CANTO TERZO

Inaspettatamente Astolfo disarciona Grandonio: lo stupore generale è grande (1-7). Il cavaliere cristiano, per merito della lancia fatata, ha la meglio anche su altri avversari. Gano, appresa la notizia, si presenta con alcuni compagni per sfidare Astolfo, che riesce ad abbatterli, ma Anselmo de la Ripa lo fa cadere da cavallo con una scorrettezza. Ne nasce una rissa, al termine della quale Astolfo finisce in prigione (8-30). Angelica e i suoi tre inseguitori innamorati (Rinaldo, Orlando e Feraguto) arrivano separatamente nella selva di Ardena. Rinaldo beve alla fontana del disamore (opera del mago Merlino) e comincia a odiare Angelica; dopo di che si addormenta in un bel prato (31-39). Angelica si disseta invece alla fonte dell’amore e, visto Rinaldo addormentato, si accende di passione per lui, che, destatosi, la rifiuta e fugge a precipizio. Tristissima, la ragazza si addormenta dove aveva trovato il paladino (40-50). Il poeta informa che tra poco arriverà Grandonio con il suo esercito (51), ma ora Feraguto trova l’Argalìa, che dorme all’ombra di un alloro: fa scappare il suo cavallo e, non appena si sveglia, lo sfida a concludere il duello interrotto in precedenza (52-58). I due cominciano a battersi valorosamente, ma Feraguto ferisce l’avversario a morte (59-62). L’Argalìa, in fin di vita, chiede che il suo corpo armato sia gettato in un fiume; Feraguto, commosso, acconsente e chiede di poter tenere l’elmo dello sconfitto per celare la propria identità in terra cristiana. Abbandonato il cadavere alle acque, si rimette in cammino (63-68). Orlando trova Angelica assopita e sta incantato ad ammirarla. Sopraggiunge Feraguto e reclama la donzella: Orlando cerca di scacciarlo e lo minaccia. Ben presto nasce un nuovo terribile combattimento e Angelica, svegliatasi per il frastuono, fugge a cavallo. Orlando propone di sospendere lo scontro per inseguirla, ma Feraguto rifiuta e il duello riprende (69-81).

1.
Signor, nel’altro canto io ve lassai
Sì comme Astolfo al saracin per scherno
Dicea: «Bricon, e non te vantarai,
Se forsi non te vanti nel’Inferno,
De tanti alti baron ch’abattuto hai!
Sappi, comm’io te piglio, io te governo
Nela galea; poiché sei gigante,
Farotte onor, e sarrai braiavante!».

2.
Il re Grandonio, che sempre era usato
Dir onta ad altri e mai non l’ascoltare,
Per la grande ira tanto fo gonfiato
Quanto non gonfia il tempestoso mare
Alor che più dal vento è travagliato
E fa il paron ardito spaventare:
Tanto Grandonio se turba e tempesta
Battendo e denti e crollando la testa.

3.
Soffia de sticia che par un serpente
Ed ebbe Astolfo da sé scombiatato;
E rivoltato nequitosamente
Arresta quel gran fusto e smisurato;
E ben se crebbe lui certanamente
Passarlo tutto insin dal’altro lato,
O de gittarlo morto in sul sabione,
O trarlo in doi cavecci del’arzone.

4.
Or ne vien il pagano forïoso:
Astolfo contra a lui s’è rivoltato,
Pallido alquanto e nel cor pauroso,
Bench’al morir più che a vergogna è dato.
Cossì con corso pieno e roinoso
S’è l’un baron e l’altro riscontrato.
Cade Grandonio: alor pensar vi lasso
Alla caduta qual fo quel fracasso.

5.
Levossi un crido tanto smisurato
Che par che ’l mondo avampi e ’l ciel roini.
Ciascun ch’è sopra a’ palchi è in piè levato
E cridan tutti, grandi e picolini.
Ognon quanto più pò s’è là pressato.
Stano smariti molto i saracini;
L’imperator, che in terra il pagan vede,
Videndo istesso, agli ochi soi non crede.

6.
Nela caduta che fece il gigante,
Perché egli ussì d’arzon dal lato manco,
Quella ferrita ch’egli ebbe davante,
Quando scontrosse col marchese franco,
Tanto s’aperse che questo Africante
Rimase in terra tramortito e bianco,
Spricando il sangue fuor con tanta vena
Che una fontana più d’acqua non mena.

7.
Chi dice che la botta valorosa
De Astolfo il fece, e a lui dano il lodo;
Altri pur dice il ver, comm’è la cosa:
Chi sì, chi no, ciascun parla a suo modo.
Fo via portato in pena dolorosa
Il re Grandonio, il qual (sì comm’io odo)
Occise Astolfo al fin per tal ferita,
Benché ancor lui quel dì lasciò la vita.

8.
Stavassi Astolfo nel rengo vincente
E a sé stesso non lo credea quasi.
Eranci ancor dela pagana gente
Dui cavalier solamente rimasi,
Di re figliol, e ciascadun valente:
Giasarte il brun, e ’l biondo Pilïasi.
Il padre de Giasarte avea acquistata
Tutta la Arabia per forcia de spata;

9.
Ma quel di Pilïasi la Rosìa
Tuta avìa presa, e sotto Tramontana
Tenea gran parte dela Tartarìa,
E confinava al fiume dela Tana.
Or (per non far più longa diceria)
Sol questi doi dela fede pagana
Giostrorno con Astolfo; in breve dire
L’un doppo l’altro per terra fiè gire.

10.
In questo, un messo vien al conte Gano,
Dicendo che Grandonio era abbatuto:
Lui creder non può mai che quel pagano
Sia per Astolfo alla terra caduto,
Anci pur stima e rendeci certano
Che qualche caso strano intervenuto
A quel gigante, fuor d’ogni pensata,
Sia stato la cagion di tal cascata.

11.
Unde se pensa lui mo’ d’acquistare
Di quella giostra il trionfal onore,
E per voler più bella mostra fare
Con pompa grande e con molto valore
Undeci conti sieco fece armare,
Che di sua casa n’avea tratto il fiore;
Va nanti a Carlo e con parlar gagliardo
Fa molta scusa del suo gionger tardo.

12.
O sì o no che Carlo l’accetasse
(Io nol sciò dir), pur gli fiè bona cera.
Parme che Gano ad Astolfo mandasse,
Poi che non gli è pagan ala frontiera,
Che la giostra tra lor se terminasse,
Perché, essendo valente comme egli era,
Dovea agradir quante più gente vano
A riscontrarlo, per gitarli al piano.

13.
Astolfo, ch’è parlante di natura,
Diceva al messo: «Va’, risponde a Gano:
Tra un saracin e lui non pongo cura,
Ché sempre il stima’ pegio che pagano,
De Dio nemico e d’ogni creatura,
Traditor falso, eretico e villano.
Venga a sua posta, ch’io il stimo assai meno
Ch’un sacconacio di letame pieno!».

14.
Il conte Gano, che ode quella ingiuria,
Nulla risponde, ma tutto fellone
Verso de Astolfo se ne va con foria
E fra sí stesso diceva: «Giottone,
Io te farò di ciance aver penuria!».
Ben sel crede gitare del’arcione,
Perché ciò far non gli era cosa nova
E altre volte avea fatto la prova.

15.
Or non andò comme si crede il fatto:
Gano le spalle alla terra metìa.
Macario doppo lui se mosse ratto
E fiè, cadendo, a Gano compagnia.
«Potrebbe far Idio che questo matto»
Diceva Pinabello «a cotal via
Vergogna tutta casa di Maganza?»;
Cossì dicendo arresta la sua lanza.

