CANTO QUINTO

La battaglia continua furiosa. Rinaldo uccide il gigante Orione spaccandolo in due pezzi; quindi affronta Gradasso (1-6). Il re pagano è impressionato dalla forza del paladino e gli propone un duello per l’indomani: sarebbe infatti un vero peccato se Rinaldo soccombesse solo per la superiorità numerica degli avversari. Lo scontro avverrebbe a piedi e, in caso di vittoria del cristiano, tutti i prigionieri di Gradasso sarebbero liberati; in caso contrario Gradasso prenderebbe il cavallo Baiardo. Comunque la guerra finirebbe e l’esercito invasore se ne tornerebbe in patria. Rinaldo accetta la sfida con gioia (7-12). Nel frattempo Angelica si dispera per amore di Rinaldo e convoca Malagise, che tiene prigioniero. La donna promette al cavaliere-mago di liberarlo se le porterà il paladino per cui si strugge. Malagise accetta le condizioni e giura di rispettarle (13-23). Quindi parte volando su un demonio che gli racconta gli ultimi avvenimenti. Giunto a Barcellona nella notte, Malagise ritrova Rinaldo e gli spiega il patto con Angelica. Pur combattuto dall’affetto per il cugino, Rinaldo non riesce a vincere l’odio magicamente indotto per la donna e rifiuta di aiutarlo. Malagise se ne va indignato e promette vendetta (24-31). Il mago escogita quindi una beffa ai danni del suo mancato salvatore e invia a Gradasso il demonio Falsetta addobbato come un messaggero. Falsetta comunica al re che il duello si terrà presso la spiaggia nel primo pomeriggio dell’indomani. Poi il demonio prende le fattezze di un emissario saraceno e convoca Rinaldo a nome di Gradasso per le prime ore del giorno (32-35). Rinaldo si accommiata commosso da Ricciardetto dandogli le ultime disposizioni, e si reca al luogo convenuto, dove trova il demonio Draginazo che, per ordine di Malagise, ha assunto le sembianze di Gradasso. Il falso Gradasso attira Rinaldo su una nave incantata che parte senza che nessuno la conduca. Rinaldo, che così non può combattere contro l’avversario e inoltre lascia i suoi senza guida, si dispera. L’imbarcazione giunge a un giardino in cui si vede un bellissimo palazzo (36-55). Orlando prosegue verso oriente in cerca di Angelica e incontra un pellegrino cui un gigante ha rapito il giovane figlio. Il gigante custodisce un ponte e proibisce a tutti di attraversarlo perché non giungano alla portata di un mostro sanguinario e onnisciente che pone enigmi e uccide coloro che non sanno rispondere. Orlando decide di liberare il ragazzo e di interrogare la fiera per sapere di Angelica (56-64). Percuote il gigante e lo obbliga a liberare il prigioniero: il pellegrino gli è talmente grato che gli dona un libretto nel quale si trovano le risposte a tutti gli enigmi (65-67). Poi affronta il mostro, che ha l’aspetto e le abitudini della sfinge, e apprende che Angelica è ora ad Albracà; tuttavia non sa sciogliere gli indovinelli. Dimentico del libretto, Orlando uccide la fiera con la sua spada. Lasciato il luogo dello scontro, si ricorda del libretto e legge le soluzioni (68-77). Giunge così a un fiume attraversato dal Ponte della Morte, sopra il quale lo sfida il gigante Zambardo che, dotato di armi formidabili, ha anche nascosto una rete nel terreno e con quella cattura i nemici più forti per buttarli nel fiume (78-83).

1.
Voi vi doviti, signor, racordare
Comme Ranaldo forte era turbato
Vegendo Riciardeto via portare.
Gradasso incontinente ebe lassato
E il gran cigante viene ad afrontare.
Era quel’ Orïone ignudonato,
Negra ha la pelle e tanto grossa e dura
Che de coperta o de arme nulla cura.

2.
Ranaldo dismontò subito a piede,
Perché forte temeva di Baiardo
Per il gran troncon che al cigante vede;
Esser non li bisogna pigro o tardo.
A pena che Orïone estima e crede
Che si ritrova in terra un sì galiardo
Che ardisca far con lui bataglia streta:
Però si sta ridendo e quello aspeta;

3.
Ma non aveva Fusberta asagiata,
Né le feroce bracia de Ranaldo:
Ché l’armatura se avrebe agurata.
A due man mena il principe di saldo
E nela coxa fa grande tagliata;
Quando Orïone sente il sangue caldo,
Trà contra terra forte Riciardeto,
Mugiando comme un toro, il maledeto!

