Capitolo XII
Il tranello
– Voi due, ohi!
Fu la sua voce più squillante, la più poliziesca che avesse, quella che gli uscì dall’ugola.
La vecchia e lo gnomo, sbilenco e sciancato, col suo unico occhio e la barba fiammeggiante, si sollevarono di colpo e rimasero a guardarlo, con le mani all’aria. Erano grotteschi e comici, ma anche tragici sotto il grande Cristo appeso alla Croce, con la testa reclina e il costato sanguinante.
Si tenevano contro la parete, proprio sotto il Redentore, davanti ai cassetti della scrivania del Pastore, che loro due avevano aperti e nei quali stavano frugando febbrilmente, quando il commissario era entrato.
De Vincenzi avanzò rapido, girò di fianco, guardò nei cassetti.
I due tenevano sempre le mani all’aria, forse per mostrare che non avevano preso nulla, ma più probabilmente per un’abitudine davanti alla minaccia.
I cassetti non contenevano che carte e adesso eran tutte sossopra.
– Che cosa cercavate? – e fissò negli occhi la donna.
Era lei la più forte, era lei che guidava ogni azione del nano. Certo, non poteva che esser stata lei a ordinargli di frugare, di far presto, prima che il poliziotto fosse tornato.
E la vecchia rispose:
– Non so! Ma qualcosa poteva esservi. Sapevamo che lei, adesso, avrebbe cercato da per tutto.
E lo guardava, sfidandolo.
Almeno, questa qui non mendicava scuse.
– Perché?
Alzò le spalle e fece una smorfia.
– La polizia cerca sempre dovunque... anche senza ragione...
– Siete pratica di polizia, voi!?
Non si curò di rispondere. L’uomo teneva sempre le mani sollevate.
– Giù le braccia!
Le abbassò e si cacciò la destra nel folto della barbaccia rossa, crespa e dura. Il suo era un gesto meccanico. Evidentemente lui non doveva capir nulla di quanto avveniva.
– Come vi chiamate?
Interrogava sempre la donna, come l’unica che contasse.
– Virginia...
– E poi?
– Non basta?... Virginia Worth...
– Americana?
– Sto da molti anni in Italia.
– Quando ci siete venuta?
– Prima della guerra...
Se era vero, erano più di vent’anni. E il Pastore s’era stabilito a Milano nel ’19.
– Col Pastore?
– È dal 1920 che servo il reverendo Down...
– Come avete detto?!
La vecchia si morse le labbra. Ma capì che era troppo tardi per tacere.
– Ho detto che è dal 1920, che sono al servizio del Pastore.
– Si chiama Down, il reverendo?
– Non lo sapevate?
– È fratello di miss Lolly Down?
– Chiedetelo a lui...
Non glielo avrebbe neppur chiesto, dopo tutto. Sentiva che i fatti precipitavano e che si sarebbero spiegati uno dopo l’altro, tra di loro.
– E prima?
– Oh!
– E prima? – le si era avvicinato. Era questo che voleva sapere. La stringeva contro il muro.
Il nano strisciò lungo la parete per allontanarsi.
– Fermo!
S’immobilizzò. Era tutto rosso in volto. Cattiva circolazione sanguigna e grande, fremente, orgasmo.
– E lui? Lui chi è?
Lo guardò con commiserazione.
– Lui è italiano... Lo abbiamo preso da pochi anni. Matteo non sa nulla!
– Dunque? Che cosa facevate prima di venire al Presbiterio?
– L’infermiera...
– Dove?
Tacque. Evidentemente rifletteva. Si rendeva conto dell’importanza che avrebbe potuto avere la sua risposta. Il volto rugoso s’era contratto, raggrinzandosi ancor di più, facendosi piccino. Le labbra sottili, le si ripiegavano contro le gengive senza denti. Ebbene?
– Oh! Insomma!... – Di colpo la violenza che s’era accesa in lei si spense. Fu come una capitolazione improvvisa. – Lo verreste a sapere ugualmente e non capisco perché dovrei nasconderlo. Ero infermiera a Mombello.