16.
Questo ancor càde con molta tempesta;
Non dimandar se Astolfo se dimena,
Forte cridando: «Maledetta gesta,
Tutti alla fila vi getto al’arena!».
Conte Smiriglio una grossa asta aresta,
Ma Astolfo il trabucò con tanta pena
Che fo portato per piede e per mano.
Oh, quanto se lamenta il conte Gano!

17.
Questo surgendo diceva Falcone:
«Ha la Fortuna in sé tanta nequicia?
Può far il Cielo che questo buffone
Ogi ci abbata tutti con tristicia?».
Nascosamente sopra del’arzone
Legar si fece con molta malicia;
E poi ne vien Astolfo a·rritrovare:
Legato è in sella e già non può cascare.

18.
Proprio ala vista il duca l’incontrava
E hallo in tal manera sbaratato
Che ora da un canto or dal’altro pigava,
Sì come al tuto de vita passato;
Ognon attende se per terra andava:
Alcun s’avedde ch’egli era legato,
Unde levosse subito il romore:
«Dàgli, ch’egli è legato, il traditore!».

19.
Fo via menato con molta vergogna
De tutti e soi e con suo gran tormento.
Non vi vo’ dir se ’l conte Gano agogna.
Astolfo crida con molto ardimento:
«Venga chi vòl, ch’io gli grato la rogna,
E légasse pur ben, ch’io son contento,
Perché legato, sancia alcuna briga,
Meglio che sciolto il pacio se castiga!».

20.
Anselmo dela Ripa, il falso conte,
Nela sua mente avea fatto pensieri
Di vendicarse a inganno di tante onte:
Che, comme Astolfo colpisse primeri,
Esso improviso riscontrarlo a fronte.
A lui davanti va il conte Raneri,
Quel de Altafoglia; Anselmo gli è ale spale:
Crédesse ben mandar Astolfo a valle.

21.
Astolfo con Ranieri è riscontrato:
A gambe aperte il trasse delo arcione
E, non essendo ancor ben rassetato
Pel colpo fatto, sì comme è ragione,
Anselmo de improviso l’ha trovato,
Con falso inganno e molta tradigione,
Advengaché sì fece quel malvaso
Che non aparve voluntà, ma caso.

22.
Nulla di manco Astolfo andò pur gioso,
Sopra la sabia disteso la schena.
Pensati voi se ne fo doloroso,
Ché, comme in piedi fu driciato apena,
Trasse la spada irato e disdegnoso
E quella intorno fulminando mena
Contra di Gano e di tutta sua gesta;
Gionse a Grifone e dàgli in sula testa.

23.
Da morte il campò l’elmo azarino.
Or se comencia una gran zuffa in piaza,
Perché Gaino, Macario e Ugolino
Adosso Astolfo con l’arme se caza;
Ma il duca Naimo, Ricardo e Turpino
Di darli aiuto ciascun se procaza.
Di qua, di là se ingrossa più la gente;
Gionse il re Carlo a questo inconvinente.

24.
Dando gran bastonate a questo e quello,
Che a più di trenta ne roppe la testa:
«Chi fu quel traditor, che fu il ribello
Che aùto ha ardire a sturbar la mia festa?».
Volta il corsier in megio a quel trapello,
Né di menar per questo il baston resta.
Ciascun fa largo al’alto imperatore:
O li fuge davanti o fagli onore.

25.
Dicea lui: «Gano, ahimè, che cosa è questa?».
Dicea ad Astolfo: «Or diessi così fare?».
Ma quel Grifon, che avea rota la testa,
Se andò davanti a Carlo ingenochiare
E con voce anguosciosa, alta e molesta,
«Iusticia!» forte comencia a cridare
«Iusticia!, signor mio magno e presiato,
Che io sono in tua presentia assasinato!

26.
Sapi, signor, da tutta questa gente
(Che te ne prego) comme il fatto è andato;
E s’ tu ritrove che primeramente
Fosse lo Anglese da mi molestato,
Chiàmomi il torto e stomi pacïente:
Su questa piaza voglio esser squartato!
Ma se il contrario sua ragione agreva,
Fa’ che ritorni il male unde se leva!».

27.
Astolfo era per ira in tanto errore
Che non stima di Carlo la presenza,
Anci diceva: «Falso traditore,
Che sei ben nato di quella somenza!
Io te trarò de il petto fora il core
In prima che de qui faciam partenza!».
Dicea Grifone a lui: «Témote poco,
Quando saremo fuor di questo loco;

28.
Ma qui me sotometto ala ragione
Per non far disonore al signor mio!».
Segue il duca dicendo: «Can felone,
Ladro ribaldo, maledetto e rio!».
Turbosse nela facia il re Carlone
Dicendo: «Astolfo, per lo vero Dio,
Se non te adusi a parlar più cortese,
Farote costumato ale tue spese!».

29.
Astolfo non li attende de nïente,
Sempre parlando con più vilania
Comme colui che offeso è veramente,
Advengaché altri ciò non intendìa.
Eccoti Anselmo, il conte fraudolente,
Per mala sorte inanti li venìa:
Più non se pòte Astolfo contenire,
Ma con la spada quel corse a ferire

30.
E certamente ben l’arebe morto,
Se non l’avesse il re Carlo diffeso.
Or dà ciascuno ad Astolfo gran torto
E volse lo imperier che il fosse preso
E subito al castello a furia scorto.
Nela pregion portato fu di peso,
Dove di sua pacìa bon fructo tolse,
Perché vi stette asai più che non volse.

31.
Or lasiamo star lui, poiché sta bene,
Dico a rispeto de’ tri innamorati,
Che senton per Angelica tal pene,
Né giorno o notte son mai ripossati.
Ciascun di lor diverso camin tene
E già son tutti in Ardena arivati;
Prima vi gionse il principe galiardo,
Mercé de’ spron e de il distrier Bagliardo.

32.
Dentro ala selva il barone amoroso
Guardando intorno se mette a cercare:
Vede un boscheto d’arborsceli ombroso
Che in cerco ha un fiumicel con unde chiare.
Présso ala vista de il loco zoglioso,
In quel subitamente ebe ad intrare,
Dove nel megio vide una fontana,
Non fabricata mai per arte umana.

33.
Questa fontana tutta è lavorata
De un alabastro candido e polito
E d’or sì ricamente era adornata
Che rendea lume nel prato fiorito.
Merlin fu quel che l’ebe edifficata
Perché Tristano, il cavaller ardito,
Bevendo a quella lasci la regina
Che fu cagione al fin di sua roina.

34.
Tristano isventurato per sciagura
A quella fonte mai non è arivato,
Benché più volte andasse ala ventura
E quel paese tutto abia cercato.
Questa fontana avea cotal natura:
Che ciascun cavaliero innamorato,
Bevendo a quella, amor da sé caciava,
Avendo in odio quella che egli amava.

35.
Era il sol alto e il giorno molto caldo
Quando fu gionto ala fiorita riva,
Pien de sudor, il princepe Ranaldo;
E invitato da quella acqua viva,
Del suo Baiardo dismontò di saldo
E di sete e de amor tutto se priva:
Perché bevendo quel fredo liquore
Cangiosse tutto lo amoroso core.

36.
E seco stesso pensa la viltade
Che sia a seguire una cossa sì vana,
Né apreza tanto più quella beltade
Ch’egli estimava prima più che umana;
Anci, in tutto de il pensier li cade,
Tanto è la forcia de quella acqua strana!
E tanto nel voler se tramutava
Che già del tutto Angelica odïava.

37.
Fuor dela selva con la mente altiera
Ritorna quel guirer sancia paura;
Cossì pensoso gionse a una riviera
De una acqua viva, cristallina e pura:
Tutti li fior che mostra primavera
Avea quivi dipinto la Natura
E faceano ombra sopra a quella riva
Un fagio, un pino e una verda oliva.