4.
Stava disteso Riciardeto in terra,
Sancia alcun spirto, sbigotito e smorto,
E quel cigante il grande arboro affera;
Ranaldo in sul’aviso stava acorto.
Quando Orïone il gran colpo dissera,
Non che lui sol, un monte ne avrìa morto!
Ranaldo indetro se ritira un passo;
Ecco ala zuffa arivò il re Gradasso.

5.
Non scià Ranaldo già più che si fare,
E certamente gli toca paura,
Lui che di core al mondo non ha pare!
Mena un gran colpo, for d’ogni misura:
Fusberta si sentiva zuffelare;
Gionse Orïone al loco de cintura,
A megia spada nel fianco lo affera:
Cade il cigante in dui caveci in terra.

6.
Nulla dimora fa il franco barone,
Né pur guarda il cigante chi è cascato:
Subitamente salta sul’arcione
E contra di Gradasso se n’è andato.
Ma non se può levar de opinïone
Quel re il colpo che ha visto, ismisurato:
Con la man disarmata ebe a cignare
Verso Ranaldo che li vòl parlare.

7.
E ragionando poi con lui dicìa:
«E’ sarebe, baron, un gran peccato
Che lo ardir tuo e il fior de galiardia,
Quanto ne hai ogi nel campo mostrato,
Perisse con sì bruta vilania,
Ché tu sei da mia gente intornïato.
Come tu vedi, non ti pòi partire:
Convienti esser prigione over morire.

8.
Ma Dio non voglia che tanto difecto
Per mi si facia a un baron sì galiardo:
Unde, per il mio onor, io hagio electo,
Dapoiché il giorno de ogi è tanto tardo,
Che noi vegnamo dimane alo effeto;
Io sancia alfana e tu sancia Baiardo,
Ché la vertute de ogni cavaliero
Se disaguaglia assai per il destriero.

9.
Ma con tal pato la bataglia sia:
Che s’ tu me occide o prendeme pregione,
Ciascun chi è preso, di tua compagnia
O sia vasalo al re Marsilione,
Saran lassati sula fede mia;
Ma s’io te vinco, io voglio il tuo ronzone.
O vinca o perda, poi me abia a partire,
Né più in Ponente mai deba venire!».

10.
Renaldo già non stete altro a pensare,
Ma subito rispose: «Alto signore,
Questa bataglia che debiamo fare
Essere a me non può se non de onore:
E di prodecia èi tanto singulare
Che, essendo vinto da tanto valore,
Non mi sarà vergogna cotal sorte,
Anci una gloria aver da te la morte!

11.
Quanto ala prima parte, te rispondo
Che ben te voglio e debo ringraciare,
Ma non che già mi trovo tanto al fondo
Che da te deba la vita chiamare,
Perché, se armato fosse tutto il mondo,
Non me potrebe al partir divetare,
Nonché voi tuti; e se forsi hai talento
Farne la prova, io son molto contento!».

12.
Incontinenti s’ebeno ’ acordare
Dela bataglia tuto il convinente:
Il loco sia nel lito apresso il mare,
Lontan sei miglia al’una e l’altra gente.
Ciascun al suo talento se può armare
De arme a diffesa e di spada tagliente;
Lancia né macia o dardo non si porta,
E déno andar soleti, sancia scorta.

13.
Ciascun è molto ben aparechiato
Per damatina ala zufa venire;
Ogni vantagio a mente hano tornato:
Le usate offese e l’arte de il scrimire;
Ma prima che alcun de essi venga armato,
De Angelica vi voglio alquanto dire,
La qual per arte (come ebe a contare)
Dentro al Cataio se fece portare.

14.
Benché lontana sia, la gioveneta
Non può Renaldo levarsi de il core.
Come cerva ferita di saeta,
Che al longo tempo acresce il suo dolore
E, quanto il corso più veloze afreta,
Più sangue perde e ha pena magiore,
Così ognor cresce ala dongela il caldo,
Anci il foco nel cor che ha per Ranaldo.

15.
E non poteva la nocte dormire,
Tanto la strenge il pensiero amoroso,
E se pur vinta da il longo martire
Pigliava al far de il giorno alcun riposo,
Sempre sognando stava in quel disire:
Renaldo gli parea sempre crucioso
Fugir sì come fece in quella fiata
Che fu da lui nel bosco abandonata.

