Autoritratto
Sono nato il 17 settembre 1935 a Torino e da quel giorno tifo per il Toro: ho visto tutte le partite giocate nel dopoguerra dal Grande Torino nella mia città. Mai dottore di niente, molti esami vani alla facoltà di Giurisprudenza (meno quattro dalla laurea), conquista perfetta del francese, goffa però efficace e ampia dell’inglese e gaglioffa però sicura dello spagnolo, ma – anche e soprattutto e troppo – lavoro&lavoro&lavoro dai diciassette agli ottant’anni.
Sono giornalista sportivo dal 1953, abusivo per anni sette a «Tuttosport», di cui poi sono diventato redattore molto ordinario e faticatore straordinario, caposervizio (del ciclismo e dello sport olimpico) e direttore, guadagnando poco, viaggiando molto, scrivendo moltissimo, prima di passare alla «Stampa» come inviato speciale alle dipendenze della direzione, dizione tanto solenne quanto vaga. Trasversalmente ho tenuto la rubrica diciamo sportiva di «Famiglia Cristiana» dal 1960 all’alba del 2014 e del «Giornalino» per quasi tutta la seconda metà del secolo anzi del millennio scorso.
In sequenza ho scritto soprattutto di nuoto, basket, ciclismo (ventotto Giri d’Italia, quindici Tour de France, un amore, un incubo), atletica, Formula 1. Granata sin nel midollo, sono diventato giornalista anche di calcio (sette mondiali) proprio mentre la Juventus vinceva tutto. Ho creato i libri autobiografici di Boniperti e Sívori (e anche di Enzo Ferrari, ma in segreto), ho scritto tutto il mensile «Hurrà Juventus» per anni, mercenario ma anche infiltrato, firmandomi Boniperti, Trapattoni, Cabrini, nonché Platini (un amico, conosciuto in Francia ben prima che calasse qui).
Quando i Giochi invernali ed estivi si disputavano nello stesso anno, mi beccavo in quei dodici mesi anche trecento giorni lontano dalla mia Torino sempre più amata. Da inviato speciale ho girato a spese d’altri tutto il mondo esclusa l’Antartide, e infatti ho scritto di tutti gli sport escluso il polo. Sono stato una trentina di volte in Messico e mai in Romania, assai più a Tokyo e Los Angeles che a Milano e Venezia. Nel 1966 ho fatto sedici giorni in Cina con identità francese (non c’erano rapporti diplomatici con l’Italia, ma a quel tempo io ero molto parigino). Temo di essere il primatista mondiale di Giochi olimpici come giornalista: ventiquattro fra estivi e invernali, roba da Guinness, ma anche roba foriera di rimbecillimento. Calcolando per difetto, ho premuto per centocinquanta milioni di volte i tasti della macchina da scrivere meccanica, poi di quella elettrica, poi di quella elettronica, poi del per me tragico ostico computer. Sono andato anche sulla Luna, nel senso che ho scritto da Cape Canaveral e Houston, nel 1969, di Apollo 11 e dei piedi di Neil Armstrong sul satellite.
Ho praticato tantissimi sport, volendo conoscerli «dentro» per scriverne meglio. Oltre al nuoto e alla maratona, partitelle scolastiche e anche più di basket e volley, corse campestri, due campionatini di calcio assai minore, garette di sci (cento metri soli di ciclismo agonistico: prima curva con caduta e clavicola rotta). E pure un bel rally automobilistico di Montecarlo come copilota. Ho due figlie, un figlio, otto nipoti, nessuno è sportivo davvero praticante. Ho scritto troppi libri: venduti assai bene quelli con le storie del ciclismo, del calcio e dell’atletica, poche copie degli altri, ovviamente più belli. Massimo exploit sportivo, etico, giornalistico, umano: avere lasciato in diretta televisiva, seccato dalle cretinate che lo pervadevano, il celebre Processo di Aldo Biscardi. Tanti ma tanti anni fa. Mie fortune speciali: non essere nato donna afghana a Kabul e uomo juventino a Torino.
Tutto questo nella prima vita, e pavidamente ometto i crimini commessi andando non troppo ma neanche troppo poco in televisione. La mia seconda vita è cominciata da quando mi sono messo a scribacchiare per il teatro. Ho recitato Bartali partigiano ignoto, io coppiano assoluto, in un povero Messico caraibico al confine col Belize e il Guatemala, nel mio spagnolo alla veneta, di fronte a indigeni che mi hanno preso per pazzo: e Renzo Sicco di Assemblea Teatro ne ha tirato fuori uno spettacolo di successo. Ho scritto una cosa che io giudico bellissima su donne «storiche» per lo sport, le mie Campionissimissime, otto monologhi presi sul serio in tanti teatri d’Italia. Per i miei prossimi ottant’anni so già cosa fare.