38.
Questa era la Rivera delo Amore;
Già non avea Merlin questa incantata,
Ma per la sua natura quel liquore
Torna la mente incesa e innamorata;
Più cavalieri antiqui per errore
Quella unda maledetta avean gustata.
Non la gustò Ranaldo (comme odete)
Però che al Fonte s’ha tratto la sete.

39.
Mosso da il loco, il cavalier galiardo
Destina quivi alquanto ripossare
E, trato il freno al suo destrier Baiardo,
Pascendo intorno al prato il lassia andare.
Esso ala rippa sencia altro riguardo
Nela fresca ombra s’ebe a dormentare.
Dorme il barone e nulla se sentiva:
Ecco ventura che sopra gli ariva.

40.
Angelica, dapoi che fu partita
Dala bataglia orribile e acerba,
Gionse a quel fiume e la sete la invita
Di bere alquanto, e dismonta nel’erba.
(Or nova cosa che averite odita,
Ché Amor vòl castigar questa superba!)
Vedendo quel baron nei fior disteso,
Fu il cor di lei subitamente aceso.

41.
Nel pino ataca il bianco palafreno
E verso di Ranaldo se avicina;
Guardando il cavalier tutta vien meno,
Né scià pigliar partito la mischina.
Era de intorno al prato tutto pieno
Di bianchi zigli e di rose di spina:
Queste disfoglia ed empie ambe le mano
E dane in viso al sir de Montealbano.

42.
Per questo si è Ranaldo disvegliato
E la donzella ha sopra a sé veduta,
Che salutando l’ha molto onorato.
Lui nela facia subito se muta,
E prestamente nelo arcion montato,
Il parlar dolce di colei riffiuta.
Fuge nel bosco per li arbori spesso;
Lei monta il palafreno e segue apresso.

43.
E seguitando dreto li ragiona:
«Ahi, franco cavalier, non me fugire!
Che te amo assai più che la mia persona
E tu per guiderdon me fai morire!
Già non sono Genamo de Baiona,
Che nela selva te véne assalire;
Non son Macario o Gaino traditore,
Anci odio tutti questi per tuo amore.

44.
Io te amo più che mïa vita assai
E tu me fuge tanto disdegnoso!
Vòltati almanco, e guarda quel che fai,
Se il viso mio te dié far pauroso
Che con tanta roina te ne vai
Per questo loco oscuro e periglioso!
Deh, tempra il strabuccato tuo fugire!
Contenta son più tarda a te seguire!

45.
Ché se per mia cagion qualche siagura
Te intravenisse, opur al tuo distrero,
Sarìa mia vita sempre acerba e dura,
Se sempre viver mi fosse mistiero!
Deh, volta un poco indreto e poni cura
Da cui tu fuge, o franco cavaliero!
Non merta la mia etade esser fugita,
Anci, quando io fugesse, esser seguita!».

46.
Queste e molte altre più dolce parole
La damigella va gitando invano:
Bagliardo fuor de il bosco par che vole
Ed escegli di vista per quel piano.
Or che saprà mai dir comme se dole
La mischinella e batte mane a mano!
Dirotamente piagne e con mal fiele
Chiama le stelle e il sol e il ciel crudele,

47.
Ma chiama più Ranaldo crudel molto,
Parlando in voce colma de pietade:
«Che avrìa creduto mai che quel bel volto»
Dicea lei «fosse sancia umanitade!
Già non me ha il cor Amor fatto sì stolto
Che io non cognosca che mia qualitade
Non se conviene a Ranaldo prigiato:
Pur non dié sdegnar lui de esser amato!

48.
Or non doveva almanco comportare
Che io il potesse veder in viso un poco?
Che forsi alquanto potea mitigare,
A lui mirando, lo amoroso foco.
Ben vedo che a ragion nol debo amare:
Ma, dov’è Amor, ragion non trova loco,
Per che crudiel, vilano e duro il chiamo;
Ma sia quel che si vòle, io cossì lo amo!».

49.
E cossì lamentando, ebe voltata
Verso il fagio la vista lacrimosa,
«Beati fior,» dicendo «erba beata,
Che tocasti la facia gracïosa,
Quanta invidia vi porto a questa fiata!
O quanto è vostra sorte aventurosa
Più de la mia, che me torìa a morire
Se sopra lui me dovesse venire!».

50.
Cum tal parole il bianco palafreno
Dismonta al prato la donzella vaga;
E dove giacque Ranaldo sereno
Basa quel’erbe e di pianger se apaga,
Cossì stimando il gran foco far meno;
Ma più se acende l’amorosa piaga.
A lei pur par che manco doglia senta
Stando in quel loco, e ivi se adormenta.

51.
Signori, io sciò che vi maravigliati
Che il re Gradasso non sia gionto ancora
In tanto tempo, ma vuò che sapiati
Che più tre giorni non faran dimora:
Già sono in Spagna i naviglii arivati.
Ma non vuò ragionar de esso per ora,
Che prima vuò contar ciò ch’è advenuto
De’ nostri erranti, e pria di Feraguto.

52.
Il gioveneto per quel bosco andava
Aceso nela mente a dismisura:
Amor e ira il pecto gli infiamava;
Lui più sua vita una paglia non cura,
Se quella bella dama non trovava,
E lo Argalìa dala forte armatura;
Che assai sua pena li era men dispeta
Quando con lui potesse far vendetta.

53.
E cavalcando cum questo pensiero,
Guardandosse de intorno tuttavia,
Vede dormir al’ombra un cavaliero
E ben conosce che egli è l’Argalìa.
Ad un fagio è legato il suo distrero:
Feragù prestamente il dissolvìa,
Indi con fronde lo bate e minacia
E per la selva in abandono il cacia.

54.
E poi fu presto in terra dismontato
E sotto un verde lauro ben se asseta,
Al qual avëa il suo distrer legato;
E che Argalìa se svegli atento aspeta,
Advengaché quel’animo infiamato
Mal indugiava a far la sua vendetta.
Ma pur tra sé la colera rodìa,
Parendogli isvegliarlo vilania.

55.
Ma in poco d’ora quel guerier fu desto
E vede ch’è fugito il suo destriero.
Ora pensati quanto gli è molesto,
Poiché de andar a piè li era mistiero!
Ma Feraguto a levarse fu presto
E disse: «Non pensar, o cavalliero,
Ché qui convien morir, o tu o io:
Di quel chi campa serà il distrier mio.

56.
Lo tuo disolsi per tuorti sperancia
Di poter altra volta via fugire;
Sì che col pecto mostra tua posancia,
Che nele spalle non dimora ardire!
Tu me fugesti e fecesti mancancia,
Ma ben mi spero fartene pentire:
Esser galiardo e diffenderti bene,
Se vòi campar la vita, te conviene!».

57.
Diceva l’Argalìa: «Scusa non facio
Che il mio fugir non fusse mancamento;
Ma questa man ti giuro e questo bracio
E questo cor che nel pecto mi sento
Che io non fugite per bataglia sacio,
Né doglia, né stracheza, né spavento,
Ma sol me ne fugite oltra al dovere
Per far a mia sorella quel piacere.

58.
Sì che prendila pur come te piace,
Che a te sono io bastante in ogni lato:
Sia a tuo piacere la guerra e la pace,
Che sai ben che altra volta te ho anasato!».
Così parlava il gioveneto audace,
Ma Feraguto non è dimorato,
Forte cridando con voce de ardire:
«Da me ti guarda!», e vénello a ferire.

