Con spalate lunghe e lente, i vogatori portarono le due barche nella rapida corrente di acqua dolce che fluiva dalla gola. La loro presenza in quel luogo segreto disturbò stormi di uccelli acquatici che si levarono nel cielo starnazzando.

La meta non li aveva delusi. Non appena la Golden Bough aveva dato fondo, l’equipaggio era stato accolto dallo spettacolo di un piccolo branco di elefanti che, con andatura dinoccolata, scendevano sulla spiaggia dalla foresta, seguendo un vecchio maschio dalle zanne enormi. Quando videro degli esseri umani sul veliero alla fonda, i giganti grigi rimasero dov’erano, alzando l’enorme testa e allargando le orecchie mentre barrivano per sfidarli.

«Che animali magnifici», disse Judith, osservandoli da prua.

«E più intelligenti di molte persone che ho conosciuto», commentò Aboli, serissimo.

«Perché non ne uccidiamo qualcuno?» suggerì entusiasticamente Big Daniel. «Lì c’è un’autentica fortuna in avorio. Perdiana, le zanne di quel vecchio maschio devono essere lunghe dieci piedi.»

«C’è un bottino più comodo che ci aspetta, Dan», replicò Hal scuotendo la testa. «Credo che li lasceremo tranquilli.»

Aveva ancorato la Bough di fronte alle rovine di un vecchio forte e approntato tutti i cannoni, caricati in caso di un attacco a sorpresa da parte di selvaggi di qualsiasi colore, bianco incluso. Poi aveva preso da parte Judith.

«Vorrei chiederti di rimanere qui, invece di sopportare un paio di lunghe giornate su una pinaccia. Inoltre, al ritorno ci sarà pochissimo spazio, se capisci cosa intendo. D’altra parte, se mi aspetti qui, avrai cinquanta e più uomini a proteggerti, e quelle lunghe spiagge sabbiose su cui tu e il bambino potrete rilassarvi.»

«Lo farò per il bene del piccolo, ma promettimi che tornerai il prima possibile. Mi mancherai terribilmente.»

Prima che ammainassero le due pinacce e preparassero la decina di uomini destinata a sbarcare, gli enormi pachidermi grigi erano tornati nella foresta, scomparendo in un silenzio carico di mistero.

Adesso, mentre gli uomini si chinavano sui lunghi remi sensili, Hal, Daniel e Aboli alzarono gli occhi verso la cima delle scogliere che li circondavano, dove truppe di babbuini strillavano in tono di sfida.

Avevano percorso poco più di dieci miglia dal punto in cui era all’ancora la Golden Bough, con le vele serrate sui pennoni, fino a dove il torrente d’acqua dolce si restringeva di colpo e le pareti delle scogliere su entrambi i lati apparivano più definite, come se il grande dio Thor le avesse scolpite nella roccia con il suo martello mitico.

«Il posto è questo, mastro Daniel!» gridò Hal all’altra imbarcazione, e tirò la barra del timone per condurre la pinaccia fino alla riva meridionale e ormeggiarla alla stessa roccia utilizzata da suo padre. Per un attimo rese omaggio, in silenzio, all’uomo che gli aveva dato la vita e lo aveva preparato meticolosamente ad affrontare le onde oceaniche. Quando si riscosse e alzò lo sguardo, Aboli lo stava fissando. Si scambiarono un’occhiata e Hal rivolse un cenno d’assenso all’amico che gli stava accanto da così tanti anni: stavano pensando alla stessa cosa.

Si alzò e si sistemò sulle spalle due rotoli di cima di canapa, in modo che gli si incrociassero sul petto. «Vado io, poi tocca a te», disse ad Aboli. «Daniel, tenete quattro uomini per caricare sulla barca qualsiasi cosa vi caliamo. Voi altri accendete le micce e tenete gli occhi ben aperti.»

Saltò sulla stretta cengia alla base della parete rocciosa e cominciò ad arrampicarsi.

«Fai attenzione, Gundwane!» gli gridò dietro Aboli. «Non c’è nessuna fretta.»

Hal lo ignorò, perché tutt’a un tratto aveva una fretta terribile. Il tesoro era rimasto indisturbato oppure era stato scoperto da uno dei tanti che gli stavano dando la caccia? La caverna era completamente vuota oppure piena zeppa di oro?

