CANTO SECONDO

Prosegue il duello tra Feraguto e l’Argalìa: i due si confessano a vicenda le protezioni magiche di cui godono (1-8). Feraguto chiede all’Argalìa di concedergli la sorella per evitare lo scontro mortale. L’Argalìa accetta, ma solo a patto che la sorella sia d’accordo. La donna però rifiuta e fugge verso casa, ripromettendosi di fare tappa nella selva di Ardenna, imitata dal fratello poco dopo. Feraguto resta solo e scornato (9-16). Astolfo, ormai libero, torna a Parigi con la lancia dell’Argalìa, della quale ignora i poteri magici; incontra Rinaldo e gli racconta gli ultimi fatti: Rinaldo parte subito all’inseguimento di Angelica. Poi Astolfo informa anche Orlando, che a sua volta decide di partire in incognito (17-28). Comincia la giostra: Serpentino scavalca molti cavalieri cristiani, ma è abbattuto dal Danese, che ha la meglio anche su altri avversari (29-48). Entra in campo il possente Grandonio, che disarciona il Danese e molti altri, vantandosi con intollerabile superbia e provocando i cristiani (49-63). Carlo Magno, abbandonato dai suoi guerrieri migliori, si infuria e Astolfo si appresta a combattere per il suo imperatore nella generale sfiducia (64-68).

1.
Io vi cantai, signor, comme a bataglia
Eran condutti con molta arogancia
Argalìa, il forte cavalier di vaglia,
E Feraguto, cima di posancia;
L’un ha incantata ogni sua piastra e malia,
L’altro è fatato fuorché nela pancia:
Ma quella parte de aciaro è coperta
Con vinte piastre, e questa è cossa certa.

2.
Chi vedesse nel bosco dui leoni
Turbati e a bataglia insieme apresi,
O chi odisse nel’aria dui gran troni
Di tempesta, romore e fiama acesi,
Nulla sarebe a mirar quei baroni
Che tanto crudelmente se hano offesi:
Par che il ciel arda e il mondo a tera vada
Quando se incontra l’una e l’altra spada.

3.
E’ si ferìano insieme con furore,
Guardandosi l’un l’altro in vista cruda,
E, credendo ciascuno esser megliore,
Trema per ira e per affanno suda.
Or lo Argalìa con tutto suo valore
Ferìa il nemico in sula testa nuda
E ben si crede sanza dubitantia
Aver finita a quel colpo la dantia.

4.
Ma poi che vide il suo brando polito
Sancia alcun sangue ritornar al cielo,
Per maraviglia fu tanto smarito
Che in capo e in dosso se li ariciò il pelo.
In questo Feraguto lo ha assalito:
Ben crede fender l’arme come un gelo
E crida: «Ora a Macon te aricomando,
Che a questo colpo a star con lui te mando!».

5.
Così dicendo, quel baron aitante
Ferise ad ambe man con forcia molta:
Se stato fosse un monte de diamante,
Tutto l’avrìa tagliato in quella volta.
L’elmo affatato a quel brando troncante
Ogni possantia di tagliare ha tolta.
Se Feragù turbosse io non lo scrivo:
Per gran stupor non scià s’è morto o vivo!

6.
Ma poi che ciascadun fu dimorato
Tacito alquanto sancia colpezare
(Che l’un del’altro è sì maravigliato
Che non ardiva apena di parlare),
L’Argalìa prima, a Feragù driciato,
Disse: «Barone, io te vuò palesare
Che tute l’arme che ho, da capo a piedi,
Sono incantate, quante tu ne vedi;

7.
Però con meco lascia la bataglia,
Che altro aver non ne pòi che danno e scorno!».
Feragù dise: «Se Macon mi vaglia,
Quante arme vedi a mi sopra e intorno:
E questo scudo, e piastre, e questa maglia,
Tutte le porto per esser adorno,
Non per bisogna; ch’io son afatato
In ogni parte, fuorché in un sol lato!

8.
Sì che a donarti un optimo consiglio
(Benché nol chiedi), io te sciò confortare
Che non te metti de morte a periglio:
Sancia contesa vogli a me lassare
La tua sorella, quel fiorito ziglio,
E altramente tu non pòi campare!
Ma se mi fai con pace questo dono,
Eternamente a te tenuto sono!».

9.
Rispose lo Argalìa: «Baron audace,
Ben hagio inteso quanto hai ragionato
E son contento aver con teco pace
E tu sia mio fratello e mio cognato,
Ma vuò saper se ad Angelica piace,
Che sancia lei non se farìa il mercato».
E Feragù gli dice esser contento
Che con essa ben parli a suo talento.

10.
Abenché Feragù sia gioveneto,
Bruno era molto e de orgoliosa voce,
Terribile a guardarlo nelo aspetto:
Li ochii avea rossi con bater veloce.
Mai di lavarsi non ebe diletto,
Ma polverosa ha la facia feroce.
Il capo acuto avëa quel barone,
Tutto riciuto e ner comme un carbone.

11.
E per questo ad Angelica non piacque,
Che lei volëa ad ogni modo un biondo;
E disse alo Argalìa, comme lui tacque:
«Caro fratello, io non te mi nascondo:
Prima me affogarei dentro a quest’acque
E mendicando cercarebe il mondo,
Che mai togliesse costui per mio sposo.
Meglio è morir che star con forïoso!

12.
Però ti prego, per lo dio Macone,
Che te contenti dela voglia mia,
Ritorne ala bataglia col barone
E io fratanto per nigromancia
Farò portarmi in nostra regïone.
Volta le spalle e vien anche tu via:
Distrer non è che il tuo segua di lena;
Io fermaròmi ala selva de Ardena

13.
Aciò che insieme faciamo ritorno
Dal vechio patre, al regno de oltra mare.
Ma se quivi non giongi il tercio giorno,
Soletta al vento me farò passare,
Poiché hagio il libro di quel can musorno
Che me credète al prato vergognare.
Tu poi ad agio per terra verai:
La strata ha’ caminata e ben la sciai».

14.
Così tornarno i baron al ferire,
Dapoi che questo a quello ha referito
Che la sorella non vòle asentire.
Ma Feragù per ciò non è partito,
Anci destina o vincere o morire.
Ecco la dama da il viso fiorito
Subito sparve ai cavalier davante.
Presto sen còrse il suspetoso amante,

15.
Però che spesso la guardava in volto,
Parendogli la forcia raddopiare;
Ma poi che gli è davanti così tolto,
Non scià più che se dir, né che se fare.
In questo tempo lo Argalìa, rivolto
Con quel distrier che al corso non ha pare,
Fuge del prato e quanto può sperona
E Feraguto e la guerra abandona.