59.
L’un contra l’altro de’ baron se mosse
Cum forcia grande e molta maistria:
Il menar dele spade e le percosse
Presso che un mìo nel bosco se odìa.
Or l’Argalìa nel salto se riscosse
Cum la spada alta quanto più potìa,
Fra sé dicendo: «Io nol posso ferire,
Ma tramortito a terra il farò gire!».

60.
Menando il colpo l’Argalìa menacia
Che certamente l’avrïa stordito,
Ma Feraguto adosso a lui se cacia
E l’un con l’altro presto fu gremito.
Più forte è lo Argalìa molto di bracia,
Più destro è Feraguto, e più espedito.
Or ala fin, non pur cossì di botto,
Feragù l’Argalìa messe di sotto.

61.
Ma come quel che avea possancia molta,
Tenendo Feragù forte abraciato,
Cossì per terra di sopra se volta;
Bàtello in fronte col guante ferrato.
Ma Feragù la daga avea in man tolta
E sotto, al loco dove non è armato,
Per l’anguinaglia li passò al galone:
Ah, Dio del Ciel, che gran compassïone!

62.
Che se quel giovenetto avëa vita,
Non sarìa stata persona più franca,
Né di tal forcia, né cotanto ardita.
Altro che nostra fede a quel non manca.
Or vede lui che sua vita n’è gita,
E con voce angosciosa e molto stanca,
Rivolto a Feragù, disse: «Un sol dono
Voglio da te, dapoi che morto sono.

63.
Ciò te dimando per cavaleria.
Baron cortese, non me lo negare:
Che me con tutta l’armatura mia
Dentro de un fiume me debe gitare,
Perché io son certo che poi si dirìa,
Quando altro avesse queste arme a provare:
“Vil cavalier fu questo e sancia ardire,
Che cossì armato se lasciò morire!”».

64.
Piangea con tal pietate Feraguto
Che parea un giacio posto al caldo sole
E disse al’Argalìa: «Baron compiuto,
Sàpielo Idio di te quanto me dole.
Il caso doloroso è intravenuto:
Sia quel che il Ciel e la Fortuna vòle;
Io fece questa guerra sol per gloria:
Non tua morte cercai, ma mia victoria.

65.
Ma ben di questo te facio contento:
A te prometto sopra ala mia fede
Che anderà il tuo voler a compimento;
E, se altro posso far, comanda e chiede!
Ma perché io sono in megio al tenimento
De’ cristïani, comme ciascun vede,
E sto in periglio se io son cognosciuto,
Baron, ti prego, dami questo aiuto:

66.
Per quatro giorni l’elmo tuo mi presta,
Che poi lo getarò sancia mentire».
Lo Argalìa, già morendo, alcia la testa
E parve ala dimanda consentire.
Qui stete Feragù nela foresta
Sinché quel ebe sua vita a fenire;
E poi che vide che al tutto era morto,
In bracio il prende, quel baron acorto.

67.
Subito il capo li ebe disarmato,
Tutor piagnendo, l’ardito guierero
E lui quel’elmo in testa s’ha alaciato,
Troncando via prima tutto il cimero.
E poi che sopra al caval fu montato,
Col morto in bracio va per un sentero
Che drito ala fiumana conducìa:
A quella gionto, getta l’Argalìa.

68.
E stato un poco quivi a rimirare,
Pensoso per la rippa se è aviato.
Or vogliovi de Orlando racontare,
Che quel diserto tutto avea cercato
E non poteva Angelica trovare;
Ma crucioso oltra modo e disperato,
E biastimando la Fortuna fella,
A ponto gionse dove è la dongella:

69.
La qual dormiva in atto tanto adorno
Che pensar non si può, non che io lo scriva:
Parea che l’erba a lei fiorisse intorno
E de amor ragionasse quella riva.
Quante sono ora belle e quante fòrno
Nel tempo che belecia più fioriva
Tal sarebon con le’ qual esser sole
L’altre stelle a Dïana, o lei col sole.

70.
Il conte stava sì attento a mirarla
Che sembrava omo de vita diviso;
E’ non attenta ponto di svegliarla,
Ma fisso riguardando nel bel viso,
In bassa voce con sé stesso parla.
«Sono ora quivi, o sono in Paradiso?
Io pur la vedo, e non è ver nïente,
Però che io sogno e dormo veramente».

7l.
Cossì mirando quella, se diletta
Il franco conte ragionando invano.
Oh quanto sé a bataglia meglio asseta
Che ad amar done quel baron soprano!
Perché qualunque ha tempo e tempo aspeta
Spesso se trova vuota aver la mano,
Comme al presente a lui véne a incontrare,
Che perse un gran piacer per aspetare.

72.
Però che Feraguto, caminando
Detro ala rippa in sul prato giongìa,
E quando quivi vede il conte Orlando
(Advengaché per lui nol conosìa),
Assai fra sé venìa maravigliando.
Poi vede la dongella che dormìa;
Ben prestamente l’ebe conosciuta:
Tutto nel viso e nel pensier se muta.

73.
Certo se crede lui sancia mancanza
Che il cavalier si stia lì per guardarla,
Unde, con voce di molta arroganza,
A lui rivolto subito li parla:
«Questa prima fu mia che la tua ’manza
Però delibra al tutto de lassarla!
Lassar la dama o la vita con pene,
O a mi tuorla, al tutto ti conviene!».

74.
Orlando, che nel petto se rodìa
Vedendo sua ventura disturbare,
Dicea: «Deh, cavalier, va’ ala tua via
E non voler il mal giorno cercare,
Perché io te giuro, per la fede mia,
Che mai alcun non volsi ingiurïare:
Ma il tuo star qui me offende tanto forte
Che forcia mi sarà darti la morte!».

75.
«O tu o io se convirà partire,
Per quel che io odo, adunque, d’esto loco;
Ma io te acerto che io non ne vuò gire,
E tu non li porai star più sì poco
Che te farò sì forte sbigottire
Che, se dinanci te trovasti un fuoco,
Dentro da quel sarai da mi fugito!»
Così parlava Feraguto ardito.

76.
Il conte s’è turbato oltra a misura
E nel viso di sangue s’è avampato:
«Io son Orlando e non hagio paura
Se il mondo fusse tutto quanto armato;
E de te tengo cossì poca cura
Comme de un fanciullino adesso nato,
Vil ribaldello, figlio de putana!».
Cossì dicendo trasse Durindana.

77.
Or se incomencia la magior bataglia
Che mai più fosse tra dui cavalieri:
L’arme de’ dui baroni a maglia a maglia
Cadean troncate da quei brandi fieri.
Ciascun presto spaciarsi si travaglia
Perché vedean che li facea mistieri:
Ché, comme la fanciulla se svegliava,
Sua forcia invano poi se adoperava.

78.
Ma in questo tempo si fu risentita
La damigella da il viso sereno
E grandemente se fu sbigotita
Vegendo il prato de arme rote pieno
E la bataglia orribil e infenita.
Subitamente piglia il palafreno
E via fugendo va per la foresta.
Alora Orlando de ferir se aresta

79.
E dice: «Cavalier, per cortesia,
Indugia la bataglia nel presente
E lasciami seguir la dama mia,
Che io te serò tenuto al mio vivente.
E certo io stimo che sia gran folìa
Far cotal guerra insieme per nïente!
Colei n’è gitta, che ci fa ferire:
Lascia, per Dio, che la possa seguire!».

80.
«Non, non;» rispose corlando la testa
Lo ardito Feragù «non gli pensare!
S’ tu vòi che la bataglia tra nui resta,
Convente quella dama abandonare.
Io te fo certo che in questa foresta
Un sol de noi la convirà cercare;
E s’io te vinco, sarà mio mestero,
Se tu me occide, a te lascio il pensiero.»

