara ironia:

– Il commissario De Vincenzi scoprirà l’assassino per mezzo della psicanalisi!

– Ne ha scoperti degli altri – risponde il Questore, che difende il suo sottoposto a cui vuol bene; ma tra sé impreca: – Dov’è andato a cacciarsi quell’animale?! È più di un’ora che l’ho mandato a chiamare...

– Bene! Mi faccia sapere qualcosa. Io inizierò domani gli interrogatori...

E il giudice se ne va.

– Conduca a San Fedele i testimoni – ordina il Questore al commissario.

Il branco si avvia, fiancheggiato dagli agenti. Il Questore lo segue da lontano.

La Fiera è stata invasa dalla folla. Ma tutti si dirigono e sostano davanti al banco delle Bibbie, che Beniamino e Bertrando hanno coperto col tendone prima di abbandonarlo.

E nessuno acquista più libri dagli altri banchi. Neppure le ricette culinarie dalla scutrettolante servetta di Penelope. Un delitto di quella specie toglie l’appetito...