4. L’appartamento davanti al luna park
“C’è Julie, per caso?” chiesi, aspettando che la donna al di là del vetro compilasse la ricevuta per il pagamento del mio affitto. Ogni mese l’ammontare era diverso, a seconda del reddito che dichiaravo, ma restava comunque attorno ai duecento dollari.
La donna strizzò gli occhi per leggere la lavagna sulla parete dietro al suo sportello. “No,” sospirò. “È fuori con un utente. Desidera lasciarle un messaggio?”
Lo desideravo.
“Ho delle difficoltà a adattarmi a quell’appartamento,” dissi a Julie il giorno seguente, in sala riunioni.
Con mio grande sollievo, Julie non chiese perché.
Era troppo, tutto: chiedermi se qualcuno della commissione agli alloggi stesse per bussare alla mia porta, camminare per casa in punta di piedi, per paura delle urla della donna che viveva al piano di sotto, quella che batteva sul pavimento con il manico della scopa. Una volta avevo persino invitato Jamie a cena, perché la solitudine mi stava consumando. Non uscivo, non vedevo i miei amici, non invitavo nessuno. Mi sentivo isolata. Quel posto non faceva per me.
“Aspettami qui,” disse Julie, e tornò un paio di minuti dopo con degli opuscoli. “Puoi fare richiesta per il TBRA.” Lo pronunciò come tee-bra, e stava per Tenant-Baised Rental Assistance.*** “È molto simile a Section 8.**** Tu sei in lista d’attesa per Section 8, giusto?”
Annuii. Section 8 era un po’ l’unicorno dell’assistenza governativa: se ne sentiva sempre parlare, ma non si conosceva nessuno che lo avesse ottenuto. Si tratta di un voucher per l’affitto che copre ogni costo per l’alloggio che superi il trenta o il quaranta per cento del reddito dell’affittuario. Quindi una persona che percepisce il salario minimo e porta a casa soltanto mille dollari al mese, con il voucher si troverebbe a pagare un affitto di appena trecento dollari, e il governo pagherebbe il resto, sempre che sia coerente con ciò a cui l’affittuario ha diritto, di solito un appartamento di due o tre camere da letto. L’edificio deve rispondere agli standard di Section 8, che sono piuttosto semplici, per esempio tubature in ordine, niente vernici al piombo, cose del genere. Una volta che si ottiene, ha valore (sempre che si trovi un padrone di casa che lo accetti) in tutto lo Stato, e non scade mai.
Ero in lista d’attesa in tre diverse contee. Quella della contea di Jefferson, dove si trova Port Townsend, era la più breve, soltanto un anno, ma la maggior parte dei luoghi ai quali avevo fatto richiesta avevano periodi di attesa di cinque anni o più. Alcuni non accettavano nemmeno nuove iscrizioni, tanto era alta la domanda.
Julie mi presentò a un’altra assistente sociale che lavorava specificamente con i programmi di Section 8 e TBRA. La donna era seduta dietro a una grande scrivania, il viso serio incorniciato dai capelli ondulati. Mi fece compilare diversi moduli, con domande sui miei progetti per l’anno seguente e oltre. Con pezze d’appoggio precise e calcoli sul mio reddito, oltre al mantenimento mensile per la bambina di 275 dollari, l’affitto che potevo aspettarmi di pagare per un appartamento di due camere da letto da 700 dollari al mese sarebbe stato, in quel momento, di 199 dollari.
“Questa cifra potrebbe aumentare o diminuire in base al tuo reddito certificato,” aggiunse Julie, che, per mia fortuna, era rimasta accanto a me per tutto l’incontro.
Il TBRA richiedeva inoltre che io frequentassi una lezione o un seminario per conoscere il programma, ma soprattutto per capire come affrontare potenziali locatori informandoli sul modo di utilizzare il programma (e magari anche Section 8) per pagare l’affitto. “Molti locatori hanno qualche esperienza con Section 8,” disse Julie mentre uscivamo. “O almeno lo conoscono. Ma alcuni non si rendono conto che può essere davvero un buon affare.” Non ero sicura di cosa volesse dire e mi chiedevo perché potesse essere un cattivo affare, ma non feci domande.
