Il poeta richiama l’attenzione del suo pubblico e comincia la storia dell’innamoramento di Orlando (1-3). Il fatto è sorprendente perché tutti sanno che il paladino è refrattario alle esperienze sentimentali, però Amore è in grado di sottomettere chiunque. L’attenzione si sposta per un attimo al lontano regno di Sericana, dove il re Gradasso prepara l’invasione della Francia per impadronirsi della spada di Orlando e del cavallo di Rinaldo (4-7), ma lo scenario principale della narrazione ora è Parigi, dove Carlo Magno ha indetto una tregua generale e convitato la nobiltà cristiana e quella saracena in occasione della Pentecoste (8-20). Il sontuoso festeggiamento segna l’apice dello splendore imperiale e della superbia del sovrano, ma rappresenta anche la quiete prima della tempesta, che si scatena subito. Infatti arriva all’improvviso la bellissima Angelica, accompagnata da quattro giganti e dal fratello Argalìa sotto il falso nome di Uberto dal Leone. I due sono inviati dal padre, il re mussulmano Galifrone, che vuole distruggere la corte di Carlo. Angelica si promette in premio a chi riuscirà a disarcionare il fratello (21-28). Il fascino della giovane è tale che tutti i cavalieri presenti si innamorano subito di lei, senza distinzione di età o di religione. Nemmeno Orlando sfugge alla regola e, trasformatosi in eroe amoroso, prende a lamentarsi della propria sorte, consapevole che si sta sottraendo agli obblighi di perfetto cavaliere (29-33). Solo Malagise, mago a sua volta, riconosce la vera identità dell’incantatrice Angelica e la natura dei suoi piani: l’Argalìa è armato di un’imbattibile lancia fatata. Tuttavia il tentativo di Malagise di neutralizzare la minaccia fallisce a causa di un anello magico che protegge la donna. Il mago cristiano è catturato e spedito in volo a Galifrone (34-53). Nel frattempo a Parigi si tira a sorte per stabilire l’ordine degli sfidanti dell’Argalìa: il primo sarà Astolfo, il secondo Feraguto e poi tutti gli altri (54-59). Astolfo parte baldanzoso come al solito, ma finisce a terra al primo colpo ed è prigioniero (60-67). Dopo di lui si presenta Feraguto che, disarcionato dalla lancia magica dell’Argalìa, non si dà per vinto e si batte contro i giganti (68-82). Tramortito e senza elmo, rifiuta ancora di arrendersi e riprende il duello con l’Argalìa (83-91).
1.
Signori e cavalier che ve adunati
Per oldir cose diletose e nove,
Stati atenti e quïeti e ascoltati
La bela istoria che il mio canto move:
E odereti i gesti smisurati,
L’alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo de il re Carlo imperatore.
2.
Non vi para, signor, maraviglioso
Odir contar de Orlando inamorato,
Ché qualunque nel mondo è più orgolioso
È da Amor vinto al tuto e suiugato:
Né forte bracio, né ardire animoso,
Né scudo o maglia, né brando afilato,
Né altra possanza può mai far diffesa
Che al fin non sia da Amor batuta e presa.
3.
Questa novella è nota a poca gente,
Perché Turpino istesso la nascose,
Credendo forsi a quel conte valente
Esser le sue scriture dispetose,
Poiché contra ad Amor pur fu perdente
Colui che vinse tutte l’altre cose:
Dico de Orlando, il cavalier adato.
Non più parole ormai: veniamo al fato.
4.
La vera istoria de Turpin ragiona
Che regnava in la terra de Orïente,
Di là dal’India, un gran re di corona,
Di stato e di richeze sì potente
E sì galiardo dela sua persona
Che tuto il mondo stimava nïente.
Gradasso nome avea quello amirante
Che ha cor di drago e membre di gigante.
5.
E sì como egli advien a’ gran signori
Che pur quel voglion che non pòno avere,
E quanto son difficultà magiori
La disiata cosa ad otenere,
Pongono il regno spesso in grandi erori,
Né posson quel che voglion possedere,
Così bramava quel pagan galiardo
Sol Durindana e il bon distrer Baiardo.
6.
Unde per tuto il suo gran tenitoro
Fece la gente nel’arme asembrare,
Che ben sapëa lui che per tesoro
Né il brando né il corsier pote acquistare:
Dui mercadanti erano coloro
Che vendean le sue merce tropo care;
Però distina di passar in Franza
E acquistarle cum sua gran possanza.
7.
Centocinquantamilia cavalieri
Elesse di sua gente tuta quanta;
Né questi adoperar facea pensieri,
Perché lui solo a combater se avanta
Contra al re Carlo e a tutti i guereri
Che son credenti in nostra fede santa,
E lui soletto vincere e disfare
Quanto il sol vede e quanto cinge il mare.
8.
Lasiam costor che a vella se ne vano
(Che senterite poi ben la sua gionta)
E ritornamo in Franzia a Carlo Mano
Che i soi magni baron provede e conta,
Emperò che ogni principe cristiano,
Ogni duca e signore a lui se afronta
Per una iostra che avëa ordinata
Alor di magio, ala Pasqua Rosata.
9.
Erano in corte tuti i paladini,
Per onorar quella festa gradita,
E da ogni parte e da tuti i confini
Era in Parigi una gente infinita;
Eranvi ancora molti saracini,
Perché corte reale era bandita,
Ed era ciascaduno assigurato,
Che non sia traditor o renegato.
10.
Per questo era di Spagna molta gente
Venuta quivi con soi baron magni:
Il re Grandonio, facia di serpente,
E Feraguto dali ochii griffagni,
Re Balugante, di Carlo parente,
Isolier, Serpentin, che fòr compagni;
Altri vi fòrno assai de grande afare,
Como ala iostra poi ve avrò a contare.
11.
Parigi risonava de istromenti,
Di trombe, di tamburi e di campanne;
Vedeansi i gran distrer con paramenti,
Con fogie disusate, altere e stranne,
E de oro e zoglie tanti adornamenti
Che nol potrìan contar le voce umane;
Però che per gradir lo imperatore
Ciascuno oltra al poter se fece onore.
12.
Già se apressava quel giorno nel quale
Se dovea la gran iostra incomenciare,
Quando il re Carlo in abito reale
Ala sua mensa fece convitare
Ciascun signor e baron naturale,
Che vener la sua festa ad onorare;
E fòrno in quel convito li assetati
Vintedoamilia e trenta annumerati.
13.
Re Carlo Mano con facia iocunda
Sopra una sedia d’or tra ’ paladini
Se fu possato ala mensa ritonda;
Ala sua fronte fòrno i saracini
Che non volsero usar banco né sponda,
Anci stérno a iacer comme mastini
Sopra a tapeti comme è lor usanza,
Spregiando seco il costume di Franza.
14.
A destra e da sinestra po’ ordinate
Fòrno le mense (come il libro pone):
Ala prima le teste coronate,
Uno Anglese, un Lombardo e un Bertone
Molto nomati in la Cristianitate:
Otone e Desiderio e Salamone;
E li altri apresso a lor di mano in mano,
Secundo il pregio de ogni re cristiano.
15.
Ala secunda fòr duci e marchesi
E nela tercia conti e cavalieri;
Molto fòrno onorati i Maganzesi
E sopra a tutti Gaino da Pontieri.
Ranaldo avea di foco li ochi acesi
Perché quei traditori in atto alteri
L’avean tra lor ridendo assai befato,
Perché non era comme essi adobato.
16.
Pur nascose nel petto i pensier caldi,
Mostrando nela vista alegra facia;
Ma fra sí stesso dicëa: «Ribaldi,
Se io ve ritrovo doman sula piaza,
Vedrò comme stariti in sella saldi!
Gente asenina, maladetta razza,
Che tutti quanti, se ’l mio cor non erra,
Spero gitarvi ala iostra per terra!».
17.
Re Balugante, che in viso il guardava
E divinava quasi il suo pensieri,
Per un suo torcimano il domandava
Se nela corte di questo imperieri
Per robba o per vertute se onorava,
Aciò che lui, che quivi è forastieri
E de’ costumi de’ cristian degiuno,
Sapia lo onor suo render a ciascuno.
18.
Rise Rainaldo e con benigno aspetto
Al messager diceva: «Raportate
A Balugante, poiché egli ha diletto
De aver le gente cristiane onorate,
Ch’e giotti a mensa e le putane in letto
Sono più volte tra nui acarezate;
Ma dove poi convene usar valore,
Dasse a ciascuno il suo debito onore».
19.
Mentre che stano in tal parlar costoro,
Sonarno li stromenti da ogni banda:
Ed ecco piatti grandissimi d’oro,
Coperti de finisima vivanda;
Cope di smalto con sutil lavoro
Lo imperatore a ciascun baron manda:
Chi de una cosa e chi d’altra onorava,
Mostrando che di lor se racordava.
20.
Quivi si stava con molta alegrezza,
Con parlar basso e bei ragionamenti.
Re Carlo, che si vede in tanta altezza,
Tanti re, duci e cavalier valenti,
Tuta la gente pagana disprezza,
Come arena de il mar denanti ai venti.
Ma nova cossa che ebe ad aparire
Fé lui con li altri insieme isbigotire.
21.
Però che in capo dela salla bella
Quatro giganti grandissimi e fieri
Intrarno, e lor nel megio una dongella
Che era seguita da un sol cavalieri;
Essa sembrava matutina stella
E ziglio d’orto e rosa di verzeri;
Insoma, a dir di lei la veritate,
Non fu veduta mai tanta beltade.
22.
Era qui nela sala Galerana
Ed eravi Alda, la moglie de Orlando,
Clarice ed Ermelina tanto umana,
E altre asai che nel mio dir non spando,
Bella ciascuna e di vertù fontana.
Dico: bella parea ciascuna, quando
Non era giunto in sala ancor quel fiore
Che al’altre di beltà tolse lo onore.
23.
Ogni barone e principe cristiano
In quella parte ha rivoltato il viso,
Né rimase a giacere alcun pagano,
Ma ciascun de essi, di stupor conquiso,
Si fece ala dongella proximano:
La qual, con vista alegra e con un riso
Da far innamorare un cor di saxo,
Incomenciò così parlando basso:
24.
«Magnanimo signor, le tue virtute
E le prodecie de’ toi paladini,
Che sono in terra tanto cognosciute
Quanto distende il mare e soi confini,
Me dan speranza che non fian perdute
Le gran fatiche de dui peregrini,
Che son venuti dala fin del mondo
Per onorare il tuo stato iocundo.