De Vincenzi rimase muto. Cercava di trovare il nesso. Infermiera dei pazzi!... Quale rapporto?
Diede due colpi ai cassetti e li richiuse.
– Che cosa avevate paura che potessi trovare in quei cassetti?
– Quel che non c’è! – Subito continuò: – Voialtri trovate sempre quel che non c’è, quando cercate!
– Infatti! E anche questa volta troverò quel che non c’è più...
Non sapeva neppur lui che cosa potesse essere; ma vide che le sue parole avevano colpito nel segno dal lampo di smarrimento che balenò negli occhi grigi della vecchia.
Dal di fuori venne il rumore di un’auto, che si fermava. Si sentiva l’ànsimo del motore. Lo sportello si chiuse con un colpo secco.
Poi il campanello saettò il suo suono argentino, saltellante, prolungato. Cessò. Riprese.
Che ansia!
Il commissario afferrò la donna per un braccio. Dove metterli, quei due?... Vide la porta nera della Chiesa.
– Rimanete lì dentro...
Vi aveva cacciato anche lo gnomo, che gli era sguisciato davanti, correndo, al primo suo gesto, quasi avesse temuto che lo picchiasse.
E chiuse la porta a chiave. Sicuro! Sarebbero potuti fuggire per la porticina di via Sant’Orsola, ma a lui importava poco. Non potevano andar lontano e quel che soprattutto premeva era che non si incontrassero con Dorotea Winckers Shanahan.
Corse all’uscio di strada e lo spalancò.
La moglie di Giobbe Tuama si precipitò nel corridoio e dietro a lei miss Dolly Down.
– Dov’è?... – e corse nella sala terrena.
De Vincenzi lasciò che vi fossero entrate tutte e due, poi le seguì e chiuse la porta dietro di sé.
Adesso, non le avrebbe fatte uscire di lì dentro che quando a lui fosse piaciuto.
La vecchia correva attorno. Guardò il divano, sul quale ancora i cuscini eran disposti come per sorreggere il capo del ferito, la catinella con l’acqua arrossata dall’aceto, l’asciugatoio e le pezzuole.
– Dov’è Giacomo?
La giovane s’era fermata in mezzo alla stanza e fissava Dorotea, seguendola in tutti i suoi movimenti. Era pallidissima; ma aveva ancora gli occhi bistrati e le labbra rosse di minio artificiale.
– Dov’è Giacomo? Chi lo ha ucciso?
– Naturalmente, non è qui. Lo abbiamo fatto trasportare all’Ospedale. Quando sono giunto io al Presbiterio respirava ancora.
Si lanciò verso la porta.
– Voglio andare a vederlo. Chi vi ha detto che è morto?
E subito chiese, quasi gridando:
– Chi lo ha ucciso?
De Vincenzi dovette sbarrarle la strada, trattenerla, ricacciarla.
– Non potete vederlo, per ora. È più utile che restiate qui. Che parliate con me...
La donna indietreggiò, si trovò accanto al divano, vi si lasciò cadere. Doveva esser stremata, adesso.
Vestita come sempre era. Persino il cappellino coi lustrini s’era messo e tra le mani stringeva la sua grossa borsa nera.
Allora, De Vincenzi si accorse che, invece, miss Lolly era in pigiama sotto la pelliccia e non aveva cappello. Si vedevano i pantaloni di seta rosa del pigiama uscir dal fondo della pelliccia chiusa.
– Perché non sedete anche voi, miss Lolly Down?
– A che scopo ci avete fatte venir qui?...
– Adesso lo saprete!...
– Chi lo ha ucciso?
– Ascoltatemi, signora Shanahan. Per telefono ho dovuto dirvi che il Pastore era morto; ma non ho voluto rivelarvi come era morto.
– Che cosa intendete?...
– Giacomo Down non è stato ucciso... si è ucciso!
Era questa la sua carta ultima. Se non riusciva, la partita era perduta.