16.
Essa tenea la facia inver Ponente,
E sospirando e piangendo talora
Diceva: «In quela parte, in quela gente
Quel crudiel tanto belo ora dimora.
Ahi lassa! Lui di me cura nïente!
E questo è sol la doglia che me acora:
Colui che di durecia un saxo pare
Contra a mia voglia a me il convien amare!

17.
Io hagio facto ormai l’ultima prova
De ciò che puon gli incanti e le parole,
E l’erbe strane ho colto a luna nova,
E le radice quando è scuro il sole;
Né trovo che da il pecto me rimova
Questa pena crudel che al cor mi dole:
Erba né incanto o petra precïosa,
Nula mi val, che Amor vince ogni cosa.

18.
Perché non véni lui sopra a quel prato,
Là dove io presi il suo sagio cugino?
Che certamente io non avrìa cridato!
Ora è presone, adesso, quel mischino,
Ma incontinenti sarà liberato,
Aciò che quelo ingrato peregrino
Cognosca in tuto la bontate mia,
Che dà tal merto a sua discortesia!».

19.
E detto questo se ne andò nel mare,
Là dove Malagise era prigione;
Con l’arte sua là giù se fa portare,
Che andarvi ad altra via non c’è ragione.
Malagise ode l’usso disserare
E ben si crede in ferma opinïone
Che sia il dimonio per farlo morire,
Perché a quel fondo altrui non sòl mai gire.

20.
Gionta che fu là dentro la dongella,
Di farlo portar sopra ben si spacia;
E poi che l’ebbe entro una sala bela,
La catena gli sciolse dale bracia
E nulla per ancora li favela,
Ma cepi e ferri dai piè li dislacia.
Comme fu sciolto, li disse: «Barone,
Tu sei mo’ franco, e ora eri pregione.

21.
Sì che, volendo una cortesia fare
A me, che fuor ti trassi di quel fondo,
Da morte a vita mi pòi ritornare
Se qua mi meni il tuo cugin iocondo,
Dico Renaldo, che mi fa penare.
A te la mia gran doglia non nascondo:
Penar fàme de amor in sì gran foco
Che giorni e nocte mai non trovo loco.

22.
Se me prometi nel tuo sacramento
Far qua Ranaldo innanti a me venire,
Io te faro de una cossa contento
Che forsi de altra non hai più disire:
Daroti il libro tuo, se n’hai talento.
Ma guarda, s’ tu promette, non mentire,
Perché te aviso che uno anelo ho in mano
Che farà sempre ogni tuo incanto vano».

23.
Malagise non fa troppo parole,
Ma comme a quella piace cossì giura,
Né scià comme Ranaldo non ne vòle,
Anci crede menarlo ala sicura.
Già se chinava alo Ocidente il sole,
Ma comme gionta fu la notte scura,
Malagise un dimonio ha tolto soto
E via per l’aria se ne va di botto.

24.
Quel dimonio li parla tuttafiata,
E via volando per la nocte bruna,
Dela gente che in Spagna era arivata,
E comme Riciardetto ebbe fortuna,
E la bataglia comme era ordinata:
De ciò chi è facto non gli è cossa alcuna
Che quel dimonio non la sapia dire,
Anci più dici, perché scià mentire.

25.
E già son gionti presso a Barcelona;
Forsi restava un’ora a farsi giorno,
Malagise il dimonio abandona.
E per quei pavaglion guardando intorno
Dove sia de Renaldo la persona,
E’ dormir vede il cavalier adorno:
Nela trabaca sua stava colcato;
Malagise entra, ed ebelo svegliato.

26.
Quando Renaldo vide la sua faza,
Non fu nela sua vita sì contento:
De il trapontin se leva e quelo abraza,
E dele volte lo basò da cento.
Disse a lui Malagise: «Ora te spaza,
Che io son venuto sotto a sacramento:
Piacendo a te, me pòi deliberare;
Non te piacendo, in pregion vuò tornare.

27.
Non aver nela mente alcun sospeto
Che io voglio che tu faci un gran periglio:
Con una fanciuletta andrai nel leto,
Neta come ambro e bianca come un giglio;
Me trai de noglia e te pone in dileto.
Quela fanciulla da il viso vermiglio
È tal che tu non pensaristi mai:
Angelica è colei di cui parlai!».

28.
Quando Renaldo ha nominare inteso
Colei che tanto odiava nel suo core,
Dentro da il peto è di alta dolia aceso
E tutto in viso li cangiò il colore.
Ora un partito, ora un altro n’ha preso
Di far risposta, e non la scià dir fore:
Or la vòl fare, or la vòl differire,
Ma nelo effetto e’ non scià che dire.