25.
E aciò che io te facia manifesta
Con breve ragionar quella cagione
Che ce ha conduti ala tua real festa,
Dico che questo è Uberto da il Leone,
Di gentil stirpe nato e d’alta gesta,
Caciato del suo regno oltra a ragione;
Io che con luï insieme foi caciata,
Son sua sorella, Angelica nomata.
26.
Sopra ala Tana docento giornate,
Dove regemo il nostro tenitoro,
Ce fòr di te le novelle aportate
E dela giostra e de il gran concistoro
Di queste nobel gente ivi adunate;
E comme né citade né tesoro
Son premio de vertute, ma si dona
Al vincetor de rose una corona;
27.
Pertanto il mio fratelo ha delibrato,
Per sua virtute quivi dimostrare
Dove il fior de’ baron è radunato,
Ad un ad un per iostra contrastare:
O voglia esser pagano o batizato,
Fuor dela terra lo venga a trovare
Nel verde prato ala Fonte de il Pino,
Dove se dice al Petron di Merlino.
28.
Ma fia questo con tal conditïone
(Colui l’ascolti che si vòl provare):
Ciascun che fia abattuto delo arcione
Non possa in altra forma repugnare
E sentia più contese sia pregione.
Ma chi potesse Uberto scavalcare,
Colui guadagni la persona mia:
Esso anderà con soi giganti via».
29.
Al fin dele parole ingionichiata
Davanti a Carlo attendïa risposta.
Ognon per maraviglia l’ha mirata,
Ma sopra a tutti Orlando a lei s’acosta
Col cor tremante e con vista cangiata,
Benché la voluntà tenìa nascosta
E talor li ochi ala terra bassava,
Che di sí stesso assai se vergognava.
30.
«Ahi pacio Orlando!» nel suo cor dicìa
«Comme te lassi a voglia traportare!
Non vedi tu lo error che te disvìa
E tanto contra a Dio te fa fallare?
Dove mi mena la fortuna mia!
Vedome preso e non mi posso aitare;
Io che stimava tutto il mondo nulla,
Santia arme vinto son da una fanciulla.
31.
Io non mi posso dal cor dipartire
La dolce vista de il viso sereno,
Perché io mi sento sancia lei morire
E il spirto a poco a poco venir meno.
Or non mi vale forcia né lo ardire
Contra de Amor, che m’ha già posto il freno,
Né mi giova saper, né altrui consiglio,
Che io vedo il meglio e al pegior m’apiglio.»
32.
Così tacitamente il baron franco
Se lamentava de il novello amore.
Ma il duca Naimo, che è canuto e bianco,
Non avea già di lui men pena al core,
Anci tremava sbigotito e stanco,
Avendo perso in volto ogni colore.
Ma a che dir più parole? Ogni barone
Di lei se accese, e anche il re Carlone.
33.
Stava ciascuno immotto e sbigotito
Mirando a quella con sommo diletto;
Ma Feraguto, il gioveneto ardito,
Sembrava vampa viva nelo aspeto:
E ben tre volte prese per partito
Di tuorla a quei ciganti al suo dispeto;
E tre volte afrenò quel mal pensieri,
Per non far tal vergogna alo imperieri.
34.
Or sul’un pede or sul’altro se muta,
Gràttassi il capo e non ritrova loco.
Ranaldo, che ancor lui l’ebe veduta,
Divéne in facia rosso comme un foco.
E Malagise, che l’ha cognosciuta,
Dicea pian piano: «In te farò tal gioco,
Ribalda incantatrice, che giamai
De esser qui stata non te vantarai!».
35.
Re Carlo Mano con longo parlare
Fé la risposta a quella damigella,
Per poter seco molto dimorare:
Mira parlando e mirando favella,
Né cossa alcuna li pote negare,
Ma ciascuna domanda li sugella
Giurando de observarle in sule carte.
Lei coi giganti e col fratel si parte.
36.
Non era ancora dela cità uscita
Che Malagise prese il suo quaderno:
Per saper questa cosa ben compita
Quatro demoni trasse delo Inferno.
Oh quanto fu sua mente sbigotita!
Quanto turbosse, Idio de il Ciel eterno,
Poi che cognobe quasi ala scoperta
Re Carlo morto e sua corte deserta!
37.
Però che quella che ha tanta beltade
Era figliola de il re Galafrone,
Piena de inganni e de ogni falsitade,
E sapea tute le incantatïone.
Era venuta ale nostre contrade,
Ché mandata l’avea quel mal vechione
Col figliuol suo, ch’avea nome Argalìa
E non Uberto, comme ella dicìa.
38.
Al gioveneto avea dato un distreri
Negro quanto un carbon quando egli è spinto,
Tanto nel corso veloce e legeri
Che più volte avea passato il vento;
Scudo, coracia ed elmo col cimeri
E spada fatta per incantamento;
Ma sopratutto una lancia dorata,
De alta richeza e pregio fabricata.
39.
Or con queste arme il suo patre il mandò,
Stimando che per quelle il sia invincibile,
E oltra a questo uno anel li donò
De una vertù grandissima, incredibile,
Advengaché costui non lo adoprò:
Ma sua vertù facea l’omo invisibile
Se al manco latto in boca se portava;
Portato in dito ogni incanto guastava.
40.
Ma sopra a tutto Angelica polita
Volse che seco in compagnia ne andasse,
Perché quel viso che ad amar invita
Tutti i baron ala iostra tirasse;
E poi che per incanto ala finita
Ogni preso barone a lui portasse:
Tutti legati li vòl nele mane
Re Galafrone, il maladetto cane.
41.
Così a Malgisi il dimonio dicìa
E tutto el fatto li avea rivelato.
Lassiamo lui, tornamo al’Argalìa,
Che al Petron di Merlino era arivato.
Un pavalion sul prato distendìa,
Troppo mirabilmente lavorato;
E sotto a quello se pose a dormire,
Che di posarsi avea molto disire.
42.
Angelica, non troppo a lui lontana,
La bionda testa in sul’erba posava
Sotto il gran pino, a lato ala fontana;
Quatro giganti sempre la guardava.
Dormendo non parìa già cosa umana,
Ma ad angelo de il Ciel rasumigliava;
Lo anel dil suo germano avëa in dito,
Dela vertù che sopra aveti odito.
43.
Or Malagise, da il dimon portato,
Tacitamente per l’aira veniva;
Ed ecco la fanciulla ebe mirato
Iacer distesa ala fiorita riva;
E quei quatro giganti, ognun armato,
Guardano intorno e già non dormiva.
Malagise dicea: «Bruta canaglia,
Tutti vi pigliarò sancia bataglia!
44.
Non vi valeran macie né catene,
Né vostri dardi né le spade torte;
Tutti dormendo senterite pene:
Comme castron balordi avriti morte!».
Così dicendo più non si ritiene:
Piglia il libretto e getta le sue sorte,
Né ancora avëa il primo foglio volto
E già ciascun nel somno era sopolto.
45.
Esso dapoi se acosta ala dongella
E pianamente tira for la spada:
E vegendola in viso tanto bella
Di ferirla nel colo indugia e bada.
Lo animo volta in questa parte e in quella
E poi disse: «Così convien che vada!
Io la farò per incanto dormire
E pigliarò con sieco il mio disire».
46.
Pose tra l’erba giù la spada nuda
E ha pigliato il suo libreto in mano:
Tutto lo lege prima che lo chiuda,
Ma chi li vale? Ogni suo incanto è vano
Per la potencia delo anel sì cruda.
Malagise ben crede (el è certano)
Che non se possa sancia lui svegliare,
E comenciòla stretta ad abraciare.
47.
La damisella un gran crido metìa:
«Tapina me, che io sono abandonata!».
Ben Malagise alquanto sbigotìa,
Vegendo che non era adormentata.
Essa, chiamando il fratelo Argalìa,
Lo tenìa stretto in bracio tuttafiata;
L’Argalìa sonachioso se sveglione
E disarmato usì de il paviglione.
48.
Subitamente che egli ebe veduto
Con la sorella quel cristian gradito,
Per novità gli fu il cor sì caduto
Che non fu de apressarsi a lor ardito.
Ma poi che alquanto in sé fu rivenuto,
Con un truncon de pin l’ebe assalito,
Cridando: «Tu sei morto, traditore,
Che a mia sorella fai tal disonore!».
49.
Essa cridava: «Legalo, germano,
Prima ch’io il lasso, ch’egli è nigromante!
Che se non fosse lo anel che hagio in mano,
Non son tue force a pigliarlo bastante!».
Per questo il gioveneto a mano a mano
Corse dove dormïa un gran gigante
Per volerlo svegliar, ma non potea
Tanto lo incanto sconfitto il tenea.
50.
Di qua, di là, quanto più può il dimena;
Ma poi che vede che indarno proccacia,
Da il suo bastone ispicca una catena
E di tornare indretto presto spacia.
E’ con molta fatica e con gran pena
A Malagise lega ambe le bracia,
E poi le gambe e poi le spalle e il colo:
Da capo a piedi tutto incatenòlo.
51.
Comme lo vite ben esser legato,
Quella fanciula li cercava in seno:
Presto ritrova il libro consacrato,
Di cerchi e di demonii tutto pieno.
Incontinenti l’ebe diserato
E nelo aprir, né in più tempo né in meno,
Fu pien de spirti e cielo e terra e mare,
Tutti cridando: «Che vòi comandare?».
52.
Ella rispose: «Io voglio che portate
Tra l’India e Tartarìa questo pregione,
Dentro al Cataio, in quella gran citate
Ove regna il mio patre Galafrone.
Dala mia parte se lo presentate,
Ché di sua presa io son stato cagione,
Dicendo a lui che poi che questo è preso
Tutti li altri baron non curo un ceso!».
53.
Al fin dele parolle, o in quello istante,
Fu Malagise per l’aier portato
E, presentato a Galafrone avante,
Soto il mar dentro a un scolio impregionato.
Angelica col libro a ogni gigante
Discacia il sonno e ha ciascun svegliato:
Ognon strenge la boca e alcia il cilio,
Forte amirando il passato periglio.
54.
Mentre che qua fòr fatte queste cose,
Dentro a Parigi fu molta tentione,
Però che Orlando al tutto se dispose
Essere in giostra il primo campïone;
Ma Carlo imperatore a lui rispose
Che non volëa e non era ragione:
E gli altri ancora (perché ogni om se estima)
A quella giostra volean gir in prima.
55.
