Capitolo VIII

Miss Lolly Down

Che fare?

Prodigare le proprie cure a un mops, si chiami pure Abramo Lincoln, non è cosa facile per un commissario di Pubblica Sicurezza...

Ma era anche alquanto difficile per lui spiegare a miss Lolly Down la propria presenza in quella casa...

E come ultima complicazione temeva che da un momento all’altro entrasse la signora Dorotea Winckers Shanahan...

Fu questo pericolo che, fattosi a un tratto soverchiante, lo indusse ad affrontare la situazione.

Lolly lo guardava, stupita adesso che egli non si affannasse attorno alla bestiola.

– Non la visitate?

E tese il piccolo cane verso di lui.

Abramo Lincoln non rimase tranquillo. Si trattasse di una sua congenita antipatia per gli individui di sesso maschile o avesse creduto anche lui che quel signore fosse un veterinario pronto a sottoporlo a cure per lo meno fastidiose, il mops cominciò a ringhiare sordamente e sollevò le labbra, scoprendo una doppia fila di dentini aguzzi.

Si agitò improvvisamente e guizzò dalle mani della donna sul tappeto, dove si mise a correre, rifugiandosi in un angolo, dietro al bar.

– Ah! darling!... Questo è il tuo medico, mio adorato... Egli ti guarirà il pancino... Darling!

Ma non valsero nomi affettuosi, né appelli pieni di disperata tenerezza. Il darling Abramo sempre più si fregava contro il muro e già aveva cacciato la parte posteriore del corpicino sotto il mobile di palissandro.

– Abramo Lincoln ha paura di voi! – dovette finalmente concludere con un sorriso di scusa miss Down. – Soltanto mistress Winckers potrà convincerlo a uscire di lì sotto e lo indurrà a farsi visitare da voi...

E la giovane si diresse alla porta.

De Vincenzi le sbarrò la strada.

– Miss Down, perdonatemi!... Io non posso recare alcun sollievo al povero Abramo Lincoln... Non c’è quindi bisogno che chiamate mistress Winckers... Non sono colui che attendevate, io!

– Non siete il veterinario? – chiese con profonda meraviglia l’americana e subito una ruga le apparve sulla fronte. – E chi siete allora? Perché vi trovate qui?...

Subito fece un altro passo verso la porta, più che mai determinata a chiamare in proprio soccorso la governante.

– Permettete!... Se acconsentite ad ascoltarmi, conoscerete la ragione della mia visita...

– Potrete spiegarla a mistress Winckers...

– È proprio con lei che non desidero incontrarmi. Si tratta di cosa piuttosto grave...

L’altra fece un gesto d’impazienza.

– Nulla può essere più grave e urgente della salute di Abramo Lincoln...

E teneva lo sguardo rivolto verso il mobile di palissandro.

Darling!...

– Sì – disse con voce fredda De Vincenzi. – Ci sono due cadaveri, ben altrimenti gravi...

La donna si raddrizzò. Spalancò gli occhi, che aveva grandissimi, azzurri, luminosi, sotto l’arco delle sopracciglia depilate e rese sottili come due lunghe parentesi.

– Che dite?... Due cadaveri?... Ma questa è follia!...

Parlava, adesso, con precipitazione, sempre più smozzicando le parole, con quel suo cattivo italiano duro e stentato.

– Infatti, è una storia allucinante, miss Down. Ma è pur necessario che voi la conosciate... Se preferite, potremo parlare inglese...

– Ma voi chi siete?

Prima di rispondere De Vincenzi andò all’uscio del salottino e lo chiuse.

Miss Lolly lo guardava stupefatta. Nessuna traccia di timore in lei o di preoccupazione. Ma piuttosto un’ira sorda, che stava per farla esplodere. Forse, soltanto la curiosità la trattenne.

– Ora, possiamo parlare...

– Ma chi siete, voi? – ripeté. – Io non son solita ascoltare il primo sconosciuto a cui salta il ticchio di penetrare in casa mia... E ad ogni modo desidero che al colloquio assista mistress Winckers...

Il commissario scosse dolcemente il capo.

– È proprio mistress Dorotea Winckers Shanahan, che non deve ascoltare quanto sto per dirvi...