29.
Al fin, comme persona valorosa
Che in ciance false non se scià coprire,
Disse: «Odi, Malagise: ogni altra cosa
(E non ne trago il mio dover morire),
Ogni fortuna dura e spaventosa,
Ogni doglia, ogni affano vuò sofrire,
Ogni periglio, per te liberare.
Dove Angelica sia non voglio andare».

30.
E Malagise tal risposta odìa
Qual già non aspectava in veritate.
Prega Ranaldo quanto più sapìa,
Non per merito alcun, ma per pietate,
Che nol ritorna in quela pregionia:
Or gli ricorda la sanguinitate,
Or le proferte fatte alcuna volta;
Nula gli val: Ranaldo non l’ascolta.

31.
Ma poi ch’un pecio indarno ha predicato,
Disse: «Vedi, Renaldo, e’ si suol dire
Ch’altro piacer non s’ha del’om ingrato
Se non butargli in ochio il ben servire:
Quasi per te nel’Inferno m’ho dato,
Tu mi vòi far nela pregion morire!
Guàrti da me, ch’io te farò un ingano
Che ti farà vergogna e forsi dano!».

32.
E, cossì detto, avante a lui se tolse.
Subitamente se fo dispartito
E come fo nel loco dove volse
(Già caminando avea preso il partito),
Il suo libreto subito disciolse:
Chiama i demoni il negromante ardito;
Draginazo e Falseta trà da banda,
Agli altri il dipartir presto comanda.

33.
Falseta fa ’dobar come un araldo,
Il qual serviva al re Marsiglïone:
L’insegna avea di Spagna quel ribaldo,
La cota d’arme e in man il suo bastone.
Va messager a nome de Renaldo,
E gionse di Gradasso al paviglione;
E’ dice a lui che al’ora dela nona
Avrà Renaldo in campo sua persona.

34.
Gradasso lieto accepta quel’invito
E d’una coppa d’or l’ebe donato.
Subito quel dimonio è dipartito,
E tuto da quel ch’era tramutato:
Le anelle ha nel’orechie e non in dito,
E molto drapo al capo ha invilupato,
La veste longa e d’or tuta vergata,
E di Gradasso porta l’ambassata.

35.
Proprio parea di Persia un almansore
Con la spada di legno e col gran corno;
E qui, davanti a ciascadun signore,
Giura che al’ora primera del giorno,
Sencia nïuna scusa e sancia erore,
Sarà nel campo il suo signor adorno
Solo e armato, come fo promesso.
E ciò dice a Renaldo per espreso.

36.
In molta freta s’è Renaldo armato;
E soi gli son intorno d’ogni banda.
Da parte Riciardeto ebe chiamato,
Il suo Baiardo assai gli aricomanda.
«O sì o no» dicea «ch’io sia tornato,
Io spero in Dio che la victoria manda,
Ma, se altro piace a quel Signor soprano,
Tu la sua gente torna a Carlo Mano.

37.
Finché sei vivo debilo obedire,
Né guardar che facesse in altro modo:
Or ira, or sdegno m’han fato falire,
Ma chi dà calci contra mur sì sodo
Non fa le petre, ma il suo piè stordire.
A quel signor dignissimo di lodo,
Che non ebe al falir mio mai riguardo,
S’io son occiso lascio il mio Baiardo».

38.
Molte altre cosse ancora gli dicìa,
Forte piangendo in boca l’ha basato;
Soleto ala marina poi s’invia.
A pedi sopra al lito fo arivato:
Quivi d’intorno alcun non apparìa.
Era un naviglio ala riva atacato,
Sopra di quel persona non appare.
Stasi Ranaldo Gradasso a aspectare.

39.
Or ecco Draginazo che s’appara:
Proprio è Gradasso, e ha la sopravesta
Tuta d’azuro e d’or dentro la sbara,
E la corona d’or sopra la testa,
L’arme forbite e la gran simitara,
E ’l bianco corno che giamai non resta,
E per cimer una bandiera bianca:
Insoma, di quel re nula gli manca.

40.
Questo dimonio ne vene in sul campo:
Il passegiar ha proprio di Gradasso;
Ben dadovero par ch’el butti vampo:
La simitara trasse con fracasso.
Renaldo, che non vòl aver inzampo,
Sta sul’aviso e tien il brando basso;
Ma Draginazo con molta tempesta
Li calla un colpo al drito dela testa.

