7. L’ultimo lavoro sulla Terra
Dopo un mese, la promessa di Jenny di darmi più lavoro non era stata mantenuta. Non so per quale ragione, sembrava che non le piacessi. Forse non ero abbastanza loquace, non mi interessava sapere chi era uscito con chi. Forse la mia irritabilità per gli orari irregolari, che rendevano impossibile programmare e pianificare i costi per l’asilo di Mia, era troppo evidente, o forse ero semplicemente troppo scontrosa.
Eppure, accettavo da Jenny tutti i lavori che potevo, passando sopra alle sue scarse capacità gestionali. Angela era diventata così inaffidabile che Jenny cominciò a mandare a me i messaggi, la sera, per dirmi quali case pulire. Io ambivo a un orario normale, soprattutto dopo che l’originale previsione di Jenny di darmi venti ore alla settimana si era abbassata a dieci o anche meno, a seconda che Angela si presentasse o no al lavoro. Ma sembrava che questo non fosse un problema. Non potevo lamentarmi di essere rimasta seduta davanti alla casa di Angela per quindici minuti, una mattina, aspettando che si vestisse, arrivando in ritardo al lavoro. Jenny considerava le lamentele come il rifiuto di far parte della squadra. Quando Angela si vantò di essere felice di essere pagata in nero, in modo da poter ottenere più soldi dai programmi assistenziali, le nocche delle mani, già strette sul volante, mi diventarono bianche. Mi seccava che si sentisse così tranquilla. Avevo quasi l’impressione che dovessimo prenderci cura una dell’altra, ma io ero più preoccupata per Mia e per quello che mi aspettava.
Nel frattempo, Travis considerava il mio lavoro una specie di club della lettura, qualcosa che mi impediva di fare le cose davvero importanti in casa o alla fattoria. Mi facevo in quattro per occuparmi di Mia e al tempo stesso tenere la casa pulita, e mi arrabbiavo ogni volta che Travis mi guardava, aspettandosi che io andassi a dare la biada ai cavalli. Più la mia vita a casa come “moglie del fattore” si faceva agitata, più mi sentivo incerta e insicura sulla continuazione del nostro soggiorno a casa di Travis. La mia capacità di lavorare, di guadagnare, era la sola rete di sicurezza nel caso in cui il terreno ci franasse di nuovo sotto i piedi. E Jenny non stava offrendo abbastanza per sostenerci, decisamente no.
Classic Clean, un’impresa di pulizie autorizzata e che forniva assicurazione ai dipendenti, pubblicava spessissimo annunci sulla stampa locale. “Cercasi addetti alle pulizie!”, scrivevano in grassetto. Avevo sempre pensato di propormi, se il lavoro con Jenny non avesse funzionato. Ora era arrivato il momento di farlo.
“Ciao. Sei Stephanie, giusto?” disse la donna che aprì la porta. “Hai trovato la strada senza problemi? So che può essere un po’ complicato, con tutti questi edifici.”
Cercai di sorridere con cordialità, anche se avevo litigato fino alle lacrime con Travis, che era entrato in cucina portando fango dappertutto. “Le tue indicazioni erano perfette,” risposi, e la signora parve compiaciuta.
“Sono Lonnie,” disse, porgendomi la mano. “Gestisco il personale di Classic Clean.”
Le strinsi la mano e le diedi il mio curriculum. Lonnie parve sorpresa, come se non ne avesse visti poi molti in vita sua.
“Oh, bene, molto bene,” disse, con aria soddisfatta. Era come l’ultimo lavoro sulla Terra. I soldi che sarei riuscita a guadagnare mi avrebbero tenuto alla larga dai rifugi per senzatetto. Ero nervosa, arrabbiata con me stessa per essere finita in quella situazione. Orari regolari e un lavoro vero e proprio sarebbero stati il mio biglietto per l’indipendenza, e in pratica per la nostra sopravvivenza. Il mio futuro dipendeva dal riuscire a ottenerlo.