– Perché?

– Perché è di lei che vi debbo parlare...

Per la prima volta, miss Down sembrò turbata. Sotto il largo strato di cipria e di rossetto, che le copriva le gote, ella doveva avere impallidito. Lo sguardo le vacillò.

– Non capisco... – disse.

E sedette. De Vincenzi le sedette di fronte.

Taceva, osservando la donna. Una bella creatura, senza dubbio con un corpo snello e slanciato, muscoloso; la vera giovane donna americana temprata agli sports e agli esercizi violenti. I capelli castani, tagliati corti, le incorniciavano il volto un poco angoloso, ma piacevole. Era seduta su di una poltrona bassa e la sottana corta le scopriva le gambe sino al ginocchio. Aveva anelli preziosi alle dita e una collana di vetro colorato le cingeva il collo.

Il leggero turbamento era scomparso. Ella attendeva che parlasse, fissandolo alla sua volta, senza indulgenza.

– E così?

– È molto tempo che avete al vostro servizio mistress Dorotea Winkers Shanahan?...

– Mistress Winckers – e batté di proposito su quel nome – è qualcosa di più della mia governante... È mia amica.

E nella sua voce vibrò la sfida.

– Sta bene... Ma da quanto tempo è... vostra amica?

– Molti anni.

– È venuta con voi dall’America?

– Sono io che l’ho raggiunta in Italia...

– Quanto tempo fa?...

– Può darsi un anno... può darsi di più.

Il piccolo cane, vedendo che nessuno più si occupava di lui, uscito dal suo rifugio, s’era avvicinato alla padrona. Lolly lo prese e se lo mise sulle ginocchia. «Darling!» mormorò; ma non toglieva gli occhi di dosso all’interlocutore.

– Dunque, la conoscevate da... New York... Non provenite da New York, voi?

– Quando si giunge in Europa dall’America, tutti dicono: vengo da New York... Che importa? Se vi dicessi Hollywood, o Chicago o Buffalo o Los Angeles, per voi sarebbe lo stesso.

– Tuttavia gli Stati dell’Unione sono molti...

– Quarantatre, esattamente, più un distretto federale e due territorii...

– Infatti... E voi a quale di questi Stati appartenete?

– Al Kentucky... Sono nata a Louisville...

– E mistress Winckers?

– Non so... Non ho mai avuto interesse a saperlo...

– Vi ripeto la mia domanda, miss Down... Conoscevate da molto tempo, prima di raggiungerla in Italia, la vostra governante... la vostra amica?

– Data la mia età... possiamo dire, da molto tempo.

Rispondeva senza esitazioni; ma era evidente in lei la ricerca della precisione sofistica. Era facile indovinare che si teneva sulla difensiva. E non lo abbandonava un istante dello sguardo.

– Naturalmente... La vostra famiglia è rimasta a Louisville, miss Down?

– Non ho famiglia.

– Perdonatemi!

Un altro silenzio. Poi quasi con violenza:

– Volete dirmi finalmente chi siete?

De Vincenzi sorrise.

– Commissario De Vincenzi... Capo della Squadra Mobile della Regia Questura... Il mio grado, perché possiate comprendere, è pari a quello di un vostro tenente del Corpo di Ricerche Criminali...

Se pure quella qualifica la meravigliò, ella si mantenne perfettamente impassibile.

– Capisco sempre meno come mai vi troviate a casa mia... E avete parlato di due cadaveri!...

Fu dopo aver pronunziato questa frase, che trasalì.

– Come mi possono riguardare questi due cadaveri?

– Che riguardino voi, miss Down... non l’ho mai pensato. Ma almeno uno di essi riguarda da vicino mistress Dorotea Winckers Shanahan...

– Non è possibile!

– Uno dei due uomini uccisi era suo marito... – Si alzò di scatto. Con tanta precipitazione e così d’impeto che Abramo Lincoln rotolò sul tappeto.

– Non sapevo!...

– È naturale!

– Che cosa dite?

– Che è naturale ignoraste come mistress Winckers fosse in realtà la signora Shanahan...

– Il morto è dunque?