16.
Lo innamorato gioveneto guarda
Comme gabato se trova quel giorno.
Esce del prato correndo e non tarda
E cerca il bosco chi è folto de intorno.
Ben par che nela facia avampa e arda,
Tra sé pensando il recevuto scorno,
E non se aresta correre e cercare,
Ma quel che cerca non può lui trovare.

17.
Tornamo ora ad Astolfo, che soleto
(Comme sapetti) rimase ala Fonte.
Mirata avea la pugna con diletto
E de ciascun guerer le force pronte;
Or resta in libertà sancia suspetto,
Ringraciandone Dio con le man gionte.
E per non dar indugia a sua ventura,
Monta a destrier con tutta l’armatura.

18.
E’ non aveva lancia il paladin,
Che la sua nel cadere era speciata;
Guàrdassi intorno e al troncun de il pin
Quella delo Argalìa vide apogiata.
Bella era molto e con lame d’or fin
Tutta di smalto intorno lavorata.
Prendela Astolfo quasi per desasio,
Sancia pensare in essa alcun vantagio.

19.
Così tornando adietro alegro e baldo,
Comme colui che è sciolto de prigione,
Fuor de il boscheto ritrovò Ranaldo
E tutto il fatto a ponto li contone.
Era il figlio de Amon de amor sì caldo
Che possar non potea di passïone:
Però fuor dela terra era venuto
Per saper che agia fatto Feraguto.

20.
E comme odì che fugìan verso Ardena,
Nulla rispose a quel duca dal pardo:
Volta il distrero e le calcagne mena
E di pigricia accusa il suo Baiardo.
Delo amor de il patron quel porta pena
E chiamato è rozone, asino tardo:
Quel bon distrier che va con tanta fretta
Che a pena l’avrìa gionto una saetta!

21.
Lasiamo andar Ranaldo inamorato.
Astolfo ritornò nela citade;
Orlando incontinenti l’ha trovato
E dala longa, con sagacitade,
Dimanda comme il fatto sia passato
Dela bataglia e de sua qualitade;
Ma nulla li ragiona de suo amore,
Perché vano il conosce e cianciatore.

22.
Ma comme intese che egli era fugito
L’Argalìa al bosco e seco la dongella,
E che Ranaldo lo aveva seguito,
Partisse in vista nequitosa e fella.
E’ sopra al letto suo càde invilito,
Tanto è il dolor che dentro lo martella:
Quel valoroso, fior d’ogni campione,
Piangea nel letto comme un vil garzone.

23.
«Lasso!» diceva «che io non ho diffesa
Contra al nemico che mi sta nel core Or,
che non hagio Durindana presa
A far bataglia contra a questo Amore,
Qual m’ha di tanto foco l’alma accesa
Che ogni altra doglia nel mondo è minore
Qual pena è in terra simile ala mia,
Che arde de amor e giazo in gelosia?

24.
Né sciò se quella angelica figura
Se dignarà de amar la mia persona:
Ché ben sarà figliol dela Ventura
E de felice portarà corona,
Se alcun fia amato da tal creatura!
Ma se sperancia de ciò me abandona,
Che io sia spregiato da quel viso umano,
Morte me donarò con la mia mano.

25.
Ahi sventurato! Se forsi Ranaldo
Trova nel bosco la vergene bella
(Che lo conosco io comme l’è ribaldo!),
Giamai di man non gli usserà polcella.
Forsi gli è mo’ ben prèso al viso saldo
E io comme dolente feminella
Tengo la guanza possata ala mano
E sol me aiuto lacrimando invano!

26.
Forsi che io credo tacendo coprire
La fiama che mi rode il core intorno?
Ma per vergogna non voglio morire:
Sapialo Dio che alo oscurir de il giorno
Sol di Parigi io me voglio partire
E anderò cercando il viso adorno
Sinché lo trovo, e per state e per verno,
E in tera e in mare, e in Cielo e nelo Inferno!»

27.
Cossì dicendo dal letto si leva,
Dove giaciuto avea sempre piangendo;
La sera aspecta (e lo aspetar lo agreva)
E su e giù si va tutto rodendo:
Uno atimo cento anni li rileva,
Or questo adviso, or quello in sé facendo.
Ma comme gionta fo la notte scura,
Nascosamente veste l’armadura.

28.
Già non portò la insigna de il quartiero,
Ma de un vermiglio scuro era vestito;
Cavalca Brigliadoro, il cavaliero,
E soletto ala porta se n’è gito.
Non scià de lui famiglio né scudero:
Tacitamente è dela terra usito.
Ben suspirando ne andava il mischino
E verso Ardena prese il suo camino.

29.
Or son tre gran campioni ala ventura
(Lasciali andar, che bei fatti farano!):
Rainaldo e Orlando, ch’è de tanta altura,
E Feraguto, fior de ogni pagano.
Tornamo a Carlo Mano, che procura
Ordir la iostra e chiama il conte Gano,
Il duca Namo e lo re Salamone,
E de il consiglio ciascadun barone.

30.
E disse lor: «Signori, il mio parere
È che il giostrante ch’al rengo ne viene
Contrasti ciascaduno al suo potere
Sinché Fortuna o forcia lo sostiene.
El vincitor dapoi (comme è dovere)
Delo abatuto la sorte mantene
Sì che rimanga la corona a lui,
O sia abatuto e dia loco ad altrui».

31.
Ciascuno afferma il ditto de Carlone,
Sì comme de signor alto e prudente:
Lodano tutti quella inventïone.
L’ordene dasse: nel giorno sequente
Chi vòl iostrar se trovi sul’artione;
E fu ordinato che primeramente
Tenesse il rengo Serpentino ardito
A real giostra da il ferro polito.

32.
Véne il giorno sereno e l’alba gaglia:
Il più bel sol giamai non fu levato.
Prima il re Carlo intrò nela travaglia,
Fuorché di gambe tutto disarmato,
Sopra de un gran corsier coperto a maglia;
El ha in man un bastone e il brando a lato.
Intorno a’ pedi aveva per serventi
Conti, baron e cavalier posenti.

33.
Eccoti Serpentin che al campo viene,
Armato e da veder maraviglioso.
Il gran corsier sula briglia sostene,
Quello alcia i pedi, de andare animoso;
Or qua, or là, la piacia tutta tiene,
Li ochi ha abragiati e il fren forte sciumoso;
Ringe il feroce e non ritrova loco,
Borfa ’ le nare e par che geti foco.

34.
Ben lo somiglia il cavalier ardito
Che sopra li venìa con viso acerbo:
Di splendide arme tutto era guarnito,
Nelo arcion fermo e nel’atto superbo.
Fanciulli e donne, ognon lo signa a dito:
Di tal valor si mostra e di tal nerbo
Che ciascadun ben iudica ala vista
Che altri che lui quel pregio non acquista.

