Prefazione. Benvenuti nel mondo di Stephanie Land

Per poterci entrare dovete abbandonare ogni stereotipo sui collaboratori domestici, i genitori single e l’idea di povertà trasmessa dai media. Stephanie è una gran lavoratrice ed è “articolata”, per usare l’elogio paternalistico che le élite riservano a persone insospettatamente intelligenti che però non hanno potuto studiare. Donna delle pulizie racconta il suo percorso di madre che cerca di dare una vita sicura e una casa alla figlia Mia, e sopravvive mettendo insieme frammenti di assistenza pubblica e il reddito meschinamente basso che guadagnava pulendo le case altrui.

Mentre “cameriera” è un termine gentile, che profuma di vassoi del tè, divise inamidate, Downton Abbey, in realtà il mondo delle donne delle pulizie è incrostato di sudiciume e macchie di merda. Sturano i nostri scarichi intasati di peli pubici, hanno a che fare con i nostri panni sporchi, letteralmente e metaforicamente. Tuttavia, restano invisibili; ignorate dai politici e dalle politiche della nostra nazione, guardate dall’alto in basso quando si presentano a casa nostra. Lo so perché, da giornalista, per un breve periodo ho fatto questa vita, lavorando al minimo salariale per scrivere il mio libro Una paga da fame. Contrariamente a Stephanie, potevo tornare in qualsiasi momento alla mia più che comoda vita di scrittrice. E al contrario di lei, non stavo cercando di mantenere una bambina con quel che guadagnavo. I miei figli erano cresciuti e non avevano il minimo interesse a vivere con me in un parcheggio per roulotte, come richiedeva la mia folle impresa giornalistica. Quindi so cosa significhi pulire case; conosco la stanchezza e il disprezzo che subivo quando indossavo in pubblico il mio gilè aziendale, con la scritta THE MAIDS INTERNATIONAL. Ma posso soltanto immaginare l’ansia e la disperazione di tante mie colleghe. Come Stephanie, molte di loro erano madri single che facevano quel mestiere per sopravvivere, e che passavano le giornate a pensare ai figli che a volte dovevano lasciare in situazioni precarie, per poter andare a lavorare.

Se siete fortunati, non dovrete mai vivere nel mondo di Stephanie. In Donna delle pulizie, vedrete che è un mondo dominato dalla scarsità. Il denaro non basta mai e a volte non c’è abbastanza da mangiare; il burro di arachidi e i noodle in brodo di verdure sono protagonisti dei pasti; andare al McDonalds è un lusso che ci si concede di rado. In questo mondo nulla è per sempre: né le auto, né gli uomini, né gli alloggi. I buoni pasto sono colonne portanti della sua sopravvivenza, e la recente legge secondo la quale le persone devono lavorare per poterli ricevere vi farà stringere i pugni per la rabbia. Senza gli aiuti governativi, questi lavoratori, i genitori single e altri ancora più poveri non sarebbero in grado di sopravvivere. Non si tratta di elemosine. Proprio come tutti noi, anche loro vogliono qualcosa su cui contare.

Forse l’elemento più disturbante del mondo di Stephanie è l’ostilità che le riservano le persone più fortunate. È il pregiudizio di classe ed è riservato soprattutto a chi svolge lavori manuali, persone spesso giudicate moralmente e intellettualmente inferiori da chi indossa giacca e cravatta o siede a una scrivania. Al supermercato, quando Stephanie paga con i buoni pasto, gli altri clienti osservano il suo carrello con occhio giudicante. Un uomo anziano dice, a voce alta, “Ma prego, si figuri,” come se avesse pagato lui, di persona, per la sua spesa. Questa mentalità va ben oltre un singolo episodio e rappresenta il punto di vista di buona parte della nostra società.

Il racconto del mondo di Stephanie disegna una traiettoria che sembra destinata a un disastro totale. Primo, ci sono i danni alla salute fisica derivanti dal prendere pesi, passare l’aspirapolvere e strofinare per sei-otto ore al giorno. Nell’impresa di pulizie per la quale lavoravo, ognuna delle mie colleghe, dall’età di diciannove anni in poi, soffriva di un disturbo neuromuscolare: mal di schiena, lesioni alla cuffia dei rotatori, problemi alle ginocchia e alle caviglie. Stephanie resiste grazie a una preoccupante quantità giornaliera di ibuprofene. A un certo punto, guarda con desiderio gli oppiacei custoditi nel bagno di un cliente, ma lei non può nemmeno pensare ai farmaci con ricetta, e nemmeno ai massaggi o alla fisioterapia o alla visita di uno specialista in terapia del dolore.

Come se non bastasse, magari in relazione alla stanchezza fisica frutto del suo stile di vita, ci sono le sfide emotive che Stephanie deve affrontare. È il perfetto modello della “resilienza” che gli psicologi raccomandano per i poveri. Quando si trova davanti un ostacolo, lei trova il modo di superarlo. Ma a volte gli ostacoli sono tali e tanti da sembrare un carico insopportabile. Ciò che le impedisce di crollare è l’amore infinito per la figlia, un faro che illumina tutto il libro.

Non vi sto rovinando la sorpresa dicendo che c’è il lieto fine. Durante tutti gli anni di lotta e fatiche, Stephanie coltiva il desiderio di diventare una scrittrice. Ho conosciuto Stephanie anni fa, quando era alle prime fasi della sua carriera. Oltre a essere io stessa una scrittrice, sono la fondatrice di Economic Hardship Reporting Project, un’organizzazione che promuove il giornalismo di approfondimento sulle disuguaglianze economiche, specie da parte di persone che stanno personalmente lottando per andare avanti. Stephanie ci inviò una proposta di collaborazione e noi l’afferrammo al volo, lavorando con lei per sviluppare i diversi temi, limare le prime stesure, e poi fare in modo che i suoi articoli comparissero sulle testate più prestigiose, come il “New York Times” e la “New York Review of Books”. Lei è esattamente il genere di persona per la quale noi esistiamo: una scrittrice sconosciuta appartenente alla classe operaia, che ha soltanto bisogno di un incoraggiamento per iniziare la propria carriera.

Se questo libro sarà per voi fonte di ispirazione, cosa che ritengo possibile, ricordate quanto è stato vicino a non essere mai scritto. Stephanie avrebbe potuto cedere alla disperazione o alla stanchezza; avrebbe potuto subire una lesione invalidante al lavoro. Pensate a tutte le donne che, per ragioni simili, non riescono mai a raccontare la loro storia. Stephanie ci rammenta che là fuori sono milioni, ciascuna a suo modo eroica, in attesa di essere ascoltate.

Barbara Ehrenreich