25. Quelli che la radio e la tv

Premesso che se dovessi scegliere l’uomo ideale per parlare di sport in televisione e radio farei un nome non molto conosciuto, privo di esperienza per le dirette talora affannate e furibonde (magari farei il suo nome proprio per questo), e direi Luciano Minerva, che sa del nostro mondo come pochi altri e che ha lavorato da giornalista a Rai News nella sezione culturale, intanto scrivendo libri belli di sport, sia tecnici – i rapporti con la tv – sia di fantasia – la storia romanzata del polpo Paul che faceva i pronostici sui mondiali di calcio. Premesso anche che se dovessi schierare un espertone di archivio accanto al giornalista radiotelevisivo farei il nome di Luciano Boccaccini, che pochi conoscono anche se è stato lo speaker alle partenze di un Giro d’Italia, ma che dalla sua Comacchio è riuscito a sapere tutto del nostro mondo di carta ed etere, così da mandarmi appunti e memorie e critiche e suggerimenti preziosi. Premesso questo e ricacciatemi dentro altre premesse velleitarie, cerco di rintracciare e partecipare una linea, un’ideologia nel gran daffare di radiocronisti e telecronisti che ho frequentato.

Potrei fare tanti nomi, spaziare dai quasidivi (loro malgrado, sia chiaro) della televisione tipo i Nando Martellini e i Bruno Pizzul, colleghi validi assai nonché amici freschi e perciò non facilmente storicizzabili, ai tuttidivi di 90° Minuto, dal sublime Tonino Carino da Ascoli in su o in giù (a seconda del punto di vista, di partenza). Dai desaparecidos dopo una fama repente ai marmorizzati nelle sempre eguali trasmissioni, dagli adpeti del luogo comune agli innovatori ad ogni costo, ultimamente anche dagli uomini alle donne. Con costante omaggio ai tecnici di atletica, di nuoto, di sci, per me rappresentati tutti al meglio dal colto Sandro Fioravanti: vado dal ciclonico Marco Mazzocchi pila umana e figlio d’arte capace però di addirittura inventare un neotelegiornalismo d’assalto umanissimo e intanto molto speciale, molto suo e però sempre ben motivato, anche nelle irruenze salutari, al pacato Jacopo Volpi, al cui padre dissi che il rampollo non era tagliato per fare il giornalista (pensavo stampa scritta, sono stato scusato). Spaziando, rimbalzando da quelli che dimentico e che magari me ne sono grati (potrei trattarli male) a quelli che dimentico e perciò mi considerano giudice incompetente e dunque mi odiano o, peggio, mi ignorano. E però segnalando ancora una mia lacuna di giudizio per mia colpevole imperfezione di dati e di attenzione: dico di Italo Cucci, bolognese, esperienze anche di direzione di quotidiano e settimanale, «Corriere dello Sport» e «Guerin Sportivo», e però alla fine gli sta cucito stretto addosso l’abito soprattutto di opinionista televisivo Rai dedito decisamente al calcio. Italo ha un eloquio formidabile e simpatico, conosce lo sport, è abbastanza umile quando si tratta di imparare un personaggio, una situazione, e abbastanza spinto, audace quando si tratta di tranciare. Sa apparire ironico quando lo penseresti irato, e viceversa. Fa bene tante cose al 99%, lo sogno al 101%, ma non so bene di cosa.

Di Carosio e Ameri & Ciotti, di Zavoli e De Zan, mostri epocali, ho detto a parte. Qui voglio soltanto limitarmi al genere, o ai generi. Cominciando col partecipare una mia sensazione: che tutti dico tutti i miei colleghi di radio e televisione, pubblica e privata, siano stati come spiazzati dalla facilità, dalla disponibilità, dal senso di potere offerto dal mezzo tecnico. Il discorso riguarda specialmente la televisione, visto che la radio esiste da tanto tempo. Però la stessa radio, quando è arrivata la tv, ha capito di potersi e anzi doversi espandere con parole diverse, con aperture assortite, insomma di non essere obbligata a rimanere dentro i confini fissatile da Marconi e suoi primi dimostratori.

Resto alla televisione, più giusto e intanto più facile. Non è stato creato un sistema di approccio, uno stile, un tipo di parlata. Da Carosio, che ai primi vagiti delle telecamere rispondeva raccontando la partita come se lavorasse per la radio, ai suoi epigoni che hanno spesso parlato come se noi, telespettatori addirittura in regola col canone, non potessimo vedere niente, ho avvertito sempre dei vuoti. E l’invito di Nicolò Carosio-Rai prima, di Fabio Caressa-Sky poi (un salto in lungo, un salto in avanti neanche troppo impegnativo, e valicando anche Mediaset) a prendere rispettivamente, nell’intervallo della partita, un whisky anzi un whiskaccio e un tè caldo, mi hanno procurato, anche senza ingurgitare nulla, un senso di disagio, come quando ci si ficca in pancia un medicinale a stomaco vuoto. Non ho avuto fornitura di punti di vista e di valutazione speciali nel corso dell’evento, e a quel punto avrei sempre preferito, ad accompagnare le immagini, una semplice enunciazione di persone e di fatti essenziali, mentre sul resto me lo vedevo e me lo gestivo io. Meglio le trasmissioni di ciclismo datato ma sempre appassionato che quelle, algide, di certe gare olimpiche sollecitanti attenzioni speciali una tantum, meglio anche quelle di Formula 1 con la loro irta ma esauriente grafica informatrice, in certi casi persino analgesica nei riguardi della noia di circuiti senza sorpassi e della vana sadica attesa di incidenti. Sempre facendo la tara al nazionalismo tifoideo, che purtroppo esiste anche in un paese non nazione come l’Italia.

Non so francamente se all’estero siano state trovate ricette per sposare bene la televisione dilagante allo sport sempre più estremizzantesi. Conosco bene le emissioni francesi, niente di speciale, penose quelle sul calcio, fra sciovinismo e incompetenza. Mi divertono e basta quelle in spagnolo o portoghese, troppo barocche e troppo urlate.

Che comunque nulla di definitivo, di storico sia stato impiantato nel giornalismo radiotelevisivo è provato dal panico che ha preso tanti colleghi pur validi di fronte a internet – panico ormai epocale a cui auguro di sfuggire a Carlo Paris, ultimo direttore della redazione sportiva, e ai suoi. Siamo tutti sotto blob. Avete presente la scena della gente che scappa dal cinema invaso da quella specie di lava nera? Per noi adesso il blob è il lucore debole, grigiastro di internet. E la mia sensazione è che la nostra sepoltura non sarà neanche a colori.