– Jeremiah Shanahan... il quale, in Italia, si faceva chiamare Giobbe Tuama...

Lolly fece qualche passo per la camera. Ritrovava la sua sicurezza.

– E lo scopo della vostra visita?

– Piuttosto complesso...

– Avete comunicato a mistress Winckers...?

– È a conoscenza di tutto.

– Ne siete sicuro?

– Ma sì... Perché ne dubitate? La signora non ha voluto turbare la vostra tranquillità, miss Down, mettendovi a parte d’un orribile delitto...

Continuò a guardarlo, senza parlare.

Aveva un’assoluta padronanza di sé. Ma lo sforzo per mantenerla era evidente.

– Posso offrirvi un whisky?... O preferite un coctail? – e si mosse verso il bar.

Gli voltava le spalle e cercava fra le bottiglie.

– Non vi disturbate per me, miss Down... Non bevo mai alcool...

– Come volete... – Non si voltò. Si mescé un bicchiere di whisky e bevve d’un fiato.

– Tutta questa storia non guarirà Abramo Lincon del suo male... e non vedo perché abbiate voluto raccontarmela...

– Ho bisogno che mi diciate tutto quanto sapete di mistress Shanahan...

– Non ho mai saputo che avesse un marito...

Si ostinava a rimanere voltata verso il mobile di palissandro.

– Vi è occorso di sentir nominare un certo Giorgio Crestansen?

Passò qualche secondo prima che la donna rispondesse. E lo fece senza volgersi.

– No! mai.

De Vincenzi avrebbe giurato che mentiva.

– Beniamino O’ Garrich?...

– Ma no!...

Bevve ancora.

– Ebbene, anche Giorgio Crestansen è stato ucciso...

– Dite, commissario! – E s’era appoggiata di scatto col dorso al bar e lo fissava. – Non starete a snocciolarmi i nomi di tutti coloro, che sono morti di morte violenta!... Che cosa c’entra mistress Dorotea Winckers in tutto questo?... E perché vi siete rivolto proprio a me?

– Non vi affermo che il mio compito sia piacevole... Ma i due uomini sono stati uccisi iersera... qui a Milano... e ne stiamo ricercando gli assassini... Non credete che potreste aiutarmi, parlandomi un poco della vostra governante... della vostra amica, voglio dire?

Il volto di Lolly Down s’irrigidì. La mascella sporgeva, togliendo ogni grazia a quel volto. Fu un lampo, ma De Vincenzi ebbe la visione sovrapposta di un altro volto – diverso, più duro, senza alcun accenno di bellezza – che doveva aver conosciuto. Quando? Come?

– Ella fa una vita assolutamente ritirata. Si occupa della casa... e di tutto quanto concerne me. Non esce, se non quando io abbia bisogno di qualche servigio, che ella sola può rendermi. Oggi, è uscita, perché Abramo Lincoln era ammalato...

– Tuttavia è stata fuori di casa oltre quattro ore...

– Può darsi...

– E non è andata a cercare il veterinario.

– Come?

– Dico che la signora Shanahan, oggi, si è recata nella casa del fu Giobbe Tuama... il quale si chiamava Jeremiah Shanahan ed era suo marito... E di lì nella Chiesa Evangelica, dove ha pregato lungamente.

– Voi lo sapete, io no!

– In America che cosa faceva, come viveva, in qual modo è divenuta vostra amica?

– Chiedetelo a lei!

– Non riesco a spiegarmi la vostra attitudine, miss Down! Si direbbe che temiate di compromettere la... vostra amica, parlandomi di lei!...

– Se hanno ucciso suo marito... non è cosa che possa riguardarla!... Non aveva più alcun rapporto con lui...

– Forse, si era separata da lui fin dal tempo in cui si trovavano al... Transvaal?

– Che dite? Chi vi ha dato tutte queste notizie?

La domanda era ansiosa. Il piccolo mops si lamentava ai suoi piedi e lei non lo guardava neppure.

De Vincenzi stava per rispondere, quando la porta si spalancò e sulla soglia, nera, diritta, rigida, coi bianchi capelli divisi nel mezzo e tesi in due bande perfettamente uguali, che le coprivano le orecchie, apparve Dorotea Winckers.