Orlando grandemente avea temuto
Che altrui non abia la dona acquistata,
Perché, come il fratelo era abatuto,
Doveva al vincetore esser donata.
Lui de victoria sta sicuro tutto
E già li pare averla guadagnata,
Ma troppo gli rencresce lo aspetare,
Che ad un amante un’ora uno anno pare.
56.
Fu questa cosa nela real corte
Tra il general consiglio examinata;
E avendo ciascun sue ragion pórte,
Fu statuita al fine e terminata:
Che la vicenda se ponesse a sorte,
E a cui la ventura fia mandata
De essere il primo ad acquistar l’onore,
Quel possa ussire ala giostra di fore.
57.
Onde fu il nome de ogni paladino
Subitamente scrito e seperato;
Ciascun signor, cristiano e saracino,
Nel’orna d’oro il suo nome ha gitato;
E poi férno venire un fanciulino
Che i breve ad uno ad uno abia levato.
Sancia pensare il fanciul uno aferra:
La letra dice: «Astolfo de Angelterra».
58.
Doppo costui fu trato Feraguto,
Ranaldo il terzo, e il quarto fu Dudone,
E poi Grandonio, quel cigante arguto;
L’un presso al’altro Belengere e Otone;
Re Carlo doppo questi è for venuto.
Ma per non tenir più longa tentione,
Prima che Orlando ne fòr trati trenta:
Non vi vuò dir se lui se ne tormenta.
59.
Il giorno se calava inver la sera
Quando di trar le sorte fu compito.
Il duca Astolfo, con la mente altera,
Dimanda l’arme e non fu sbigotito.
Benché la note viene e il ciel se anera,
Esso parlava, sì comme omo ardito,
Che in poco d’ora finirà la guerra,
Gitando Oberto al primo colpo in terra.
60.
Signor, sapiate che Astolfo lo Inglese
Non ebe di belece il similiante;
Molto fu rico, ma più fu cortese,
Legiadro e nel vestire e nel sembiante.
La forcia sua non vedo assai palese,
Che molte fiate càde de il ferante;
Lui solea dir che li era per sciagura
E tornava a cader sancia paura.
61.
Or (tornando ala istoria) egli era armato;
Ben valeano quelle arme un gran tesoro:
Di grosse perle il scudo è circundato,
La maglia che se vede è tutta d’oro;
Ma l’elmo è di valore ismesurato
Per una zoglia posta in quel lavoro,
Che (se non mente il libro de Turpino)
Era quanto una noce; e fu un rubino.
62.
Il suo distrer è copertato a pardi,
Che sopraposti son tutti d’or fino.
Soletto ne ussì fuor sancia riguardi,
Nulla temendo se pose in camino.
Era già poco giorno e molto tardi
Quando egli gionse al Petron de Merlino;
E nela gionta pose a boca il corno,
Forte sonando, il cavaliero adorno.
63.
Odendo il corno l’Argalìa levosse,
Che giacea al fonte, la persona franca,
E de tutte arme subito adobosse
Da capo a piedi, che nulla li manca.
E’ contra Astolfo con ardir se mosse,
Coperto egli e il distrer in vesta bianca,
Col scudo in bracio e quella lancia in mano
Che ha molti cavalier già messi al piano.
64.
Ciascun se salutò cortesemente
E fòr tra loro i patti rinovati,
E la dongella li véne presente.
E poi si fòrno entrambi dilongati,
L’un contra l’altro torna parimente,
Coperti sotto ai scudi e ben serrati.
Ma, comme Astolfo fu toco primero,
Voltò le gambe al loco del cimero.
65.
Disteso era quel duca in su il sabione
E crucioso dicea: «Fortuna fella,
Tu me èi nemica contra a ogni ragione!
Questo fu pur diffeto dela sella:
Negar nol pòi, che se io stava in arcione
Io guadagnava questa dama bella.
Tu m’hai fatto cadere, egli è certano,
Per far onore a un cavalier pagano!».
66.
Quei gran giganti Astolfo eben pigliato
E lo menarno dentro al pavaglione;
Ma quando fu del’arme dispogliato,
La damigella nel viso il guardone,
Nel quale era sì vago e delicato
Che quasi ne pigliò compassïone;
Unde per questo lo fece onorare
Per quanto onore a pregion si può fare.
67.
Stava disolto sancia guardia alcuna
E intorno ala fonte solaciava;
Angelica nel lume dela luna
Quanto potea nascoso lo amirava.
Ma poi che fu la note oscura e bruna,
Nel letto incortinato lo possava.
Essa col suo fratello e coi giganti
Facea la guardia al pavaglion davanti.
68.
Poco lume mostrava ancora il giorno
Che Feraguto armato fu aparito,
E con tanta tempesta sona il corno
Che par che tutto il mondo sia fenito.
Ogni animal che quivi era de intorno
Fugìa da quel rumore isbigotito;
Solo Argalìa de ciò non ha paura,
Ma salta in piede e veste l’armatura.
69.
L’elmo affatato il gioveneto franco
Presto se alacia e monta in su il corsieri;
La spada ha cinta dal sinestro fianco
E scudo e lancia e ciò che fa misteri;
Rabicano, il distrer, non mostra stanco,
Anci va tanto sospeso e legeri
Che nel’arena dove pone il pede
Signo de pianta ponto non se vede.
70.
Con gran voglia lo aspetta Feraguto,
Ché ad ogni amante incresce lo indugiare;
E però, comme prima l’ha veduto,
Non fece già con lui longo parlare:
Mosso con furia e sancia altro saluto
Con l’asta a resta lo vene a scontrare;
Crede lui certo, e farìa sacramento,
Aver la bella dama a suo talento.
71.
Ma comme prima la lancia il tocò,
Nel core e nela facia isbigotì:
Ogni sua forcia in quel ponto mancò
E lo animoso ardir da lui partì
Tal che con pena a terra trabucò,
Né scià in quel punto se egli è note o dì.
Ma comme prima al’erba fu disteso,
Tornò il vigore a quello animo aceso.
72.
Amore o giovenecia o la natura
Fan spesso altrui nel’ira esser ligero;
Ma Feraguto amava oltra misura:
Gioveneto era e de animo sì fiero
Che a praticarlo egli era una paura.
Picola cosa gli facea mistero
A volerlo condur con l’arme in mano,
Tanto è crucioso e di cor subitano.
73.
Ira e vergogna lo levàr di terra,
Comme caduto fu, subitamente;
Ben se aparechia a vendicar tal guerra,
Né si ricorda de il pato nïente;
Trasse la spada e a piè se disserra
Ver lo Argalìa, batendo dente a dente;
Ma lui diceva: «Tu sei mio prigione
E me contrasti contra ala ragione!».
74.
Feraguto il parlar non ha ascoltato,
Anci ver lui ne andava in abandono.
Ora i giganti che stavano al prato
Tutti levati con l’arme se sono
E sì terribil crido han fuor mandato
Che non se odì giamai sì forte trono:
Turpino il dice (a me par maraviglia)
Che tremò il prato intorno a lor doa miglia.
75.
A questi se voltava Feraguto
E non credati che sia spaventato.
Colui che vien davanti è il più membruto
E fu chiamato Argesto smesurato;
L’altro nomosse Lampardo il Veluto,
Perché piloso è tutto in ogni lato;
Il tercio Urgano per nome se spande,
Turione il quarto, e trenta pedi è grande.
76.
Lampardo nela gionta lanciò un dardo
Che se non fosse, comme era, fatato,
Al primo colpo il cavalier galiardo
Morto cadea, da quel dardo passato.
Mai non fu visto né levrer né pardo,
Né alcun groppo di vento in mar turbato
Così veloce, né da il ciel saetta
Qual Feraguto a far la sua vendetta.
77.
Gionse al gigante in su il destro gallone
Che tutto lo tagliò come una pasta,
E rene e ventre insino al petignone;
Né de aver fatto il gran colpo li basta,
Ma mena intorno il brando per ragione,
Perché ciascun d’i tre forte il contrasta;
L’Argalìa solo a lui non dà travaglia,
Ma sta da parte e guarda la batalia.
78.
Fiè Feraguto un salto smisurato:
Ben vinti pedi è verso il ciel salito!
Sopra de Urgano un tal colpo ha donato
Che il capo insino ai denti li ha partito.
Ma mentre che era con questo impaciato,
Argesto nela coppa l’ha ferito
De una macia ferrata e tanto il toca
Che il sangue gli fa usir per naso e boca.
79.
Esso per questo più divéne fiero,
Comme colui che fu sancia paura,
E messe a terra quel cigante altero,
Partito dale spale ala cintura.
Alor fu a gran periglio il cavaliero
Perché Turlon, ch’ha forcia oltra a misura,
Stretto di dreto il prende ale bracia
E di portarlo presto se procacia.
80.
Ma, fosse caso o forcia del barone
(Io nol sciò dir), da lui fu despicato.
Il gran cigante ha di ferro un bastone
E Feraguto il suo brando afilato;
Di novo se comencia la tentione:
Ciascun a un tratto il suo colpo ha menato
Con magior forcia assai ch’io non ve dico;
Ognon ben crede aver colto il nimico.
81.
Non fu di quelle botte alcuna cassa,
Che quel cigante con forcia rubesta
Gionselo in capo e l’elmo li fracassa
E tutta quanta disarmò la testa;
Ma Feraguto con la spada bassa
Menò un traverso con molta tempesta
Sopra ale gambe coperte di maglia
E ambedoe a quel colpo li taglia.
82.
L’un megio morto e l’altro tramortito
Quasi ad un trato cascarno al prato.
Smonta Argalìa, e con animo ardito
Ha quel barone ala fonte portato
E con fresca acqua l’animo stordito
A poco a poco li ebe ritornato;
E poi volea menarlo al pavalione,
Ma Feraguto nega esser pregione.
83.
«Che hagio a far io se Carlo imperatore
Con Angelica il patto ebe a firmare?
Son forsi io suo vasallo o servitore,
Che in suo decreto me possa obligare?
Teco véni a combater per amore
E per la tua sorella conquistare:
Aver la voglio, over morire al tutto!»
Queste parole dicea Feraguto.
84.
A quel romore Astolfo se è levato,
Che sino alora ancor forte dormìa,
Né il crido de’ ciganti l’ha svegliato
Che tutta fiè tremar la prataria.
Vegendo i dui baroni a cotal piato,
Tra lor con parlar dolce se metìa,
Cercando de volerli concordare:
Ma Feraguto non volea ascoltare.
85.
Dicëa l’Argalìa: «Ora non vedi,
Franco baron, che tu sei disarmato?