Benché non esistesse un tragitto palese per risalire la parete di roccia, lui non ebbe esitazioni, arrampicandosi con rapidità e intrepida agilità fino a lasciarsi penzolare e poi arrivare sulla piccola sporgenza, invisibile a chi si trovava nelle pinacce molto più sotto. Le pietre che ostruivano l’angusta entrata erano impilate ordinatamente, come lui e Aboli le avevano lasciate molto tempo prima. Il suo cuore cominciò a cantare e gioire mentre lui le spostava di lato, una per volta.

Quando il varco fu abbastanza ampio strisciò all’interno, rialzandosi con cautela perché il soffitto era basso e irregolare. Aspettò che i suoi occhi si adattassero alla sottile lama di luce solare che penetrava dall’apertura da lui appena creata, ma i recessi della caverna erano immersi nell’oscurità.

Sollevò una mano sulla cengia di pietra all’altezza della sua testa, sulla parete più vicina, e la tastò fino a trovare gli oggetti sistemati dal padre durante la loro ultima visita. Se li strinse al petto e si buttò in ginocchio. Sul pavimento roccioso posò le due candele di sego, poi usò l’acciarino per creare una pioggia di scintille. L’esca di stoppa incatramata era secca come il Sahara e prese subito fuoco; lui accese le due candele, si mise seduto e, con un misto di speranza e timore, alzò gli occhi per scrutare all’interno della grotta.

C’era ancora tutto. Intatto. Barilotti, botti, sacchi e forzieri erano accatastati esattamente come lui e il padre li avevano lasciati. I lingotti d’argento e quelli d’oro formavano pile ordinate. I metalli preziosi apparivano lucidi e brillanti.

Si rimise in ginocchio e rammentò le parole paterne: Ognuno di noi deve una morte a Dio. Quando per me arriverà il momento di pagare il debito, voglio lasciarti questa eredità.

«È davvero troppo, padre. Cosa vuoi che faccia, con tutte queste ricchezze?» replicò Hal, e un’altra voce gli rispose subito.

«Per cominciare potresti versare al visconte di Winterton quello che ancora gli devi per la Golden Bough, poi potresti trovarti qualche migliaio di acri di ottima terra sulle verdi e magnifiche coste dell’Inghilterra e un’elegante magione da riempire con una donna incantevole e una decina di bimbetti strillanti.»

Sbigottito, balzò in piedi e si voltò, per scoprire Aboli dietro di sé, che respirava affannosamente dopo la faticosa arrampicata su per la scogliera. Hal gli strinse una spalla e rimasero in silenzio per un po’, come a rendere omaggio all’uomo che aveva conquistato quell’immane patrimonio per il figlio, pagando con la vita.

Rammentarono lo strazio da lui sofferto per mano di Slow John, il torturatore e boia che svolgeva il suo orrendo lavoro agli ordini di Van de Velde, governatore della colonia olandese del capo di Buona Speranza.

«Ne valeva la pena, Aboli?» chiese Hal, rompendo infine il silenzio.

«Secondo tuo padre, sì.» Il guerriero africano si strinse nelle spalle. «Ha dato la vita per tutto questo, quindi ora hai il dovere di accettarlo, affinché il suo sacrificio non sia stato vano.»

«Grazie», replicò lui, in tono sommesso ma sincero. «Senza il tuo saggio consiglio, avrei rischiato di rifiutare l’eredità di mio padre e passare il resto della vita a soffrire per questo.»

 

 

Trascorsero i due giorni seguenti calando dalla scogliera quell’immane quantità di metallo e pietre preziose, stipandola poi sulle due pinacce. Una volta completato il trasferimento e il carico, sulle pinacce restava pochissimo spazio libero. Hal ordinò che la maggior parte degli uomini scesi a terra le rimorchiassero con delle cime lungo la riva, mentre lui e Aboli manovravano al timone. Procedettero lentamente e, la notte, dovettero accamparsi sulla sponda del fiume, rimettendosi in cammino prima dell’alba successiva.

Distavano un miglio e mezzo dall’imboccatura della laguna in cui era ancorata la Golden Bough quando nel cielo davanti a loro si udì un rombo, simile a un tuono lontano. Tutti interruppero quanto stavano facendo e, stupiti, levarono gli occhi al cielo, ma, per quanto le nubi apparissero dense e scure, non c’erano altre tracce di un temporale in avvicinamento.

«Un tuono?» azzardò Daniel.

«No!» gridò Aboli dall’imbarcazione in testa. «Non era un tuono, era un colpo di cannone.»