81.
«Poco vantagio avrai de questa ciuffa,»
Rispose Orlando «per lo Dio beato!»
Ora se fece la crudel baruffa
Comme nel’altro canto avrò contato:
Vedriti comme l’un l’altro ribuffa,
Più che mai fosse Orlando era turbato!
Di Feraguto non dico nïente,
Che mai non fu sancia ira al suo vivente.

1. Dopo una sintetica formula di raccordo al canto precedente, sono riportate le abituali minacce di Astolfo prima dello scontro con un cavaliere avversario: il paladino si distingue infatti per la sua sbruffoneria. 1-2. io ve lassai… Sì comme: ‘io vi lasciai raccontando che’. 4. forsi: ‘forse’. 6. comm’io te piglio: ‘non appena ti prendo’. 6-7. io te governo Nela galea: ‘io ti metto a remare sulla galea’. 8. Farotte: ‘ti farò’. braiavante: ‘rematore che occupa il primo posto di poppa’ e che impugna il remo più lungo (TROLLI 2003, p. 102). Il termine sembra un tecnicismo marinaresco e sicuramente allude a una posizione preminente tra i vogatori in considerazione della statura di Grandonio.

2. In questa ottava Boiardo sviluppa la descrizione dell’arroganza di Grandonio insistendo su metafore legate al mare, creando così una continuità rispetto alla minaccia “marinaresca” di Astolfo nell’ottava precedente. 1. usato: ‘abituato a’. 2. Dir onta: ‘insultare’. fo gonfiato: ‘si gonfiò’; cioè ‘si fece minaccioso’. 5. travagliato: ‘agitato’. 6. paron: ‘capitano’; settentrionalismo diffuso specialmente in area veneta (TROLLI 2003, p. 212). 7. tempesta : ‘si infuria’. 8. e denti: ‘i denti’ (cfr. I, i, 73, 6). crollando: ‘scrollando’.

3. 1. sticia: ‘stizza’. 2. ebbe… scombiatato: ‘accomiatò’, allontanandosi per prendere la rincorsa. 3. nequitosamente: ‘furiosamente’. 4. Arresta: ‘mette in resta’; cioè in orizzontale (cfr. I, i, 70, 6). fusto: la sua lancia (cfr. I, ii, 52, 4). 5. se crebbe: ‘credette’; pseudoriflessivo. certanamente: ‘per certo’. 6. Passarlo: ‘trafiggerlo’. 7. in sul sabione: ‘a terra’. 8. ‘abbatterlo dalla sella spaccato in due’. cavecci: cioè cavezzi ‘pezzi’; settentrionalismo.

4. 4. è dato: ‘è deciso’. 5-6. ‘così in una corsa travolgente e impetuosa i due cavalieri si sono scontrati’.

5. 1. Levossi: ‘si alzò’. 2. roini: ‘precipiti’. Per l’espressione cfr. I, ii, 2, 7. 4. grandi e picolini: cfr. I, ii, 59, 6. 5. pressato: ‘avvicinato’. 8. Videndo istesso: ‘pur vedendo’.

6. 2. ussì d’arzon: ‘cadde dalla sella’. manco: ‘sinistro’. 3. davante: ‘prima’. 4. ‘quando si scontrò con il valoroso marchese’; cioè Olivieri. 7. Spricando: ‘sprizzando’. vena: ‘abbondanza’. 8. mena: ‘versa’.

7. 2. il lodo: ‘il merito’. 3. ‘altri invece dicono come sono andate veramente le cose’. 6. sì comm’io odo: qui l’espressione si riferisce a un testo reale; infatti il racconto dell’uccisione di Astolfo da parte di Grandonio a Roncisvalle si trova nella Spagna ferrarese (XXXI, 17; TISSONI BENVENUTI 1999). Così Boiardo fa riferimento a una storia nota ai suoi lettori e procura ad Astolfo una sorta di vendetta anticipata. 7. per tal ferita: ‘con un colpo simile’. 8. Nella stessa battaglia Grandonio fu ucciso da Orlando (Spagna ferrarese, XXXI, 20-21). ancor: ‘anche’.

8. 1. Stavassi: ‘stava’; pseudoriflessivo. rengo: ‘campo dello scontro’. 3. Eranci: ‘c’erano’. 6. Chiasmo. 8. per forcia de spata: ‘per forza di spada’; cioè con le armi. Ottava aperta.

9. 1. Rosìa: dovrebbe corrispondere alla regione sud-occidentale della Russia e a una parte della Tartaria (TISSONI BENVENUTI 1999). 2. sotto Tramontana: ‘a nord’. 4. Tana: il fiume Don. 5. per non far più longa diceria: ‘a farla breve’. 6. doi: ‘due’. 9. 7. Giostrorno: ‘giostrarono’. 8. fiè gire: ‘fece andare’.

10. 1. In questo: ‘in quel momento’. messo: ‘messaggero’. vien: ‘arriva’. 4. per Astolfo: ‘per merito di Astolfo’. 5. Anci: ‘anzi’. rendeci certano: ‘si rende sicuro, crede’. 6. intervenuto: ‘accaduto’. 7. fuor d’ogni pensata: ‘impensato, imprevedibile’. 8. cascata: ‘caduta’.

11. 1. Unde: ‘quindi’. d’acquistare: ‘di conquistare’. 3. bella mostra: ‘bella figura’. 4. Chiasmo. pompa: ‘sfarzo’. 5. sieco: ‘con sé’. 6. il fiore: ‘la parte migliore’. 7. nanti: ‘davanti’.

12. 2. L’annotazione è ironica, se si tiene conto della rabbia di Carlo prima abbandonato dai suoi cavalieri, ma anche della sua indulgenza nei confronti del perfido Gano. nol sciò: ‘non lo so’. pur gli fiè bona cera: ‘lo accolse comunque con aspetto lieto’. 3. Parme: ‘mi pare’. mandasse: ‘mandasse a dire’. 4. ala frontiera: ‘pronto a combattere’. 7-8. ‘avrebbe dovuto gradire quanti più cavalieri andassero ad affrontarlo, per disarcionarli’. 7. gente: pl. sett.

13. 1. parlante: come s’è visto, la lingua sciolta è una delle caratteristiche tradizionali del personaggio (cfr. I, i, 60). 2. Va’, risponde: doppio imperativo asindetico (MATARRESE 2004, p. 112). 3. non pongo cura: ‘non faccio differenza’. 4. ‘perché l’ho sempre reputato peggiore che un mussulmano’. 6. falso: sinonimo di traditor. eretico: ‘miscredente, peccatore’ (TROLLI 2003, p. 168). villano: ‘ignobile’. 7. a sua posta: ‘quando vuole’.

14. 2. fellone: ‘rabbioso’ (TROLLI 2003, p. 148). 3. foria: ‘furia’. 4. Giottone: ‘furfante’. 5. ‘io ti farò mancare le chiacchiere’. 6. gitare del’arcione: ‘disarcionare’.

15. 1. si crede: il sogg. è Gano. 2. metìa: ‘metteva’. 3. ratto: ‘veloce’. 6. a cotal via: ‘in questo modo’. 7. Vergogna: ‘svergogni’. 8. arresta: ‘mette in resta’ (cfr. I, i, 70, 6).

16. 1. ‘Anche questo cadde con molto fracasso’. 2. Non dimandar: formula abituale, tesa al coinvolgimento del lettore (CABANI 1988, pp. 83-84). se dimena: ‘si agita’. 3. Forte: ‘con forza’; agg. con valore di avv. gesta: ‘schiatta’. 4. al’arena: ‘a terra’. 6. il trabucò: ‘lo disarcionò’.