Vide il commissario e, con un moto di decisione, avanzò e andò a porsi tra lui e la giovane americana.

– Che cosa volete? Perché siete venuto qui? Chi vi dà il diritto d’interrogare miss Down?...

Non attese che il commissario le rispondesse.

– Volete portare il male anche in questa casa, che è assolutamente estranea al destino di Jeremiah Shanahan e dei suoi amici? Perché vi siete assunto la responsabilità di contaminare questo luogo d’onore e di pace? La malvagità degli uomini è grande in terra e tutte le immaginazioni dei loro pensieri e del loro cuore non sono che male in ogni tempo!... Miss Down vogliate perdonarmi e perdonarlo!

– Mistress Winckers, c’è una questione di eredità, che urge definire. Ditemi se intendete far valere i vostri diritti sui beni del fu Giobbe Tuama.

– Parleremo di questo fuori di qui!

De Vincenzi s’inchinò.

– Eppure, era necessario che io venissi a cercarvi là dove abitate... Il nostro incontro nella casa di via Bramante è stato troppo fugace...

Gli occhi di Dorotea Winckers mandavano lampi.

– E per di più... vi siete allontanata in modo tanto precipitoso... Avrei voluto rivolgervi qualche altra domanda...

– Non ho nulla da dirvi...

– Ebbene, ne parleremo fuori di qui... Mi perdonerete, se dovrò convocarvi nel mio ufficio...

S’inchinò di nuovo.

Abramo Lincoln mostrava i denti e ringhiava in sordina.

Diede un’ultima occhiata a miss Down. La giovane si teneva diritta e aveva il volto contratto. I suoi sguardi correvano con ansia dalla vecchia a lui. Che cosa temeva? Che cosa si attendeva che accadesse?

Fu un lampo. La stessa mascella prominente. Il medesimo profilo. E la persona aveva quella identica rigidezza un poco angolosa, per quanto il corpo della giovane fosse nel pieno rigoglio delle sue carni sode e fresche...

– Perché non mi avete detto che avevate una... figlia, mistress Winkers Shanahan?...

– Oh! – fece la vecchia, levando le braccia minacciosamente e sempre più cercò di coprire col suo corpo esile e magro la giovane, per nasconderla quasi e per difenderla.

Miss Down ricevette il colpo in pieno. A De Vincenzi sembrò che stesse per cadere.

Forse, questo particolare non ha importanza... – mormorò.

E uscì in fretta.

Traversò l’anticamera. Fu nelle scale.

A che scopo aveva voluto rivelar loro di aver compreso? La frase gli era venuta spontanea. Molto probabilmente, soltanto il dispetto e una specie di rancore, che si era andato depositando in lui lentamente, senza che se ne fosse neppur reso conto, l’avevano provocata.

Che cosa poteva importargli – ai fini dell’inchiesta – che miss Lolly Down fosse la figlia di Dorotea Winckers Shanahan? Lo era anche di Jeremiah? Poco probabile. Sul registro della portineria aveva letto l’età dell’americana: ventotto anni. Giobbe Tuama, secondo quel che gli aveva detto Beniamino O’ Garrich, era stato nel Transvaal nel 1902 o nel ’03. Dorotea Winckers gli aveva dichiarato con foga che in quel tempo non era la signora Shanahan. Quando aveva sposato il cassiere della società per la ricerca e l’estrazione dei diamanti? Miss Down poteva esser benissimo sua figlia di primo letto. Lei era la signora Winckers. Perché, dunque, Lolly si chiamava Down e non Winckers?

Se anche non si era ingannato sul fatto della parentela che doveva esistere tra quelle due donne, troppe cose gli rimaneva ancora da chiarire, perché potesse formulare un’ipotesi ragionevole.

Ridiscendeva per Piazza Castello, traversò il Largo Cairoli, imboccò via Dante.

La domenica aveva empito le strade. Egli andava tra la folla, assorto nei suoi pensieri.

Erano stati commessi due delitti feroci. E particolarmente strani e impressionanti.

