21. Candido Cannavò Il cacciatore

Il mio amico concorrente rivale collega compagno Candido Cannavò, siciliano con moglie torinese a formare coppia milanesissima, quando era giornalista della «Sicilia» di Catania andava ai Giochi olimpici per il suo quotidiano. Talora in posti lontani e costosi da raggiungere e da legare telefonicamente, lui unico inviato per coprire tutta la vastissima manifestazione, con acrobazie e dislocazioni alla padre Pio visto che non era tipo da ficcarsi davanti agli schermi televisivi per ricavare quel tutto che era eguale al tutto di tutti. Con «La Gazzetta dello Sport» aveva un rapporto, anzi contrattualmente un rapportino, di corrispondente per i fatti sportivi della sua città, e sulla base di questa collaborazione ne innestava una, provvisoria ma intensissima, dal posto appunto dei Giochi. Candido in altre parole si impegnava con la «rosea» a coprire specialmente quegli eventi definiti minori, sempre però facenti parte del programma olimpico, che il pur numeroso gruppo di inviati spediti da Milano non arrivava ad artigliare, anche perché non inseriti nelle previsioni di successi o quanto meno di valide prove degli italiani. La «Gazzetta» gli pubblicava tutto, pagandolo poco, proprio cioè da corrispondente un tanto a riga, ma in cambio trasmetteva gratuitamente alla «Sicilia» tutto quanto Cannavò le inviava. La firma di Cannavò saliva nella considerazione milanese e il suo lavoro stacanovista veniva sempre più apprezzato dai catanesi.

Un filotto di organizzazioni olimpiche in posti lontani del mondo, dunque posti di spese telefoniche per la trasmissione degli articoli allora altissime, fece dunque sì che Cannavò rifornisse il suo giornale di tanti pezzi a costo zero (lui aveva già uno stipendio), acquisendo benemerenze siciliane. Stava a lui ovviamente valorizzare questa sua produzione: e per la «Gazzetta» e per la «Sicilia». E allora Candido faceva alcune cose: 1) sceglieva bene, con la sua competenza coltivata in continuazione, quegli sport che a priori non venivano considerati come pascolo per la rappresentativa italiana, ma che lui sapeva frequentabili con successo da questo o quell’azzurro sin lì sconosciuto ai più; 2) quando appunto l’azzurro si affermava, e comunque le sue gare erano belle e appassionanti, lui scriveva e scriveva, e poteva accadere, anzi spesso accadeva, che il suo articolo su uno sport poco noto ma su una bella sorpresa italiana in quello sport fosse gradito e valorizzato, a Milano come a Catania; 3) grande cacciatore e pescatore di uomini ed eventi, Candido così raccoglieva spazio e consenso fra i lettori, e alla fine era assai presente, nello stesso giornale con tanti articoli, su tanti sport che proprio l’evento olimpico improvvisamente (ma non per lui) gonfiava e imponeva all’attenzione: 4) la sua conoscenza dello sport faceva sì che lui potesse redigere, per i suoi catanesi, anche l’articolone generale obbligatorio, il «punto», sui Giochi, quello scrivibile stando davanti ai televisori, a illustrare eventi e gesta e personaggi che la gente, quando apriva il giornale, comunque aveva già conosciuto e frequentato.

Fu questa la chiave, tanto semplice quanto faticosa da usare, tanto facile da capire quanto difficile da inventare, per essere preso in grande considerazione alla «rosea», dove venne chiamato, nel 1983, a sostituire alla direzione Gino Palumbo, con molto coraggio da parte dell’editore e su probabilissima forte designazione del suo predecessore ed estimatore, che cominciava ad avvertire problemi di salute. Direttore rimase per quasi vent’anni, poi fu collaboratore sino a che non lo spense un ictus, proprio nei locali del giornale.

