19. Maurizio Mosca Il clown bombarolo

Suo papà, il grande Giovanni dello storico giornale umoristico «Candido», mio amico nel meraviglioso ciclismo viaggiato di Giro e Tour, mio Virgilio nei bordelli danteschi di Parigi e specialmente (mai saputo il perché, se c’era un perché) di Bordeaux che grazie a lui smise per me di essere esclusivamente un vino, mi aveva telefonato: «Uno dei miei figli, Maurizio, comincia a fare il giornalista inviato alle gare dei ciclisti, la “Gazzetta” lo manda ad una corsa a tappe che si intitola al “Midi Libre”, un giornale del sud della Francia. Me lo raccomandi al tuo collega di “Tuttosport” che sicuramente spedirete al seguito di quella corsa? Ha bisogno di essere svezzato».

Maurizio non aveva bisogno di nessuna tutela. Era un vero giornalista, ancorché più bravo nella «cucina» del giornale (la redazione, la tipografia, i posti insomma dove creare le pagine) che nei servizi scritti: cosa questa saputa da pochi e mai da lui reclamizzata. Comunque si ritagliò, da caporedattore generico e generale del giornale, la rubrica del pugilato, molto felicemente sua. Fu licenziato, alla faccia di ogni articolo 18 e anche 18.000, quando usò i «ritagli» inediti di un colloquio/dialogo/intervista che il grande calciatore brasiliano Zico aveva tenuto nella redazione della «Gazzetta dello Sport», con i lettori che telefonavano per porre domande, ricavandone un articolo speciale sullo stesso Zico, il quale si adontò e gli rinfacciò il presunto abuso in una seguitissima diretta televisiva. Me lo ritrovai a Milano dove la mia seconda figlia Maria studiava violino al Conservatorio: per racimolare soldini partecipava su una tv privata a Forza Italia (Berlusconi non c’era ancora), trasmissione povera ma bella con Zenga portiere dell’Inter, con la sua compagna bellissima Roberta Termali, e con un giovane imitatore promettente che si chiamava Fabio Fazio. La mia Maria faceva la valletta di Maurizio che strologava sul calciomercato dettandole, perché le scrivesse su una lavagnona, cifre miliardarie per calciatori anche guitti. Si divertiva, lei che non sapeva niente ma proprio niente di calcio, di fronte alla serietà di Maurizio intento a sfornare quotazioni sempre pazzesche, riguardanti atleti che una settimana erano delle divinità, la settimana dopo erano carne da mercatino, frattaglie utili per qualche conguaglio, qualche piatto povero del mercato. Si andava poi insieme a mangiare una pizza, di solito offrivo io che ero un giornalista con stipendio abbastanza grasso, e che venivo da Torino apposta per fare il papà generoso. Maurizio raccontava le sue prodezze, i suoi problemi specialmente con i pugili, troppo seri e grevi per comprendere lo spirito delle sue domande, delle sue interviste, dei suoi articoli. Di come lo cercavano irati per dirgliene due, quando non riuscivano a capire quello che lui scriveva e ancora di più quando riuscivano a capirlo.

Maurizio aveva fatto in fretta a diventare uno completamente posseduto dalla televisione anzi dalle televisioni nazionali o paesane: andava dovunque c’erano una telecamera e uno studio, rimbalzava tra Rai a Fininvest (poi Mediaset) e Tele Roccacannuncia, girava l’Italia trasportato da un tassista suo amico che aveva lasciato il lavoro spicciolo per dedicarsi a lui. Si è consumato in fretta, correndo da un’emittente all’altra, usando il suo famoso pendolino magico e fasullo per anticipare il futuro del calciomercato, sparando notizie vere e no, facendo scoppiare le sue celebri bombe, che erano poi una specie di clamorosa, rumorosa compravendita di calciatori. Calciatori e solo calciatori. Scordàti del tutto i suoi pugili e i nostri ciclisti.

