6. Nicolò Carosio La voce della fantasia

Nicolò Carosio, la senti la sua voce? Il personaggio ha raccontato alla radio gli azzurri del calcio in diretta dal 1934 al 1970, è diventato popolarissimo, primo grande e se si vuole anche ultimo radiocronista sportivo: poi dilagò la televisione, che lo impiegò ma mise in evidenza suoi errori e incertezze, togliendo forza dogmatica alle sue informazioni «parlate», senza immagini. Carosio, che ha pure introdotto espressioni nuove, su tutte il leggendario «quasi rete!», sta comunque nella Storia, e sta anche nelle piccole storie, come quella per la quale lui avrebbe dato in diretta, al Mundial 1970, del «negraccio» ad un guardalinee etiope, così propiziando il proprio pensionamento (formale, non era mai stato assunto in Rai, era funzionario della Shell del petrolio) a favore di Nando Martellini. Ci sono, ad assolverlo o comunque a dimensionare il suo sfogo, ricostruzioni e ricerche assolutorie, anche se gli archivi sommari e tecnicamente approssimativi di allora hanno lacune grosse. Ma io metto Carosio in questa mia galleria di personaggi per due ragioni molto ma molto mie.

Carosio, nato a Palermo da padre milanese e mamma inglese (pianista), mi ha condizionato assai, e ha pure fatto qualcosa di importante sul piano della valutazione del tipo di articolo da dedicare alla partita di pallone.

Carosio uno. Mio padre mi faceva seguire le partite di calcio, da lui raccontate in diretta alla radio, su un grande foglio da disegno sul quale erano tracciati i contorni del campo di gioco ed erano pure scritti i ventidue nomi dei giocatori, ognuno sistemato in quella che grossomodo doveva essere la sua zona di operazioni. Un tappo a corona, quelli delle birre, era la palla, ed io col dito lo spostavo sul foglio seguendo la voce di Carosio. Era un Austria-Italia a Vienna, 9 novembre 1947, 5-1 per gli austriaci che al 30’ stavano sull’1-0, palla a Mazzola il mio capitan Valentino del Grande Torino, Carosio lo annunciò impegnato in un duello stretto con Ocwirk, grande austriaco che avrebbe poi giocato in Italia, rimpalli e rincorse e dribbling, rete! Esultai per Mazzola, Carosio disse. «Ha segnato Ocwirk, Austria-Italia 2-0». Cominciai da allora a dubitare di lui, della Voce, e feci progressi nella mia religione del primato della stampa scritta. Da giornalista poi conobbi Carosio, cordiale, ironico, simpatico.

Carosio due. Lui collaborava a «Tuttosport», ci fu uno Spagna-Italia 3-1, 13 marzo 1960, a Barcellona, io lavoravo in redazione a tempo pieno, finalmente assunto. Carosio doveva scriverci la cronaca, le linee telefoniche erano un disastro, alla fine lo stenografo principe consegnò comunque qualche foglio dove faticosamente, con le frasi di Carosio, aveva messo giù la partita.

Carosio scriveva tanto male quanto parlava bene. Ma era una firma forte assai, era spesato dalla Rai e «Tuttosport» lo aveva preferito a un qualche suo inviato per la cronaca. Ghirelli era il direttore, mi chiamò nel suo ufficio: «Hai sentito la radiocronaca della partita?». Dissi di sì, Ghirelli fece una pallottola dei fogli dello stenografo, la gettò nel cestino: «Questo è l’articolo di Carosio, illeggibile. Carosio diventi tu, adesso. Prendi le notizie dai dispacci di agenzia e scrivimi la partita». Eseguii, si capisce. Consegnai a Ghirelli il dattiloscritto con l’articolo, che uscì a firma di Carosio. Qualche tempo dopo il «Guerin Sportivo» tornò sulla partita, citò qualcosa e qualcuno, scrisse di «Carosio doppiato da Ormezzano». Su quella pubblicazione il radiocronista era ospite fisso di una vignetta in cui suggeva whisky (in una radiotrasmissione aveva concluso così: «Abbiamo preso tanto freddo, ora andiamo a prendere un buon whiskaccio») ed emetteva sentenze sballate, insieme con Nereo Rocco il grande allenatore, dedito però alla fruizione di buon vino. Credo che nessuno capì qualcosa di quella allusione, neanche lui, il «doppiato».

Mi rilessi l’articolo firmato Carosio su Italia-Spagna una volta uscito sul giornale, errore grave che un giornalista non dovrebbe mai commettere. Feci la terribile scoperta. Avevo dimenticato – emozione? – semplicemente due gol degli spagnoli, nella mia cronaca la partita finiva 1-1, anche se mai era detto esplicitamente. Avevo fatto sbagliare, eccome, il celebre Carosio. Per una settimana attesi la tempesta, ero angosciato, temevo la fine di una carriera mai cominciata, poi presi forza, andai da Ghirelli: «Direttore, ho la prova che non si legge più la cronaca delle partite». Gli riferii del mio errore e di come nessuno se ne fosse accorto, né in redazione né fra i lettori, né Carosio né Ghirelli. Il quale Ghirelli mi disse che ero un delinquente, però da allora le cronache furono ridotte, si fece più spazio ai commenti.