Fu istantaneo; ma non fu quello che il commissario si attendeva. Dorotea Winckers Shanahan si irrigidì. Inghiottì la saliva e il pomo d’Adamo le si disegnò nettamente sotto la pelle grinzosa, scomparendo dentro il colletto di seta nera dell’abito. Strinse le mani sulle ginocchia, quasi per puntellarsi con le braccia. Apparve tutta angoli e tutta bronzo. Una statua piena di asperità, che la seta opaca e aderente dell’abito non addolciva. Gli occhi soltanto vivevano accesi d’una fiamma verde.
De Vincenzi sentì un tonfo dietro di sé e dovette correre a chinarsi su Lolly Down, che era svenuta. Per un istante non seppe che fare. Si volse a guardare la vecchia, temendo di sentirsela arrivare addosso; ma ella non si era mossa. Neppur trasalito aveva. Quella morte per suicidio era più terribile di tutto, era definitiva; racchiudeva in sé, per lei, la fine di tutte le cose.
De Vincenzi sollevò la giovane per la vita, tenendole un braccio sotto le spalle. Il capo biondo le si rovesciò all’indietro, un poco le labbra rosse le si aprirono, scoprendo la chiostra dei denti regolari, piccolini, candidi, e tra essi il secondo molare in basso, che era di platino.
Uno svenimento semplice. Respirava con frequenza; ma senza alcun segno di anormalità eccessiva. E lentamente le gote le si colorivano.
Dove metterla? La vecchia non si muoveva dal divano. Eppure non poteva lasciarla in terra, sull’ammattonato. Se almeno avesse pensato a condurre Cruni con sé o qualche altro!
Tutto da solo, quell’esperienza atroce!...
La sollevò con sforzo, la portò al di là del tavolo, sulla poltrona di cuoio nero coi bracciuoli rigidi. Quando la ragazza si trovò seduta, si rovesciò da una parte, come se stesse per scivolare. Ma reagì da sola. Emise un sospiro profondo. Aprì gli occhi. Le pupille azzurre apparvero ancora turbate, acquose.
Era tornata alla coscienza.
Non c’era altro da fare. Il commissario tornò in fretta verso il divano.
– Avevate una profonda amicizia per il Pastore, non è vero, mistress Shanahan?
Le labbra pallide si dissuggellarono.
– Giacomo Down era mio figlio.
Una voce tesa come un lembo di seta sottile, resistente, luminosa e vibrante. I nervi esasperati di De Vincenzi percepivano tutte quelle sensazioni in maniera morbosa, dolorosa, e ogni stimolo esteriore provocava in lui un’immagine, agendo sul cervello prima ancora che sui sensi.
– Sì – disse. – Comprendo il vostro dolore.
Ma non era un’esperienza mostruosamente illecita la sua? Non era un inganno, che neppure il fine a cui tendeva avrebbe potuto giustificare?
Quando le avesse detto che il Pastore era vivo, che cosa sarebbe accaduto?
Ricordò la frase che i poliziotti inglesi sono obbligati a pronunziare, prima di procedere all’interrogatorio di un accusato, per avvertirlo di meditare sulle parole che dice, poiché esse possono venir rivolte contro di lui!...
Qui, invece, proprio lui stava tendendo un tranello indegno a una madre, per farne l’accusatrice del proprio figliuolo!
Psicologia!... In fondo, la sua non era che la riprova di un’operazione matematica, già eseguita da lui nel proprio cervello.
Gli mancavano le prove soltanto e doveva procurarsele. Ebbe uno scatto interno. Al diavolo la psicologia e il metodo scientifico! Al diavolo il suo mestiere!
Rivide i due cadaveri: lo strangolato sotto il banco dei libri, con quelle enormi scarpe sollevate al cielo, piantate ad angolo col corpo disteso; e il petto dell’assassinato con la piccola goccia nera, di sangue raggrumato, unica stilla sgorgata dal cuore trafitto e immobilizzato per sempre da uno spillo lungo e sottile...
Non era suo dovere di uomo di giungere a ogni costo alla scoperta della verità e all’arresto del delinquente?