«È un segnale d’allarme dalla Bough!» urlò Hal. «La stanno attaccando.»

 

 

Lui non era l’Avvoltoio, nonostante quello che pensavano quei maledetti: era ed era sempre stato Angus Cochran, conte di Cumbrae e cavaliere Nautonnier del tempio dell’ordine di San Giorgio e del Sacro Graal, proprio come Hal Courteney e suo padre prima di lui.

L’unica differenza fra loro era che gli altri due facevano un gran parlare di onore e dignità e di impegno per Cristo e il Sacro Graal, laddove lui aveva sempre saputo che quelli erano solo sproloqui senza significato risalenti al Medioevo. Avevano cercato di schernirlo soprannominandolo l’Avvoltoio, proprio come il principe Jahan aveva tentato di umiliarlo e renderlo schiavo chiudendolo dentro quella dannata maschera.

Ma la maschera lo rendeva potente. Lo aveva salvato per un soffio da una morte atroce, aveva coperto il suo viso deturpato e lo aveva trasformato in una creatura misteriosa, che incuteva terrore nell’animo dei nemici. Cochran era di nuovo forte, era di nuovo un guerriero spietato.

Aveva allestito la sua trappola e catturato il giovane Hal Courteney.

Poteva anche avere perso un braccio, un occhio e la sua virilità, ma il suo cervello funzionava ancora perfettamente e la spada nella destra era ancora letale.

Negli ultimi tre giorni, sin dall’arrivo della Golden Bough nella laguna dell’Elefante, la Madre de Deus si era tenuta pronta per un’azione immediata. Gli addetti all’albero di gabbia erano in postazione, in attesa di spiegare fino all’ultima vela, e i serventi erano fermi accanto ai cannoni carichi.

Le spie dell’Avvoltoio avevano visto le due pinacce lasciare la Bough e raggiungere a forza di remi l’estremità superiore della laguna, dove si erano immesse nel torrente di acqua dolce per poi scomparire dietro la prima ansa del fiume che, attraversando la valle, serpeggiava verso l’altopiano nell’entroterra. Grazie ai cannocchiali, erano riusciti persino a riconoscere Hal Courteney e il suo tirapiedi nero, Aboli, ma non li avevano visti tornare. Naturalmente potevano averlo fatto con il favore delle tenebre, quando le vedette non li potevano individuare, ma era impossibile che avessero lasciato l’insenatura senza che lui lo sapesse.

Prima dell’alba del quarto giorno di attesa, dunque, l’Avvoltoio decise di far scattare la trappola. Con i suoi uomini ai posti di combattimento, portò la nave in mezzo ai promontori a guardia dell’accesso alla laguna dell’Elefante, arrivando dall’oceano Indiano. Rimase a prua della Madre de Deus con il cannocchiale sotto il braccio e l’unico occhio che, attraverso il foro nella maschera, guardava torvo le acque dell’insenatura. Vide che la Golden Bough era alla fonda più avanti, nella laguna, con i boccaporti dei cannoni chiusi e gli alberi e i pennoni privi di vele. I ponti erano deserti e c’era soltanto una vedetta in coffa.

Una delle pinacce era stata tirata in secco vicino a un capo dell’insenatura, dove l’equipaggio aveva riempito alcuni barili con l’acqua del torrente, mentre la seconda si trovava all’estremità opposta della baia rispetto alla Bough e l’equipaggio la stava caricando con fascine di legna tagliata. A quell’ora del mattino, però, tutti i marinai erano riuniti intorno ai fuochi sulla spiaggia, a tracannare caffè e mangiare avidamente la colazione.

Era evidente che Hal Courteney si stava preparando per il lungo viaggio verso casa, durante il quale avrebbe circumnavigato il capo di Buona Speranza per poi risalire l’oceano Atlantico fino alle isole britanniche. I suoi marinai, tuttavia, al momento erano lontani dal veliero e ignari dell’improvvisa e silenziosa comparsa della nave a tre alberi all’imboccatura della laguna.

L’Avvoltoio si girò per rivolgersi a Barros, sul cassero. «Sparate un colpo di cannone per svegliare quegli scimmioni dal loro idillio, comandante, vi prego.» Benché distorta dal foro da cui usciva, la voce risultò chiara agli ufficiali sul ponte.

Barros impartì bruscamente l’ordine al mastro artigliere sul ponte sotto di loro e un colpo di cannone risuonò al di sopra delle acque, rimbombando sulle colline intorno a quell’ampia insenatura.

