22. Gianni Clerici & Rino Tommasi Coppia Davis
Io non sostengo adesso, qui, per il fatto di essere stato a lungo ospite fisso, che la trasmissione serale del lunedì sera in pura diretta intitolata Fair Play – condotta da Gianni Clerici e Rino Tommasi, in perfetto tandem, su una rete privata che tutti sapevano di proprietà effettiva ancorché mascherata di un emergentissimo Silvio Berlusconi – abbia rappresentato il miglior esempio di trasposizione e divulgazione in video dei valori veri della stampa sportiva scritta. Al contrario: io ho accettato di essere a lungo ospite fisso perché convinto che quella teletrasmissione significasse il connubio ideale fra i due generi di informazione, quello via carta e quello via etere, senza ricerca dell’audience con ogni mezzo. Il tutto in elegantissimo italiano ad alto tasso culturale Clerici, in perfetto italiano ad alto tasso tecnico-statistico Tommasi. E fosse intanto utile, saggia, preziosa, sana pornografia quanto a uso delle persone e dei mezzi. Due grandi attori, un comprimario (io), e il fare all’amore con lo sport, però in maniera se del caso sfacciata, decisa, esplicita e al contempo terapeutica: pornografia, appunto, a scopo didattico e didascalico.
Quei due, noti al grosso pubblico come compari favolosi specialmente nelle grandi dirette da Wimbledon, tennis, mi hanno permesso di prendere parte ad una sperimentazione avanzata, splendida, irripetibile. Quei due: ex tennisti, Clerici era più forte, Tommasi aveva nel portafoglio il ritaglio di uno dei primi miei articoli su «Tuttosport», 1955, in cui gli predicevo, dopo averlo visto all’opera nei campionati italiani universitari, un futuro in Coppa Davis, inaugurando la serie delle mie previsioni comicamente sbagliate. Clerici intrigato anche dallo sci, al punto che una mattina, alla Marcialonga come giornalista, affittò un paio di legni da fondo e si fece lui pure, papale papale, la supermaratona nostrana delle nevi; Tommasi sempre legato ad un sé stesso «a monte», organizzatore di incontri di boxe, altro suo grande amore. Io arrivavo negli studi di Cologno Monzese in auto da Torino, dove la sera/notte del lunedì e l’alba del martedì erano occupate dalla seduta-fiume settimanale del consiglio comunale cittadino di cui facevo parte: due ore di trasmissione in perigliosa diretta e il ritorno in tempo per votare o no quello che sin lì era stato discusso da gente molto più capace di me.
Due ricordi speciali. Uno: quando alla fine di una puntata mi accorsi del gelo con cui quei due amici mi circondavano. Il fatto è che io nelle intenzioni di Rino e Gianni dovevo ad un certo punto chiedere se avevano quel tale documento per provare le loro accuse a Paolo Galgani, storico presidente federale del tennis, loro nemicissimo e presente in trasmissione, e zacchete il documento usciva fuori. Col dettaglio che Gianni credeva che mi avesse erudito Rino, Rino che mi avesse erudito Gianni, io non ne sapevo niente e niente dissi, ai loro occhi e alle loro orecchie passando per bieco complice della federazione: sino a che tutto fu chiarito, ed ottenni anche le scuse. Due: il giorno in cui quel signore importante, che si muoveva negli studi come se fosse il padrone (e lo era), mi chiese di raccontargli in anticipo la barzelletta con cui io chiudevo di solito la trasmissione, verso mezzanotte. Gliela raccontai, lui sentenziò che era troppo «pesante», mi chiese di sostituirla con una battutina asettica che mi smistò e che però non faceva ridere, in diretta raccontai la storiella mia, splendida, tutti i presenti risero e applaudirono, a tutti annunciai in diretta l’imminente licenziamento, perché quel signore era Berlusconi.
Pe dire di Rino. Un giorno gli chiesi come faceva ad andare ancora a Wimbledon, non era stufo?, lui con una bella età, lui alle prese con problemini di salute, lui che aveva dato e dato e dato a questo sport e alla televisione, lui che per andare negli Usa a coprire grandi match di boxe prendeva il Concorde e non ne poteva già più. In uno splendido empito di sincerità mi disse: «Sai, io sono uno di quei giornalisti che pensano che l’evento non cominci se loro non sono presenti». Proprio come i cantori innamorati che avevo fatto in tempo a frequentare.
Per dire di Gianni. Un giorno gli comunicai che i suoi romanzi erano belli assai, compresi quelli in cui non parlava di tennis, compreso quello in cui faceva giocare a basket una squadra di scimmioni, e mi disse grazie ma io conosco uno che scrive un articolo e intanto parla al telefono e intanto risponde a gesti ad un collega, quest’uno sei tu e qualche volta ti invidio mentre scrivo lentamente le mie cose, poesie comprese.
Per dire di Rino. Qualche volta l’ho sfruculiato per sapere se anche sul calcio (è veronese, tifa Hellas da Roma) aveva statistiche come per la boxe e per il tennis, mi annichilì di scienza pallonara (sua) in pochi minuti, lo supplicai di fermarsi, e qui dico soltanto che un suo studio sul fattore campo nel football è favoloso e dimostra quanto siamo beceri con le nostre storie di tifo calcistico che diventa bolgia e intimidazione.
Per dire di Gianni. Anno 1988, Seul, in Corea del Sud nei giorni dei Giochi olimpici, vado nella via degli acquisti sensazionali di indumenti per pochi soldi, tutte imitazioni, un tipo con camicia a fiori, vestito come uno statunitense in vacanza, mi sente parlare italiano con un amico, in angloitaliano mi chiede se per caso sono giornalista e se per caso conosco Gianni Clerici, rispondo di sì e aggiungo anche Rino Tommasi, lui mi abbraccia, mi dice che sono due grandi amici suoi e due grandi personaggi, mi indica dove comprare camicie splendide a pochi dollari l’una, mi faccio anche convincere ad acquistare uno smoking supereconomico che non metterò mai, si chiama Bud Collins ed è forse il massimo giornalista di tennis di tutti i tempi.
Questi due, cosa sono? Cantori per come amano lo sport, il loro sport e non solo? Erotisti per come lo conoscono e lo spiegano bene, sui giornali e in televisione, dopo averlo praticato o comunque studiato? Pornografi per come mi hanno fatto godere in certe loro teletrasmissioni, e anche a Fair Play? Due amici e basta, e cosa c’è di più? Amicizia praticata poco, ma sentita molto. Gianni adesso si è acquartierato, sul lacustre comasco, in Engadina per vivere tranquillo alla svizzera, Rino sta a Roma e ho amici comuni che mi relazionano su di lui, su tutti Cino Marchese grande organizzatore di tennis, Foro Italico e altro, grande esperto di professionismo sportivo, McCormack e altro, e piemontese praticante. Tre-giornalisti-tre che si sono pure, penso, stimati, e io, ultimo dei tre, che mi sento in debito con loro due.
Ricordo ancora di Rino una difesa della boxe per i demagoghi cretini che ripartono per abolirla quando c’è un morto da ring («Si dovrebbe anche fare il conto onesto dei giovani che la boxe, inquadrandoli nelle palestre e nella competizione, ha salvato da morte per risse da miseria nelle strade e altro del genere»), mentre rimpiango di non avere collezionato le splendide abbondanti battute umoristiche di Gianni, che seguì anche un paio di Giri d’Italia, irrorandomi di allegria intelligente. I due sono antichi come me, non ne nascono più così, e anche qui le domande inquietanti: Se nascessero, cosa farebbero, cosa ne faremmo?