Lonnie indicò con un cenno del capo una scrivania sul retro dell’ufficio rettangolare, ricavato in uno di due grandi fabbricati. Al telefono mi aveva spiegato che l’impresa era gestita da un ufficio in un immobile di Pam, la proprietaria. “Siediti e comincia a compilare il modulo. Abbiamo anche bisogno che tu accetti che verifichiamo la tua fedina penale, sei d’accordo?”
Annuii e feci quello che mi veniva chiesto. Dopo un po’, Lonnie venne a sedersi accanto a me. “Probabilmente dal mio accento capisci che vengo da Jersey City,” esordì. Era vero. Sembrava la sorella minore di Rocky Balboa. Lonnie era bassa e tozza, i capelli neri e ricci tagliati più corti davanti e più lunghi dietro, un po’ gonfi: il genere di persona che vuoi avere dalla tua parte. Era diretta e pragmatica, parlava veloce, interrompendosi per darmi il tempo di capire bene quello che diceva, alzando le sopracciglia per sentire il mio “okay” prima di continuare.
“Ecco i nostri orari,” disse, indicando una bacheca dietro alla sua scrivania, così grande che le serviva una scaletta per raggiungere la parte superiore. “I nomi dei diversi clienti vengono scritti sulla targhetta laminata, e ruotano nelle settimane A, B, C e D. Come puoi vedere dalle frecce, attualmente ci troviamo nella settimana C. Alcuni clienti sono mensili, altri settimanali, ma la maggior parte sono due volte al mese. A ogni addetta è attribuito un tondino colorato, così sappiamo chi è seguito da ciascuna di voi.” Si interruppe per guardarmi. Io le sedevo accanto, con le mani intrecciate davanti a me. “Capisci quello che sto dicendo?” chiese Lonnie, e io annuii. “Quindi, se il controllo della tua fedina penale va per il verso giusto, non che io ne dubiti, ma a volte saresti sorpresa da quello che scopriamo…” Ridacchiò tra sé e sé. “Ma comunque, una volta fatto, allora entrerai nel gruppo, avrai il tuo materiale per le pulizie, l’aspirapolvere e delle magliette. Cosa sei, una small o una medium? Probabilmente meglio non una small. È bene avere un po’ di agio per respirare. Credo che abbiamo delle medium. Ci sono domande?”
Ne avevo molte, ma tutto quello che volevo sapere – quanto avrei guadagnato o quante ore avrei fatto o se offrivano un’assicurazione sanitaria o un permesso per malattia – sembrava non avere importanza. Tutto ciò che contava era che la persona che stavo per sostituire era un tondino giallo, il che significava che tutti i tondini gialli sulla bacheca adesso corrispondevano a me, il che voleva dire che avrei lavorato un mercoledì, giovedì e venerdì sì e uno no e una volta al mese di lunedì.
Lonnie indicò un poster affisso sul muro che diceva “8,55 dollari all’ora”, ossia l’attuale compenso minimo nello Stato di Washington. “Dobbiamo cominciare da lì mentre sei in fase di addestramento,” disse. “Ma in seguito sale a 9.” Significava 18.720 dollari all’anno, se arrivavo a lavorare a tempo pieno, cosa impossibile. La politica della ditta vietava che si lavorasse più di sei ore al giorno. Un aumento di orario e le donne delle pulizie avrebbero rischiato di farsi male per la stanchezza, disse Lonnie. Inoltre non sarei stata pagata per il tempo necessario agli spostamenti. Jenny aveva incluso nella mia paga le ore che passavo in auto da una casa all’altra, dandomi ogni giorno un extra di uno o due dollari. Con il nuovo lavoro, a volte avrei passato fino a due ore non pagate per andare da una casa all’altra, poi avrei dovuto lavare gli stracci da me, con il mio detersivo, insieme alle magliette di Classic Clean, nere con un uccellino rosso ricamato accanto al nome della ditta.