Arrivate nel parcheggio, mi scrisse l’orario e le indicazioni per la lezione sull’assistenza all’alloggio. “Sei fortunata, ce n’è una domani,” disse, ottimista. “Dovresti essere in grado di avere una nuova casa abbastanza in fretta!”
Le sorrisi e annuii, ma non nutrivo molte speranze che uno di questi programmi mi avrebbe potuto aiutare. Il trauma degli ultimi sei mesi, da quando eravamo senza casa, e avere a che fare con Jamie, che continuava a darmi contro, mi aveva resa del tutto incapace di agire. Il cervello, lo stomaco, i nervi, ogni parte di me era in uno stato di costante allarme. Niente era sicuro. Niente era permanente. Ogni giorno camminavo su un tappetino che qualcuno mi poteva sfilare da sotto i piedi, in qualsiasi momento. Guardavo le persone che mi sorridevano, annuivano, continuando a ripetermi quanto fossi fortunata ad avere questo programma o questa casa a disposizione, ma io non mi sentivo affatto fortunata. Non riconoscevo più la mia vita.
Le assistenti sociali mi dicevano dove andare, dove fare richiesta, quale modulo compilare. Mi chiedevano di cosa avessi bisogno, e io rispondevo “un posto dove vivere” o “mangiare” o “un asilo nido, così posso lavorare” e loro mi davano una mano, o trovavano qualcuno che potesse farlo, o non mi aiutavano affatto. Ma era tutto ciò che potevano fare. Anche riprendermi dal trauma era essenziale, era forse il punto più importante, ma nessuno poteva aiutarmi a farlo, e ancora non sapevo di averne bisogno. I mesi di povertà, instabilità e insicurezza avevano generato una reazione da panico che avrebbe richiesto anni per essere superata.
“Magari pensate che i padroni di casa lo apprezzino,” disse l’uomo in piedi, rivolto a una ventina di persone in una stanzetta, sedute attorno a due tavoli. Era Mark, lo stesso tizio che aveva tenuto la lezione per il LIHEAP.***** Era trascorso un anno da quel seminario di tre ore su come usare l’elettricità con la massima efficienza. Le informazioni erano così ridondanti, dettate dal buon senso comune, che avevo cercato di trovare divertente, evitando di pensare alla mia situazione attuale, imparare che spegnere le luci era necessario per ricevere un contributo di 400 dollari per il riscaldamento. Avevo sempre di più la sensazione che le persone bisognose di assistenza governativa fossero considerate una massa di ignoranti, e quindi trattate di conseguenza. Com’era degradante apprendere che, dato che avevo bisogno di denaro, non sapevo come limitare il costo delle mie utenze.
Ora dovevo restare lì per parecchie ore per imparare in che modo un programma di assistenza all’affitto pagava i locatori, così da poterli rassicurare che sarebbero stati pagati. Per il governo e per chiunque altro, era implicito che non avrebbero dovuto fidarsi di me. Mi sembrava così controproducente. Per essere lì avevo chiesto un permesso al lavoro e trovato qualcuno che badasse a Mia. Stavo seduta a fissare Mark, in piedi davanti a noi. Indossava ancora la stessa camicia di flanella a maniche lunghe e jeans a vita alta tirati su sull’addome. Nell’ultimo anno la sottile coda di cavallo era cresciuta un po’. Sorrisi, ricordando il suo consiglio di risparmiare sulla bolletta elettrica evitando di preriscaldare il forno e lasciandolo raffreddare con lo sportello aperto. Aveva detto di non eliminare subito l’acqua calda dopo il bagno o la doccia, perché così il calore poteva diffondersi in casa.
“Section 8 è ottimo per i padroni di casa, perché garantisce il pagamento dell’affitto. Il punto è che a loro non piace affittare alle persone che usufruiscono di Section 8,” disse Mark. “Il vostro compito è dimostrare che ne vale la pena.”