Il grande Candido (buffo il nome, ma lui lo portava con disinvoltura e nobiltà davvero volterriane) in sostanza ha riassunto nella sua esperienza la figura del cantore innamorato, dell’erotista attento e del pornografo obbligato e però soprattutto curioso. È un complimentone, e mi spiego. Amava lo sport e gli dava tutto sé stesso dal punto di vista della qualità giornalistica e dell’impegno. Non era un grande scrittore ma lo sapeva, e questa era la sua forza: comunque scriveva con chiarezza e con competenza, rispettando il diritto del lettore di capire. Cantore nel senso che si dava tutto, e al massimo, alla melodia del mestiere del lavoro. Erotista perché questo suo amore innato coltivava, studiava, pigmentava di informazioni ed anche di attualità sportiva affrontata nelle sue sfaccettature persino scientifiche. Non amava – non riamato – Brera soverchiante e antimeridionalista, ma lo stimava, pur sapendo che la sua sicilianità spesso conclamata non era apprezzata dal Gran Lombardo.

Pornografo o pornografico perché? Perché ha supportato con tutte le tecnologie umane e meccaniche del nostro mestiere, con tutte le disponibilità anche economiche che la «rosea» gli offriva e che all’interno o all’esterno del giornalismo lui scovava e ingrandiva, la diffusione dello sport. Ha propiziato il fare all’amore dello sport con l’opinione pubblica, nel nome dello spettacolo come della prestazione, del linguaggio popolare da assecondare, però curandolo con grammatica e sintassi, come del dovere deontologico di dare alla gente quello che la gente voleva, onestamente. Salvato sempre, quando c’era il rischio di eccedere, di svaccare (mi pare verbo adatto a certe trappole che ci insidiano) dalla sua dignità personale nel dna, dalla sua esperienza sempre alimentata. Insomma il suo esercizio della pornografia era di qualità. Poco pettegolezzo, niente pecoreccio se non a scopo meramente illustrativo, se proprio era necessario. Come se Federico Fellini avesse girato un film con Rocco Siffredi. Sono convinto che riuscirei a spiegare bene tutto questo a Cannavò anzi al mio amico Candido, che mi riteneva pazzerellone ma mi sapeva innamorato dello sport quanto lui.

Candido era amato dai suoi redattori, Candido si faceva tante tappe del Giro d’Italia e tanti giorni dell’Olimpiade da direttore in visita pastorale ai suoi forzati del lavoro itinerante, ma non per comandare anche in loco, bensì perché gli eventi lo attiravano e lui si ricordava il sé stesso che giovanissimo faceva carte false e sottoscriveva cambiali vere di impegno per coprire lo sport massimo, in chiave catanese.

In finale di vita lavorativa aveva individuato tre categorie di assolutamente non eletti da seguire, e non solo con articoli e libri ma con tanta presenza diretta e tante iniziative personali: i carcerati, i disabili e i barboni. Era diventato grande amico di don Luigi Ciotti. Mi portava persino a pensare a cosa avrebbe potuto fare, quanto a diversificazione e intanto ampliamento del giornalismo sportivo, se non avesse dovuto fare il direttore di quella cosa sempre più grande e grossa che diventava, proprio sotto la sua guida, «La Gazzetta dello Sport». Ogni tanto, e anche nel suo giornale, trovavo qualcuno che obiettava sul suo quasi non parlare le lingue e sul suo patire troppo la cultura altrui: ma mi pare che quanto al primo punto lui se la sia sbrigata sempre e comunque, quanto al secondo sapeva cogliere il giusto, il buono di un collega anche se gli poneva problemi di gerarchia culturale. Era anomalo, e non perché siciliano a Milano, come si ostinava a dire qualcuno, ma perché severo e preciso ed efficiente direttore nonostante i fasti, eccitanti e rilassanti insieme, del boom suo e del nostro mondo tutto. Lo vidi ridere per l’ultima volta quando mi raccontò che lui d’estate, nel mare di Sestri Levante dove aveva una casetta, si tuffava molto dall’alto «a chiodo», di piedi, come da ragazzino a Catania. E però si teneva il naso chiuso con le dita, problema anche estetico che da piccolo non aveva. Insieme ricordammo quel giorno in cui, ad una importante conferenza stampa dopo un successo dei nostri due grandi tuffatori, Dibiasi e Cagnotto, un giornalista americano ci chiese quanti praticanti avevamo in Italia, per esprimere quei due talenti. Candido mi passò la palla perché rispondessi, io dissi: «Due». «Due milioni?», mi chiese l’americano. «No, due e basta, questi due».

Quei due che alla loro prima grossa epifania sulle scene sportive avevano avuto l’onore di essere stati individuati e «trattati» da Cannavò prima che da altri, Cannavò giovane cacciatore di prede speciali trascurate da altri.