Forsi che de aver l’elmo in capo credi?
Quello è rimaso in su il campo speciato.
Or fra te stesso iudica e provedi
Se vòi morire o essere pigliato:
Che s’ tu combatte avendo nula in testa,
In pochi colpi finirà la festa!».
86.
Rispose Feraguto: «E’ mi dà il core
Sancia elmo, sancia maglia, sancia scudo
Aver con teco di guerra l’onore;
Così mi vanto di combater nudo
Per acquistare il disiato amore!».
Cotal parole usava il baron drudo
Perché Amor l’avea posto in tal loco
Che per colei sarìa gito nel foco.
87.
L’Argalìa forte in mente se turbava,
Vedendo che costui sì poco il stima
Che nudo ala bataglia lo sfidava;
Né ala secunda guerra né ala prima,
Preso doe volte, lo orgolio abassava,
Ma de superbia più montava in cima;
E disse: «Cavalier, tu cerchi rogna:
Io te la gratarò, che il te bisogna.
88.
Monta a cavallo e usa tua bontade,
Che comme digno sei te avrò tratato;
Né aver sperancia che io te usi pietade
Perch’io te veda il capo disarmato!
Tu cerchi il mal giorno, in veritade:
Fàciote certo che l’avrai trovato.
Difféndite, se pòi, mostra tuo ardire,
Che incontinenti ti convien morire!».
89.
Ridëa Feraguto a quel parlare,
Comme di cossa che il stima nïente.
Salta a cavalo e sancia dimorare
Diceva: «Ascolta, cavalier valente:
Se la sorella tua mi vòi donare,
Io non te offenderò veracemente;
Se ciò non fai (io non te mi nascondo)
Presto sarai di quei del’altro mondo!».
90.
Tanto fu vinto de ira l’Argalìa,
Odendo quel parlar ch’è sì arogante,
Che furïoso in su il destrier salìa
E con voce superba e minaciante
(Ciò che dicesse nulla se intendìa),
Trasse la spada e sprona lo afferante,
Né se ricorda del’asta pregiata
Che al troncon de il gran pin stava apogiata.
91.
Cussì cruciati con le spade in mano
Ambi col petto de’ corsieri urtàro:
Non è nel mondo baron sì soprano
Che non possan costor star seco al paro.
Se fosse Orlando e ’l sir de Montealbano,
Non vi sarìa vantaggio né devaro:
Però un bel fatto potriti sentire,
Se l’altro canto tornareti a odire.
1. L’autore assume le fittizie vesti di cantastorie, come vuole il genere letterario, e chiama il suo pubblico all’ascolto simulando una pubblica recitazione. Manca l’invocazione iniziale, che di solito è rivolta alla divinità o alla Vergine o a un santo, ma è dichiarato l’argomento dell’opera, con rispetto parziale delle regole della retorica classica e della letteratura di gesta. 1. ve adunati: ‘vi radunate’; forma marcatamente sett. della II pers. pl., come i successivi stati, ascoltati, odereti. 2. oldir: ‘udire’; altro settentrionalismo (evoluzione ol del dittongo lat. au), che convive con il più toscaneggiante odereti del v. 5. diletose: si nota subito, e una volta per tutte, lo scempiamento della consonante doppia: tratto fonetico sett. tra i più caratterizzanti e complementare alla geminazione ipercorretta, come in vella (cfr. 8, 1). 4. ‘la bella storia cui il mio canto dà l’avvio’; secondo TISSONI BENVENUTI 1999 preferibile a ‘la bella storia che muove il mio canto (‘racconto’)’. 5. smisurati: ‘fuori dal comune’. 6. alta: ‘nobile’. mirabil: ‘straordinarie’. 7. franco: è agg. ricorrente nel romanzo ed è spesso attribuito a personaggi saraceni, va dunque generalmente inteso come ‘valoroso’. 8. Carlo imperatore: il Carlo Magno delle più antiche chansons de geste francesi è piuttosto lontano da quello che si trova nel romanzo cavalleresco italiano del Quattrocento, non escluso l’Inamoramento de Orlando. Il fondatore del Sacro Romano Impero è divenuto più umano, addirittura vulnerabile alle insidie di Amore, come sarà evidente tra poco (si veda l’Introduzione, pp. 43-44).
2. 1. ‘Non vi sembri, signori, sorprendente’. 2. contar: ‘raccontare’. L’epica francese, a partire almeno dalla Chanson de Roland, aveva dato a Orlando il ruolo fisso di paladino perfetto, difensore delle fede fino alla morte e piuttosto refrattario alle lusinghe amorose. Inoltre una tradizione molto nota voleva che egli avesse giurato di sposare la fidanzata Alda la Bella solo dopo avere conquistato il regno di Spagna: impresa che la morte a Roncisvalle gli avrebbe impedito (ma Boiardo dà credito a una versione differente; cfr. 22, 2). Da qui il presumibile stupore dei lettori a sentire raccontare di un «Orlando inamorato». 3-4. ‘perché anche chi è più orgoglioso al mondo alla fine è completamente vinto e soggiogato da Amore’. Boiardo ripropone qui il topos dell’invincibilità di Amore, tra i cui innumerevoli precedenti va almeno ricordato il virgiliano «Omnia vincit Amor» (Buc. X, 69). 5-7. Prerogative e armi tipiche dei cavalieri romanzeschi, inutili sotto gli attacchi di Amore. 6. brando: ‘spada’. 7. far diffesa: ‘opporsi’. 8. batuta e presa: ‘abbattuta e catturata’; preso è peraltro termine tecnico della lirica cortese che indica la cattura da parte di Amore.
3. 1. novella: ‘racconto’. 2. Turpino: vescovo di Reims (città francese il cui nome diviene Rana in it. antico) morto intorno al 790. Nella leggenda diviene anche cavaliere di Carlo Magno, valoroso guerriero e narratore delle gesta dell’imperatore e dei paladini. Nel Medio Evo gli era infatti ascritta la Historia Karoli Magni et Rotholandi, testo in prosa latina del XII sec., che racconta la campagna militare spagnola di Carlo, la rotta di Roncisvalle e alcuni eventi successivi (tra i quali, incoerentemente rispetto all’attribuzione, la morte di Turpino stesso). istesso: forma prostetica. 3. forsi: ‘forse’. valente: ‘valoroso’. 4. dispetose: ‘fonte di dispetto, fastidiose’. 7. adato: ‘valoroso’; epiteto formulare (TROLLI 2003, p. 76).
4. 1. ragiona: ‘narra’. 3. re di corona: ‘re che esercita in effetto l’autorità regia’ (TROLLI 2003, p. 121). 7. Gradasso: il personaggio è invenzione boiardesca e unisce allo straordinario vigore la dismisura dei propri desideri, che saranno dichiarati nell’ottava successiva. Come lui, anche Agramante e Mandricardo, che avranno il compito di aprire e innescare la narrazione rispettivamente nel II e nel III libro, assoceranno l’oltranza delle passioni a forza e coraggio sovrumani. amirante:o almirante,è parola di origine ar., passata in it. dall’a. fr., e ha il significato di ‘comandante militare’, ‘signore’ (Falconetto 1483, p. 108). 8. Il passaggio del tempo verbale al presente immette con forza la figura di Gradasso in primo piano (TISSONI BENVENUTI 1999).
5. 1. E sì… advien: ‘e così come accade’. 2. ‘che vogliono proprio ciò che non possono avere’; pur ha valore rafforzativo. pòno ‘possono’ forma sett. che convive con il toscaneggiante posson del v. 6. 3-4. ‘E quanto più è difficile ottenere la cosa che desiderano, tanto più espongono il loro regno a grandi pericoli’. 7. pagan: ‘mussulmano’. 8. Durindana:è la famosa spada di Orlando, le cui leggendarie vicende sono molto complesse. Secondo Boiardo essa era appartenuta a Ettore di Troia ed era poi passata nelle mani del re saraceno Almonte, ucciso dal giovane Orlando nella guerra d’Aspramonte (cfr. III, i, 25-30). Il paladino era così entrato in possesso dell’arma, il cui nome presenta molte varianti nei testi italiani antichi (Donindarda, Durindarda, Durlindana ecc.). bon distrer Baiardo: ‘il possente destriero Baiardo’. Secondo la tradizione francese, il cavallo nasce da un drago e da un serpente che lo custodiscono finché Maugis (cioè Malagise, cugino di Rinaldo) lo conquista per poi cederlo appunto a Rinaldo, che ne diviene il possessore. Baiardo, oltre alla velocità ineguagliabile, dimostra spesso un’intelligenza prodigiosa traendo d’impaccio il suo padrone e gli altri guerrieri cristiani.
6. 1. Unde: ‘perciò’; latinismo. tenitoro: ‘dominio, regno’. 2. nel’arme asembrare: ‘raccogliere in armi’; gallicismo (CELLA 2003, pp. 320-323). 3. per tesoro: ‘con il danaro’. 4. corsier: ‘cavallo veloce, da corsa e da guerra’ (TROLLI 2003, p. 122). pote: ‘può’. 5. mercadanti: ‘mercanti’. Fuori di metafora, Gradasso avrebbe potuto avere la spada e il cavallo solo se avesse sconfitto Orlando e Rinaldo. 7. Però: ‘perciò’; come abitualmente in it. antico. distina: ‘destina, decide’. passar in Franza: ‘attraversare il mare e invadere la Francia’. Franza presenta l’affricata dentale in luogo di quella palatale toscana (Francia); il fenomeno – che si rileva qui una volta per tutte – è tra i più comuni in area padana ed è ricorrente, anche se non sistematico, nell’Inamoramento de Orlando (cfr. sotto ziglio, guanza, lanza, ma anche giglio, guancial, lancia ecc.). Un’oscillazione simile avviene rispetto all’affricata dentale toscana, che nel testo è spesso resa con la grafia sett. ci (cfr. sotto pacio ‘pazzo’, tercio ‘terzo’, sancia ‘senza’, ma anche pazo, terzo, sanza ecc.), la cui esatta pronuncia non è certa (MENGALDO 1963, pp. 91-93, MATARRESE 2004, p. 75). 8. cum: ‘con’; latinismo che può celare una forma fonetica sett. cun.