41.
Renaldo ebbe quel colpo a riparare:
D’un riverso gli tira ala cossa.
Or comenciano e colpi a·rradopiare,
Al’un e l’altro l’animo s’ingrossa;
Mo’ comencia Renaldo a soffïare
E vòl mostrar a un ponto la sua possa:
Il scudo che avìa in bracio getta a terra,
La sua Fusberta ad ambe man affera.

42.
Cossì crucioso con la mente altiera
Sopra del colpo tutto s’abbandona:
Per terra va la candida bandiera;
Cala Fusberta sopra alla corona
E la barbuta geta tutta intiera;
Nel scudo d’osso il gran colpo risona
E dala cima al fondo lo dissera;
Mette Fusberta un palmo soto tera.

43.
Ben prese il tempo il dimonio scaltrito,
Volta le spalle e comencia a fugire.
Crede Renaldo averlo sbigotito
E de alegreza sé non può soffrire.
Quel maledetto al mar se n’è fugito:
Dreto Renaldo sel mette a seguire,
Dicendo: «Aspeta un poco, o re galiardo!
Chi fuge non cavalca il mio Baiardo!

44.
Or debbe far un re sì fata prova?
Non te vergogni le spalle voltare?
Torna nel campo e Baiardo ritrova:
La meglior bestia non pòi cavalcare!
Ben è guarnito, e ha la sella nova,
E pur ier sira lo feci ferrare.
Vien, ti lo piglia: a che mi tieni a bada?
Eccolo quivi, in ponta a questa spada!».

45.
Ma quel dimonio nïente l’aspetta,
Anci pariva dal vento portato:
Passa nel’acqua e par una saetta,
E sopra a quel naviglio fo montato.
Renaldo incontinenti in mar se geta
E poi che sopra al legno fo arivato,
Vede il nemico e un gran colpo li mena:
Quel per la poppa salta ala carena.

46.
Renaldo ognor più dreto se gl’incora,
E con Fusberta giù pur l’ha seguito;
Quel sempre fuge e n’esce per la prora.
Era il naviglio da terra partito,
Né pur Renaldo se n’avede ancora,
Tanto è detro al nemico invellenito;
Ed è dentro nel mar già sette miglia,
Quando disparve quella maraviglia.

47.
Quel andò in fumo. Or non me domandate
Se maraviglia Renaldo se dona!
Tutte le parte del legno ha cercate:
Sopra al naviglio più non è persona.
La vella è piena e le sarte tirate,
Camina ad alto e la terra abandona.
Renaldo sta soletto sopra al legno:
Oh quanto se lamenta il baron degno!

48.
«Ah, Dio del ciel!» dicea «per qual peccato
M’hai tu mandato cotanta siagura?
Ben mi confesso che molto ho falato,
Ma questa penitentia è tropo dura.
Io son sempre in eterno vergognato,
Ché certo la mia mente è ben sicura
Che, racontando quel che m’è acaduto,
Io dirò il vero e non serà creduto.

49.
La sua gente mi dette il mio signore
E quasi il stato suo mi pose in mano;
Io vil codardo, falso traditore,
Gli lasso in terra e nel mar me alontano.
E or mi par d’odir l’alto romore
Dela gran gente del popul pagano;
Parme de’ mei compagni odir le strida,
Veder parmi l’Anfrera che gli occida.

50.
Ahi, Riciardeto mio, dove ti lasso
Sì giovenetto tra cotanta gente?
E voi, che pregion seti di Gradasso,
Guizardo, Ivone, Alardo mio valente?
Or fusse io stato dela vita casso
Quando in Spagna passai primeramente!
Galiardo fui tenuto e d’arme esperto:
Questa vergogna ha l’onor mio coperto.

51.
Io me ne vado. Or chi farà mia scusa
Quand’io sarò de codardia apellato?
Chi non sta al parangon sé stesso accusa:
Più non son cavalier, ma riprovato.
Or foss’io adesso il figliol de Lanfusa,
E per lui nel suo loco imprigionato!
Per lui dovessi in tormento morire,
Che io non ne sentirei mità martire.

52.
Che se dirà de mi nela gran corte,
Quando serà sentito il facto in Franza?
Quanto Mongrana se dolerà forte,
Che il sangue suo commeta tal mancanza!
Comme triunfarano in sule porte
Gaino con tutta casa di Maganza!
Ahimè! già puòti dirli traditore;
Parlar non posso più: son sancia onore!»