A Lonnie sembrava non interessare che me ne stessi lì a studiare il calendario, mentre lei continuava a spiegare il loro sistema. Molte case richiedevano due o tre ore di pulizie. Alcune avevano bisogno di quattro ore. Altre di sei. Per ogni casa che mi sarebbe stata assegnata c’era un foglio stampato, con i dettagli relativi alle diverse stanze, le istruzioni su come pulirle, e quanto tempo dovrebbero richiedere. Me ne porse uno. Per la maggior parte delle stanze c’erano delle note per avvertire le donne delle pulizie che c’era una mattonella traballante, che dovevano spolverare in punti che venivano spesso trascurati, dove trovare le lenzuola pulite se il cliente aveva scordato di lasciarle in vista. Tutto quello che ci si aspettava da me, ma anche quello che non mi dovevo aspettare, era meticolosamente precisato, nero su bianco. Non c’erano riunioni a tarda sera, incarichi che arrivavano via SMS. Se volevo, potevo programmare le cose in anticipo, sapendo che di lì a tre mesi il secondo mercoledì del mese avrei cambiato le lenzuola in una certa casa prima di guidare per cinque chilometri fino alla seguente. Non mi ero resa conto di quanto mi mancasse questa stabilità, questa prevedibilità; stavo quasi per abbracciare Lonnie. Dovetti ricacciare le lacrime che stavano per sgorgarmi dagli occhi.
Il giorno dopo Lonnie mi chiamò. Avevo appena terminato di pulire una casa con Angela ed ero seduta in auto, impaziente, mentre lei finiva il suo lavoro, e cercavo di ignorare la reale possibilità che si stesse impadronendo di qualcosa che non era suo.
“Tutto a posto,” disse Lonnie. “Sapevo che sarebbe stato così, ma dobbiamo controllare queste cose.”
“Oh, lo so,” risposi e avrei tanto voluto poterle dire quanto mi rendesse felice vedere che lo facevano.
“Hai modo di venire questo pomeriggio a prendere delle cose?” chiese. “Pam, la proprietaria, non c’è, ma posso metterti tutto io a disposizione, pronta a cominciare. Poi forse possiamo passare a casa mia, è qui a pochi passi, e ti faccio un po’ di addestramento pulendo il mio bagno e spolverando in giro.”
Cercai di capire bene quello che aveva detto. Dunque ero assunta. E avrei cominciato a lavorare quel pomeriggio. Avevo un lavoro; un lavoro vero, con una busta paga e un orario regolare. “Sì! Fantastico!” dissi, senza fiato per la sorpresa, quasi gridando. Lonnie rise e mi disse di passare in ufficio dopo mezzogiorno.
Da ragazzina, i sabato mattina erano riservati alle pulizie di fino. La mamma restava in accappatoio fin quando non era tutto a posto. Io mi svegliavo con il profumo di pancake e bacon o salsicce che arrivava fino alla mia stanza, e con la musica del pianoforte di George Winston. Dopo colazione, ciascuno di noi si dedicava al proprio compito, che era stato stabilito e che avevamo accettato, sia pure di mala voglia. A me toccavano i bagni. Per un po’ avevo fatto soltanto quello che condividevo con mio fratello, ma ero così brava e la mamma mi riempiva talmente di lodi che chiesi di occuparmi anche di quello padronale. La mamma si vantava con le amiche di come pulivo bene la vasca da bagno, e io mi sentivo gonfia d’orgoglio, fiera di me.
Le apparenze erano sempre state importanti, per mia madre. “Te li sporcheresti subito,” diceva di tutti gli indumenti bianchi che mi piacevano. Da piccola non avevo il permesso di smaltarmi le unghie perché diceva che le bambine con lo smalto sbeccato avevano un aspetto dozzinale. Un sabato sera ero a casa dei nonni, avevo circa cinque o sei anni, e guardai la nonna che si smaltava le unghie di mani e piedi di un bel rosa, prima di passare a dipingere anche le mie, anche se le avevo detto che la mamma si sarebbe infuriata. In chiesa, la mattina seguente, tutte le volte che dovevamo congiungere le mani per pregare, piegavo le dita in dentro per nasconderle.