17. 1. surgendo: ‘alzandosi’. 2. nequicia: ‘iniquità’. 4. tristicia: ‘ignominia’ (l’accezione non sembra attestata altrove; TROLLI 2003, p. 298). 7. a·rritrovare: ‘ad affrontare’; si tratta probabilmente di una grafia irrazionale che ricorda l’aspetto di un raddoppiamento fonosintattico.

18. 1. ‘Astolfo lo colpiva proprio alla visiera’. 2. hallosbaratato: ‘lo ha sbaragliato’. 3. canto: ‘lato’. pigava: ‘si piegava’. 4. al tuto: ‘definitivamente’. 5. attende: ‘osserva’. 6. s’avedde: ‘si accorge’. 7. il romore: ‘il grido’.

19. 1. Fo via menato: ‘fu portato via’. 2. e soi: ‘i suoi’. 3. agogna: ‘soffre’. 5. gli grato la rogna: cfr. I, i, 87, 7-8. 6. E légasse pur ben: ‘e si leghi pure per bene’. 7. briga: ‘difficoltà’. 8. pacio: ‘pazzo’.

20. 1. Anselmo dela Ripa:è probabilmente il nipote di Gano che compare nell’Entrée d’Espagne (BRUSCAGLI 1995). 3. ‘di vendicarsi con l’inganno di tante offese’. 4-5. ‘(facendo in modo di) attaccare Astolfo frontalmente di sorpresa quando egli fosse intento a colpire per primo un altro avversario’. 7. Altafoglia: feudo maganzese. 8. Crédesse: ‘crede’. a valle: ‘a terra’.

21. 2. il trasse delo arcione: ‘lo fece cadere dalla sella’. 3. non essendo ancor ben rassetato: ‘non essendosi ancora rimesso in assetto’. 4. sì comme è ragione: ‘così come è giusto’; zeppa. 5. l’ha trovato: ‘l’ha colpito’. 6. falso: ‘proditorio’. tradigione: ‘slealtà’. 7-8. ‘sebbene quel malvagio facesse in modo che non sembrasse un fatto volontario ma casuale’. 7. malvaso: forma assibilata.

22. 1. Nulla di manco: ‘ciononostante’. gioso: ‘giù’. 3. Pensati: ‘pensate’; formula di coinvolgimento del lettore (cfr. 16, 2). doloroso: ‘addolorato’. 4. driciato: ‘alzato’. 5. Trasse: ‘sguainò’. 6. Astolfo fa roteare la spada con furiosa rapidità (TROLLI 2003, p. 157). 8. dàgli: ‘lo colpisce’.

23. 1. il campò: ‘lo salvò’. azarino: ‘d’acciaio’. 2. in piaza: ‘nel campo del torneo’ (cfr. I, i, 16, 4). 4. se caza: ‘si cacciano, si scagliano’. 6. se procaza: ‘tenta’. 7. Di qua, di là: cfr. I, i, 50, 1. 8. a questo inconvinente: ‘mentre si scatenava questo disordine’.

24. 3. che: ‘chi’. 4. aùto: ‘avuto’. a sturbar: ‘di turbare’. 5. corsier: ‘cavallo’ (cfr. I, i, 6, 4). trapello: ‘mischia’. 6. resta: ‘smette’.

25. 2. diessi: ‘si deve’. 5. anguosciosa: ‘piena di dolore’; forma iperdittongata. 7. presiato: cioè pregiato ‘onorato’; forma assibilata.

26. 1. Sapi… da: ‘chiedi a’. 3. ritrove: ‘trovi, vieni a sapere’. primeramente: ‘per primo’. 5. ‘riconosco la mia colpa e subisco con pazienza’. 7. sua ragione agreva: ‘appesantisce la posizione di Astolfo’. 8. unde se leva: ‘da dove arriva’.

27. 1. errore: ‘turbamento’. 3. Falso: ‘bugiardo’; sinonimo di traditore (formulare). 4. somenza: ‘semenza’, cioè ‘stirpe’. 6. faciam partenza: ‘ce ne andiamo’. 7. Témote: ‘ti temo’. 8. Ottava aperta.

28. 1. ragione: ‘diritto’. 3. felone: ‘traditore’. 4. ribaldo: ‘furfante’. rio: ‘malvagio’. 5. Turbosse: ‘si adirò’. 7. te adusi: ‘ti abitui’. 8. ‘ti insegnerò le buone maniere a tue spese!’.

29. 1. non li attende de nïente: ‘non gli fa caso per niente’. 4. ‘sebbene gli altri non ne capissero il motivo’. 7. pòte: ‘poté’. contenire: ‘trattenere’; con metaplasmo di coniugazione. 8. Ottava aperta.

30. 1. l’arebe morto: ‘l’avrebbe ucciso’; l’uso transitivo del verbo morire (‘uccidere’) è frequente in it. antico. 4. imperier: ‘imperatore’. il: ‘egli’. 5. scorto: ‘scortato’. 7-8. ‘dove raccolse buon frutto della sua pazzia, perché vi rimase molto di più di quanto desiderasse’. Ironico.

31. 2. tri innamorati: Orlando, Rinaldo e Ferraguto. 4. son mai ripossati: ‘non si sono mai riposati’. 5. ‘ciascuno di loro fa una strada diversa’. 7. il principe galiardo: Rinaldo. 8. Mercé de’ spron: ‘grazie agli speroni’; cioè ‘spronando a più non posso’. Bagliardo: Baiardo, con grafia ipercorretta.

32. 3. arborsceli: ‘alberelli’. 4. in cerco: ‘intorno’. 5. ‘affascinato dall’aspetto di quel luogo piacevole’. 6. ebe ad intrare: ‘entrò’. 7. nel megio: ‘nel mezzo’.

33. 1. L’ottava si apre sulla fontana, alla quale si era fatto riferimento in chiusura dell’ottava precedente. Boiardo ottiene così un effetto di avvicinamento – quasi “a telescopio” – dell’oggetto, che sarà ora descritto in modo più dettagliato. Questa tecnica è usata più volte nel romanzo (PRALORAN 1988, pp. 195-202). 2. polito: ‘liscio’. 3. adornata: ‘decorata’. 4. rendea lume: ‘faceva luce’. 5-8. Nonostante i numerosi possibili precedenti letterari di fontane dai poteri magici, non è noto alcun racconto arturiano nel quale Merlino ne costruisca una per salvare Tristano e si tratta dunque di una probabile invenzione di Boiardo. Tra i testi in cui si parla di liquidi magici capaci di fare innamorare o disamorare, i commentatori hanno individuato l’Epithalamium dictum Honorio Augusto et Mariae di Claudiano (il potere delle frecce di Cupido deriverebbe da due fonti d’acqua, dolce l’una e amara l’altra: «Labuntur gemini fontes, hic dulcis, amarus / alter, et infusis corrumpunt mella venenis, / unde Cupidineas armari fama sagittas», vv. 69-71) e Rvf 135, vv. 61-64 (una fonte in Epiro «di cui si scrive ch’essendo fredda ella, / ogni spenta facella / accende, et spegne qual trovasse accesa»; e l’allusione sarebbe qui alla fiamma d’amore). È interessante che l’acqua del disamore scorra in un manufatto e quella dell’amore (come si vedrà poco sotto) in un alveo naturale, forse a suggerire appunto una naturalità dell’esperienza amorosa del tutto consona all’ideologia boiardesca che sorregge il romanzo (TISSONI BENVENUTI 1999). 7-8. Isotta, moglie di re Marco, si innamorò di Tristano per effetto di un filtro amoroso. La vicenda si concluse tragicamente per i due amanti: nella versione della leggenda più verosimilmente nota a Boiardo, Tristano fu ucciso da re Marco e Isotta morì di dolore.