Pensai a quante volte poliziotti, vigili del fuoco e paramedici erano venuti nel nostro edificio negli ultimi due mesi: i controlli a campione per essere certi che le case fossero tenute pulite o per assicurarsi che le auto malridotte nel parcheggio fossero state riparate; le ronde che passavano, per non farci fare le orribili cose che ci si aspettava dai poveri, come consentire che la biancheria da lavare o la spazzatura si accumulassero quando, a dire il vero, eravamo privi di energie fisiche e di risorse, dato che facevamo lavori che nessun altro voleva fare. Ci si aspettava che vivessimo con il salario minimo, che svolgessimo più lavori, in orari variabili, per permetterci il minimo indispensabile, mentre ci dannavamo per trovare posti sicuri dove lasciare i figli. Sembrava che nessuno si accorgesse della nostra fatica; vedevano soltanto i risultati di vivere un’esistenza che continuava a demolirti con le sue difficoltà insormontabili. Era come se, per quanto io cercassi di dimostrare che non era così, “povero” fosse sempre associato con “sporco”. Come potevo mai presentarmi ai padroni di casa come una affittuaria responsabile se avevo davanti un altissimo muro di pregiudizi?
“Quelli di voi con TBRA dovranno spiegare in che modo tale programma possa evolversi nel Section 8, ma assicuratevi di mettere ben in chiaro i benefici di entrambi, in modo equanime!” insisteva Mark. “In pratica, questi fantastici programmi dividono l’affitto in due parti, la vostra e quella pagata dal governo.” Questa affermazione sembrava esaltarlo. Sembrava che stesse battendo all’asta qualcosa, e non parlando a persone che avevano fatto richiesta del Section 8. “Ai locatori non piace che i pagamenti di Section 8 arrivino in un giorno stabilito da altri, vogliono che arrivi il primo del mese, ma voi potete convincerli!” Prese un altro mucchio di fogli da distribuire. “Section 8 significa soldi sicuri,” ripeté.
C’erano altri ostacoli da superare, una volta infranto il muro di pregiudizi e convinto il padrone di casa a prenderti come affittuario. Anche se si presumeva che fosse responsabilità del locatore ottenere l’approvazione per ricevere i fondi del programma, la casa o l’appartamento dovevano rispondere a numerosi standard, compresi rilevatori di fumo funzionanti e altri criteri relativi alla sicurezza, e spesso questo significava che se la casa o l’appartamento non risultavano idonei, non sarebbero stati disponibili per una famiglia con un voucher per l’affitto. Il che ci portava a un paradosso, dato che i locatori nelle zone migliori non volevano affittare a “quelli del Section 8”. Dovevamo cercare alloggi in zone fatiscenti, che rischiavano di non superare l’ispezione prima del trasloco.
“I padroni di casa devono rispondere agli standard di Section 8, ma molti di loro si rifiutano di farlo e basta,” fece notare Mark. “Dipende da loro. Non è illegale e non ha niente a che fare con la discriminazione…”
“È una discriminazione bella e buona!” gridò la ragazza seduta accanto a me.
La conoscevo da quando lavoravo al Waterfront Pizza. Ci scambiammo un sorriso. Mi sembrava di ricordare che si chiamasse Amy, ma non ne ero sicura.
“Io e il mio ragazzo abbiamo trovato una casetta favolosa,” continuò, “ma alla fine l’ha presa una mia amica. Il padrone di casa ha detto che non vuole affittare a quelli di Section 8 perché finiscono per rendere tutto uno schifo.” Si massaggiò la base del pancione. “Ha detto che non vuole che la riduciamo a una catapecchia.”
Tutti si voltarono a guardare Mark, che si limitò a cacciarsi le mani in tasca.
Non so come, ma mi bastò una settimana per trovare casa. E non è tutto: era subito disponibile e passò l’ispezione di sicurezza. Potevamo andarcene immediatamente dall’alloggio temporaneo. L’appartamento era in un edificio di fronte al luna park, a pochi isolati da North Beach. Gertie, la padrona di casa, si strinse nelle spalle quando le spiegai in che modo avrebbe ricevuto il pagamento dell’affitto. La mia parte sarebbe arrivata il primo del mese, ma il resto non prima del dieci.
“Ma sì, credo che vada bene,” disse, poi sorrise a Mia, che nascose il viso nella mia spalla. “Le serve una culla o qualcosa del genere?”
Volevo rispondere no. Il mio istinto era sempre rifiutare quando ci volevano dare una mano. Qualcuno poteva averne più bisogno. Ma poi pensai al buco su un lato della culla da campeggio di Mia.
“Sì, grazie.”
“Oh, bene,” replicò Gertie. “Gli ultimi inquilini hanno lasciato delle cose, e non sapevo cosa farci.” Andò sul retro del suo furgoncino e ne prese una culla bianca, come quella che Mia usava all’asilo nido. Nella culla c’era una maglietta rossa. La presi e la porsi a Gertie.