Gli equipaggi britannici alzarono gli occhi, sbigottiti, mentre la Madre de Deus appariva minacciosa davanti a loro, in assetto di combattimento.

«Puntate verso la Golden Bough», fu l’ordine successivo dell’Avvoltoio. «Sarà una facile preda, perché è senza i suoi uomini.» Si schiarì la gola lesionata e sputò al di sopra del parapetto. «Voglio Courteney, sia chiaro, ma se lui non è a bordo, prenderò la sua donna.»

 

 

Judith Nazet si trovava nella cabina della Golden Bough che divideva con Hal, seduta al piccolo scrittoio sotto le finestre di poppa. Vi fu un timido bussare alla porta e Mossie infilò la testolina ricciuta dentro la cabina.

«Buongiorno a te, mia gentile padrona. Ho portato del caffè, niente latte né zucchero.»

«Grazie, Mossie, come fai a sapere che mi piace così?»

«Perché è così che lo prendi sempre», rispose lui con un sorriso candido e ampio. Era un loro rituale consolidato. Il ragazzo entrò e chiuse accuratamente la porta, poi si alzò in punta di piedi per posare la caraffa d’argento sullo scrittoio, di fronte a lei.

«Devo spegnere le lampade, mia incantevole padrona?» Allungò una mano verso la lanterna nel supporto fissato alla paratia, al di sopra della testa di Judith. Ce n’erano altre sei o sette, identiche, appese al cielo del locale sopra l’ampia cuccetta e in altri punti della cabina.

«No, grazie, Mossie. Il cielo è ancora buio e coperto. Lasciale tutte accese finché non esce il sole.»

Mossie annuì e accostò la mano alla fronte come gli avevano insegnato, poi uscì dalla cabina camminando a ritroso. Judith sorrise: si era davvero affezionata a lui. Sospirò, intinse la punta della penna d’oca nel calamaio e la tenne sospesa sopra la pagina del suo diario.

Cominciò a scrivere. Il piccolo bruto dentro di me mi ha tenuto sveglia tutta la notte, con le nausee. Sarà un enorme sollievo quando salterà fuori e si reggerà sulle sue gambe...

Il colpo di cannone risuonò così vicino e stentoreo da sembrare che fosse stato sparato nella cabina. Lei trasalì così violentemente che la penna d’oca schizzò l’inchiostro sulla pagina, poi balzò in piedi per scrutare la laguna dalle finestre poppiere.

La Madre de Deus stava puntando dritta verso di lei. Non aveva mai visto prima quella nave, ma era chiaro che era un veliero ostile e rappresentava una minaccia letale.

Aveva esposto i colori di battaglia e tutti i portelli erano spalancati, con le lunghe canne dei cannoni che spuntavano.

Judith non sprecò nemmeno un istante e aprì il primo cassetto della scrivania. Le quattro pistole erano a portata di mano, nella loro custodia sagomata, tutte cariche e pronte a sparare. Ne infilò un paio nella fusciacca gialla che le cingeva la vita e alzò il cane delle altre due, tenendole pronte. Raggiunse la porta della cabina e la spalancò, poi salì la scala che portava al cassero.

Prima che vi arrivasse, la nave tremò sotto i suoi piedi e si udì lo schianto provocato da uno scafo che colpiva con violenza quello della Bough. Al contempo, sopra la sua testa, ci fu uno scoppio di acclamazioni selvagge e il trapestio di piedi in corsa. Lei sbucò sul ponte e si guardò rapidamente intorno.

Una nave sconosciuta si era affiancata alla Golden Bough e la stava agganciando con una serie di corde con rampino. La testa di un uomo spuntò al di sopra della falchetta. Lei lo riconobbe subito grazie alla descrizione avuta da Hal, soprattutto per la cicatrice di un rosa acceso che andava da un angolo della bocca all’attaccatura dei capelli.

Era il proprietario della nave negriera portoghese che aveva preso a bordo Hal e l’aveva venduto come schiavo. Si chiamava João Barros. Lei sapeva che comandava la Madre de Deus e dedusse subito che fosse quella che aveva appena abbordato la Bough.

Senza un attimo di esitazione alzò la pistola che stringeva nella destra e fece fuoco. La palla colpì Barros al centro della fronte e gli scagliò indietro la testa con una forza tale che Judith sentì le vertebre lussarsi con uno schiocco. L’uomo scomparve, ma un’altra testa rimpiazzò la sua.