7. 1. Centocinquantamilia: numero iperbolico, come di norma nei romanzi cavallereschi (CABANI 1988, pp. 145-146). 2. Elesse: ‘scelse’; latinismo. 3. facea pensieri: ‘pensava di’. 4. a: ‘di’. se avanta: ‘si vanta’; con prostesi (o prefissazione) dialettale (MENGALDO 1963, pp. 69, 138-139; TROLLI 2003, pp. 11-15). 7. soletto: ‘da solo’. 8. ‘tutto il mondo’; perifrasi cara a Boiardo (cfr. I, xvii, 2, 7), qui disposta in chiasmo. cinge: ‘circonda’.
8. 1-3. Lasiam… ritornamo: abituale formula di passaggio da un filo del racconto all’altro (CABANI 1988, pp. 181-192), che permette l’attuazione dell’entrelacement ovvero dell’intreccio narrativo. La si sottolinea qui una volta per tutte, ma l’espediente è usatissimo da Boiardo (si veda l’Introduzione, pp. 57-59). 1. a vella: ‘a vela, in nave’; per la forma cfr. 1, 2. 2. ‘che poi sentirete in dettaglio del loro arrivo’. 4. ‘che passa in rassegna e conta i suoi nobili cavalieri’. magni è un latinismo frequente e baron ha abitualmente il significato generico di ‘cavaliere, nobile’, anche mussulmano (cfr. I, i, 10, 2 e TROLLI 2003, p. 98). 5. Emperò che: ‘perché’. 6. a lui se afronta: ‘gli si presenta’. 7. iostra: ‘giostra, torneo cavalleresco’. avëa ordinata: ‘aveva fatto allestire’. 8. Pasqua Rosata: ‘Pentecoste’. Nel ciclo arturiano e in quello carolingio è la ricorrenza nella quale i cavalieri abitualmente si ritrovano a corte e diviene così la situazione topica da cui il racconto prende l’avvio.
9. 1. paladini: originariamente i comites palatini (cioè quelli degni di stare al palatium, il palazzo dell’imperatore) erano i dodici cavalieri più valorosi. 2. gradita: agg. formulare. 3. confini: ‘luoghi’ (TROLLI 2003, p. 117). 5. Eranvi ancora: ‘c’erano anche’. 6. corte reale era bandita: era in corso il ricevimento più solenne, tanto che si era istituita una tregua eccezionale e si erano accolti anche i nemici saraceni. 7. assigurato: ‘garantito’; gli si era insomma fornito un salvacondotto (TROLLI 2003, p. 93). 8. Dal beneficio erano esclusi i traditori e chi avesse abbandonato la fede cristiana.
10. 1-2. La Spagna, ai tempi di Carlo Magno, era sotto il controllo di popolazioni islamiche. 3. Grandonio: si apprenderà poi che è re di Volterna in Marocco (II, xxiii, 5, 6: la città non è stata finora identificata). Nella Spagna ferrarese, testo che racconta la rotta di Roncisvalle e che Boiardo probabilmente conosceva, Grandonio uccide un gran numero di cavalieri cristiani ed è infine abbattuto da Orlando (TISSONI BENVENUTI 1999). serpente:‘drago’, a indicare la ferocia del personaggio. Nel testo, drago e serpente sono di fatto sinonimi. 4. Feraguto:è personaggio saraceno di grande rilievo nella tradizione franco-italiana (Entrée d’Espagne) e in quella italiana precedente a Boiardo (in particolare nelle varie redazioni della materia di Spagna; cfr. STROLOGO 2009a). Figlio di Falsirone e nipote dei re Marsilio e Balugante, ha statura gigantesca (che gli viene però qui negata) ed è protagonista di un memorabile duello con Orlando, cui riesce a resistere per tre giorni (cfr. INFURNA 2009). dali ochii griffagni: cioè ‘da rapace’; prelievo di un emistichio dantesco (Inf. IV, 123). 5. Balugante: Balugante, Marsilio e Falsirone sono fratelli di Galerana, moglie di Carlo Magno, e dunque cognati dell’imperatore cristiano. 6. Isolier:è detto signore di Pampaluna, cioè Pamplona (II, xxiii, 9, 5), titolo che spetterebbe al padre Malzarise (che appare solo una volta nel romanzo: II, xxiii, 71,7). Secondo le leggende della guerra di Spagna si sarebbe convertito al Cristianesimo. Serpentin: Serpentino della Stella, figlio di Balugante. fòr: ‘furono’; come fòrno al v. successivo. 7. de grande afare: ‘di alta condizione’; sintagma formulare (cfr. Falconetto 1483, p. 181). 8. ve avrò a contare:‘vi racconterò’ (futuro in forma analitica); formula di anticipazione tipica della letteratura canterina.
11. 1. istromenti: ‘strumenti musicali’. 3. paramenti: ‘addobbi’ (TROLLI 2003, p. 211). 4. altere: ‘ricercate, appariscenti’ (TROLLI 2003, p. 83). 5. zoglie: ‘gioie, gioielli’. Zoglia, soprattutto nel significato di ‘felicità’, è una delle parole ricorrenti nelle opere boiardesche (si ricordi la zoglia amorosa negli Al); oltre all’affricata dentale sett. presenta un’evoluzione di i semiconsonantico (cfr. la forma toscana corrispondente gioia) in gli (MATARRESE 2004, p. 74). 6. ‘che le parole umane non lo potrebbero raccontare’. È il consueto topos dell’ineffabilità, ovvero dell’impossibilità di descrivere un oggetto (la ricchezza di questa festa, la bellezza di una donna, la violenza di uno scontro armato…), impiegato per aumentare il coinvolgimento del lettore (CABANI 1988, pp. 84-86). 7-8. ‘perché, per fare cosa gradita all’imperatore, ciascuno spese più di quanto avrebbe potuto’.
12. 1. se apressava: ‘si avvicinava’. 5. ‘tutti i feudatari legittimi, di nascita’. 7. li assetati: ‘coloro che presero posto a sedere’. 8. ‘ventiduemila e trenta contati’; la precisione di un numero comunque iperbolico serve a dare verosimiglianza al racconto (cfr. 7, 1).
13. 1. con facia iocunda: ‘con volto allegro’; la forma latineggiante dell’agg. minaccia la rima, ma potrebbe essere stata introdotta in tipografia e dunque non essere riconducibile d’autore. 3. Se fu possato: ‘si sedette’; spesso il trapassato remoto, che indica azione compiuta, è usato con la funzione del normale passato remoto (cfr. p. es. I, i, 43, 3; I, i, 48, 1 ecc.). mensa ritonda: la tavola rotonda è elemento arturiano che Boiardo fa transitare nel proprio racconto carolingio. 4. ‘davanti a lui si misero i saraceni’. 5. volsero: ‘vollero’. banco né sponda: ‘né tavole né schienali’; l’interpretazione di sponda è dubbia (TROLLI 2003, p. 278). 6. stérno a iacer: ‘stettero a giacere’. 8. ‘disprezzando tra loro gli usi francesi’.
14. 1-2. ‘Le tavole furono poi allestite a destra e a sinistra’. 2. (come il libro pone): zeppa che dà occasione di citare la fonte fittizia del racconto, secondo una prassi tipica del romanzo cavalleresco (CABANI 1988, p. 127-142). 4. un Bertone: ‘un Bretone’; forma con metatesi. È re Salamone (cfr. il v. 6). 5. nomati: ‘reputati’. 6. Otone e Desiderio e Salamone: Ottone re d’Inghilterra (padre di Astolfo), Desiderio re dei Longobardi e Salamone re di Bretagna. Sono tutti personaggi della tradizione. 8. Secundo il pregio: ‘a seconda dell’importanza’.
15. 1. duci: ‘duchi’. 2. tercia: ‘terza’. 3-4. Maganzesi… Gaino da Pontieri: la casata di Maganza (l’odierna Magonza, Mayence in a. fr.) era una delle più illustri nell’antica epica francese, ma la sua reputazione era andata guastandosi da quando nel suo componente Doon era stato riconosciuto il traditore di Buovo d’Antona e, soprattutto, dopo che le era stato affiliato Gano di Ponthieu (Pontieri nei testi italiani; l’it. Gaino conserva l’aspetto dell’a. fr. Gaines), il traditore dei cristiani a Roncisvalle. Quest’ultima associazione sembra risalire alla fase franco-italiana ed è dunque relativamente tarda, come dimostra anche il fatto che, per un certo periodo, gli Estensi vollero rappresentarsi come discendenti proprio dei Maganzesi (si veda l’Introduzione, pp. 44-49). Nella tradizione romanzesca italiana del Quattrocento, Gano diventa una sorta di ingannatore seriale, capace di accattivarsi le simpatie di un sempre più ingenuo Carlo Magno e costantemente occupato a provocare la rovina dei paladini (di Rinaldo in particolare) e di tutta la corte imperiale, anche a prezzo di intese segrete con i saraceni. I suoi raggiri diventano l’abituale punto di partenza delle avventure di Orlando e Rinaldo, che, seppur calunniati e allontanati da Parigi, tornano in tempo per salvare Carlo e la Cristianità dalle forze mussulmane favorite dai Maganzesi. 5. Ranaldo: la forma del nome oscilla nei testi italiani più antichi (Ra-/Rai-/Renaldo; talvolta con memoria dell’a. fr. Rainaut). È il signore di Montalbano e, nonostante originariamente appartenesse a un diverso ciclo leggendario (non c’è il suo nome tra i caduti di Roncisvalle), il suo personaggio è fatto poi entrare nelle storie di Orlando, del quale diventa una sorta di figura complementare. Le sue caratteristiche di barone ribelle e passionale, molto sensibile al fascino femminile, ne fanno un ideale contraltare del miles christianus per antonomasia. Boiardo opera una geniale inversione di queste caratteristiche ormai cristallizzate (si veda l’Introduzione, pp. 23-24). La speciale rivalità di Rinaldo con la casa di Maganza si giustifica soprattutto con un fatto: Ginamo di Baiona (personaggio anch’esso inserito nel casato maganzese solo in un secondo tempo) lo aveva offeso asserendo di essere il suo vero padre; per questo motivo Rinaldo lo aveva ucciso in duello. 6. in atto alteri: ‘con atteggiamento sprezzante’. 8. La povertà di Rinaldo, che talvolta ricorre anche al furto per sostentare sé e i suoi, è un tratto abituale.
16. La rima B presuppone la fonetica sett. 2. nela vista: ‘nell’aspetto’. 3. fra sí stesso: ‘fra sé e sé’. Ribaldi: ‘furfanti’. 4. sula piaza: ‘nel campo del torneo’ (TROLLI 2003, p. 221). 5. ‘vedrò se riuscirete a stare saldi in sella’; stariti è un caso di metafonesi sett. 7. se ’l mio cor non erra: ‘se non m’inganno’; zeppa formulare. 8. ala iostra: ‘durante il torneo’.