35.
Per insegna portava il cavaliero
Nel scudo azuro una gran stella d’oro,
E similmente il suo rico cimero,
E sopravesta fatta a quel lavoro;
La cota d’arme e il forte elmo e ligero
Eran stimati infinito tesoro,
E tutte quante l’arme luminose,
Frizate a perle e pietre precïose.

36.
Così prese l’arengo quel campione
E poi che l’ebe intorno pasegiato,
Fermosse al capo comme un torrïone.
Ma già sonan le trombe da ogni lato:
Entrono giostratori a ogni cantone,
L’un più che l’altro ricamente armato,
Con tante perle e oro e zoglie intorno
Che il Paradiso ne sarebe adorno.

37.
Colui che vien davanti è paladino:
Porta nel blavo la luna de argento,
Sir de Bordella, nomato Angelino,
Mastro di guerra e giostra e torniamento.
Subitamente mosse Serpentino,
Con tal velocità che parve un vento;
Dal’altra parte, menando tempesta,
Viene Angelino e pone l’asta a resta.

38.
Là dove l’elmo al scudo se confina
Fere Angelino a Serpentino avante,
Ma non se piega adietro, anci se china
Adosso al colpo il cavalier aitante;
E lui la vista incontra in tal roina
Che il fé mostrare al ciel ambe le piante.
Lèvassi il crido in piaza: ognon favela
Che il pregio al tuto è di quel dala Stella.

39.
Ora se mosse il possente Ricardo,
Che signoregia tuta Normandia:
Un leon d’oro ha quel baron gagliardo
Nel campo rosso, e ben ratto venìa;
Ma Serpentin a mover non fu tardo
E rescontròlo a mezo dela via,
Dandogli un colpo de cotanta pena
Che il capo gli fé batter sul’arena.

40.
O quanto Balucante se conforta,
Vegendo al figliuol sì franca persona!
Or vien colui che i scachi al scudo porta
E de oro ha sopra l’elmo la corona:
Re Salamone, quella anima acorta,
Stretto ala iostra tuto se abandona;
Ma Serpentino a megio il scudo il fiere
E lui getta per terra e il suo destrere.

41.
Astolfo ala sua lancia dè de piglio
(Quella che l’Argalìa lasciò su il prato),
Tre pardi d’oro ha nel campo vermiglio;
Ben ne venìa sul’arcione asetato,
Ma egli incontrò grandissimo periglio,
Che il destrier sotto li fu trabucato.
Tramortì Astolfo e lume e ciel non vede
E dislogose ancora il destro pede.

42.
Spiacque a ciascuno de il caso malvagio,
E forsi più che al’altri a Serpentino,
Perché sperava gitarlo al rivagio:
Ma certamente era falso indivino.
Il duca fu portato al suo palagio
E ritornògli il spirto peregrino
E simelmente il pede dislogato
Gli fu raconcio e streto e ben ligato.

43.
Abenché Serpentin tanto abia fatto,
Danese Oger di lui non ha spavento:
Mosse il distrier sì furïoso e ratto
Quale nel mar di Tramontana il vento.
Era la insegna de il guerere adapto
Il scudo azuro e un gran scaglion de argento;
Un basalischio porta per cimero
Di sopra al’elmo l’ardito guirero.

44.
Sonàr le trombe: ognon sua lanza aresta
E vengosi a ferir quei dui campioni.
Non fu quel giorno botta sì rubesta,
Che parve nel colpir scontro de troni.
Danese Ogeri con molta tempesta
Roppe di Serpentino ambi li arzoni,
E per la groppe de il destreri il mena,
Sì che disteso il pose in sul’arena.

45.
Così rimase vincitor al campo
Il forte Ogeri e la renga diffende.
Re Balugante par che meni vampo,
Sì la caduta de il figliol lo offende.
Anche egli ariva pur a quello inciampo
Perché il Danese per tera il distende.
Ora si move il giovene Isolieri:
Ben è possente e destro cavalieri.

46.
Era costui di Feragù germano;
Tre lune d’oro avea nel verde scudo.
Mosse il distrier e la lancia avìa in mano:
Nel corso l’arestò quel baron drudo.
Il pro’ Danese lo mandò sul piano
De un colpo tanto dispiatato e crudo
Che non se avede se è morto o vivo
E ben sete ora stiè de il spirto privo.

47.
Gualtier da Monleon doppo colui
Fu da il Danese per terra gitato.
Un drago era la insegna di costui,
Tuto vermiglio nel campo dorato.
«Deh, non faciamo la guerra tra noi,»
Diceva Ogeri «o popul batizato!
Che io vedo caleffarci a’ saracini,
Perché faciamo l’un l’altro tapini!»

48.
Spinella da Altamonte fu un pagano
Che era venuto a provar sua persona
A questa corte de il re Carlo Mano:
Nel scudo azuro ha d’oro una corona;
Questo fu messo da il Danese al piano.
Or Matalista al tuto se abandona;
Fratelo è questo a Fiordespina bella,
Ardito, forte e destro sula sella.

49.
Costui portava il scudo divisato
Di bruno e oro, e un drago per cimero.
E’ càde sopra al campo riversato,
A vuota sella ne andò il suo destrero.
Mosse Grandonio, il cane arabïato:
Aiuti Ogeri Idio, che gli è mistero,
Ché in tuto el mondo, per ogni confino,
Non è di lui più forte saracino!

50.
Avea quel re statura de gigante
E véne armato sopra a un gran ronzone;
Il scudo negro portava davante
E d’or scolpito ha quel dentro un Macone.
Non vi fu cristïan tanto arogante
Che non temesse di quel can felone:
Gan da Pontieri, come ’l vide in faza,
Nascosamente usì fuor dela piaza.

51.
Il simel fé Macario de Lusana
E Pinabello e il conte de Altafoglia,
Né già Falcon dali altri se alontana:
Parli mille anni che de qui se toglia!
Sol dela gesta perfida e vilana
Grifon rimase, fermo in sula soglia:
O vertute o vergogna che il rimorse,
O che al partir deli altri non se acorse.

52.
Ora torniamo a quel pagan oribele,
Che per il campo tal tempesta mena.
La sua possanza par cossa incredibile:
Porta per lanza un gran fuste de antena,
Né de lui manco è il suo corsier teribile,
Che nela piaza profonda l’arena,
Rompe le pietre e fa tremar la terra
Quando nel corso tuto se dissera.

53.
Con questa furia andò verso il Danese
E proprio a megio il scudo l’ha colpito:
Tuto lo specia e per terra il distese
Col suo distrer insieme, e sbalordito.
Il duca Naimo sotto il bracio il prese
E cum lui fuor de il campo si n’è gito;
E fégli medicare e bracio e petto,
Che più che un mese poi stete nel letto.