Era priva di volto, fasciata da una maschera di pelle che rappresentava una grottesca parodia di umanità.

«L’Avvoltoio!» disse lei con un filo di voce, e lo spavento fu tale da paralizzarla per un istante. Lasciò cadere la pistola scarica che aveva nella mano destra e sollevò quella che stringeva nella sinistra. L’Avvoltoio si mosse con la rapidità di una vipera, e la lama della sua spada saettò verso di lei scalzandole l’arma dalle dita. La pistola scivolò lungo il ponte. Per un attimo il braccio di Judith rimase intorpidito dalla violenza del colpo. Lei non valutò nemmeno l’ipotesi di sfilare le pistole dalla fusciacca: sapeva che lui le avrebbe mozzato la mano, prima che potesse farlo. Si abbassò di scatto sotto la lama e si lanciò all’indietro, verso la scala. Rotolò giù per i gradini in un groviglio di gonne e sottogonne, e le pistole infilate nella fusciacca volarono fuori e caddero rumorosamente insieme a lei. Una di esse sparò con una nuvola di fumo e fiamme, ma la palla colpì la paratia causando una pioggia di schegge dal legno.

Quando Judith piombò ai piedi della scala guardò in alto e vide l’Avvoltoio che si lanciava giù per i gradini per inseguirla, brandendo la spada e strillando come una banshee impazzita, con la maschera bloccata in quel folle ghigno sdentato. Aveva la schiena ingobbita e una spalla più alta dell’altra, quindi si muoveva come un enorme scimmione.

Judith si rialzò e corse verso la porta della cabina, che era rimasta spalancata. Una volta dentro, la sbatté dietro di sé, ma dopo un istante lui vi si scagliò contro con tutto il suo peso; l’uscio si spalancò e la scaraventò all’indietro, sulla doppia cuccetta.

L’Avvoltoio si stagliava sopra di lei con la spada sollevata sopra la testa ma, quando la calò, Judith rotolò da una parte e la lama si conficcò nel telaio della cuccetta.

Lei cadde dal letto, con la gonna arrotolata intorno alle gambe, e finì contro la paratia opposta. L’Avvoltoio tentò di liberare la lama incastrata e dalla maschera sbottò una sequela di oscenità.

«Baldracca schifosa, ti aprirò quel lurido ventre marcio e tirerò fuori il bastardo ancora vivo, poi lo farò a pezzetti e te li infilerò in gola.»

Judith rotolò lungo la paratia e si alzò, guardandosi disperatamente intorno. Non aveva armi e l’Avvoltoio le bloccava la strada verso la porta. L’unica via d’uscita erano le finestre poppiere all’estremità opposta della stanza. Se fosse riuscita a lanciarsi fuori, aveva buone probabilità di farcela a nuotare fino alla spiaggia.

Si spinse in avanti, lanciandosi verso poppa. Lui la vide arrivare e mollò l’elsa della spada per sferrarle un pugno mentre gli passava accanto; la colpì sulla spalla e le fece perdere l’equilibrio, mandandola a sbattere contro lo scrittoio sotto la finestra. Lei indietreggiò e rimase bloccata con la schiena premuta contro la paratia, girata verso l’Avvoltoio che le si avvicinava, ingobbito, trascinandosi dietro la gamba. Stava allungando verso di lei la sua unica mano con sole tre dita.

«Ti prego...» lo supplicò Judith. «Ti prego, risparmia il mio bambino.»

Sentì un forte calore sulla nuca. Alzò una mano e le sue dita toccarono il vetro della lanterna a olio. Udì un sibilo quando la pelle si riempì di vesciche per l’intenso calore. Ma il suo stato d’animo passò dalla cupa disperazione a una speranza inebriante. Afferrò il serbatoio in vetro e, con tutta la sua forza, strappò il lume dal gancio e lo scagliò contro la testa mascherata di fronte a sé.

Il vetro si frantumò e l’olio viscoso si sparse sul capo e sulle spalle dell’Avvoltoio. Le fiamme si propagarono e lo avvilupparono in un cono di calore ustionante. Lui cadde all’indietro sul telaio della cuccetta, cercando inutilmente di allontanare le fiamme con l’unica mano.

Le lenzuola presero fuoco e le fiamme schizzarono fino al cielo della cabina, con l’uomo steso al centro di quell’inferno come la carcassa di un maiale allo spiedo. La maschera venne consumata dal fuoco; ciò che restava del viso dell’Avvoltoio risultò talmente orrendo che Judith fuggì fuori dalla cabina e su per la scala.

