NOTA AL TESTO E AL COMMENTO

Il testo

In assenza di autografi e di copie sorvegliate dall’autore, il testo critico dell’Inamoramento de Orlando stabilito da Antonia Tissoni Benvenuti e Cristina Montagnani per la collana ricciardiana “Storia e testi” ha riconsegnato al romanzo una veste linguistica presumibilmente più vicina a quella originale; sono state infatti scelte come testimoni base le antiche stampe (Venezia, Piero de’ Piasi, 19 febbraio 1487 [1486 more veneto] per il primo e il secondo libro, siglata P; Venezia, Giorgio de’ Rusconi, 25 ottobre 1506, per il terzo, siglata R) e non il manoscritto conservato alla Biblioteca Trivulziana di Milano con la segnatura Triv. 1094 (siglato T), che era invece stato privilegiato da Francesco Foffano per la sua edizione del 1906, successivamente impostasi come vulgata del poema. Il codice, piuttosto corretto quanto alla lezione, si caratterizza per un aspetto linguistico meno arcaico e, pur conservando tratti municipali, sembra desideroso di aggiornare il dettato secondo una tendenza toscaneggiante abbastanza marcata. Gli altri testimoni utili alla ricostruzione del testo, e che capiterà di citare nel commento, sono edizioni veneziane: quella per Cristoforo de Pensis de Mandelo, 28.IX.1491 (sigla C), la seconda per Giorgio de’ Rusconi, 15 settembre 1511 (sigla R2), e quella per Nicolò Zoppino datata novembre 1528 (sigla Z). A parte va citata l’edizione per Simone Bevilacqua da Pavia, Venezia, 1495 (sigla Q), che trasmette i canti i-viii del terzo libro: il testimone è lacunoso (sono cadute le carte che contenevano le ottave viii, 2-41) e presenta un testo in parte rimaneggiato (le ottave i, 1-6 e 55-60; vi, 46-51).

I criteri di trascrizione adottati dalla Tissoni Benvenuti e dalla Montagnani si sforzano di documentare quanto più è possibile del testo recuperato e sono improntati a una giustificata conservatività. Tuttavia gli intenti divulgativi di questa edizione suggeriscono qualche concessione alla norma attuale per semplificare il compito a lettori non abituati alle consuetudini grafiche degli incunaboli settentrionali. Non è peraltro facile trovare un giusto equilibrio tra la fedeltà al testo base (e alla lingua remota che esso ripropone) e la volontà di rendere più accessibile quel testo a un pubblico non composto di soli specialisti. Si determina quindi la necessità di un compromesso che, per sua stessa natura, dovrà accettare una dose di incoerenza più abbondante rispetto a quella inevitabile per ogni edizione moderna di testi antichi. La linea, alquanto empirica, che qui si è scelto di seguire ha cercato di intervenire su aspetti solo grafici senza toccare le possibili implicazioni fonetiche dei fenomeni, pur nella piena consapevolezza che la zona di confine tra le due aree è vasta e non ben definita.1