54.
Grande fu il crido per tuta la piaza
E più che li altri i saracin se odirno.
Grandonio al rengo superbo minaza,
Ma non per questo li altri isbigotirno:
Turpin di Rana adosso a lui si caza
E nel megio de il corso se colpirno,
Ma il prete usì de arcion cum tal martire
Che ben fu presso al ponte de morire.

55.
Astolfo nela piaza era tornato
Sopra a un portante e bianco palafreno;
Non avea arme, fuorché il brando a lato,
E tra le dame con viso sereno
Piacevolmente se era solaciato,
Come quel che di mòti è tutto pieno.
Ma mentre che lui ciancia, ecco Grifone
Fu da Grandonio messo in su il sabione.

56.
Era costui di casa de Maganza,
Che porta in scudo azuro un falcon bianco.
Crida Grandonio con molta aroganzia:
«O cristïan, è già ciascadun stanco?
Non vi è chi facia più colpo de lanza?».
Alor se mosse Guido, il baron franco,
Quel di Bergogna che porta il leone
Negro nel’oro, e càde delo arcione.

57.
Càde per terra il possente Angelieri,
Che porta il drago a capo de donzella.
Avino, Avolio, Otone e Belenzeri
L’un doppo l’altro fòr tolti di sella.
L’aquila negra portan per cimeri:
La insegna a tuti quatro era pur quella,
Ma il scudo a scachi d’oro e de azuro era,
Comme ozi ancora è l’arma di Bavera.

58.
Ad Ugo di Marsilia diè la morte
Questo Grandonio, che è tanto galiardo;
Quanto più iostra più se mostra forte:
Abate Riciardeto e il franco Alardo,
Svilanegiando Carlo e la sua corte,
Chiamando ogni cristian vile e codardo.
Ben sta turbato in facia lo imperieri!
Eccoti giunto il marchese Oliveri.

59.
Parve che il ciel se aserenasse intorno:
Ala sua giunta ognon alciò la testa.
Venìa il marchese in atto molto adorno;
Carlo li usite incontra cum gran festa.
Non vi sta queta né tromba né corno;
Picoli e grandi de cridar non resta:
«Viva Olivier, marchese de Vïena!».
Ride Grandonio e prende la sua antena.

60.
Or se ne va ciascun de animo acceso,
Con tanta furia quanta se può dire;
Ma chiunque guarda, atonito e suspeso,
Aspeta il colpo di quel gran ferire;
Né solo una parola avriste inteso,
Tanto par che ciascun attento mire.
Ma nelo iscontro Oliver di possanza
Nel scudo ad alto li atacò la lancia.

61.
Nove piastre de azaro avea quel scudo:
Tute le passa Olivier di Vïena;
Rope lo usbergo e dentro al peto nudo
Ben megio il ferro gli inchiavò cum pena.
Ma quel cigante dispiatato e crudo
Ferì in fronte Oliver cum quella antena,
E cum tanto furor di sella il cacia
Che andò longi al distrer ben seti bracia.

62.
Ognon crede di certo che il sia morto,
Perché lo elmo per megio era partito,
E ciascadun che l’ha nel viso scorto
Giura che il spirto al tuto si n’è gito.
O quanto Carlo Mano ha disconforto!
E piangendo dicea: «Baron fiorito,
Onor dela mia corte, figliol mio,
Comme comporta tanto male Idio?».

63.
Se quel pagano in prima era superbo,
Or non se può sí stesso soportare,
Cridando a ciascadun con atto acerbo:
«O paladini, o gente da trincare!
Via, ala taverna, gente sancia nerbo,
Io de altro che de copa sciò giocare!
Galiarda è questa Tavola Ritonda,
Quando minaza e non vi è chi risponda!».

64.
Quando il re Carlo intende tanto oltragio,
E di sua corte così facto scorno,
Turbato nela vista e nel coragio,
Con li ochi accesi se guardava intorno.
«Ove son quei che me den fare omagio,
Che m’hano abandonato in questo giorno?
Ov’è Gan de Pontieri, ove è Ranaldo?
Ove ène Orlando, traditor bastardo?

65.
Figliol de una putana, rinegato!
Che s’ tu ritorni a mi, poss’io morire
Se con le proprie man non t’ho impicato!»
Questo e molt’altro il re Carlo ebe a dire.
Astolfo, che di detro l’ha ascoltato,
Occultamente s’ebbe a dipartire;
E torna a casa e sì presto si spacia
Che in un momento gionse armato in piacia.

66.
Né già se crede quel franco barone
Aver victoria contra de il pagano,
Ma sol cum pura e bona intentïone
Di far il suo dover per Carlo Mano.
Stava molto atto sopra delo arcione
E somigliava a cavalier soprano,
Ma color tuti che lo han conosciuto
Diceano: «O Dio, deh, mandaci altro aiuto!».

67.
Chinando il capo in atto gratïoso,
Davanti a Carlo disse: «Signor mio,
Io vado a tuor de arcion quello orgolioso,
Poiché io comprendo che tu n’hai disio».
Il re, turbato de altro e desdegnoso,
Disse: «Va pur, e aiuteti Dio!».
E poi, tra ’ soi rivolto cum rampogna,
Disse: «E’ ci manca questa altra vergogna!».

68.
Astolfo quel pagan ha minaciato
Menarlo preso e porlo in mar al remo,
Unde il gigante sì forte è turbato
Che crucio non fo mai cotanto estremo.
Nel’altro canto v’averò contato,
Se fia concesso dal Signor sopremo,
Gran maraviglia e più strana ventura
Che odisti mai per voce o per scritura.

1. 1. cantai: verbo tipico della narrazione canterina; si riprende dunque la finzione dell’inizio del primo canto. 2. Eran condutti: letteralmente ‘erano condotti’, di fatto ‘si erano lanciati’. arogancia: ‘violenza’. 3. di vaglia: ‘di valore’. 4. cima di posancia: ‘campione di forza’ (TROLLI 2003, p. 51). 5. piastra e malia: componenti metalliche dell’armamento di difesa. 7. aciaro: ‘acciaio’. 8. vinte: ‘venti’; numero iperbolico (TISSONI BENVENUTI 1999).

2. 1. Chi: ‘se qualcuno’; come al v. 3 (SERIANNI 1996, p. 322). 2. Turbati: ‘infuriati’. apresi: ‘coinvolti’. 3. troni: ‘tuoni’; il termine può designare anche i fulmini. 4. tempesta: ‘furia’. 5. ‘non sarebbe nulla rispetto al vedere quei cavalieri’. 6. se hano offesi: ‘si sono aggrediti’. 7. a tera vada: ‘crolli’. La similitudine “apocalittica” è usata spesso da Boiardo per esprimere la violenza di uno scontro.