Quando sbucò sul ponte e cominciò a piangere di sollievo, inspirando affannosamente la dolce aria marina per eliminare il fumo dai polmoni, un paio di braccia forti la cinsero e una voce amata le chiese: «Cosa sta succedendo, in nome di Dio onnipotente? Perché piangi così?»

Judith si voltò di scatto nel cerchio formato dalle braccia di Hal e gli si aggrappò. «Amore mio! Grazie a Dio sei qui. Stava per ucciderci, me e il bambino.»

«Chi?»

«L’Avvoltoio!»

«Cochran? Dov’è? Maledetto!»

«È nella nostra cabina, ma la nave è in fiamme. Non avevo altro modo per fermarlo.»

Le parole di Judith sembravano prive di senso, ma Hal capì comunque che la situazione era grave. Si guardò rapidamente intorno per valutare il pericolo. Vide che l’altra nave aveva tranciato le cime che la collegavano alla Bough e si stava allontanando di gran carriera per infilarsi di nuovo fra i promontori e tornare in mare aperto.

«Dio mio, è la Madre de Deus. La riconoscerei ovunque!» esclamò Hal.

«Sì, Barros e Cochran hanno tentato l’arrembaggio. Ho ucciso Barros prima che salisse a bordo. Adesso la nave sta scappando. Strano! Pensavo che volessero combattere per il tesoro.»

«I marinai non ne sanno niente. Barros non lo avrebbe mai detto. Doveva immaginare che gli avrebbero tagliato la gola per prendersi tutto. Hanno la sua nave, la Madre de Deus, ne sono contenti. Lasciamoli andare!» decise. «Dov’è l’incendio? Nella nostra cabina, hai detto?»

Lei annuì energicamente.

Hal si staccò da Judith e si voltò di scatto. «Aboli! Big Dan! Fuoco! Fuoco in coperta. Uomini alle pompe!»

 

 

Servirono tutte le pompe della nave e l’intero equipaggio per metà della mattinata per domare le fiamme, ma quando finalmente Hal poté riaccompagnare Judith nella cabina si fermarono sulla soglia a fissare l’interno annerito e ancora fumante, e il corpo carbonizzato steso sulla cuccetta, fra ceneri che bruciavano senza fiamma.

«Quello è l’Avvoltoio?» chiese Judith con un sussurro. «Sembra così piccolo.»

«Il fuoco ha quell’effetto.» Hal le cinse le spalle. «La prima volta è bruciato come Cochran, la seconda volta come l’Avvoltoio, e adesso brucerà per l’eternità con Old Nick, il diavolo, che attizza le fiamme intorno a lui.»

Judith tremò, stretta a lui, e Hal la portò via dalla cabina annerita e bruciata, sul ponte. Big Daniel Fisher lo stava aspettando in cima alla scala e lo salutò accostando le dita alla fronte.

«Ordini, se non vi dispiace, comandante.»

«Prima di tutto», replicò Hal, «prelevate il carico delle pinacce e mettetelo al sicuro nella stiva principale.» Big Danny sorrise sentendo menzionare il tesoro.

«Sissignore. E poi?»

«Chiedete ai carpentieri di riparare i danni allo scafo e alla mia cabina. Dite loro di dipingerla di bianco, stavolta. Il generale Nazet e io siamo stanchi di quelle paratie azzurro cielo.»

Continuò a dare ordini al nostromo, poi si girò verso Judith e la prese per mano. La condusse sul cassero, l’unico punto della nave in cui potessero stare soli. Si appoggiarono al parapetto, Hal le cinse le spalle con un braccio e rimasero in silenzio per qualche minuto.

Alla fine Judith sospirò e cominciò a parlare sommessamente.

«Il Graal è salvo, ho portato a termine il mio compito. Ne ho abbastanza di combattimenti e morti. Non possiamo trovare un posto in cui io possa avere il nostro bambino e possiamo vivere insieme, tranquilli e felici, per il resto della vita?»

Hal ridacchiò. «Hai appena descritto proprio High Weald.»

«High Weald? Che strano nome! Dove si trova e che cos’è?»

«È la mia dimora avita nel Sud dell’Inghilterra, il luogo più sicuro e splendido del mondo intero.»

«Portami là, amore mio. Ti prego, portamici. Per favore!» Judith si girò e lo baciò, mentre lui la stringeva a sé.