34. 1. isventurato: forma prostetica. per sciagura : ‘per sfortuna’. 4. cercato: ‘percorso’. 5. cotal natura: ‘questa proprietà’.

35. 5. di saldo: ‘subito’. 7. liquore: ‘acqua’; latinismo. 8. Cangiosse: ‘si cambiò’.

36. 1-2. ‘E pensa tra sé che impresa ignobile sia inseguire una cosa di così poco valore’; cossa potrebbe significare ‘creatura’ ed essere riferito ad Angelica. 3. beltade: ‘bellezza’. 6. forcia: ‘forza’. strana: ‘straordinaria’. 7. ‘e si cambiava tanto nella volontà’.

37. 1. altiera: agg. formulare polisemico; qui forse ‘coraggiosa’ (cfr. il v. successivo). 2. guirer: ‘guerriero’; settentrionalismo. sancia: ‘senza’. 3. riviera: ‘fiume’. 8. Eco di Rvf 10, 6: «ma ’n lor vece un abete, un faggio, un pino». verda: forma dialettale.

38. 3. liquore: cfr. 35, 7. 4. Torna: ‘fa diventare’. incesa e innamo- rata: ‘accesa d’amore’. 5. antiqui: forma latineggiate. 7. odete: ‘udite’. 8. ‘perché alla Fonte si è tolto la sete’.

39. 1. Mosso da il loco: ‘attratto dalla bellezza del posto’. 2. Destina: ‘decide’. 3. trato: ‘tolto’. 4. il lassia: ‘lo lascia’. 5. rippa: ‘riva’. sencia altro riguardo: ‘senza altri pensieri’. 6. s’ebe a dormentare: ‘si addormentò’. 8. sopra gli ariva: ‘gli capita’.

40. 1. dapoi: ‘dopo’. 2. acerba: ‘spaventosa’. 5. che averite odita: ‘udirete’; il futuro anteriore indica il compimento immediato dell’azione.

41. 1. palafreno: ‘cavallo da parata’; spesso usato come cavalcatura femminile. 3. vien meno: ‘si sente mancare’. 4. pigliar partito: ‘decidere sul da farsi’. 6. zigli: ‘gigli’. rose di spina: ‘rose selvatiche’. 8. ‘e ne fa cadere (i petali) sul viso di Rinaldo’.

42. 7. per li arbori spesso: ‘fitto di alberi’.

43. Nelle ottave 43-47 si ribaltano i ruoli di un topos molto noto: l’inseguimento della fanciulla da parte del suo innamorato. Il modello più celebre è costituito da Apollo che insegue Dafne nelle Metamorfosi di Ovidio (I, vv. 504-526), ma Boiardo aveva ben presente anche l’episodio di Africo e Mensola nel Ninfale fiesolano di Boccaccio (100-108). 1. dreto: ‘dietro’. li ragiona: ‘gli dice’. 4. per guiderdon: ‘per ricompensa’. 5. Genamo de Baiona: il Maganzese che aveva mentito dicendo di essere il vero padre di Rinaldo e aveva poi tentato di ucciderlo con i fratelli in un’imboscata (cfr. I, i, 15). 7. Macario o Gaino: ovviamente Maganzesi.

44. 2. me fuge: ‘mi sfuggi’. 3. almanco: ‘almeno’. 4. dié: ‘deve’. 5. roina: ‘precipitazione’. 6. periglioso: ‘pericoloso’. 7. ‘modera la tua fuga scomposta’. 8. tarda: ‘lenta’.

45. 1. siagura: ‘sciagura, incidente’. 2. intravenisse: ‘capitasse’. 4. ‘se anche dovessi vivere per sempre’. 8. seguita: ‘inseguita’.

46. 1. dolce: pl. sett. 3. par che vole: ‘pare che voli’. 4. ‘e le esce di vista in quella pianura’. 5. che: ‘chi’. 6. batte mane a mano: ‘batte le mani una contro l’altra’. 7. mal fiele: ‘amarezza’. 8. Ottava aperta.

47. 2. pietade: ‘dolore’. 3. Che: ‘chi’. 4. sancia umanitade: ‘senza umanità’. 6. mia qualitade: ‘la mia condizione’. 7. prigiato: ‘di valore’.

48. 1. comportare: ‘sopportare’. 5. a ragion: ‘secondo ragione’. 7. crudiel, vilano e duro: epiteti formulari di gusto elegiaco, come pure la dichiarazione del verso successivo; crudiel è forma iperdittongata.

49. 1. ebe voltata: ‘voltò’. 2. la vista: ‘lo sguardo’. 3. Chiasmo. 5. a questa fiata: ‘questa volta’. 6. aventurosa: ‘fortunata’. 7. me torìa a morire: ‘sopporterei di morire’.

50. 1. Cum: ‘con’; cfr. I, i, 6, 8. 2. vaga: ‘bella’. 3. sereno: ‘bello’. 4. Basa: ‘bacia’; forma assibilata. 5. far meno: ‘attenuare’. 6. piaga: ‘ferita’. 7. manco doglia: ‘meno dolore’. 8. ivi: ‘lì’.

51. Abile mossa di regia, con la quale Boiardo cambia filo narrativo per due volte in rapida successione, indicando pure un tempo fittizio per l’arrivo in scena di Gradasso (fatto che si verificherà nel canto successivo). Si vede anche come l’alternarsi delle unità narrative sia sfasato rispetto alla segmentazione dei canti, in modo da trattenere l’attenzione del lettore (PRALORAN 1988, pp. 146, 203-204). 3. vuò: ‘voglio’; il verbo ripetuto per tre volte nell’ottava rafforza il ruolo del poeta-canterino come costruttore della storia. 4. non faran dimora: ‘non ci metteranno’. 5. i naviglii: ‘le navi’. 8. erranti:è il modo usuale in cui sono definiti i cavalieri del ciclo bretone, ai quali gli eroi ufficialmente carolingi di Boiardo assomigliano sempre più. pria: ‘prima’.

52. 1. gioveneto: ‘giovane’. 4. una paglia non cura: ‘non stima per nulla’. 7. li era men dispeta: ‘gli era meno odiosa’.

53. 2. tuttavia: ‘senza sosta’. 4. conosce: ‘si accorge’. 6. il dissolvìa: ‘lo slegava’. 8. in abandono il cacia: ‘lo fa fuggire velocemente’.

54. 2. verde lauro: memoria petrarchesca (cfr. p. es. Rvf 30, 1); forse l’alloro allude alla gloria cavalleresca sperata da Ferraguto (TISSONI BENVENUTI 1999). 6. Mal indugiava: ‘indugiava a fatica’. 7. rodìa: ‘rodeva’.

55. 1. in poco d’ora: ‘dopo poco tempo’. 3. Ora pensati: formula metanarrativa che sollecita la partecipazione dei lettori (CABANI 1988, pp. 83-84). 4. li era mistiero: ‘gli era necessario’. 7. convien: ‘bisogna’. 8. chi campa: ‘che sopravvive’.

56. 1. tuorti: ‘toglierti’. 3. col pecto: ‘combattendo frontalmente’ (e non fuggendo). tua posancia: ‘la tua forza’. 5. ‘tu sei fuggito da me e hai commesso una mancanza’. 8. ‘se vuoi salvarti la vita, ti è necessario’.

57. 5. non fugite: ‘non fuggii’ (cfr. I, ii, 59, 4). sacio: ‘sazio’; cioè ‘stanco’. 6. stracheza: ‘stanchezza’. 7. oltra al dovere: ‘contro il mio dovere (di cavaliere)’.