3. 1. E’ si ferìano insieme: ‘essi si colpivano a vicenda’. Insieme esprime la reciprocità dell’azione (TROLLI 2003, pp. 32-33). 2. in vista cruda: ‘con aspetto feroce’. 4. Chiasmo. 7. sanza dubitantia: ‘senza dubbio’; con grafia pseudolatineggiante come dantia del v. successivo. 8. la dantia: ‘la danza’; è una frequente metafora per ‘lo scontro, il duello’.

4. 1. polito: ‘lucente’. 2. Sancia: ‘senza’. 4. Descrizione realistica dei sintomi della paura, che forse ricorda Inf. XXIII, 19-20. in dosso: ‘sulla schiena’. se li ariciò: ‘gli si arricciò’. 5. In questo: ‘in quel momento’. 6. gelo: ‘pezzo di ghiaccio’; meno probabilmente ‘gelatina’ (TROLLI 2003, p. 60). 7. Macon: Maometto, che nella letteratura cavalleresca europea è percepito come una divinità e non come un profeta. La forma linguistica risente dell’a. fr. Mahon. te aricomando: ‘ti raccomando’; con prostesi (o prefissazione) dialettale (cfr. I, i, 7, 4). 8. Che a: ‘che con’.

5. 2. Ferise: ‘colpisce’. forcia: ‘forza’. 3. diamante: il materiale più resistente per antonomasia. 4. avrìa: ‘avrebbe’. 5. brando troncante: ‘spada tagliente’. 6. ‘ha tolto ogni facoltà di tagliare’. 7. turbosse: ‘si turbò’. 8. non scià: ‘non sa’. 7-8. Il distico riecheggia Inf. XXXIV, 23-25 (TISSONI BENVENUTI 1999).

6. La reciproca confessione sull’invulnerabilità ha altri esempi nella letteratura cavalleresca. In particolare, nella Spagna ferrarese (IV, 37-39) Orlando e Feraguto si confidano in proposito durante il duello che li oppone (BRUSCAGLI 1995, TISSONI BENVENUTI 1999). 1. fu dimorato: ‘ebbe atteso’. 2. colpezare: ‘dare colpi di spada’. 4. ‘che a malapena aveva il coraggio di parlare’. 5. driciato: ‘rivolto’. 6. te vuò palesare: ‘ti voglio rivelare’.

7. 1. ‘Perciò interrompi il duello con me’. 2. scorno: ‘vergogna’. 3. Se Macon mi vaglia: ‘Che Maometto mi aiuti’; formula ottativa. 4. arme… sopra e intorno: si riferisce forse all’elmo e alla corazza. 6. per esser adorno: ‘per bellezza’. 7. bisogna: ‘necessità’. 8. in un sol lato: ‘in un punto solo’.

8. 1. donarti: ‘darti’. optimo: grafia latineggiante. 2. sciò: ‘so’. confortare: ‘esortare’ (TROLLI 2003, p. 117). 3. de morte a periglio: ‘in pericolo di morte’. 4. ‘lasciami senza combattere’; il verbo servile vogli è pleonastico. 5. ziglio: ‘giglio’. 6. altramente: ‘altrimenti’. campare: ‘scampare, avere salva la vita’. 8. a te tenuto sono: ‘ti sono obbligato’.

9. 2. hagio: ‘ho’ (cfr. I, i, 49, 3). ragionato: ‘detto’. 3. con teco: ‘con te’. 6. non se farìa il mercato: ‘non si concluderebbe l’accordo’. 8. a suo talento: ‘a suo piacere’.

10. 1. Abenché: ‘benché’; forma sett. frequente nel testo. 4. bater: delle palpebre. 5. diletto: ‘piacere’. 7. acuto: ‘a punta’.

11. 3. comme: ‘quando’. 4. non te mi nascondo: ‘non mi ti nascondo’; cioè ‘non ti nascondo la mia volontà’. 6. cercarebe il mondo: ‘andrei in giro per il mondo’. 7. Che mai togliesse costui: ‘prima di prendere costui’. 8. con forïoso: ‘con un pazzo’.

12. 2. ‘che tu accetti la mia volontà’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 3. Ritorne: ‘(che tu) ritorni’; congiuntivo dipendente da ti prego del v. 1. 4. per nigromancia: ‘per magia’. 5. in nostra regïone: ‘al nostro paese’. 7. Distrer: ‘destriero’. di lena: ‘quanto a velocità’. 8. selva de Ardena: talvolta indicata come selva Dardena,è una foresta incantata nella quale si verificheranno prodigi e per la quale passeranno i protagonisti del romanzo. Geograficamente collocata tra la Francia settentrionale, il Belgio e il Lussemburgo attuali, fu attraversata anche da Petrarca che ne lasciò memoria nelle lettere e nei Rvf (176 e 177) come di un luogo piuttosto sinistro e che forse influì sull’immaginazione boiardesca (TISSONI BENVENUTI 1999). 8. fermaròmi: ‘mi fermerò’. Ottava aperta.

13. 3. tercio: ‘terzo’. 4. ‘mi farò trasportare dal vento da sola’. 5. can musorno: offesa formulare; musorno significava originariamente ‘triste’, ma qui è ormai desemantizzato e può valere ‘vigliacco’ (TROLLI 2003, p. 200). Si tratta ovviamente di Malagise. 6. vergognare: ‘oltraggiare, violentare’. 7. ad agio: ‘con calma’. 8. ‘hai già percorso la strada e la conosci bene’.

14. 1. al ferire: ‘a colpirsi’. 2. Dapoi che: ‘dopo che’. 3. asentire: ‘acconsentire’. 5. Anci destina: ‘anzi decide’. 6. fiorito: ‘leggiadro’ (TROLLI 2003, p. 151). 7. sparve: ‘scomparve’. 8. sen còrse: ‘se ne accorse’. suspetoso: ‘sospettoso’. Ottava aperta.

15. 1. Però che: ‘perché’. 3. Si intende il volto dell’amata. 4. ‘non sa più che dire né che fare’. 5. rivolto: ‘rivoltato’. 6. al corso: ‘nella corsa’. 7. quanto può sperona: ‘sprona a più non posso’.

16. 2. gabato: ‘ingannato’. 4. cerca: ‘perlustra’. chi: ‘che’; forma sett. 16. 5. avampa e arda: coppia sinonimica. 7. non se aresta: ‘non smette di’.

17. 2. sapetti: ‘sapete’; desinenza sett. con raddoppiamento ipercorretto. 3. pugna: ‘scontro’; latinismo. 4. le force pronte: ‘le forze gagliarde’; sintagma formulare (TROLLI 2003, p. 232). 5. sancia suspetto: ‘senza timore’. 7. ‘e per non interrompere la sua buona fortuna’.