53.
Cossì dicëa quel baron prigiato,
E altro ancora nel suo lamentare;
E ben tre volte fu deliberato
Con la sua spada sé stesso passare;
E ben tre volte, comme disperato,
Comme era, armato, getarse nel mare.
Sempre il timor del’anima e lo Inferno
Li vettò far di sé quel mal governo.

54.
La nave tuttafiata via camina,
E fuor de il streto è già trecento miglia:
Non va il delfino per l’onda marina
Quanto va questo legno a maraviglia.
A man sinistra la prora se inchina,
Volto ha la poppa al vento di Sibiglia,
Né cossì stete volta, e in un istante
Tutta se voltò contra di Levante.

55.
Fornita era la nave da ogni banda
(Excepto che persona non li appare)
Di pane e vino e optima vivanda.
Renaldo ha poca voglia di mangiare:
In genochione a Dio se racomanda.
E cossì stando se vede arivare
Ad un giardin dove è un palagio adorno;
Il mar ha quel giardin d’intorno intorno.

56.
Or qui lassar lo voglio nel giardino,
Che sentireti poi mirabil cosa!
E tornar voglio a Orlando paladino,
Qual (come io disse) con mente amorosa
Verso Levante ha preso il suo camino.
Giorno né nocte mai non se riposa,
Sol per cercar Angelica la bella,
Né trova chi di lei sapia novella.

57.
Il fiume dela Tana avea passato,
Ed è soletto il franco cavaliero:
In tuto il giorno alcun non ha trovato.
Presso ala sera riscontra un palmero,
Vechio era assai e molto adolorato,
Cridando: «O caso dispietato e fero,
Che m’ha tolto el mio ben e ’l mio disio!
Figlio mio dolce, io te acomando a Dio!».

58.
«Se Dio te aiute, dime, peregrino,
Quella cagion che te fa lamentare!»,
Cossì diceva Orlando; e quel mischino
Comencia il pianto forte a radopiare,
Dicendo: «Lasso, misero, tapino!
Mala ventura ebbe ogi a riscontrare!».
Orlando di pregarlo non vien meno
Che il facto li raconti tutto a pieno.

59.
«Diròti la cagion per che io mi doglio»,
Rispose lui «dapoiché il vòi sapere.
Qui dréto da dua miglia è un alto scolio,
Che ala tua vista può chiaro aparere,
Non a me, che non vedo comme io soglio,
Per pianger molto e per molti anni avere.
La ripa di quel scoglio è d’erba priva,
E di color asembra a fiama viva.

60.
Ala sua cima una voce risona:
Non se ode al mondo la più paventosa,
Ma già non te sciò dir ciò che ragiona.
Corre di sotto una acqua furïosa,
Che cinge il scoglio a guisa di corona;
Un ponte vi è de petra tenebrosa,
Con una porta che asembra a diamante,
E stàvi sopra armato un gran gigante.

61.
Un giovenetto mio figliolo e io
Quivi da presso passavàn pur ora,
E quel gigante maledetto e rio
(Quasi dir posso ch’io nol vede ancora,
Sì de nascoso prese il figliol mio),
Hasel portato, e credo che il divora.
La cagion de che io piango or savuta hai:
Per mio consiglio indreto tornarai.»

62.
Pensossi un poco e poi rispose Orlando:
«Io voglio ad ogni modo avanti andare!».
Disse il palmero: «A Dio te aracomando:
Tu non debbi aver voglia di campare!
Ma crede a me che il ver te dico: quando
Avrai quel fier gigante a remirare,
Che tanto è longo e sì membruto e grosso,
Pel non avrai che non ti tremi adosso».

63.
Rise Orlando e preselo a pregare
Che per Dio l’abia un poco ivi aspetato
E, se nol vede presto ritornare,
Via se ne vada sancia altro combiato.
Il termine de una ora li ebe a dare:
Poi verso il scoglio rosso se n’è andato.
Disse il gigante, vegendol venire:
«Cavalier franco, non voler morire!

64.
Quivi m’ha posto il re de Circasìa,
Perché io non lassi alcun oltra passare,
Ché sopra al scoglio sta una fera ria
(Anci un gran mostro se debe apellare),
Che a ciascadun che passa in questa via
Ciò che dimanda sòle indivinare,
Ma poi bisogna che anco egli indivina
Quel ch’ela dice, o che qua giò il roina».