Si è pertanto intervenuti su forme – soprattutto latineggianti – frequenti nel testo, trascrivendo “istante” (instante), “pronto” (prompto), “mostro” (monstro), “iscontrò” (inscontrò), “trasformato” (transformato), “trasparente” (transparente), “riprenda” (riprehenda), “santo” (sancto) e così via. L’uso di h (etimologica e no) è stato ricondotto alla norma attuale: “ora” (hora), “cristiani” (christiani), “tesoro” (thesoro), “catena” (cathena), “Ercule” (Hercule). La grafia ph è stata resa con “f”: “Astolfo” (Astolpho), “Grifone” (Griphone); mph con “nf”: “triunfarano” (triumpharano). Il grafema x è stato reso con “s” in voci quali “destro” (dextro), “estima” (extima), “espedito” (expedito), ma è stato conservato dove fenomeni quali l’alternanza tra consonanti doppie e scempie, la grafia ss per la sibilante sorda in toscano o la perdita dell’elemento palatale nel gruppo -sc- impediscono la sostituzione con una forma graficamente aggiornata e foneticamente sicura (si sono dunque mantenuti coxa ‘coscia’, saxo, exempio…). Il grafema y è stato reso con “i”: “Marfisa” (Marphysa), “ziraffa” (zyraffa), “inclita” (inclyta). Gli isolati aetade, aeternamente e Phoebosilla sono stati trascritti “etade”, “eternamente” e “Febosilla”. Si sono mantenuti i gruppi consonantici latineggianti intervocalici come dv, ct e pt: advengaché (in alternanza con avengaché), adviso (concorrente di aviso in assenza di avviso), facto (in alternanza con fato e fatto), doctor (senza corrispondenti evoluti), adapto (in alternanza con adato), accepta (in alternanza con acetta e aceta). Non si è intervenuti neppure nella variegatissima area dei suoni corrispondenti alle affricate palatali e dentali, sorde e sonore, in fiorentino, che rappresenta – come è noto – uno dei campi in cui più si manifesta il polimorfismo dei volgari settentrionali. Restano quindi oscillazioni quali abraciato/ abrazato, comencia/ comenza, senza/ sancia/ sencia/ santia/ sentia, sticia/ stitia (‘stizza’). L’uso di i è stato ricondotto alla norma attuale: “cielo” (celo), “cinge” (cingie), “dolce” (dolcie), “vergogna” (vergognia). La congiunzione et è stata ridotta a “e”, a “ed” prima di parola che inizi per e. Si è adottata la scrizione unita per forme come “insoma” (in soma), “pertanto” (per tanto), “(a)benché” ([a]ben che), “advengaché” (advenga che),“invano” (in vano),“inver” (in ver ‘verso’), “finché” (fin che), “(da)poiché” ([da]poi che, con valore causale); così anche per i numerali: “quarantamilia” (quaranta milia), “ventemilia” (vente milia). Si è talvolta distinto cielo da Cielo in maniera diversa rispetto al testo Tissoni Benvenuti-Montagnani; l’iniziale di parole quali Barone, Conte, Imperatore, Re, Saracino, Cristiano è stata trascritta con la minuscola, ma, un po’ a malincuore e in omaggio alla consuetudine delle precedenti edizioni boiardesche, si è conservata la maiuscola a ogni capoverso. Per facilitare la lettura del testo si è mantenuto, in linea di massima, il sistema di accenti dell’edizione di riferimento, seppure con qualche variazione: “fe’” ‘fede’; fàto “fato” ‘fatto’; nòte “note” ‘notte’.

Non si dà conto dei luoghi in cui ci si è tacitamente discostati dalla punteggiatura dell’edizione presa a modello senza che perciò il senso fosse modificato. Di seguito si trova invece l’elenco degli interventi meno irrilevanti sul testo Tissoni Benvenuti-Montagnani, indicato tra parentesi, che non sono illustrati nel commento:

I, i, 43, 6: Guardano intorno e già non dormiva (Guardano intorno: e’ già non dormiva);

I, ii, 18, 1: E non aveva lancia il paladin (E’ non aveva lancia il paladin);

I, iii, 48, 7: Per che crudiel, vilano e duro il chiamo (Perché crudiel, vilano e duro il chiamo);

I, v, 80, 5-6: Armato, proprio rasembrava un monte / E tenea in man di fero un grosso fusto (Armato, proprio rasembrava un monte: / E’ tenea in man di fero un grosso fusto);

I, vi, 22, 7: Io de me stesso ti voglio contare / Che sempre ho, la mia vita, in Dio sperato (Io de me stesso ti voglio contare / Che sempre ho la mia vita in Dio sperato);

I, vi, 53, 3: La dipintura è sì rica e pulita (La dipintura è si rica e pulita);

I, xi, 7, 3-5: La grossa lancia sula coscia ha tolta; / E già dal’altra parte è rivoltato / Re Sacripante e vien con furia molta (La grossa lancia sula coscia ha tolta, / E già dal’altra parte è rivoltato; / Re Sacripante, e’ vien con furia molta);

I, xi, 42, 6: Ogni sua forza adoperava invano (Ogni sua forza adoprava in vano);

I, xii, 38, 5: E prese nelo andar sì fato aviso (E’ prese nelo andar sì fato aviso);

I, xiv, 48, 4-5: Fece parlare a quella compagnia / E ciascadun pregando confortava (Fece parlare a quella compagnia: / E’ ciascadun pregando confortava);

I, xvi, 1, 2: L’alta richeza e ’ regni dela terra (L’alta richeza, e regni dela terra);

I, xvi, 12, 6-7: Che di cotal al mondo pochi ne era; / E ben mostrarno il giorno, ala gran prova (Che di cotal al mondo pochi ne era: / E’ ben mostrarno il giorno, ala gran prova);

I, xvi, 34, 4-5: E quel si stete di cadere in forse / E fo per trabuccar distese e chino (E quel si stete di cadere in forse: / E’ fo per trabuccar distese e chino);

I, xvi, 35: E ferì Poliferno nela testa / E tramortito per terra il distese (E ferì Poliferno nela testa; / E’ tramortito per terra il distese);