18. 2. era speciata: ‘si era spezzata’. 3. Guàrdassi: ‘si guarda’. troncun: ‘tronco’. 5. lame: ‘lamine’. fin: ‘puro’. 7. quasi per desasio: ‘quasi con disagio, fastidio’. 8. Ovviamente Astolfo non immagina che la lancia è fatata.

19. 4. a ponto li contone: ‘gli raccontò in dettaglio’. 5. Amon: Aimone è il padre di Rinaldo. 6. ‘che non riusciva a trovare riposo per la passione’. 7. Però: ‘perciò’. dela terra: ‘dalla città’. 8. agia: ‘abbia’.

20. 1. comme: ‘quando’. 2. duca dal pardo: Astolfo (cfr. I, i, 62, 1). 3. le calcagne mena: ‘sprona’. 6. rozone: ‘cavallaccio’. tardo: ‘lento’. 7. bon: ‘valente’. fretta: ‘velocità’. 8. gionto: ‘raggiunto’.

21. 3. incontinenti l’ha trovato: ‘l’ha incontrato subito’. 4. dala longa: ‘prendendola dalla lunga’. sagacitade: ‘astuzia’. 5-6. ‘domanda come sia andato lo scontro e come si sia svolto’. 7. nulla li ragiona: ‘non gli dice nulla’. 8. ‘perché sa che è sciocco e chiacchierone’.

22. Qui e nelle ottave successive, la reazione di Orlando alle notizie di Astolfo ricorda da vicino alcuni tratti di Troiolo nel Filostrato boccacciano (DONNARUMMA 1992, pp. 563-564). Molti sono gli echi petrarcheschi, alcuni dei quali si rinvengono anche negli Amorum libri, il canzoniere lirico di Boiardo. 1. egli: prolettico del sogg. Argalìa. 2. seco: ‘con lui’. 4. ‘se ne andò con un’espressione arrabbiata e ostile’; gli agg. costituiscono una dittologia sinonimica. 5. càde invilito: ‘cadde avvilito’. 7. fior: ‘il migliore’ (cfr. I, i, 27, 3). 8. vil garzone: ‘un ragazzo qualunque’.

23. 1. Lasso: ‘ahimé’; esclamazione abituale. 2. nemico: ovviamente Amore. 5. alma: ‘anima’. 6. doglia: ‘dolore’. 8. Il verso ripropone un’antitesi di marca petrarchesca (cfr. Rvf 134, 2). arde: ‘brucio’; con falsa restituzione dell’atona finale. giazo: ‘agghiaccio’.

24. 1. angelica figura: ‘bellissima creatura’; eco petrarchesca (cfr. Rvf 265, 2). 2. Se dignarà: ‘si degnerà’. 3. Ventura: Fortuna. 4. ‘sarà il primo tra i felici’. 5. fia: ‘sarà’. 7. spregiato: ‘disprezzato’. umano: ‘dolce’.

25. 3. ribaldo: ‘furfante’. 4. usserà: ‘uscirà’; marcato settentrionalismo. polcella: ‘vergine’. 5. prèso: ‘presso, vicino’. saldo: non è chiaro a chi si riferisca l’agg. e quale ne sia il significato esatto (TROLLI 2003, p. 254). Forse è Rinaldo che, nell’immaginazione di Orlando, sta ben risoluto vicino ad Angelica. 7. ‘tengo la guancia appoggiata alla mano’.

26. 4. Sapialo: ‘lo sappia’. 5. ‘voglio partire da Parigi da solo’. 6. adorno: ‘bello’. 7. e per state e per verno: ‘d’estate e d’inverno’.

27. 1. si leva: ‘si alza’. 3. lo agreva: ‘gli pesa’. 5. li rileva: ‘gli sembra’. 6. adviso: ‘proposito’. 7. comme gionta fo: ‘quando giunse’.

28. 1. la insigna de il quartiero: l’insegna di Orlando è a quartieri (quarti) bianchi e rossi. 2. vermiglio: ‘rosso’. 3. Brigliadoro: era il cavallo del re saraceno Almonte, ucciso dal giovane Orlando (cfr. I, i, 5, 8). 5. famiglio: ‘servitore’. 7. il mischino: ‘l’infelice’.

29. 1. ala ventura: l’espressione rinvia con evidenza al ciclo bretone (cfr. BRUSCAGLI 1976). 2. Lasciali: forse per lasciànli ‘lasciamoli’. 3. altura: ‘nobiltà’. 5-6. procura Ordir: ‘provvede a organizzare’.

30. 2. rengo: var. aferetica di arengo ‘giostra’ (TROLLI 2003, p. 89). 3. al suo potere: ‘quanto può’. 6. ‘ottiene la condizione di colui che ha disarcionato’. 7. corona: il premio del torneo. 8. ‘chi è disarcionato ceda il posto al concorrente successivo’.

31. 1. afferma il ditto: ‘approva le parole’. 2. alto: ‘nobile’. 3. inventïone: ‘soluzione’. 4. dasse: ‘si dà’. 5. artione: ‘arcione’; forma ipercorretta con grafia pseudolatineggiante (se non è un refuso dell’incunabolo per arcione). 6. primeramente: ‘per primo’. 7. Tenesse il rengo: ‘combattesse’. 8. da il ferro polito: cioè incruenta. L’espressione ferro polito indicava un’arma, specialmente una lancia, con la punta rettificata in modo da risultare inoffensiva (TROLLI 2001, pp. 91-94).

32. 1. gaglia: ‘gaia, ridente’; forma ipercorretta. 2. fu levato: ‘sorse’. 3. travaglia: ‘nel campo della giostra’; ma l’accezione non sembra attestata altrove (TROLLI 2003, p. 296). 5. corsier: ‘cavallo veloce’. 6. a lato: ‘al fianco’.

33. 3. sula briglia sostene: ‘trattiene per la briglia’ (la locuzione non sembra attestata altrove; TROLLI 2003, p. 103). 4. alcia: ‘alza’. animoso: ‘smanioso’. 5. la piacia: ‘il campo dello scontro’ (cfr. I, i, 16, 4). 6. abragiati: ‘rossi come la brace’. sciumoso: ‘sporco di schiuma’; forma palatalizzata sett. (da pronunciare s’ciumoso; cfr. TISSONI BENVENUTI 1999). 7. Ringe: ‘nitrisce’; latinismo. non ritrova loco: ‘non trova pace’. 8. Borfa ’ le nare: ‘soffia dalle narici’ (BONGRANI 1993).

34. 1. lo somiglia: ‘gli assomiglia’. 2. ‘che lo cavalcava con espressione feroce’. 3. arme: pl. sett. guarnito: ‘armato’. 4. ‘fermo in sella e superbo nell’atteggiamento’. 5. signa: ‘indica’. 6. nerbo: ‘forza’. 7. ala vista: ‘dall’aspetto’. 8. pregio: ‘premio’.