58. 2. ‘che sono in grado di affrontarti in ogni caso’ (TROLLI 2003, p. 98). 4. te ho anasato: ‘ti ho annusato’; cioè ‘mi sono provato con te’ (TRENTI 2008, p. 27). 6. non è dimorato: ‘non ha indugiato’. 7. de ardire: ‘ardita’. 8. Da me ti guarda!: consueto grido di sfida, che diviene emistichio formulare (Falconetto 1483, p. 131). vénello: ‘lo venne’.

59. 2. Chiasmo. maistria: ‘abilità’. 3-4. ‘i movimenti della spade e i colpi si sentivano da quasi un miglio nel bosco’. 5. nel salto se riscosse: il significato dell’espressione è oscuro; forse si tratta di un tecnicismo della scherma per cui l’Argalìa, nell’assalto, assume una determinata posizione alzando la spada (TROLLI 2003, p. 60-61). 6. potìa: ‘poteva’.

60. 1. Menando: ‘sferrando’. 3. se cacia: ‘si scaglia’. 4. ‘e presto si afferrarono l’un l’altro’; gremito: cioè ghermito; con metatesi. 6. destro: ‘abile’. espedito: ‘veloce’. 7. non pur cossì di botto: ‘non subito’. 8. messe: ‘mise’.

61. 3. di sopra se volta: ‘si gira’, riuscendo a capovolgere la situazione. 4. Bàtello: ‘lo colpisce’. guante: ‘guanto’; con falsa restituzione dell’atona finale. 5. daga: ‘spada corta’. tolta: ‘presa’. 7. ‘lo trafisse dall’inguine al fianco’.

62. 1. avëa vita: ‘fosse sopravvissuto’; periodo ipotetico dell’irrealtà con protasi all’imperfetto indicativo. 2. Non sarìa stata: ‘non ci sarebbe stata’. franca: cfr. I, i, 1, 7. 5. n’è gita: ‘se n’è andata’.

63. 1. per cavaleria: ‘in nome delle regole cavalleresche’. 4. me debe gitare: ‘mi getti’; per l’uso del verbo servile cfr. I, i, 49, 7. 8. morire: ‘uccidere’.

64. 2. giacio: ‘pezzo di ghiaccio’. 3. compiuto: ‘perfetto’. 4. Sàpielo Idio: ‘lo può sapere solo Dio’; congiuntivo potenziale (TISSONI BENVENUTI 1999). 5. intravenuto: ‘accaduto’.

65. 1. te facio contento: ‘ti accontento’. 4. chiede: ‘chiedi’; imperativo. 5. in megio al tenimento: ‘in mezzo al territorio’. 7. cognosciuto: ‘riconosciuto’.

66. 1. mi presta: ‘prestami’. 66. 3. alcia: ‘alza’. 6. ‘sinché quello finì la sua vita’. 8. acorto: epiteto formulare (cfr. I, iv, 58, 2; I, vi, 21, 5 ecc.).

67. 1. li ebe disarmato: ‘gli disarmò’; cioè gli tolse l’elmo. 2. Tutor: ‘tuttora, sempre’. guierero: ‘guerriero’; forma attestata anche altrove nel romanzo (cfr. I, iv, 5, 5; I, iv, 16, 4 ecc.).

68. 1. a rimirare: ‘a guardare’. 3. vogliovi: ‘vi voglio’. 4. diserto: ‘luogo disabitato’. cercato: ‘perlustrato’. 6. crucioso: ‘adirato’. 7. biastimando: ‘maledicendo’. fella: ‘malvagia’. 8. Ottava aperta.

69. L’ottava, che segna il ritorno in scena di Angelica, ospita molti materiali di provenienza lirica. 1. atto tanto adorno: ‘atteggiamento tanto grazioso’; memoria di Rvf 62, 4. 4. ragionasse: ‘parlasse’. 5. fòrno: ‘lo furono’. 6. belecia: ‘bellezza’; Boiardo sembra vagheggiare una passata età dell’oro (TISSONI BENVENUTI 1999). 7-8. ‘starebbero, al suo paragone, come stanno le altre stelle a Diana (la Luna) o come Diana sta al sole’; la fonte potrebbe essere ovidiana (Met. II, 722-725; ZAMPESE 1994, p. 170).

70. Lo stupore di Orlando è reso con echi petrarcheschi (Rvf 126, 53-65; 292, 1-3) e boccacciani (Teseida, III, 12); particolarmente denso di memorie è il sistema di rime diviso : viso : paradiso (DONNARUMMA 1992, p. 524; TISSONI BENVENUTI 1999; CANOVA 2008, pp. 56-57). 3. non attenta ponto: ‘non osa affatto’. 6. Il verso è molto simile a Al I, 17, 3: «son dove io veni, on sono in paradiso».

71. 3. ‘Oh quanto è meglio disposto alla battaglia’. 4. soprano: ‘valoroso’. 5-6. Sentenza proverbiale con varie attestazioni letterarie; questa è molto vicina alla ballata trecentesca Perché sè, donna, in grazia farmi lenta, v. 3, di Niccolò Soldanieri: «Chi ha tempo e tempo aspetta, tempo perde» (PASQUINUCCI 2007, pp. 145-146). 7. véne a incontrare: ‘capitò’. 8. per aspetare: ‘perché aspettò’.

72. 2. Detro ala rippa: ‘lungo la riva’. 4. per lui nol conosìa: ‘non lo riconoscesse come Orlando’. 5. venìa maravigliando: ‘si meravigliava’; forma perifrastica (MATARRESE 2004, pp. 96-97).

73. 1. sancia mancanza: ‘sicuramente’. 2. guardarla: ‘proteggerla’. 3. Unde: ‘quindi’. 5. ’manza: cioè amanza, provenzalismo della tradizione lirica che significa ‘donna amata’. 6. delibra: ‘decidi’. 6-8. al tutto: ‘senz’altro, definitivamente’; espressione rafforzativa. 8. tuorla: ‘prenderla’; forma iperdittongata.

74. 2. sua ventura: ‘la sua fortuna’. 4. il mal giorno: ‘guai’. 6. ‘che non ho mai voluto offendere nessuno’. 8. forcia mi sarà: ‘sarò costretto’.

75. 1. ‘Bisognerà che uno uno di noi due si allontani’. 3. te acerto: ‘ti assicuro’. 4. non li porai star: ‘non ci potrai stare’. 5. sbigottire: ‘spaventare’. 6-7. ‘che, se ti trovassi un fuoco davanti, fuggiresti da me dentro quello’.

76. 3. hagio: ‘ho’. 5. ‘e mi curo di te così poco’.

77. 1-2. Topos dell’evento senza precedenti (cfr. I, ii, 68, 8). 5. ‘Ciascuno si impegna per finire alla svelta’. 6. li facea mistieri: ‘era loro necessario’. 7. comme: ‘non appena’. 8. Sua forcia: ‘la loro forza’.

78. 1. si fu risentita: ‘si svegliò’. 8. de ferir se aresta: ‘smette di colpire’. Ottava aperta.

79. 2. Indugia: ‘sospendi’. 4. ‘che io ti sarò obbligato per tutta la vita’. 6. insieme: con il solito valore di reciprocità (cfr. I, ii, 3, 1). 7. n’è gitta: ‘se n’è andata’.

80. 1. corlando: ‘scrollando, scuotendo’; forma con metatesi. 3. resta: ‘smetta’. 4. Convente: ‘ti è necessario’. 6. la convirà cercare: ‘la dovrà cercare’. 7. sarà mio mestero: ‘sarà affar mio’. 81. 1. ciuffa: ‘zuffa’.

81. 4. avrò contato: ‘racconterò’. 5. ribuffa: ‘rintuzza’. 8. al suo vivente: ‘in vita sua’.