I, xvii, 27, 8: Tutto il tagliò per megio de il traverso (Tutto il tagliò per megio il traverso);

I, xx, 17, 5-6: Or quivi gionse quel conte animoso: / E vidi e doi giganti innanimati (Hor quivi gionse quel Conte animoso / E’ vidi e doi giganti innanimati);

I, xxix, 8, 4: E ’l giazo nela state al sol acceso (El giazo nela state al sol acceso);

II, iii, 57, 5: Questo è colui che occise Rubicone / E tutti quanti ce farà morire (Questo è colui che occise Rubicone! / E’ tutti quanti ce farà morire);

II, v, 67, 6-7: E al presente vuol passare in Franza, / E prenderli in tre giorni se dà vanto (Et al presente vuol passare in Franza: / E’ prenderli in tre giorni se dà vanto);

II, v, 33, 5-6: A questo dir il ladro era palese, / ché ala note aspetar non fa pensiero (A questo dir, il ladro era palese / che ala nòte aspetar non fa pensiero);

II, vi, 38, 2-3: (Come io vi dico) sopra al mar dissese / E fiè tre schiere de’ soi cavalieri ([Come io vi dico] sopra al mar dissese;/ E’ fiè tre schiere de’ soi cavalieri);

II, viii, 4, 6: Comenciò l’aqua a farsi chiara e pura: (Comenciò l’aqua a farsi chiar e pura:);

II, xii, 9, 3: E poi la note fòr presi nel leto (E’ poi la nòte fòr presi nel leto);

II, xiii, 38, 4-5: E là rimase sol per suo rispeto; / E, sinché ’l gioveneto fo cresciuto, (E là rimase sol per suo rispeto. / E’ sin che ’l gioveneto fo cresciuto,);

II, xiv, 17, 8: Avea ’ Francesi e il duca di Bavera (Avea Francesi e il Duca di Bavera);

II, xx, 49, 5: Per che, essendo ad Angelica acostato (Perché essendo ad Angelica acostato);

II, xxi, 59, 1: E se l’altro, figliol de Anfitrïone (E se l’altro figliol de Amphitrïone);

II, xxiii, 20, 6: Di questa gente, ch’è animosa e fiera, (Di questa gente, che animosa e fiera);

II, xxiii, 34, 8: E’ poi se volta e segue Malgarino (E poi se volta e segue Malgarino);

II, xxiv, 53, 1: Quando fo gionto, e’ vide il re Carlone (Quando fo gionto, e vide il re Carlone);

II, xxv, 8, 7: Né pone indugia e tira un gran roverso (Né pone indugia: e’ tira un gran roverso);

II, xxv, 22, 2-3: Or s’arinova qui l’aspra bataglia / E ’ crudel colpi di taglio e di ponta (Hor s’arinova qui l’aspra bataglia, / E crudel colpi di taglio e di ponta);

II, xxv, 47, 8: Ch’ha dame occise e fanciulini intorno (Ch’a dame occise e fanciulini intorno);

II, xxvii, 14, 4-5: Ché Brandimarte al tutto è disperato / E fa col brando tal distructïone (Ché Brandimarte al tutto è disperato: / E’ fa col brando tal distructïone);

III, i, 44, 8: Se razuffarno insieme in su quel piano. (Se razuffarno insieme in su quel piano);

III, ii, 50, 7: Né stimono el periglio una vil paglia, (Ne stimono el periglio una vil paglia);

III, iii, 59, 2: Ma Morte han più che prima in sula testa (Ma morte han più che prima in sula testa);

III, iv, 46, 4: Chi non poté fugire, ebe la morte (Chi non pòte fugire, ebe la morte);

III, v, 3, 1: E se tornarno con le spade adosso (E’ se tornarno con le spade adosso);

III, v, 48, 7-8: Sopra la testa a lui mena a doe mano / E ben credète di mandarlo al piano (Sopra la testa a lui mena a doe mano: / E’ ben credète di mandarlo al piano);

III, v, 32, 5: Ma de altra stirpe di prodecie tante (Ma de altra strirpe di prodecie tante);

III, vi, 36, 4: Perché in petto villano Amor non usa (Perché in petto villano amor non usa);

III, vi, 15, 3: Guardative, pagan, ch’el vien la Morte! (Guardative, Pagan, ch’el vien la morte!);

III, vi, 38, 6: Ché se trovava in quel loco soleto (Che se trovava in quel loco soleto);

III, vii, 28, 4: Sì rato come avesse a’ piè le penne (Sì rato come avesse a piè le penne);