17. Il sistema di rime in -ieri, francesizzante, non è solo qui (cfr. l’ottava 38). 2. divinava: ‘indovinava’; latinismo. pensieri: francesismo come il successivo imperieri. 3-5. ‘per mezzo di un suo interprete gli domandava se nella corte di questo imperatore si rendeva onore per la ricchezza o per il valore’. 6. forastieri: ‘forestiero’. 7. degiuno: ‘inesperto’.
18. 2. Raportate: ‘riferite’. 3-6. ‘poiché ha piacere di onorare i cristiani (in modo corretto), che tra noi si trattano con riguardo i ghiottoni a tavola e le puttane a letto’. 4. gente: pl. sett. 7. convene: ‘bisogna’. L’uso impersonale di convenire con il significato di ‘bisognare, essere necessario’ è molto frequente nell’it. antico. Talvolta lo stesso verbo con lo stesso senso si trova costruito personalmente (cfr. p. es. I, vii, 68, 2). 8. ‘si dà a ciascuno l’onore che merita’.
19. 2. Sonarno: ‘suonarono’. da ogni banda: ‘da ogni lato’. 4. finisima: ‘raffinatissima’. 5. con sutil lavoro: ‘elegantemente lavorate’. 6. a ciascun baron manda: ‘invia regali a ciascun nobile’. 7. ‘a chi regala una cosa, a chi un’altra’. 8. se racordava: ‘si ricordava’; con prefisso marcatamente padano.
20. 2. bei ragionamenti: ‘conversazioni piacevoli’. 3-5. Il senso di questi versi non è chiaro. Se si interpreta che si vede in tanta altezza ‘che si vede in una condizione di tale potenza’ (TROLLI 2003, p. 82), allora è possibile che il disprezzo di Carlo sia rivolto a tutte le categorie contenute nei vv. 4 e 5. Ma non si può escludere che il si del v. 3 abbia una sfumatura di dativo etico e che dunque l’imperatore, vedendo tutti i dignitari cristiani in uno stato così elevato, disprezzi solo i mussulmani. 6. ‘come la sabbia del mare dinanzi al vento’. 7. nova cossa: ‘una cosa inaspettata, straordinaria’. ebe ad aparire: ‘apparve’. 8. Fé: ‘fece’. isbigotire: ‘sbigottire’; forma prostetica.
21. 1. Però che:‘perché’. 3.‘entrarono, e in mezzo a loro una donzella’. 5-6. La bellezza della donna è descritta con alcune delle immagini più frequenti nella letteratura canterina: la stella del mattino (quella più luminosa di tutte), il giglio e la rosa del giardino (il latinismo orto e il francesismo verz[i]eri sono sinonimi). 8. beltade: ‘bellezza’.
22. La bellezza di Angelica fa impallidire quella, pur straordinaria, delle altre donne presenti e note al lettore: anche questo è un topos del genere (cfr. Falconetto 1483, pp. 188-189). 1. Galerana: moglie di Carlo Magno. 2. eravi: ‘vi era’. Alda: Alda la Bella. Non tutte le tradizioni leggendarie si accordano sull’effettivo matrimonio di Orlando (cfr. 2, 2). Boiardo pare invece dare credito all’avvenuto sposalizio, il che non toglie la radicale inesperienza del paladino di fronte alla passione amorosa (cfr. p. es. II, xix, 50, 8). 3. Clarice: moglie di Rinaldo. Ermelina: moglie di Uggeri il Danese. tanto umana: se non è il solito epiteto di ascendenza lirica (‘gentile’), allude alla compassionevolezza di Ermelina, che aveva nascosto la morte del figlio al marito e interrotto il duello di questi con Orlando (TISSONI BENVENUTI 1999). 4. che nel mio dir non spando: ‘che qui non nomino’. 5. di vertù fontana: ‘fonte di virtù’; cioè dotata di virtù in sommo grado (TROLLI 2003, p. 51).
23. 4. di stupor conquiso: ‘vinto dallo stupore’. 5. Si fece… proximano: ‘si avvicinò’. 6. vista: ‘aspetto’. riso: ‘sorriso’. 7. saxo: latinismo solo grafico, che non incide sulla rima.
24. 2. prodecie: ‘prodezze’. toi: ‘tuoi’. 5. non fian perdute: ‘non saranno perdute, inutili’. 6. peregrini: ‘viandanti’. 8. iocundo: cfr. 13, 1.
25. 1. te facia manifesta: ‘ti riveli’. 2. Con breve ragionar: ‘in poche parole’. cagione: ‘motivo’. 4. Uberto da il Leone: nome falso che cela l’identità dell’Argalìa (cfr. l’ottava 37). Del vero Uberto si parla più avanti (I, xiv, 40-41). 5. ‘nato di nobile famiglia e di illustre schiatta’. 6. oltra a ragione: ‘contro ogni diritto’. 7. foi: ‘fui’. 8. Angelica: il personaggio è invenzione boiardesca e il nome sembra riecheggiare un frequente epiteto lirico allusivo alla bellezza della donna amata. nomata: ‘chiamata’.
26. 1. Il luogo è lasciato volutamente nel vago. La Tana si trovava alle foci del Don (Tanais). Sopra: ‘oltre’. 2. regemo: ‘reggiamo’ (o ‘reggemmo’?). 3. ‘ci furono portate tue notizie’. 4. concistoro: ‘raduno’. 6-8. ‘e (ci è stato riferito) che il premio del valore non consiste né in città né in ricchezze, ma si dà al vincitore una corona di rose’.
27. 1. ha delibrato: ‘ha deciso’. 3. il fior de’ baron: ‘i migliori dei cavalieri’ (TROLLI 2003, p. 51). 4-5. ‘di battersi individualmente con ciascuno, cristiano o saraceno che sia, nel torneo’. 6. Fuor dela terra: ‘fuori dalla città’. 8. Petron di Merlino: la rupe di Merlino è un luogo topico dei romanzi bretoni. Boiardo se ne serve per introdurre il nome del mago nel suo racconto e arricchire la mescolanza tra gli elementi arturiani e quelli carolingi (si veda l’Introduzione, pp. 23-24).
28. 1. ‘Ma ciò accadrà a questa condizione’. 3. delo arcione: ‘dalla sella’. 4. repugnare: ‘opporsi in altro modo, riprendere lo scontro’; latinismo. 5. ‘e sia prigioniero senza più opporsi’. sentia: ‘senza’; grafia etimologica. È interessante notare la polimorfia della parola nel testo: in questo canto ricorrono anche le forme sett. santia (30, 8) e sancia (31, 3), più oltre il toscaneggiante senza (I, iv, 56, 4). 6. scavalcare: ‘abbattere dal cavallo, disarcionare’. 8. Esso: cioè l’Argalìa (alias Uberto). soi: ‘suoi’.
29. In questa e nelle successive ottave Boiardo descrive la fenomenologia dell’innamoramento di Orlando attingendo a piene mani alla lirica amorosa, soprattutto stilnovistica e petrarchesca. 1. ingionichiata: ‘inginocchiata’; settentrionalismo. 2. attendïa: ‘attendeva’. 3. mirata: ‘guardata’. 5. con vista cangiata: ‘con l’aspetto cambiato’. 6. Benché… tenìa: ‘benché tenesse’. Le concessive presentano spesso il verbo all’indicativo (MATARRESE 2004, pp. 110-111). 8. Calco di Rvf 1, 11: «di me medesmo meco mi vergogno» (TISSONI BENVENUTI 1999).
30. 1. pacio: ‘pazzo’ (cfr. 6, 7). dicìa: ‘diceva’. 2. ‘Come ti lasci trascinare dal tuo desiderio!’. 3. te disvìa: ‘che ti allontana dalla retta via’; cfr. Rvf 206, 21: «il fero ardor che mi desvia» (DONNARUMMA 1992, p. 520). 4. fallare: ‘peccare’. 6. Vedome: ‘mi vedo’. aitare: ‘difendere’. 8. Santia: ‘senza’.
31. 1. dal cor dipartire: ‘allontanare dal cuore’. 2. Riscrittura dell’incipit di una famosa canzone di Cino da Pistoia: La dolce vista e il bel guardo soave. viso sereno:è sintagma petrarchesco (TISSONI BENVENUTI 1999). 3. sancia: ‘senza’. 4. Citazione petrarchesca, che si rinviene anche in Al (I, 43, 97): «Così lo spirto d’or in or vèn meno» (TIZI 1988, p. 216). 5. forcia: ‘la forza’. 7. saper: ‘il senno’. 8. Il verso cita alla lettera Rvf 264, 136: «et veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio».
32. 3. il duca Naimo: Namo di Baviera. È il cavaliere anziano e il primo consigliere di Carlo Magno: nemmeno la sua proverbiale saggezza può difenderlo da Amore. canuto e bianco: evidente tessera petrarchesca (Rvf 16, 1). 8. Carlone: Carlo Magno. La forma deriva dal caso indiretto a. fr. Carlon/-un.
33. 1. immotto: ‘immobile’. 3. gioveneto: ‘giovane’. 4. vampa viva: ‘fiamma viva’; allitterazione. 5. prese per partito: ‘decise’. 6. ‘di rapirla a quei giganti contro la loro volontà’; ciganti è forma sett. con sordizzazione ipercorretta della consonante iniziale (MATARRESE 2004, p. 73). 7. afrenò: cfr. 7, 4.
34. 2. Gràttassi: ‘si gratta’. non ritrova loco: ‘non trova pace’. 5. Malagise: cugino di Rinaldo secondo la tradizione seguita da Boiardo, cavaliere e mago, provetto evocatore di demoni. È una delle presenze fisse dei romanzi cavallereschi del Quattrocento e spesso la sua dimestichezza con l’occulto salva la vita dei paladini. cognosciuta: ‘riconosciuta’; cioè si è reso conto di avere che fare con una maga ingannatrice. 6. In te: ‘contro di te’.
35. 3. ‘per potersi trattenere a lungo con lei’. 4. Chiasmo, figura retorica di frequente impiego nel romanzo, qui giocata su due coppie di verbi sinonimi, a sottolineare l’intenzione di Carlo rivelata nei vv. precedenti. Mira: ‘guarda’. favella: ‘parla’. 5. li pote: ‘le può’. 6. li sugella: letteralmente ‘le sigilla’; forse ‘le concede’, ma si tratterebbe di accezione rarissima (TROLLI 2003, p. 284). 7. ‘giurando di rispettare gli accordi messi per iscritto’. 8. si parte: ‘parte’; pseudoriflessivo (MENGALDO 1963, pp. 172-175; MATARRESE 2004, p. 95).
