18. Aldo Biscardi Il traviato

Ai suoi inizi televisivi il programma Scherzi a parte mi aveva proposto di beffare Aldo Biscardi con un intervento concordato. Io, suo figlio e Maurizio Mosca dovevamo prendere parte ad una sorta di edizione speciale televisiva di omaggio, in occasione del compleanno del conduttore del celebre Processo. I nostri interventi, opportunamente registrati, sarebbero stati messi in onda dallo stesso figlio di Aldo, nostro complice, sul televisore del genitore, come se si trattasse di una vera e propria trasmissione di una qualche emittente. Nell’omaggio Maurizio lo ringraziava per avergli additato le vie maestre dello straparlare televisivo, io mi scusavo per avere abbandonato in diretta la sua trasmissione (primato italiano «di abbandono», anno 1981 se ricordo bene), seccato dal fatto che nello studio di Torino, dove io stavo, non avevo avuto per quasi un’ora la linea per intervenire nel bla-bla-bla di Milano.

Nello scherzo, mai andato in onda, facevamo il dovuto elogio della sua inventiva, del suo istrionismo positivo, del suo uso disinvolto della lingua italiana, ci scusavamo, specie io, per qualche manifestazione di critica o irriverenza, e gli formulavamo i migliori auguri per tanti bei Processi, se possibile in un italiano sempre meglio sciacquato in Arno.

Dal giorno del mio abbandono della puntata del Processo, pronunciando una frase scocciatissima di cui mi pento ancora (usai anche la parola «minchiate», assolutamente estranea al mio lessico abituale), non ho mai più partecipato a quella trasmissione, ma devo dire che Aldo Biscardi sportivamente mi ha fatto cercare per riavermi, in questo evidentemente più generoso lui verso di me che io verso di lui.

Io avevo vissuto l’alba del Processo, quando si chiamava «del lunedì». Lo aveva inventato Enrico Ameri, che borbottò per tutta la vita su questo primato toltogli dal «rosso comunista», come lui, fascista, chiamava Biscardi. Da Torino ero ospite quasi fisso, spesso con una redattrice milanese, inviata speciale nella mia città, che si chiamava Emanuela Falcetti, destinata a grossa carriera alla radio. Ma proprio mentre saliva l’audience di Biscardi, io capivo che quello non era il mio mondo, anzi che non avrebbe dovuto essere il mondo dello sport, anzi che avrei dovuto combatterlo.

Direi che nel settore «pornografia» del giornalismo sportivo italiano – cioè l’esplorazione e l’evidenziazione massima dell’amore, con fra l’altro il supporto della sempre più sofisticata e intanto grossolanamente invadente tecnologia, su tutto la moviola –, il Processo ha operato con coerenza, discutibile eccome ma sempre coerenza. Io non ho assolutamente niente contro la pornografia, anzi, e persino ne accetto la funzione, in molti casi provvida. Detesto però quando pretende con i suoi tentacoli di afferrare anche lo sport, che amo come un padre ama il figlio. Se in una trasmissione ravviso questo scopo, reagisco. Magari da incoerente, ma reagisco.

Biscardi è arrivato troppo presto, con l’aiuto di quella strega chiamata Audience, al di sopra del bene e del male. Voglio dire che embrionalmente il suo Processo poteva anche contenere le caratteristiche di un doveroso atto di accusa, sia pure attraverso il finto scoop o nel migliore dei casi lo scoop con maquillage, e se necessario il pettegolezzo forte e volgare, poteva anche diventare la Grande Inquisizione dello sport, e pazienza per l’umiliazione del congiuntivo e la pronuncia dialettale non solo sua, ma di un po’ tutti, a cominciare dalla mia grevemente piemontese. Ma forse è stato il successo stesso a vietare una, come dire, mobilitazione e nobilitazione del programma in senso didascalico, se non anche didattico, e a dirottarlo invece nel pecoreccio. Se devo fare un rimprovero a Biscardi, che nella stampa scritta fu (a «Paese Sera») giornalista esemplare, bravo assai, è proprio quello che si scaglia sull’inventore quando l’invenzione lo esalta, lo fa delirare e finisce per sfuggirgli di mano. All’apprendista stregone quando vuole diventare mago massimo. Con un’attenuante: quanti, al posto suo, sarebbero riusciti a gestire il successo a vantaggio dello sport e non dell’audience? Nessuno, temo. Specialmente in tempi di tecnologia nel pieno divenire, con offerte sempre più stuzzicanti e pruriginose di esplorazione, di rappresentazione intima dell’azione, del gesto. Come è avvenuto nel settore dei film pornografici.

A questo punto il ragionamento si trova davanti a una biforcazione. Accettare e addirittura ringraziare il Processo di Biscardi per come ha comunque avvicinato gente al mondo dello sport, pur riservando sempre le presenze forti nella trasmissione a personaggi folkloristici, senza cercare agganci fuori (come ad esempio ha fatto invece Fabio Fazio con Quelli che il calcio…), oppure criticarlo e deprecarlo per l’immagine becera che la trasmissione ha spesso fornito non solo del football, ma anche del giornalismo calcistico e sportivo?

Va da sé che io sono per la seconda ipotesi, ma intanto devo riconoscere ad Aldo Biscardi una vis popolare o meglio popolaresca notevole. Demagogia, faciloneria, uso spregiudicato del comodo pongo calcistico tutto, ma anche grande classe nell’esagerare, enfatizzare, pasticciare. Nel fare pornogrfia quasi sempre di buon livello. Penosi quasi tutti i suoi epigoni, patetici intanto che gaglioffi quasi tutti i tentativi di imitazione. Confinato poi in una piccola emittente, senza avere tirato su veri allievi, Biscardi è diventato – invecchiando – facile preda di chi magari non lo ha mai criticato ma lo ha sempre invidiato, e ha gufato per il suo declino. Io trovo, molto semplicemente, che uno come lui fosse necessario: una specie di cura, persino violenta, volgare, nei riguardi delle belle maniere, dei timori reverenziali, delle paure. Un vaccino, per generare anticorpi. Proprio come la pornografia serve in sede terapeutica, per vaccinarci, per aiutarci a superare certi tabù. Poi, chiaro, si deve fare il massimo per passare o tornare all’erotismo, inteso come studio dell’amore, e se possibile anche all’amore tout court.

Se Biscardi legge queste righe, magari si inventa al volo una trasmissione ad hoc. In fondo lui è un Funari del calcio. Però spero che non pensi di rifilarci un nuovo tipo di Processo, con tutto quanto di processuale il calcio è, vive, stravive già di suo. Il calcio che addirittura implode di processi, recitati con la lingua forbita dei rampolli di casa Agnelli (Andrea è presidente della Juventus) o con l’esilarante lombardo-laziale degli ultimi eletti, nel senso di votati, per le alte cariche, cioè Tavecchio presidente federale e Lotito presidente laziale e suo acchiappaconsensi e consigliere. Se penso a cosa Biscardi è riuscito a fare con il presidente dell’Ascoli, quel Costantino Rozzi che rappresentava soltanto un piccolo club ma che al lunedì sera agitava problemi e suscitava simpatie, con saggezza e acutezza quasi contadine, posso intuire il potenziale suo e della sua trasmissione con personaggi decisamente più importanti. Aiuto.