L’approccio di Classic Clean alle case dei clienti era molto diverso da quello di Jenny. Sarei diventata un fantasma anonimo, comparendo alle nove del mattino o prima dell’una, a seconda degli orari del cliente e se volesse essere trovato a casa oppure no, ma non dopo. Era raro che si lavorasse dopo le tre e mezza. “Capisci, orari da mamma,” aveva spiegato Lonnie. “Quando i bambini sono a scuola.” Dovevo pulire la casa in un modo specifico, esattamente allo stesso modo e nello stesso tempo della persona che mi aveva preceduto, per evitare che si notassero delle differenze tra una e l’altra di noi. Dovevo essere precisa e avere l’occhio lungo. Le superfici dei fornelli dovevano essere perfettamente lucidate, i cuscini sprimacciati ogni volta, e la carta igienica ripiegata a triangolo esattamente allo stesso modo, sempre.
Il mio primo test di addestramento fu pulire la cucina e il bagno padronale nelle case di Lonnie e Pam, e non avevo nessun dubbio di superarlo a pieni voti. Erano case carine, a due piani, immerse nel verde. Decisamente non grandi, ma nemmeno piccole. Seguii la Kia Sportage di Lonnie fino a casa sua con la mia nuova scorta di materiale per le pulizie, meticolosamente catalogato e registrato sulla mia scheda di dipendente. Due flaconi spray, un contenitore di Comet in polvere, due spugne, un paio di guanti gialli, cinquanta stracci bianchi, due piumini per la polvere, un aspirapolvere Oreck, due manici per il mocio, e così via. Lonnie mi raccomandò di utilizzare soltanto i prodotti che mi erano stati consegnati, e di tornare in ufficio per i ricambi quando ne avevo bisogno. Chiacchierammo per un po’ mentre lei individuava tutto il materiale che mi serviva per iniziare, e io le dissi che quel giorno dovevo portare Mia da suo padre per il weekend.
“Oh, già,” commentò Lonnie. “So come vanno queste cose, credimi, lo so.” Mi spiegò che quando si era risposata sua figlia aveva dieci anni. “E Pam sai, anche lei ci è passata. In effetti, ha avviato la ditta da mamma single. Scommetto che tu e lei avrete molto di cui parlare.” Anche Jenny era stata una mamma single. Mi chiedevo se fosse normale per le donne delle pulizie essere madri in difficoltà, prese tra i lavori domestici a casa e la ricerca di un impiego che assicurasse una paga decente. Il lavoro sembrava nient’altro che l’ultima spiaggia.
Lonnie mi fece chiamare l’ufficio dal telefono di casa sua per timbrare ufficialmente il cartellino. “Salve,” dissi quando terminò il messaggio della segreteria e dopo il segnale acustico. “Sono Stephanie Land e sto iniziando a casa di Lonnie,” e riagganciai.
“No!” esclamò Lonnie con un tale vigore da farmi sobbalzare. “Devi dire il giorno e l’ora!” Poi parve correggersi immediatamente. “Cioè, quando si ascolta il messaggio vengono precisate comunque data e ora. Ma devi farlo ogni volta che inizi e termini, e sempre dal loro telefono fisso, così si vede il numero. È solo un modo per tenere la situazione sotto controllo.” Annuii, sorpresa. Me l’aveva già detto prima, consegnandomi il raccoglitore con le note su tutti i clienti ai quali ero stata assegnata, ma con tutte quelle informazioni me l’ero scordato. Le cose da sapere erano così tante che avevo la sensazione che dovesse ripeterle di continuo anche a se stessa.
Lonnie mi condusse al suo bagno oltre il corridoio dalla minuscola cucina. “Dunque, a proposito di questo bagno, devi prestare particolare attenzione ai ripiani e alla parete dietro al lavandino.” Lonnie spiegò che usava molta lacca per capelli, come era evidente dalle due bombolette di Aqua Net disposte appaiate su uno specchio. “Tutto il resto qui è abbastanza standard, vedi, c’è il water e la vasca e la doccia.” Mi diede un colpetto di incoraggiamento sulla spalla. “Fai del tuo meglio e vieni a chiamarmi dopo, così controllo il lavoro.”