Lo hanno detto gran buffone, c’è stato un colossale equivoco, forse non sempre in buona fede. Lui era pioniere, esploratore, dissodatore. Aveva capito prima di tanti il potere incipiente del bla-bla-bla televisivo e cercava di dargli dignità di scoop, o almeno di pseudo scoop, di notizia credibile per l’incredibile mondo calcistico. Credibile proprio perché incredibile, in un calcio che si stava velocissimamente trasformando, per passare al grottesco che purtroppo fa rima con popolaresco. Ogni tanto Maurizio mi telefonava chiedendomi consigli, facendomi invecchiare perché mi trattava come se fossi il suo papà, già scomparso. Mi preannunciava una bomba e mi chiedeva: «Sto esagerando?». Gli dicevo di sì, ma sapevo che non serviva a nulla: sicuramente gli apparivo un po’ trombone. Anzi, sapevo che non doveva servire a nulla. Maurizio con il suo frenetico andare per emittenti guadagnava bene e poteva così pagare il tanto che ci voleva per lenire il tramonto fisico di sua mamma, che conoscevo, una donna attivissima inchiodata dal male. Maurizio che non aveva fidanzate (non era gay, non credo proprio, semplicemente se ne fregava delle donne), lavorava per lei, per darle serenità almeno materiale offrendole le migliori cure possibili. Così mi diceva, gli credevo e gli credo. In fondo, pur di guadagnare soldi per il suo scopo, rischiava di dequalificarsi. Era assai più commovente che gaglioffo. Trovava pure il tempo di allenare una squadretta di giovanissimi calciatori. Quando una emorragia lo colpì, suo fratello Paolo mi annunciò il grosso pericolo che correva la sua vita. Maurizio fece ancora in tempo a telefonarmi per sottopormi una sua «bomba». Gli dissi che esagerava, mi disse che mi faceva il regalo straordinario di rinunciarvi, dato che coinvolgeva malamente un calciatore del mio beneamatissimo Torino.

Morì una settimana dopo. Non ho più visto Paolo, non ho conosciuto Antonello e Benedetto gli altri fratelli, so che la moglie di papà Giovanni, grande umorista ma anche tenero giornalista, era morta con tutta l’assistenza possibile. Penso a cosa Maurizio Mosca sarebbe diventato se avesse seguito la strada di un giornalismo «normale». Un rifinito, definitivo, storico grande giornalista, probabilmente, e non un banditore di notizie urlate in nome del sensazionalismo.

Si può dire che Maurizio Mosca ha inventato un genere? Forse sì, ma proprio inventandolo lo ha fortemente connotato, lo ha legato completamente a sé stesso: e siccome non è nato un altro come lui, che molto semplicemente è stato un fuoriclasse, ciao Mosca e ciao genere. I suoi imitatori (davvero troppo definirli epigoni, meno che mai eredi o successori) sono apparsi subito guitti penosi, e per fortuna hanno smesso presto di cercare di «rifarlo». Maurizio è stato un paradosso costante ed esplicito, un permanente strizzare l’occhio, un cacciaballe che mai ha pensato di praticare un giornalismo greve e sentenzioso, ma che lo stesso calcio, nel suo divenire folle, ha finito per subire, accettare, studiare, frequentare, considerare (non mai temere), persino amare. E ha finito addirittura per credergli. Lui faceva di tutto per non essere preso troppo sul serio, per avvertire che si trattava di un suo gioco sul gioco (del pallone), ma era così bravo nel sorridersi addosso che molti (milioni di bipedi dell’immenso Bar Sport) credevano che fosse compiaciuto e soddisfatto di sapere e potere partecipare segreti.

Ho visto Maurizio in azione da vicino, così come al circo da vicino ho visto i clown. Dai clown ho ricevuto, insieme con i lazzi divertenti, lampi di espressioni tristi, desolate. Maurizio sorrideva anche, intanto che faceva sorridere.