Il primo in ordine di tempo all’Hôtel d’Inghilterra, in una stanza chiusa, da un uomo che era stato visto soltanto all’uscita e che portava un cappello di paglia con un nastro rosso e turchino, gli occhiali cerchiati e una diffusa barba bionda. Presumibilmente, tutte caratteristiche esteriori artefatte, per nascondere i veri connotati.

E costui aveva ucciso Giorgio Crestansen – dal quale era perfettamente conosciuto così da poter avere con lui un lungo e, almeno alle apparenze, tranquillo colloquio – dopo averlo cloroformizzato col cacciargli un lunghissimo spillone nel cuore.

Dopo un paio d’ore, forse tre, Giobbe Tuama – che aveva avuto rapporti col primo assassinato – veniva alla sua volta strangolato, in piazza Mercanti, poco distante dalle due guardie notturne di fazione, e il suo corpo, composto con le mani in croce, lo si ritrovava sotto il banco dei libri.

Dalla camera dell’Hôtel d’Inghilterra non risultava che l’assassino avesse asportato nulla.

A Giobbe Tuama era stato rubato l’orologio e un pezzo della catena...

Questi gli unici dati di fatto precisi, indiscutibili.

E partendo da essi, che cosa aveva scoperto fino allora, De Vincenzi?

Nulla o quasi nulla.

Giobbe Tuama faceva l’usuraio. Ma niente stava a dimostrare che comunque il delitto potesse trovare un qualsiasi movente in quella sua losca attività. Anzi ogni particolare di esso negava una tale possibilità.

C’era la moglie di Jeremiah Shanahan... Un tipo, certamente! Odiava il marito e ne aveva – almeno a parole con quella sua violenza acre, da invasata – approvata la morte, per tragica e crudele che fosse. Ma quale legame poteva esservi tra lei e l’assassino? Lo conosceva, ella? Poteva darsi...

E, adesso, De Vincenzi aveva anche scoperto una donna che di Dorotea Winckers Shanahan era – forse – la figlia.

Ebbene?

Tutto ricamo di contorno. Particolari di colore. Ma nulla di sostanziale, di sodo. Non una traccia da seguire. Non un indizio certo da catalogare.

Quale il movente del dramma?

Quale il nocciolo di esso?

Vendetta? Interesse? Più complesso giuoco di passioni?

Mistero.

Era il passato, che risorgeva terribile per quegli uomini o un dramma nuovo li squassava all’improvviso?

Tutti gli elementi raccolti fino allora avrebbero servito a chiarirlo o non piuttosto ne avrebbero ritardata e forse allontanata per sempre la spiegazione?

Era giunto davanti alla Loggia del Palazzo della Ragione.

Vide la folla, che circolava tra i banchi.

Folla attratta anche dal dramma scoperto alla mattina e che certo era stato conosciuto in città, correndo di bocca in bocca, pur senza la pubblicità dei giornali, che in quel giorno domenicale non uscivano.

Salì lentamente i pochi gradini, si trovò sul loggiato; fendendo a fatica la triplice quadruplice fila di persone, che scorrevano in senso opposto, che sostavano ai banchi, riuscì a traversarlo. Passò dinanzi al banco circolare dell’Alleanza del Libro.

Il dottor Piermattei lo vide e si affrettò a immergersi nella lettura di alcuni larghi fogli coperti di cifre.

Una voce gioviale lo salutò:

– Salute, commissario! Come procede la caccia?

Era Maurizio Venanzi Jacobini, che lo fissava con blanda e innocua ironia di dietro alla lucentezza trasparente del monocolo.

Tirò dritto, rispondendo con un cenno della mano.

Scese nella piazzetta, davanti al pozzo cinquecentesco, con la pentola argentea di Penelope, attorno a cui si agitava invitante la graziosa servetta dalle anche e dai polpacci procaci.

Si diresse al banco del Libro dei Libri. Qui la folla era più fitta. Dovette adoperare una certa violenza, per aprirsi il varco.

Bertrando, lungo, dinoccolato, coi suoi capelli rossi sempre più arruffati e quel suo volto dalla pelle diafana, piena di lentiggini, si teneva a fronteggiar la folla sul davanti del banco e offriva vanamente le Bibbie nere.

– La sapienza dell’universo in un sol libro!