65.
Orlando de il fanciullo adimandone:
Rispose averlo e volerlo tenire,
Unde per questo fu la questïone,
E cominciarno l’un l’altro a ferire.
Questo ha la spada e quelo altro il bastone;
Ad un ad un non voglio i colpi dire:
Al fin Orlando tanto l’ha percosso
Che quel si rese e disse: «Più non posso».

66.
Cossì riscose Orlando il gioveneto
E ritornollo al patre lacrimoso.
Trasse il palmero un drapo bianco e neto,
Che nela tasca teniva nascoso;
Di questo fuor sviluppa un bel libreto,
Coperto ad oro e smalto luminoso.
Poi, volto a Orlando, disse: «Sir compiuto,
Sempre in mia vita te sarò tenuto.

67.
E se io volesse te rimeritare,
Non bastarebe mia possancia umana:
Questo libretto voglilo acceptare
Chi è di vertù mirabile e soprana,
Perché ogni dubïoso ragionare
Su queste carte se dichiara e spiana».
E donatogli il libro disse «Adio!»,
E molto alegro da lui se partio.

68.
Orlando se arestò col libro in mano,
E fra sé stesso comincia a pensare
Mirando al scolio chi è cotanto altano:
Ad ogni modo in cima vòl montare
E vòl veder quel mostro tanto istrano,
Che ogni dimanda sapìa indivinare.
E sol per questo volea far la prova:
Per saper dove Angelica si trova.

69.
Passa nel ponte con vista sicura,
Ché già non lo divetta quel gigante:
Egli ha provata Durindana dura;
Dàgli la strata: Orlando passa avante.
Per una tomba tenebrosa e scura
Monta ala cima quel baron aitante,
Dove entro a un saxo roto per traverso
Stava quel mostro oribil e diverso.

70.
Avea cren d’oro e la facia ridente
Comme dongella, e pecto di leone;
Ma in boca avea di lupo ogni suo dente,
Le bracie de orso e branche de grifone,
E busto e corpo e coda di serpente,
L’ale depinte avea comme pavone;
Sempre batendo la coda lavora:
Con essa e saxi e il forte monte fora.

71.
Quando quel mostro vide il cavaliero,
Distese l’ale e la coda coperse:
Altro che il viso non mostrava intiero;
La petra sotto lui tutta se aperse.
Orlando disse a lui con viso fiero:
«Fra le provenze e le lengue diverse,
Da il fredo al caldo e da sira al’aurora,
Dime ove adesso Angelica dimora».

72.
Dolce parlando la malegna fiera
Cossì risponde a quel che Orlando chiede:
«Quella per cui tua mente se dispera Presso al
Cataio in Albracà si vede.
Ma tu risponde ancora a mia mainera:
Qual animal passegia sancia pede,
E poi qual altro al mondo se ritrova
Che con quatro, dui, tre de andar se prova?».

73.
Pensa Orlando ala dimanda strana,
Né scià di quella punto svilupare:
Sancia dire altro trasse Durindana.
Quella comencia intorno a lui volare:
Or lo ferisse tutta subitana,
Or lo minacia e falo intorno andare,
Or di coda lo bate, or delo ungione:
Ben li è mistiero aver sua fatasone!

74.
Ché se non fosse lui stato afatato
Comme era tutto, il cavalier electo,
Ben cente volte l’arebbe passato
D’avanti a detro e dale spale al peto.
Quando fu Orlando assai ben regirato,
L’ira li monta e cresigli el dispetto:
Adochia il tempo e, quando quella cala,
Piglia un gran salto e gionsela nel’ala.

75.
Cridando il crudiel mostro cade a tera:
Longi de intorno fu quel crido odito.
Le gambe a Orlando con la coda aferra,
E con le branche il scudo li ha gremito;
Ma presto fu fenita questa guerra,
Perché nel ventre Orlando l’ha ferito;
Poi che de intorno a sé l’ebe spicato,
Giù de quel scoglio la trabuca al prato.

76.
Smonta la ripa e prende il suo distriero:
Forte camina comme innamorato.
E cavalcando li venne in pensiero
De ciò che il mostro l’avea dimandato;
Tornagli a mente il libro de il palmero
E fra sé disse: «Io fui ben smemorato:
Sancia bataglia io potea satisfare,
Ma cossì piacque a Dio che avesse ’ andare».

77.
E’, guardando nel libro, pone cura
Quel che disse la fiera indivinare:
Vede il vechio marino e sua natura,
Che con l’ale che nuota ha ’ passegiare;
Poi vede che l’umana creatura
In quatro pedi comencia ad andare,
E poi con dui quando non va carpone;
Tre n’ha poi vechio, contando il bastone.