– Immaginavo, mistress Shanahan, che il reverendo Down fosse fratello di miss Lolly e ho subito intuito che miss Lolly era vostra figlia.
– Allora?
– Non volete dirmi altro?
– Come... come si è ucciso?
Ah! il martirio della menzogna.
– Lasciamo andare, per ora!
Perché la donna non parlava, senza obbligarlo a continuare quell’infernale commedia?
– Non sapete perché lo abbia fatto?
Si sentì un gemito. La ragazza piangeva.
Finirla, finirla più presto possibile.
Le ombre s’erano fatte minacciose negli angoli, sulle pareti.
La vecchia Virginia e il nano sbilenco dovevano starsene cacciati su qualche panca, dentro la Chiesa buia, se pure non erano fuggiti!
– Non piangere! – pronunziò la voce gelida, tesa, senza più vibrazioni oramai. – Egli non ha compiuto se non quanto il Signore ha voluto che compisse.
Si alzò, rigida sempre, con le mani strette contro la borsa e il petto, la testa quasi gettata all’indietro tanto era fieramente diritta, il cappellino lucente come un’insegna di comando, e si diresse verso la grande porta di quercia della Chiesa.
– Dove andate?
– A pregare!...
– No!... Ascoltatemi, Dorotea Winckers Shanahan... È necessario...
Ma quella non lo ascoltò... Era già alla porta. Girò la chiave. Si sentì lo scatto del saliscendi... Scomparve...
De Vincenzi le corse dietro..
La Chiesa era buia... Trovò l’interruttore: le lampade si accesero.
La donna s’era seduta in una delle prime panche, aveva deposto la borsa sulle ginocchia e guardava davanti a sé fissamente.
De Vincenzi si fermò. Sentì, nel fondo, un fruscio.
Virginia e Matteo s’erano mossi. Strisciarono lungo la parete opposta, quindi piegarono e traversarono tutta la fila delle panche, andando a sedere dietro la donna nera e immobile.
Il commissario attese qualche minuto, poi silenziosamente ritornò nella sala dove Lolly Down piangeva sempre.
– È un forte dolore, il vostro, miss Down... ma egli aveva ucciso...
Il pianto cessò di colpo.
Sollevò il volto, che, se pur rigato di lacrime, appariva duro. Gli occhi azzurri lampeggiavano crudelmente.
– Non può essersi ucciso per questo!... La sua opera non era terminata!
De Vincenzi ebbe un brivido. Chi altro? Pensò al colosso chiuso a chiave nella cucina.
– Perché aveva ucciso Giobbe Tuama?... Perché Giorgio Crestansen?
– Chi ha detto che li abbia uccisi?... Che prove avete?... Come fate ad accusarlo?...
– Il suo gesto disperato lo accusa...
Già! Ma quel gesto il Pastore non lo aveva compiuto. Era tutta invenzione la sua!... Il tranello. Attese la risposta con ritmo accelerato di sangue, mentre il volto gli rimaneva impassibile.
– Se vi dico che il suo dovere gli avrebbe impedito di uccidersi?
– Quale dovere?
– A che scopo dovrei parlarne con voi?...
– Non pensate che fin quando io non avrò conosciuto la verità, un innocente potrebbe scontare le colpe di un altro?
– Mio fratello era innocente!
– Anche se aveva ucciso?
Per un istante la ragazza tacque. Sembrò smarrita. Il commissario credette di poter approfittare del vantaggio.
Egli non si era proposto – col suo inganno – di strappare la confessione dalle labbra di miss Lolly; ma piuttosto da quelle di Dorotea. La vecchia fanatica, crudele come tutti i fanatici, ma lealmente pronta ad assumere la responsabilità di ogni azione anche atroce che fosse stata commessa in nome di una giustizia superiore, saputo che il Pastore si era ucciso, avrebbe parlato. Ma poiché Dorotea Winckers Shanahan, come prima reazione, si era rifugiata nella preghiera e poiché era presumibile ch’ella trovasse poi dalla vicinanza della vecchia infermiera – assai più abile e furba di lei – l’incitamento e l’aiuto necessarii a non parlare, De Vincenzi si aggrappava ora alla speranza di ricevere la rivelazione dalla bocca di Lolly Down.