Faceva l’imbonimento con voce stanca, sfiduciata. Tutti guardavano e nessuno comperava.

Dietro il banco, il colosso rimaneva seduto, come schiantato, e gettava attorno sguardi preoccupati.

De Vincenzi gli si fece alle spalle.

– Come va, Beniamino O’ Garrich?

L’uomo ebbe un sussulto. Non lo aveva veduto arrivare. Si sollevò sulla seggiola come morso da un aspide. Ma lo riconobbe e ricadde. Aveva mandato un sospiro di sollievo.

Abbassò il testone da galeotto e il suo voleva essere un saluto e una risposta.

De Vincenzi gli sedette accanto. Due sole seggiole eran lì e loro le occupavano, coi piedi quasi sotto il banco là dove aveva giaciuto il cadavere di Giobbe Tuama, grottesco e tragico, macabro clown da circo, con quelle sue scarpe spropositate e il naso rosso, a clava.

– Gli affari procedono?

Il colosso gli diede un’occhiata piena di astio.

– Nessuno compera più!...

Non entravano, quindi, pezzi d’argento sonante nel sacchetto della raccolta. Cattiva annata pei poveri, che quel denaro doveva soccorrere.

Perché diavolo erano andati a uccidere il vecchio, proprio quel giorno in cui si doveva raccogliere il denaro del Signore?

– Povero Jeremiah Shanahan!... – mormorò De Vincenzi.

Il colosso ebbe un fremito.

– Ne avete saputo il nome!... – E poi subito:

– A che punto siete? Avete trovato l’assassino?

E lo fissò con ansia. Si sarebbe detto che temesse e nello stesso tempo desiderasse una risposta affermativa. Aveva terrore dell’assassino e temeva che lo prendessero!

– No – rispose lentamente il commissario. – Non sappiamo ancora dove possa nascondersi Olivier O’ Brien...

Uno sguardo di belva ferita, una specie di singulto.

– La sapienza del mondo in un sol libro! Comperate i Sacri Testi!...

E la folla attorno s’infittiva. Avevano gente alle spalle, ai lati. Il cerchio si restringeva. Tutti facevano commenti.

– Se ti dico che il cadavere era sotto il banco!

– Di notte eh?, lo hanno ucciso... Ma possibile che le guardie non si siano accorte di nulla?!

Finalmente, una donnetta si indusse ad acquistare una Bibbia.

– Proprio dieci lire?... Sono molte!

Bertrando tese la moneta. Beniamino l’afferrò e la lasciò cadere nel sacchetto, che aveva dinanzi a sé, sul banco. Adesso non la faceva più tinnire sulle lastre del piancito, per provarne la lega.

– Chi vi ha parlato di Olivier O’ Brien? – trovò la forza d’articolare.

– Lo conoscevate?

– No... E non capisco...

Capiva benissimo. Era sgonfiato. Non sapeva neppure difendersi e negare. Stava sui carboni ardenti. Riprese a guardarsi attorno.

– Sapevate che Giobbe Tuama aveva moglie?

– No! Perché? Aveva moglie?

Era stupito. Non fingeva. Anzi cercava di aggrapparsi a quella, che gli sembrava una possibilità nuova. Come un’àncora al suo naufragio.

– Sì...

– Ma dove? Che c’entra la moglie, adesso?...

De Vincenzi non rispondeva alle sue domande, che per lanciargliene altre, all’improvviso, di sorpresa.

– Era stato in carcere, Jeremiah Shanahan?... Laggiù, nel Transvaal?

– Chi ve l’ha detto?

E poi subito:

– Non è vero!

– Perché lo negate?

– Non è vero!... Non era lui che cercavano... Se vi hanno detto il contrario, vi hanno mentito o si sono ingannati...

– Ma, dunque, lui fuggì?

– Non so!... Perché credete che io sappia tutto di lui?...

La luce s’era fatta più chiara. Si avvicinava il tramonto e le cose assumevano contorni netti. La folla cresceva sempre. Le grida degli imbonitori aumentavano, si alzavano di tono. Sembrava che tutti avessero dimenticato il morto. Di nuovo il diagramma delle vendite cominciò a salire.

– Perché eravate con lui... laggiù a... Dove?