36. 2. quaderno:è il libro che contiene le formule magiche. 3. ben compita:‘interamente’ (TROLLI 2003, p. 116). 6. turbosse: ‘si turbò’. 7. cognobe quasi ala scoperta: ‘seppe chiaramente’ (TROLLI 2003, p. 260). 8. ‘che Carlo sarebbe stato ucciso e la sua corte distrutta’.
37. 2. Galafrone: come Angelica, sembra personaggio di invenzione boiardesca. 3. falsitade: ‘inganno, potere di creare una realtà illusoria’ (l’accezione non sembra attestata altrove; TROLLI 2003, p. 146). 4. incantatïone: ‘incantesimi’; pl. sett. 6. mal vechione: ‘vecchio malvagio’. 7. Argalìa: deriva dall’a. fr. augalie (‘califfo’) e oscilla tra la forma con l’articolo (cfr. p. es. 41, 3) e quella senza.
38. 1. distreri: ‘destriero’. 2. spinto: ‘spento’; forma sett. che si potrebbe forse correggere per la rima. 3. nel corso: ‘nella corsa’. veloce e legeri: ‘veloce e agile’ (TROLLI 2003, p. 183). 4. passato: ‘superato’. 5 coracia: ‘corazza’. cimeri: ‘cimiero’; ornamento superiore dell’elmo che può avere forme diverse, talvolta riconducibili al simbolo genealogico del cavaliere. 6. incantamento: ‘magia’.
39. In questa ottava le rime tronche si alternano con quelle sdrucciole, mentre il distico finale insiste su rime piane. 2. per quelle: ‘grazie a quelle’. il: ‘egli’. 4. vertù: ‘potere magico’. 5. Advengaché: ‘sebbene’. 7. manco latto: ‘lato sinistro’. 8. incanto: ‘incantesimo’. guastava: ‘neutralizzava’.
40. 1. polita: ‘bella’. 2. Volse: ‘volle’. seco: ‘con lui’. 4. tirasse: ‘attirasse’. 5. ala finita: ‘alla fine’. 6. preso: ‘prigioniero’. 7. mane: pl. sett. 8. maladetto cane: epiteto ingiurioso formulare.
41. 1. Malgisi: forma che sembra memore dell’a. fr. Maugis. 5. pavalion: ‘padiglione, tenda’. 6. Troppo: ‘molto’; francesismo. 8. posarsi: ‘riposarsi’. disire: ‘desiderio’.
42. 4. guardava: ‘guardavano, proteggevano’; la III pers. sing. per la III pl. è un tratto sett. tipico. 5. parìa: ‘pareva’. cosa: ‘creatura’. 6. rasumigliava: ‘assomigliava’. 7. germano: ‘fratello’.
43. 2. aira: ‘aria’. 3. ebe mirato: ‘vide’. 4. Iacer: ‘giacere’. 6. Dialefe tra intorno ed e’. non dormiva: ‘non dormivano’. 7. canaglia: collettivo. 8. sancia bataglia: ‘senza combattere’.
44. 1. valeran: ‘varranno, gioveranno’. macie: ‘mazze ferrate’. 2. spade torte: ‘spade curve’; cioè scimitarre. 3. senterite: ‘sentirete’. 4. castron: ‘agnelli castrati’. avriti: ‘avrete’. 5. più non si ritiene: ‘non indugia più’. 6. getta le sue sorte: ‘fa i suoi incantesimi’. 7. volto: ‘girato’. 8. somno: grafia latineggiante. sopolto: ‘sepolto’; forma labializzata.
45. 1. dapoi: ‘poi’. 2. pianamente: ‘piano, senza fare rumore’. 3. vegendola: ‘vedendola’. 4. indugia e bada: ‘esita’; coppia sinonimica. 6. Così convien che vada!: ‘deve andare così!’. 8. ‘soddisferò con lei il mio desiderio’.
46. Boiardo sovverte un topos consolidato della letteratura cavalleresca precedente. Spesso Malagise fa addormentare le avversarie pagane per poi sedurle: qui, invece, la magia gli si ritorce contro e il suo piano fallisce (CANOVA 2007, pp. 91-98). Questa ottava offre anche un buon esempio dell’uso desultorio dei tempi verbali, espediente abituale che contribuisce a movimentare la narrazione (Falconetto 1483, pp. 102-103). 4. chi li vale?: ‘a che gli serve?’. 5. cruda: ‘forte’. 6. certano: ‘certo’. 8. ‘e cominciò ad abbracciarla strettamente’.
47. 1. damisella: ‘damigella’; forma assibilata. crido: forma sett. frequente nel testo (MATARRESE 2004, p. 73). metìa: ‘lanciava’. 2. Tapina: ‘misera, sventurata’; agg. formulare. 3. sbigotìa: ‘si meravigliava’ (TROLLI 2003, p. 256). 6. tuttafiata: ‘tuttavia, senza interruzione’. 7. sonachioso: ‘insonnolito’. se sveglione: ‘si svegliò’; con epitesi di -ne. 8. usì: ‘uscì’.
48. 1. ‘Appena vide’. 2. gradito:è epiteto formulare nei romanzi cavallereschi e dunque, di solito, desemantizzato; qui però potrebbe avere una connotazione ironica. 3. ‘per la scena improvvisa si perse talmente d’animo’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 4. che non fu… ardito: ‘che non ebbe il coraggio’. 5. in sé fu rivenuto: ‘si fu ripreso’. 6. truncon: ‘grosso ramo’. l’ebe asalito: ‘lo assalì’.
49. 2. ch’io il lasso: ‘che io lo lasci’. nigromante: ‘mago’. 3. hagio: ‘ho’; voce di tradizione poetica (SERIANNI 2009, p. 194). 4. ‘le tue forze non basterebbero a catturarlo’; apodosi con il presente indicativo per influsso del parlato (MATARRESE 2004, p. 110). 5. a mano a mano: ‘subito’; è espressione formulare, che spesso funge da zeppa, e può assumere significati diversi (TROLLI 2003, p. 190). 7. Per volerlo svegliar: ‘per svegliarlo’; con uso pleonastico del verbo servile. 8. sconfitto: ‘soggiogato, vinto’ (TROLLI 2003, p. 259).
50. 1. Di qua, di là: tessera dantesca (Inf. V, 43; cfr. CREMANTE 1970, p. 175). 2. indarno proccacia: ‘si affatica invano’. 3. ispicca: ‘spicca, stacca’; con prostesi. 4. indretto: ‘indietro’. spacia: ‘fa in modo’. 5. E’: ‘egli’. 8. incatenòlo: ‘lo incatenò’.
51. 1. Comme: ‘quando’. vite: ‘vide’; forma sett. 3. consacrato: ‘investito di poteri superumani’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 4. Il cerchio era un simbolo magico utile a evocare i demoni. Talvolta era disegnato a terra (TISSONI BENVENUTI 1999). 5. ‘subito l’aprì’. 7. spirti: ‘spiriti’; solita forma sincopata. 8. cridando: ‘che gridavano’; gerundio con valore di participio presente. vòi: ‘vuoi’.
52. 3. Cataio: non è il Catai cinese di Marco Polo; si tratta forse di un zona meridionale dell’Asia (TISSONI BENVENUTI 1999). citate: ‘città’. 5. se: per il sett. ge ‘gli’ (TISSONI BENVENUTI 1999) o particella riempitiva desemantizzata (Falconetto 1483, p. 102)? 6. presa: ‘cattura’. 8. un ceso: ‘un cece’ (con assibilazione e falsa restituzione dell’atona finale); cioè ‘per nulla’.
53. 2. aier: ‘aria’. 3. avante: ‘davanti’. 4. scolio: ‘roccia’. 6. Discacia: ‘scaccia’. 7. Ognon strenge: ‘ognuno stringe’; forme non anafonetiche. alcia il cilio: ‘alza le ciglia’. 8. ‘meravigliandosi fortemente del passato pericolo’.
54. 2. tentione: ‘tenzone, discussione’; cioè ‘si discusse molto’. 3. al tutto se dispose: ‘decise in modo irrevocabile di’. 6. non era ragione: ‘non era giusto’. 7. ogni om se estima: ‘ognuno ha alta stima di sé’. 8. gir in prima: ‘andare per primi’.
55. 1-2. avea temuto… non: costruzione latineggiante del verbum timendi con particella negativa. 2. ‘che qualcun altro conquisti la donna’. 5. sta sicuro tutto: ‘è sicurissimo’. 8. Espressione formulare che indica l’impazienza.
56. 3. sue ragion pórte: ‘esposto le proprie ragioni’. 4. Fu statuita… e terminata: ‘fu deciso e stabilito’. 6. ‘e a chi toccherà la sorte’. 8. ussire: ‘uscire’. di fore: ‘fuori’.
57. 2. scrito e seperato: ‘scritto su foglietti separati’. 4. orna: ‘urna’. 5. férno: ‘fecero’. 6. i breve: ‘i foglietti’; pl. sett. abia levato: ‘estragga’. 8. letra: var. sincopata di lettera ‘lo scritto’. Astolfo de Angelterra: Astolfo d’Inghilterra, figlio del re Ottone, è un personaggio su cui si appunta la simpatia di Boiardo. La sua fisionomia muta sensibilmente dalle prime marginali apparizioni nelle chansons francesi: con l’andare del tempo diventa inglese (in origine era signore di Langres, in Francia), ricco, generoso e gaudente, ma anche sbruffone e non valorosissimo sul piano militare (cfr. l’ottava 60). Nell’Inamoramento de Orlando riuscirà a riscattarsi con l’aiuto della lancia magica dell’Argalìa (cfr. I, vii; CANOVA 2007, pp. 98-106).
58. 1. trato: ‘estratto’. 2. Dudone: fortissimo figlio di Uggeri il Danese, noto anche come «Dudone il Santo» o «Dudone dalla mazza», perché solitamente armato di una mazza ferrata (VILLORESI 1995-1996). 3. arguto: agg. formulare con vari significati, qui parrebbe ‘feroce’ (BRUSCAGLI 1995; TROLLI 2003, p. 89). 4. presso al’altro: ‘dopo l’altro’. Belengere e Otone: figli di Namo di Baviera, come Avino e Avolio. Di solito hanno ruoli piuttosto marginali. 6. ‘ma per farla breve’ (cfr. 54, 2). 7. ne fòr trati: ‘ne furono estratti’. 8. vuò: ‘voglio’.