– Perché egli aveva realmente ucciso, miss! Prima Giorgio Crestansen... all’Hôtel d’Inghilterra e poi Giobbe Tuama, in Piazza Mercanti... E il suo dovere... come dite voi... non era forse quello di sopprimere anche Beniamino O’ Garrich?!...
Il colpo raggiunse il segno. Lolly Down impallidì sino a farsi cerea...
– Beniamino O’ Garrich... – mormorò e c’era un infinito odio nel suo accento. – Ma perché Giacomo si è ucciso?... Perché?...
Sì, insomma, adesso De Vincenzi aveva la sicurezza morale di non essersi sbagliato. La sua teoria era esatta. Ma che prove aveva per sostenerla? Neppur una. E si era cacciato a testa bassa contro il muro di quella menzogna che, se non avesse dato risultati immediati e tali da giustificarla, gli avrebbe procurato oltre tutto un bel rimorso di coscienza!
Beniamino O’ Garrich! Avrebbe ben dovuto parlare costui!... Ma che cosa sapeva? Un fatto era palese: lui non doveva nutrire alcun sospetto a carico del Pastore, se era venuto al Presbiterio, proprio quella sera...
– Signorina Down, bisogna ch’io sappia tutto! O parlate voi o farò parlare qualche altro!
La voce tagliente del commissario ebbe per tutto effetto di farla balzare in piedi, sfavillante.
– Chi?... Chi volete far parlare? Nessuno sa nulla e nessuno parlerà! Neppur io, perché anch’io non so nulla!... Non è il vostro mestiere quello di scoprire gli assassini? Scopriteli, dunque!
Gridava, eretta, tesa, pronta alla lotta.
– Lolly!
Furono due sillabe, che risuonarono secche, come due scoppi.
Dorotea Winckers Shanahan era apparsa sulla soglia e dietro di lei si vedeva pieno di terrore il volto rugoso di Virginia Worth.
La figlia si volse. Le forze di ribellione le cedettero di schianto.
– Giacomo! Giacomo!... – gridò disperatamente. Poi si lanciò attraverso la sala nel corridoio. De Vincenzi non fece a tempo a trattenerla.
Si sentì il rumore della serratura. Apriva la porta, scompariva sotto la pioggia fumosa.
La vecchia non si era mossa. Gli occhi di Virginia s’erano aperti smisuratamente: una rivelazione improvvisa e terribile doveva essersi fatta nel suo spirito.
De Vincenzi, dopo i primi passi fatti verso l’uscio per inseguirla, si fermò.
Fronteggiò le due donne.
– Signora Shanahan, volete dunque che la tragedia continui ad abbattersi sulla vostra famiglia?
Il silenzio, gelido come un muro di ghiaccio, gli rispose.
– Volete che altri morti ci siano?
– Oramai... oramai non c’è più nulla per me! Giacomo è morto!
Virginia ebbe un gesto. Guardò mistress Shanahan con stupore sempre più atterrito. Anche quest’altra delirava, adesso! La spinse con violenza oltre la soglia e riuscì a passare, a mettersela accanto, l’afferrò pel braccio.
– Ma che dite?... Ma che dite?... Il Pastore è vivo!
– Tacete! – gridò De Vincenzi.
– Ah! è stato lei a ingannarla!... Che cosa sperava? Che cosa sperava di sapere con la sua menzogna?...
Lo guardò con infinito disprezzo, mentre Dorotea Shanahan fissava una dopo l’altro la donna e il commissario, cercando di capire.
E la voce sibilante feroce affermò con sicurezza incrollabile:
– Non è stato il Pastore a uccidere Giobbe Tuama. Non è stato il Pastore a uccidere Giorgio Crestansen...
Poi scoppiò in una risata stridula, prolungata, folle:
– E non è stato il Pastore ad abbattere per sempre Beniamino O’ Garrich!