– A Pretoria.

– Qual era la società dove Giobbe Tuama e voi eravate impiegati?

– La De Beers and Brothers Company...

– Importante?

– Cento milioni di sterline di capitale.

– Fu lì dentro che...?

– Che cosa volete dire?...

– Lui era cassiere, no?... Che cosa fece? Rubò?

– Ma neanche per sogno!

– E allora perché fuggì?

– Non è una storia di denaro...

– E di che... allora?

– Il Libro dei Libri!... Ascoltate la parola del Signore!

La voce di Bertrando s’era fatta rauca, aveva di quando in quando note acute e laceranti da galletto.

De Vincenzi diede un colpo alla seggiola e l’avvicinò a quella di Beniamino.

– Vi trovavate con lui?...

– Ma no... Che c’entro io?

– Non avreste paura, se non c’entraste!

– Io non ho paura di niente!

S’era sollevato. Aveva fatto la faccia feroce. Ingrossava i bicipiti. Avanzava il torace, larghissimo.

Voleva far coraggio a se stesso. Ma neppur lui credeva alle parole che diceva.

– Raccontatemi la storia, Beniamino O’ Garrich... Intanto, o prima o dopo, la dovrò conoscere. E potrei proteggervi meglio a sapere da quale parte viene il pericolo...

– Non ho nulla da raccontare, io!...

– Badate, O’ Garrich!... Io non vi ho ancora detto tutto... Ieri sera... prima ancora che strangolassero Giobbe Tuama... avevano ucciso con uno spillone nel cuore Giorgio Crestansen...

Il colosso emise una specie di ruggito. S’era fatto livido.

– Ditemi... Chi era Giorgio Crestansen?...

In quel momento, dietro di loro, suonò una voce metallica, piena di compostezza, ma diritta come una lama.

– Come va la raccolta pei poveri, Beniamino O’ Garrich?

Anche De Vincenzi trasalì.

Era il Pastore. Vestito di turchino scuro, senza alcun segno esteriore che rivelasse la sua carica religiosa, l’uomo sembrava un professore austero e inelegante, per quanto giovane ancora. Il suo volto rigido ed ermetico aveva tutti i caratteri dell’ascetismo.

Riconobbe De Vincenzi e lo salutò con un cenno del capo.

Beniamino si alzò. Con la persona superava il Pastore di una buona spanna. Eppure, rimaneva davanti a lui coll’umiltà di uno scolaro.

– Come va la vendita?

– L’accaduto... uhm... l’orribile cosa che ormai tutti conoscono ha allontanato i fedeli... È la malsana curiosità, che li attrae qui attorno e non la fede!... Quest’anno la nostra opera è stata sconsacrata... Si vende poco, signor Pastore!...

Beati coloro che son perseguitati per cagion di giustizia, per ciò che il Regno dei Cieli è loro! Non bestemmiare, Beniamino O’ Garrich! La parola del Signore sarà sempre intesa e l’offerta pel povero non mancherà!...

Attorno la folla sciamava.

De Vincenzi si levò. Quell’uomo dalle pupille brillanti come vetro gli produceva una strana sensazione di malessere e d’impaccio.

Il colosso aveva chinato il capo e sempre più appariva umile, quasi fosse stato colto in fallo.

L’aria s’era fatta tersa, trasparente. Nel crepuscolo le cose e le persone perdevano adesso la precisione delle linee, apparivano contornate da bagliori irreali. Anco lì, con tutta quella gente irrequieta sebbene nessuno sostasse, era come se un attimo di immobilità miracolosa si fosse abbattuto sulla piazza, sotto il loggiato, tra quei grigi palazzi fioriti di arabeschi e di statue, di capitelli e di transetti.

– Torna alla tua opera, Beniamino O’ Garrich.

Poi si volse al commissario:

– Se ella vuole venire con me, parleremo...

De Vincenzi lo seguì.

A quale scopo mirava il Pastore, provocando l’incontro e il colloquio, proprio lui che poco prima era sembrato tanto restìo alle confidenze?

E il commissario si propose di tornare il più presto possibile accanto al colosso. Forse, era da lui che avrebbe avuto la chiave di uno almeno di quei misteri.