35. 4. sopravesta: veste di tessuto che si portava sopra l’armatura. fatta a quel lavoro: ‘decorata allo stesso modo’. 5. cota: la cotta dovrebbe essere una veste senza maniche da portare sopra l’armatura (TROLLI 2003, p. 123), ma – come nota TISSONI BENVENUTI 1999 – qui sembra trattarsi di ‘una maglia di ferro posta sotto la corazza’. ligero: ‘leggero’. 8. Frizate a: ‘fregiate, ornate con’.

36. 1. prese l’arengo: ‘scese in campo’. 3. Fermosse al capo: ‘si fermò all’estremità’. 5. a ogni cantone: ‘da ogni parte’.

37. 2. blavo: ‘blu’; voce di origine germanica (CASTELLANI 2000, pp. 52-53). 3. Sir de Bordella: ‘signore di Bordeaux’. nomato: ‘chiamato’. 4. Mastro: ‘maestro, esperto’. torniamento: ‘torneo’. 5. mosse: ‘si mosse’. 7. menando tempesta: ‘infuriando’ (TROLLI 2003, p. 288). 8. pone l’asta a resta: cfr. I, i, 70, 6.

38. 1. ‘Tra l’elmo e lo scudo’. 2. Fere: ‘colpisce’. a Serpentino avante: ‘davanti a Serpentino’. 3. adietro: ‘indietro’. 4. Adosso al colpo: ‘in avanti, verso la direzione da cui proviene il colpo’. 5-6. ‘e lui colpisce la visiera (dell’avversario) con tale impeto che lo manda gambe all’aria’. 7. piaza: cfr. piacia (33, 5). favela: ‘dice’.

39. 4. ratto: ‘veloce’. 6. rescontròlo: ‘si scontrò con lui’. 7. de cotanta pena: ‘tanto doloroso’. 8. sul’arena: ‘per terra’.

40. 1. Balucante: Balugante. 2. ‘vedendo che il figlio è così valoroso!’. 3. Lo stemma di Salamone era a scacchi bianchi e neri. 6. Stretto: ‘stretto in difesa’. tuto se abandona: ‘si lancia con foga’. 7. a megio il scudo il fiere: ‘lo colpisce in mezzo allo scudo’.

41. 1. dè de piglio: ‘impugnò’. 4. asetato: ‘sistemato’. 5-6. ‘gli capitò un grandissimo pericolo, perché il cavallo gli cadde di sotto’. 8. dislogose: ‘si slogò’. ancora: ‘anche’.

42. 3. gitarlo al rivagio: ‘di gettarlo a terra’. 4. era falso indivino: ‘era un cattivo indovino’. 5. palagio: ‘palazzo’. 6. ‘e riprese i sensi che aveva perso (quando era svenuto)’. 8. raconcio: ‘curato’.

43. 2. Danese Oger: attorno al nome di Uggeri il Danese (Ogier in a. fr.) si raccolgono leggende diverse e talvolta molto fantasiose (una sintesi in TOGEBY 1969); quella che ha più seguito in Italia vuole che il personaggio sia un saraceno convertito e tende a escludere i suoi contatti con mondi ultraterreni e con le fate (cfr. HARF-LANCNER 1989, pp. 326-335). Nei testi che raccontano la guerra di Aspramonte si dice che gli è affidato il giovane Orlando e, in generale, è un personaggio positivo e alleato di Orlando e Rinaldo contro i Maganzesi. 4. di Tramontana il vento: cioè il vento del nord. 5. adapto: grafia latineggiante del solito agg. formulare (cfr. I, i, 3, 7). 6. scaglion: forse simbolo araldico composto di due fasce che si incontrano in alto nello scudo partendo dai due angoli opposti in basso (TISSONI BENVENUTI 1999) o forse una mezza luna. 7. basalischio: ‘basilisco’; leggendario rettile dal fischio acutissimo e capace di immobilizzare con lo sguardo. 8. guirero: ‘guerriero’.

44. 1. Sonàr: ‘suonarono’. aresta: cfr. I, i, 70, 6. 3. fu: ‘vi fu’. rubesta: ‘violenta’. 4. troni: ‘tuoni’. 6-7. ‘ruppe entrambi i bordi della sella di Serpentino e lo fa scivolare sulla groppa del cavallo’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 8. sul’arena: cfr. 39, 8.

45. 2-4. Rima derivativa. 2. la renga diffende: ‘difende il campo’. 3. meni vampo: ‘lanci fiamme’. 5. inciampo: ‘inconveniente’; ironico. 8. destro: ‘abile’.

46. 1. germano: ‘cugino’. 4. drudo: ‘valoroso’. 5. sul piano: ‘a terra’. 6. De: ‘con’. dispiatato e crudo: ‘spietato e crudele’; dittologia sinonimica. 7. non se avede: ‘non capisce’. 8. ora: pl. stiè de il spirto privo: ‘stette privo di sensi’.

47. 1. Gualtier da Monleon:è un cavaliere cristiano. 6. batizato: ‘battezzato’. 7-8. ‘che io vedo che i saraceni si prendono gioco di noi perché ci danneggiamo l’un l’altro’.

48. 6. al tuto se abandona: ‘si scaglia con tutte le sue forze’. 7. Fiordespina: personaggio femminile che avrà un ruolo più importante sul finire del romanzo.

49. 1. divisato: ‘a fasce’. 3. riversato: ‘riverso’. 6. che gli è mistero: ‘che ne ha bisogno’ (cfr. misteri a I, i, 69, 4). 7. confino: ‘luogo’.

50. 2. ronzone: ‘cavallo robusto’. 4. Macone: un’immagine di Maometto. Trasgressione dei precetti islamici, come spesso accade nella letteratura cavalleresca: la conoscenza reale del mondo mussulmano è tradizionalmente piuttosto imprecisa. 6. felone: ‘malvagio’; epiteto formulare. 7-8. La rima presuppone la fonetica sett. 7. faza: ‘faccia’.

51. 1. Il simel fé: ‘fecero la stessa cosa’. Macario de Lusana: nipote di Gano di Maganza. 2. Pinabello: fratello di Gano. conte de Altafoglia: il maganzese Ranieri. 3. Falcon: un altro maganzese. 4. ‘non vede l’ora di togliersi di lì’. 5. gesta: ‘schiatta’. vilana: ‘vile, ignobile’. 6. Grifon: cugino di Gano. 7-8. ‘forse per coraggio o forse perché la vergogna gli provocò rimorso o forse perché non si era accorto che gli altri se n’erano andati’.