Anni prima di restare incinta di Mia, avevo fatto richiesta nella succursale cittadina dell’impresa di pulizie Merry Maid, alla ricerca disperata di qualcosa di diverso dal servire in un caffè. Avevo trascorso il primo giorno in ufficio a guardare quattro video di addestramento; una bionda con una polo verde bosco ben infilata nei pantaloni kaki sorrideva indossando delle ginocchiere mentre una melliflua voce femminile diceva: “E come si puliscono i pavimenti? Esatto. A quattro zampe”. Ero rabbrividita all’idea, ma parte del video di addestramento si era rivelata estremamente utile: ogni spazio, ogni stanza, ogni pavimento era completato da una specie di mappa a griglia. Merry Maid istruiva le sue addette a lavorare seguendo una direzione: da sinistra a destra, da sopra a sotto. Da allora in poi, ogni volta che pulivo qualcosa non riuscivo a togliermi dalla mente quel video: iniziavo dall’angolo superiore a sinistra, avanzavo verso destra e verso il basso, fino a completare il lavoro.
Quasi istintivamente, feci lo stesso nel bagno di Lonnie, cominciando direttamente a sinistra della porta, dall’angolo in alto a sinistra dello specchio, e procedendo da lì. Ogni spruzzo che non finiva esattamente sullo specchio andava comunque su una superficie da pulire. Inoltre con quel metodo era difficile trascurare delle zone. Il lavoro di una donna delle pulizie consiste, in fin dei conti, nel passare su ogni centimetro quadrato della superficie di una casa. Dato che certe case hanno quattro stanze da letto, due bagni padronali, due bagni più piccoli, cucina, sala da pranzo, soggiorno e salotto, è facile sentirsi sopraffatti dalla quantità di centimetri, e da come accertarsi che siano tutti puliti.
Quando dissi a Lonnie che avevo terminato il bagno, lei arricciò le labbra, preparandosi a ispezionare il lavoro. Pochi secondi dopo essere entrata in bagno, gridò: “Stephanie!”.
Corsi da lei. Mettendosi davanti allo specchio, si chinò fino a terra, si rialzò rapidamente, si chinò di nuovo e mi chiese di fare lo stesso. Con il dito indicò le macchie sullo specchio che avevo trascurato e che si potevano vedere soltanto guardando dal basso in alto. Poi passò la mano sul ripiano. “Devi rifare tutto da capo,” disse, scuotendo il capo. “Inumidisci le macchie di lacca sul ripiano e sulla parete.”
Feci tanto d’occhi. Avevo scordato la parete.
Mi fece passare la mano sul ripiano, per sentire la superficie appiccicosa, dicendomi di fare lo stesso su tutto il bagno. In effetti la pellicola di lacca era ovunque, persino dietro al water, altro punto che avevo trascurato.
“Però la vasca e la doccia sono perfetti,” disse, dandomi un altro colpetto sulle spalle prima di lasciarmi lavorare.
Lì in quel bagno, da sola, fissai la mia immagine allo specchio, pensando alla mamma che si vantava con le amiche. “Stephanie sì che sa come far splendere una vasca,” diceva. Ora il mio riflesso mostrava una persona umiliata, ingobbita, che aveva voglia di scappare, altro che pulire il water di un’altra donna che intanto stava in un’altra stanza a sfogliare un catalogo, e che mi aveva anche ordinato di rifare tutto da capo.
Proprio quando all’orizzonte sembrò apparire un numero decente di ore di lavoro, Jenny mi licenziò. Con un SMS, ovviamente, inviato alle otto di sera, dopo che avevo rifiutato una casa che mi aveva destinato per il giorno seguente. Dovevo pulire un’altra casa per Classic Clean, cosa che lei sapeva e aveva scordato, ma che comunque usò contro di me.
“Ho preso questo cliente soltanto per te, perché avevi detto di aver bisogno di più ore,” scrisse. “Così non funziona. Ho bisogno di una persona capace di lavorare in squadra.”
Non mi giustificai, sapendo che Lonnie sarebbe stata lieta di avermi tutta per sé. La paga a Classic Clean era più bassa, ma era compensata da una struttura organizzata ed efficiente. Per il momento, almeno. Doveva essere così. Erano tutto ciò che avevamo.