“Può tenerla se vuole,” disse. “È un costume di Halloween, o qualcosa del genere.”
La scrollai con la mano libera e vidi che c’era un cappuccio con un paio di occhi ricamati sopra, e anche una codina imbottita sul retro. “È un’aragosta?” chiesi, accennando a un sorriso.
Gertie rise. “Immagino di sì.”
Mia non aveva un costume per Halloween. Era settembre, e non ci avevo ancora pensato. La mia mente era stata occupata solo dal pensiero di trovare un’altra casa.
Gertie mi aiutò a portare dentro la culla, poi ci lasciò sole, con le chiavi in mano. Era un appartamento al pianoterra, con un portico che si affacciava su un piccolo spazio erboso. Dietro c’era un grande campo aperto. La sala da pranzo accanto alla cucina aveva finestre panoramiche. Mio fratello aveva assemblato per me un computer, che sistemai sulla scrivania integrata vicino agli armadietti della cucina, poi inserii un CD nel disk drive. Mia fece un balletto, poi corse attorno al tavolo, fino al soggiorno, buttandosi a faccia in giù sul divano, e poi lungo il corridoio prima di rifare tutto il percorso.
I miei libri riempirono le mensole in soggiorno. Appesi qualche fotografia e dei quadri che mi aveva dato la mamma, campi coperti di neve di un artista dell’Alaska che avevo sempre visto in casa, fin da piccola. Avevo appena appeso l’ultimo dipinto, una betulla, quando vidi che Jamie mi stava chiamando. Gli avevo lasciato un messaggio.
“Che vuoi?” disse quando risposi al telefono.
“Io, ecco, avrei la possibilità di lavorare sabato e mi chiedevo se tu non potessi tenere Mia un po’ di più, che ne dici?”
“Quanto di più?” La teneva per qualche ora il sabato e la domenica, fatta eccezione per l’ultimo weekend del mese.
“È piuttosto fuori città,” dissi. “Il lavoro è molto lungo, quindi tutto il tempo che puoi.”
Per qualche secondo Jamie non replicò. Lo sentii respirare a fondo. Probabilmente stava fumando una sigaretta. Ultimamente gli avevo chiesto spesso di tenere Mia più a lungo, nel tentativo di lavorare il più possibile prima che terminasse la stagione.
“No,” rispose infine.
“Perché? Jamie, te lo chiedo per poter lavorare.”
“Non voglio darti una mano,” sbottò. “Mi porti via tutti i soldi, me la dai sempre senza i pannolini. Devo prepararle la cena. Quindi no.” Continuai a parlare, cercando di fargli cambiare idea.
“NO!” urlò di nuovo. “NON TI AIUTO NEMMENO PER UN CAZZO!” E riagganciò.
Sentii il cuore aumentare i battiti, irregolari, martellanti, come accadeva dopo questo genere di conversazioni con Jamie e che finivano sempre con le sue urla. Questa volta mi sembrò che il petto si restringesse, rendendomi difficile perfino respirare. Beatrice, la mia terapeuta al programma contro la violenza domestica, mi aveva detto che in questi casi dovevo respirare dentro a un sacchetto di carta. Chiusi gli occhi e inspirai con il naso contando fino a cinque, per poi espirare dalla bocca per lo stesso tempo. Lo feci per un paio di volte prima di aprire gli occhi e vedere che Mia, di fronte a me, mi osservava. “Cosssa tai facendo?” mi chiese, la voce alterata dai dentini che stringevano il ciuccio.
“Sto bene,” dissi, chinandomi per prenderla in braccio, e piegando le dita ad artiglio. Il mostro del solletico. Ruggii e Mia squittì di gioia, correndo attorno al tavolo della cucina, inseguita da me. La raggiunsi al divano, facendole il solletico tanto che il ciuccio le cadde per il gran ridere. Allora la circondai con le braccia, la presi e abbracciai il suo corpicino, sentendo il suo calore, odorando la sua pelle.
Lei si divincolò. “No, mamma!” rise. “Ancora, ancora!”
Corse in camera sua, con me alle calcagna, senza che nessuno ci urlasse contro o battesse da sotto con la scopa.