III, vii, 52, 1: E fu per trabucar delo arcion fuore (E’ fu per trabucar delo arcion fuore,);

III, viii, 63, 3: Prese a possar col capo in sule bracia (Prese a póssar col capo in sule bracia);

III, viii, 9, 2: Pallidi e rossi, e ’ timidi e li arditi (Pallidi e rossi, e timidi e li arditi);

III, viii, 24, 8: Né altro s’odìa che «Morte!» e «Sangue!» e «Foco!» (Né altro s’odìa che morte e sangue e foco!);

III, viii, 30, 6: Ché in altra parte stava ale contese (Che in altra parte stava ale contese);

III, ix, 19, 4: Che varcò Fiordespina de una arcata, (Che varcò Fiordespina de una arcata.).

L’incunabolo P, che trasmette i primi due libri del romanzo e la cui lezione è stata rispettata nella più ampia misura possibile dalla Tissoni Benvenuti e dalla Montagnani, si caratterizza per una facies metrica spesso eccentrica. Le anomalie si riducono tuttavia drasticamente nel terzo libro, per il quale il testimone base è R. Questa peculiarità è stata spiegata dalle editrici con un’adesione da parte di Boiardo a uno stile di tipo canterino, conservato dal solo P e tendenzialmente normalizzato dai revisori responsabili del resto della tradizione manoscritta e a stampa successiva a P.2 L’ipotesi ricostruttiva e il mantenimento di numerosi versi irregolari (o almeno irregolari rispetto alla forma più canonica dell’endecasillabo) non hanno incontrato l’approvazione generale.3 La questione, nella già più volte ricordata assenza di materiali prossimi all’originale, è destinata a restare aperta. Quando la tradizione presentata dall’apparato dell’edizione critica lo consentisse, si è qui preferito restituire un assetto più regolare ai versi, in particolare a quelli che richiedessero solo interventi minimi. I cambiamenti sono comunque segnalati nel commento, dove sono pure indicate le lezioni di P invece accolte nel testo Tissoni Benvenuti-Montagnani.

Il commento

Il commento si avvantaggia del monumentale e mirabile corredo allestito da Antonia Tissoni Benvenuti per l’edizione ricciardiana del 1999, aggiornandolo con la bibliografia uscita dopo quella data. Risulta prezioso, in special modo, il glossario dell’Inamoramento de Orlando pubblicato da Domizia Trolli nel 2003, che ha permesso di migliorare le chiose al vocabolario boiardesco, restituendo precisione ai dettagli e confermando la notevole flessibilità stilistica dell’autore, tra lingua letteraria e lingua dell’uso e tra sedimenti formulari e fermenti innovativi. In generale si è tentato di agevolare la lettura con parafrasi anche estese, oltre che con annotazioni puntuali. La lunghezza del testo e la sua particolare veste linguistica si oppongono a un ritmo strettamente regolato del commento; si è dunque cercato, nei limiti del possibile, di spiegare con una certa frequenza, anche se non ogni prima volta che si presentassero in ciascun canto, i termini più obsoleti e i fenomeni più lontani dalla norma. Questa linea ha determinato una certa desultorietà nella glossa, che però si spera non metta a prova troppo dura la memoria del lettore. Si sono altresì ridotti al minimo i comunque inevitabili rinvii interni. Sebbene in forma non sistematica, si sono date succinte indicazioni sulle strategie compositive del poema sia ad ampio sia a breve raggio (uso dell’entrelacement, elementi di connessione tra un canto e l’altro, richiami a distanza, riprese tra ottave diacenti, ottave aperte e così via). Non si è rinunciato a una pur incrementabile dotazione intertestuale, che desse ragione della natura argutamente meticciata dell’Inamoramento de Orlando e del gusto contaminatorio di Boiardo. Proprio la poetica e gli intenti originari dell’autore hanno tradizionalmente procurato al capolavoro una fruizione veloce e spesso superficiale, poco attenta alle stratificazioni culturali e alle ragioni dello stile. Dopo l’ultima stagione degli studi, l’esegesi del romanzo sembra invece pronta al «recupero di un tipo di lettura più cosciente».4

1 Si indicano in corsivo la forma dell’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, tra virgolette doppie (“ ”) la trascrizione adottata in questa edizione, tra apici (‘ ’) il significato dei termini.

2 BOIARDO 1999, pp. XCIII-CI.

3 Si vedano per esempio PRALORAN 2001b e ZANATO 2001, pp. 104-105.

4 TISSONI BENVENUTI 1992, p. 280.