52. 1. oribele: forma sett. che insidia la rima, ma è forse dovuta ai tipografi e non all’autore. 4. un gran fuste de antena: ‘un grande albero di nave’. 5. Né de lui manco è… teribile: ‘né è meno terribile di lui’. 6. profonda l’arena: ‘lascia impronte nel terreno’. 8. se dissera: ‘si lancia’.

53. 3. specia: ‘spezza’. 4. sbalordito: ‘tramortito’. 6. cum: cfr. I, i, 6, 8. si n’è gito: ‘se n’è andato’. 7. fégli: ‘gli fece’.

54. La rima A presuppone la fonetica sett. 2. se odirno: ‘si udirono’. 3. minaza: ‘minaccia’. 4. isbigotirno: ‘si spaventarono’; forma prostetica. 5. Rana: Reims (cfr. I, i, 3, 2). si caza: ‘si caccia, si lancia’. 6. colpirno: ‘colpirono’. 7. usì de arcion: ‘cadde dalla sella’. martire: ‘dolore’. 8. al ponte: ‘al punto’; forma non anafonetica con falsa restituzione dell’atona finale.

55. 2. portante: ‘ben addestrato’ o ‘robusto’. palafreno: cavallo da parata. 5. se era solaciato: ‘si era divertito’. 6. mòti: ‘motti di spirito’. 8. in su il sabione: ‘a terra’.

56. 2. Il noto stemma di Maganza, molto simile a quello estense (cfr. I, i, 15, 3-4). 6. Guido: Guido di Bergogna è un cavaliere cristiano che compare anche in altri romanzi.

57. 1. L’elenco dei cristiani abbattuti da Grandonio sembra prefigurare le sue numerose vittime nella battaglia di Roncisvalle narrata nelle varie versioni della materia di Spagna: molti dei nomi coincidono (TISSONI BENVENUTI 1999). 2. a capo de donzella: ‘con la testa di donzella’. 3. I nomi dei quattro figli del duca Namo compongono spesso un endecasillabo nei romanzi cavallereschi. 4. fòr: ‘furono’. 5. cimeri: ‘cimiero’. 6. a: ‘di’. pur: ha il solito valore rafforzativo. 8. ozi: ‘oggi’. l’arma: ‘lo stemma’.

58. 4. Riciardeto… Alardo: fratelli di Rinaldo. 7. turbato: ‘adirato’. imperieri: ‘imperatore’ (cfr. I, i, 17, 4). 8. Oliveri: Olivieri di Viena (Vienne), fratello di Alda la Bella e cognato di Orlando, di cui è pure compagno inseparabile nell’epica francese.

59. 2. giunta: ‘arrivo’. alciò: ‘alzò’. 3. in atto molto adorno: ‘con portamento molto elegante’. 4. li usite: ‘gli uscì’; passato remoto debole (MENGALDO 1963, p. 129). 5. Cioè furono suonati corni e trombe. 6. Picoli e grandi: espressione formulare, che ha in origine il significato di ‘popolo minuto e magnati’ (Falconetto 1483, p. 130). non resta: ‘non smettono’.

60. 5. avriste: ‘avreste’. 6. mire: ‘guardi’. 7. iscontro: forma prostetica. 8. ‘gli conficcò la lancia nella parte superiore dello scudo’.

61. 1. azaro: ‘acciaio’. 2. passa: ‘trapassa’. 3. usbergo: ‘corazza’; in senso stretto ‘protezione del collo’. 4. ‘gli infilò con dolore ben metà dell’arma’. 7. di sella il cacia: ‘lo fa cadere dalla sella’. 8. longi: ‘lontano’. seti bracia: ‘sette braccia’; un braccio equivaleva all’incirca a mezzo metro.

62. 2. per megio era partito: ‘era diviso a metà’. 3. scorto: ‘visto’. 6. fiorito: ‘eccellente’; epiteto formulare. 8. comporta: ‘sopporta’.

63. 2. ‘ora diventa così superbo che nemmeno lui stesso riesce a sopportarsi’; iperbole scherzosa. 3. atto acerbo: ‘atteggiamento feroce’. 4. trincare: ‘bere’, cioè ‘gente da osteria’. 5. sancia nerbo: ‘senza forza’. 6. ‘io so giocare a ben altro che a carte’; inoltre giocare di coppe può significare ‘avere carte scadenti’ e dunque Grandonio potrebbe voler dire ‘sono capace di battermi meglio di voi’ (magari alludendo alle spade, altro seme della carte da gioco; cfr. TISSONI BENVENUTI 1999).

64. 1. oltragio: ‘insulto’. 2. scorno: cfr. 7, 2. 3. ‘adirato nell’aspetto e nel cuore’. Per il gallicismo coragio cfr. CELLA 2003, pp. 371-373. 5. den: ‘devono’. 8. ène: ‘è’; forma con epitesi. 7-8. La rima è imperfetta.

65. La pesante invettiva di Carlo contro Orlando è un topos ricorrente nei romanzi preboiardeschi; di solito è però provocata dalle macchinazioni di Gano. 2. s’ tu: ‘se tu’. 3. non t’ho impicato!: ‘non ti impicco!’; l’uso del passato prossimo conferisce immediatezza all’azione prefigurata. 4. ebe a dire: ‘disse’. 6. s’ebbe a dipartire: ‘si allontanò’. 7. si spacia: ‘si sbriga’. 8. piacia: cfr. 33, 5.

66. Qui e nelle ottave seguenti Boiardo insiste sulla scarsa fiducia in Astolfo, determinata dalla conoscenza degli insuccessi del cavaliere da parte del pubblico reale e di quello fittizio interno al racconto. Si crea così la giusta tensione per l’esito dello scontro, che sarà alquanto inaspettato (cfr. il canto successivo). 2. victoria: la solita grafia latineggiante. 5. ‘stava in sella molto bene’. 6. somigliava a: ‘sembrava’. soprano: ‘eccellente’. 7. conosciuto: probabilmente ‘riconosciuto’. Da notare il diverso atteggiamento dei presenti rispetto all’arrivo di Olivieri poco prima.

67. 1. gratïoso: ‘elegante’. 3. tuor de arcion: ‘disarcionare’. 4. disio: ‘desiderio’. 6. aiuteti: ‘ti aiuti’. 7. rampogna: ‘biasimo’. 8. E’: pronome pleonastico.

68. 2. ‘di farlo prigioniero e di metterlo a remare su una nave’. 4. crucio: ‘rabbia’. fo: ‘fu’. 5. v’averò contato: ‘vi racconterò’. 6. È uno dei pochi riferimenti alla divinità in apertura o in chiusura di canto. fia: ‘sarà’. 8. ‘che abbiate mai udito o letto’. Topos dell’evento senza precedenti (CABANI 1988, p. 86).