59. 1. inver: ‘verso’. 2. fu compito: ‘si finì’. 4. Dimanda: ‘chiede che gli vengano portate’. 5. Il verso modifica l’incipit di un polimetro di Giusto de’ Conti: La notte torna, e l’aria e ’l ciel s’annera (PANTANI 2006, p. 114). 7. in poco d’ora: ‘in poco tempo’.
60. Caso raro di ottava interamente dedicata alla presentazione di un cavaliere, peraltro notissimo ai lettori (sul versante saraceno si può confrontare il ritratto di Feraguto a I, ii, 10). 2. ‘non ebbe pari quanto a bellezza’. 4. sembiante: ‘aspetto’. 6. fiate: ‘volte’. ferante:o aferante ‘cavallo da battaglia’; gallicismo di origine araba (Falconetto 1483, p. 107). 7. per sciagura: ‘per sfortuna’.
61. 4. maglia:è la maglia metallica, arma di difesa. 5. ismesurato: ‘smisurato’; forma prostetica. 6. ‘a causa di un gioiello incastonato in quel manufatto (l’elmo)’. 7. Come al solito, l’auctoritas di Turpino è citata scherzosamente quando le affermazioni del testo sono inverosimili (cfr. p. es. 74, 7-8).
62. 1. copertato a pardi: ‘coperto con addobbi a leopardi’; simbolo genealogico di Astolfo. 2. sopraposti: ‘ricamati in rilievo’ o ‘applicati sul tessuto’ (TROLLI 2003, p. 273). 3. sancia riguardi: ‘senza timore’. 5. Era già poco giorno: ‘il giorno stava per finire’ (memoria dell’incipit “petroso” dantesco Al poco giorno ed al gran cerchio d’ombra?). 7. nela gionta: ‘al suo arrivo’. corno: il suono del corno era un convenzionale segno di sfida. 8. adorno:è agg. formulare, ma qui dovrebbe valere ‘armato elegantemente’ (TROLLI 2003, p. 77).
63. 1. levosse: ‘si alzò’. 3. adobosse: ‘si addobbò, si vestì’. 8. messi al piano: ‘mandati a terra, disarcionati’.
64. 2. ‘i patti dello scontro furono confermati tra i due cavalieri’. 4. fòrno… dilongati: ‘si allontanarono’, per prendere la rincorsa prima dello scontro con la lancia. 5. parimente: ‘nello stesso modo’. 6. ben serrati: ‘ben stretti a difesa’. 7. comme… fu toco primero: ‘appena fu toccato’; toco (cioè tocco) è un participio passato forte. 8. ‘finì gambe all’aria’.
65. 1. sabione: ‘terreno dello scontro’ (TROLLI 2003, p. 253). 2. crucioso: ‘corrucciato’. fella: ‘crudele’. 3. èi: ‘sei’. contra a ogni ragione: cfr. 25, 6. 5-6. Periodo ipotetico dell’irrealtà con uso dell’imperfetto indicativo sia nell’apodosi sia nella protasi (cfr. MENGALDO 1963, p. 187). 5. se io stava in arcione: ‘se io fossi rimasto in sella’. 7. egli è certano: ‘ciò è sicuro’.
66. 2. menarno: ‘condussero’. 4. il guardone: ‘lo guardò’; cfr. 47, 7. 5. vago: ‘bello’. 6. pigliò: ‘ebbe’. 7. Unde: cfr. 6,1.
67. 1. disolto: ‘sciolto, slegato’. 2. solaciava: ‘si divertiva’. 4. nascoso: ‘di nascosto’. 6. incortinato: ‘circondato da cortine’. lo possava: ‘lo metteva a riposare’.
68. 2. fu aparito: ‘comparve’. 3. tempesta: ‘furia’ (TROLLI 2003, p. 288). 4. ‘che sembra la fine del mondo’.
69. 1. affatato: ‘incantato’. 4. che fa misteri: ‘che serve’. 5. non mostra: ‘non si mostra’. 6. Anci: ‘anzi’. sospeso e legeri: dittologia sinonimica. 8. ‘non si vede alcuna impronta dei suoi zoccoli’.
70. 1. voglia: ‘impazienza’. 2. incresce: ‘spiace’. 3. comme prima l’ha veduto: ‘appena lo vide’. 6. Con l’asta a resta: ‘con la lancia in resta’; cioè fissata alla resta (sporgenza laterale dell’armatura) in orizzontale, per colpire. 7. farìa sacramento: ‘ci giurerebbe’. 8. a suo talento: ‘a sua disposizione’; cioè vincere il duello e guadagnare Angelica.
71. I primi sei versi dell’ottava insistono su rime tronche; il fatto è raro ed efficace per descrivere l’imprevisto disarcionamento di Feraguto (TISSONI BENVENUTI 1999). 5. trabucò: ‘cadde’. 6. scià: ‘sa’; forma frequente che incrocia grafia latineggiante e fonetica dialettale (cfr. I, i, 80, 2; I, ii, 8, 2 ecc.; MENGALDO 1963, p. 94). se egli è note o dì: ‘se sia notte o giorno’.
72. 2. ‘rendono spesso alcuni facili all’ira’. altrui: ha significato generico (MENGALDO 1963, p. 162). 5. praticarlo: ‘averci che fare’. 6-7. ‘bastava poco a fargli prendere le armi’; per volerlo cfr. 49, 7. 8. crucioso e di cor subitano: ‘iracondo e impulsivo’.
73. 1. lo levàr di terra: ‘lo fecero alzare’. 3. se aparechia: ‘si prepara’. 5. Trasse: ‘sguainò’. a piè se disserra: ‘si scaglia a piedi’. 6. Ver: ‘verso, contro’. batendo dente a dente: consueta manifestazione di parossismo da parte dei cavalieri infuriati.
74. 2. in abandono: ‘con furia’ (TROLLI 2003, p. 73). 6. trono: ‘tuono’. 8. doa: ‘due’.
75. 2. non credati: ‘non credete’. 3. membruto: ‘robusto’. 5. nomosse: ‘si chiamava’. Veluto: ‘Peloso’. 7. ‘il terzo è noto con il nome di Urgano’. 8. Il gigante è alto circa nove metri.
76. 4. cadea: ‘sarebbe caduto’. passato: ‘trafitto’. 5. né levrer né pardo: ‘né un levriero né un leopardo’. 6. groppo di vento: ‘turbine’ (TROLLI 2003, p. 166).
77. 1. ‘Colpì il gigante al fianco destro’. 3. petignone: ‘inguine’. 5. mena: ‘muove’. per ragione: ‘per bene’. 6. forte: ‘fortemente’; agg. con valore di avv. 7. travaglia: ‘fastidio’.
78. 1. Fiè: ‘fece’. 2. vinti pedi: circa sei metri. 3. ‘Ha dato un tale colpo a Urgano’. ha donato è un gallicismo. 4. li ha partito: ‘gli ha diviso’. 6. coppa: ‘nuca’. l’ha ferito: ‘l’ha colpito’. 7. De: ‘con’. toca: ‘colpisce’.
79. 1. fiero: ‘feroce’. 3. messe: ‘mise’. altero: ‘alto’ (TROLLI 2003, p. 82). 4. Partito: ‘diviso, spaccato’. 5. periglio: ‘pericolo’. 7. di dreto: ‘da dietro’. 8. se procacia: ‘si dà da fare’.
80. 2. da lui fu despicato: ‘(Feraguto) si staccò da lui’. 3. di ferro un bastone: ‘una mazza ferrata’. 5. la tentione: ‘il duello’ (cfr. 54, 2). 6. a un tratto: ‘nello stesso momento’. 8. colto: ‘colpito’.
81. 1. cassa: ‘a vuoto’. 2. rubesta: ‘violenta’. 3. Gionselo: cfr. 77, 1. 4. disarmò: ‘privò di protezione’. 6. traverso: ‘colpo di traverso’. tempesta: ‘impeto’ (TROLLI 2003, p. 288). 8. a: ‘con’.
82. 1. megio: ‘mezzo’. 6. li ebe ritornato: ‘gli fece ritornare’.
83. 1. Che hagio a far io: ‘Che devo fare io’. 2. ebe a firmare: ‘firmò’. 4. ‘che possa vincolarmi con una sua legge?’ (TROLLI 2003, pp. 126, 204). 5. Teco: ‘contro di te’. 7. al tutto: ‘senz’altro’ (TROLLI 2003, p. 300). 7-8. La rima presuppone la fonetica sett.
84. 1. se è levato: ‘si è alzato’. 4. ‘che fece tremare tutta la campagna’. 5. piato: ‘litigio’; è termine di origine giuridica. 6. se metìa: ‘si metteva’. 7. concordare: ‘mettere d’accordo’.
85. 4. speciato: ‘spezzato’. 5. provedi: ‘decidi’.
86. 1. E’ mi dà il core: ‘il coraggio mi permette’. 3. ‘di batterti nello scontro’. 5. disiato: ‘desiderato’. 6. drudo:è epiteto formulare, ma qui conserva forse l’arcaico significato di ‘innamorato’ (SCAGLIONE 1963). 8. sarìa gito: ‘sarebbe andato’.
87. 1. in mente: ‘tra sé’. se turbava: ‘si infuriava’. 4. guerra: ‘scontro’; quello contro l’Argalìa e quello contro i giganti. 7-8. Espressione proverbiale: ‘tu cerchi guai e io te li darò’; di registro piuttosto basso (per quanto memore di Par. XVII, 129).
88. 1. bontade: ‘valore’. 2. ‘che ti tratterò come ti meriti’. 5. il mal giorno: ‘guai’. 6. Fàciote certo: ‘ti assicuro’. 7. Difféndite: ‘difenditi’. 8. incontinenti: cfr. 51, 5.
89. 6. veracemente: ‘veramente’. 7. io non te mi nascondo: ‘io non te lo nascondo’.
90. 6. Trasse: ‘estrasse’. 7. pregiata: ‘preziosa per i suoi poteri magici’. 8. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha sta; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni.
91. 2. Ambi… urtàro: ‘entrambi si scontrarono’. 3. sì soprano: ‘così straordinariamente valoroso’. 4. ‘che costoro non possano stare alla pari con lui’. 5. e ’l sir de Montealbano: ‘e Rinaldo’. 6.‘non vi sarebbe alcuna differenza’. 7-8. Nella chiusa del canto il poeta torna a indossare i finti panni del canterino usati all’inizio.