11. Antonio Ghirelli Il grande giocoliere

Alba del 1960, grande soddisfazione personale imperniata sulla tristezza per la morte di un mio idolo sportivo. Dunque: pomeriggio del primo gennaio, arriva in redazione la notizia che Fausto Coppi, rientrato da poco da un safari nell’allora Alto Volta ora Burkina Faso, è stato ricoverato all’ospedale di Tortona, febbre altissima e nausea. Io sono l’ultima ruota del carro di carta, non ancora giornalista vero e quindi neppure invitato all’appetitissimo veglione di fine anno detto appunto dei giornalisti, allo storico teatro Carignano di Torino. I colleghi hanno fatto mattino e sbadigliando parlano con entusiasmo e già nostalgia di balli e cotillon. Questo Coppi ne ha sempre una, non è che anche stavolta ci fa scomodare per quasi niente? Possibile, ma ci vuole uno che vada a Tortona. Tutti guardano me, sono l’unico a non sbadigliare. Dico che non ho l’auto, non esiste auto di redazione, si convoca l’autista personale della famiglia del proprietario, è libero, mi porterà lui. Viaggio avventuroso, mica ci sono le autostrade di adesso, tanto ghiaccio, un’uscita di strada appunto agghiacciante.

Tortona, l’ospedale, la raccolta delle notizie, la visita «rubata» al capezzale di Coppi che sta davvero male. Subito il primo pezzo. Lavoro tutta la notte a tante edizioni. Male tropicale, si dice (ma si saprà poi di semplice malaria). Coppi muore mezz’ora dopo che abbiamo finito di fare a «Tuttosport» l’ultima edizione straordinaria. È la mattina del 2, di nuovo al lavoro. Copro anche il funerale, soltanto un ritorno lampo a Torino per cambio di biancheria.

Il giornale ha sparato i miei servizi, quello con l’annuncio della morte porta come titolo una mia frase nel testo – «È morto da superuomo» – che si riferisce alla lotta rabbiosa del Campionissimo per non lasciare questo mondo, fra ansimi e ruggiti. Il direttore Ghirelli mi aspetta con una lettera diciamo ufficiale: complimenti, ringraziamenti, evviva, promessa fra le righe di prossimi importanti servizi, ma anche queste righe: «Ti ricordo però che gli ultimi superuomini, i nazisti, sono stati fatti fuori dai carri armati del generale Patton». Aveva fatto lui il titolo, ottimo per vendere il giornale, ma mi ammoniva a usarlo solo in casi appunto estremi.

Pochi giorni dopo Ghirelli stava parlando al telefono con il capo dell’ufficio stampa del Coni, da Roma gli sollecitavano il nome del suo giornalista che avrebbe coperto i Giochi olimpici invernali di Squaw Valley in programma il mese dopo, io passavo per caso davanti alla sua stanza, la porta era aperta, Ghirelli mi vide e disse: «Decido adesso. Mando Ormezzano». Mai fatto prima un servizio di sci, ed eccomi alla prima delle mie ventiquattro Olimpiadi. Sliding doors è in pratica un film sulla mia fortuna.

Ghirelli era tornado, fulmine, lampo, tuono, bora, uragano. Non si conosceva allora la parola tsunami. Aveva anche suscettibilità da patrizio borbonico: gli succedetti quattordici anni dopo alla direzione e presto mi fece notare che non gli davo più del lei. Credo di non riuscire a concepire un giornalista più vivo e vivido, più vasto di interessi, più ricco di cultura spostabile subito nella pratica, capace di folgorazioni che erano tali per noi in redazione ma anche per i lettori e per la concorrenza. E giocoliere, grande giocoliere. Helenio Herrera allenava l’Inter, era detto Mago e vinceva, se non vinceva accusava la jella. Un giorno davvero sfortunato per il Mago, Ghirelli titolò a nove colonne in prima: MALAGUEÑA PER HERRERA. Pensava forse a guigne, jella in francese, forse a ghigna, jella in piemontese. A chi gli fece notare che malagueña significava in spagnolo donna di Malaga, come da celebre canzone, disse che nessun lettore avrebbe capito l’errore.

Ghirelli scriveva commedie, curava i testi di trasmissioni televisive e radiofoniche, collaborava a giornali extrasportivi, era molto presente anche fisicamente in televisione. Tornato a Roma, andò a dirigere il «Corriere dello Sport», ma lo aspettavano anche testate politiche come «Il Globo» e «Il Mondo», e poi la direzione del Tg2, e poi la guida degli uffici stampa del primo ministro Craxi e del presidente della Repubblica Pertini, da cui Ghirelli, ex comunista passato al socialismo, si staccò dolorosamente, dopo alterchi forti fra persone oneste.

Era legato a Gino Palumbo, salernitano ma nato giornalista come lui, si consultavano in continuazione, io andavo spesso a Napoli e trovavo al «Mattino» una specie di famiglia, tutti ideali figli di Gino e cugini di Antonio, che chiamavamo Totò. Trattando il calcio Ghirelli giocava, in sintonia con l’amico, a fare l’offensivista pirotecnico meridionale contro Brera il rigoroso difensivista padano. Conosceva mezzo mondo ma mica ti aiutava con una provvida telefonata per un’intervista difficile. Pativa il giusto Torino austera e chiusa e anche diffidente, ma subito si era fatto una bella nicchia di amici, sodali, estimatori, discepoli. Non pativa troppo gli Agnelli. L’editore di «Tuttosport», Massimo Piantelli, che con moglie e suocero proprietari aveva avuto l’intuizione di chiamarlo alla direzione, da semplice collaboratore sulla piazza romana che era, grazie a Ghirelli si trasformò da sorvegliante impietoso delle spese a partecipante di entusiasmi giornalistici, e pazienza se per iniziative un po’ costose. Panza era l’opposto di Ghirelli. In comune i due avevano soltanto la matrice comunista. Panza sapeva di calcio molto più di Ghirelli che lo accettava e magari ogni tanto lo subiva, per il bene del giornale. Per me una palestra straordinaria, un divertimento continuo, con due grandi differenti maestri.

Antonio Ghirelli appartiene al giornalismo sportivo dell’erotismo, cioè lo studio dello sport amato, però sport visto da lui come fenomeno sociale e non, alla Brera, come gesto atletico elaborato da un campionario di razze. In pochi mesi Ghirelli incise eccome non solo su «Tuttosport», ma su tutta la stampa sportiva italiana, che conobbe nuovi orizzonti e voglia di andare oltre, avanti, lontano, di proiettare lo sport sulla società che intanto si interessava sempre più dello sport. Lui chiamò a «Tuttosport» collaboratori per articoli che erano vampate di novità, pescando anche fra gli intellettuali, chiamò in redazione Vladimiro Caminiti stacanovista di alta qualità, accolse due straordinari ragazzi di Cuneo, Pier Cesare Baretti e Gianni Romeo, che lo avevano allagato di lettere. In sede stavano sempre Guido Ferrero Gola e Mario Cagliero, ottima gente di cucina o gente di ottima cucina, superivisionati da Silvio Ottolenghi, poi anche vicedirettore, che però Ghirelli aveva voluto lanciare nel ciclismo.

Sicuramente esagero perché scrivo di casa e di cosa mia, ma il quotidiano torinese segnalò tanto nuovo giornalismo sportivo a un po’ tutti, e abbondanti furono infatti i prelievi dei suoi ragazzi della redazione torinese, alcuni per rapide brillanti carriere altrove e «contro».