78.
Legendo il libro gionse a una rivera
De una negra acqua, orribil e profunda:
Passar non puote per nulla manera,
Ché derrupata è l’una e l’altra sponda.
Lui di trovar il varco pur si spera
E, cavalcando il fiume ala seconda,
Vede un gran ponte e un gigante che guarda.
Vassene Orlando a lui, che già non tarda.

79.
Comme il gigante il vide, prese a dire:
«Misero cavalier, malvagia sorte
Fu quella che ti fece qui venire!
Sapi che questo è il Ponte dela Morte,
Né più de qui ti poresti partire,
Perché son strate invilupate e torte
Che pur al fiume te menan d’ognora:
Convien che un di noi doi sul ponte mora».

80.
Questo gigante che guardava il ponte
Fu nominato Zambardo il robusto:
Più de dui piedi avea larga la fronte,
E a proporcïon poi l’altro busto.
Armato, proprio rasembrava un monte
E tenea in man di fero un grosso fusto;
Da il fusto usivan poi cinque catene,
Ciascuna una palota in cima tiene:

81.
Ogni palota vinte libre pesa.
Da capo a piede è di un serpente armato,
Di piastre e maglia a far ogni diffesa,
La simitara avea da il manco lato;
Ma (quel che è pegio) una rete ha distesa
Perché, quando alcun l’abia contrastato
E abia ardir e forcia a maraviglia,
In la rete di fero al fine il piglia.

82.
E questa rete non si può vedere,
Perché coperta è tuta nela arena;
Lui coi piedi la scoca a suo piacere
E il cavalier con quela al fiume mena.
Rimedio non si pote a questo avere:
Qualunque è preso è morto con gran pena.
Non scià di questa cosa il franco conte;
Smonta il destrier e vien drito in sul ponte.

83.
Il scudo in bracio e Durindana in mano,
Guarda il nemico grande e aiutante:
Tanto ne cura il senator romano
Quanto quel fosse un picoletto infante.
Dura bataglia fu sopra quel piano,
Ma in questo canto più non dico avante,
Ché quello asalto è tanto faticoso
Che, avendo a dirlo, anche io chiedo riposo.

1. L’ottava apre con un forte collegamento al canto precedente, operando un rapido riassunto della sua parte finale (TIZI 1988, p. 250). 1. doviti: ‘dovete’. racordare: ‘ricordare’ (cfr. I, i, 19, 8). 2. turbato: ‘adirato’. 4. incontinente ebe lassato: ‘lasciò subito’. 5. cigante: cfr. I, i, 33, 6. 6. ignudonato: ‘completamente nudo’. 8 coperta: ‘copertura’.

2. 3. troncon: la lancia di Orione. 4. tardo: ‘lento’. 5. ‘A malapena Orione può pensare’. 7. streta: ‘da vicino’. 8. Però: ‘perciò’. si sta: ‘sta’; pseudoriflessivo. Ottava aperta.

3. 1. asagiata: ‘assaggiata’; cioè ‘sperimentata’. 2. feroce: ‘fiere, forti’; pl. sett. 3. ‘perché si sarebbe augurato di avere l’armatura’. 4. A due man: come sempre quando bisogna dare la massima forza al colpo di spada. mena: ‘colpisce’. di saldo: ‘subito’; l’espressione è spesso usata come zeppa (cfr. I, iii, 35, 5 ecc.). 5. coxa: ‘coscia’. tagliata: ‘ferita’. 7. Trà contra terra forte: ‘getta violentemente a terra’. 8. Mugiando: ‘mugghiando’.

4. 2. Sancia alcun spirto: ‘privo di sensi’. 3. arboro: ‘albero’. 4. in sul’aviso stava acorto: ‘stava attento in posizione difensiva’. 5. dissera: ‘sferra’. 6. un monte ne avrìa morto: ‘ne avrebbe ucciso una montagna’ (di avversari).

5. 1. scià: ‘sa’. 2. gli toca paura: ‘la paura lo sfiora’. 3. di core: ‘quanto a coraggio’. 5. zuffelare: ‘sibilare’; settentrionalismo. 6. Gionse: ‘colpì’. al loco de cintura: ‘alla cintola’; dove sarebbe stata la cintura se Orione l’avesse portata (TISSONI BENVENUTI 1999). 7. ‘lo colpisce al fianco, spingendo la lama con la mano sinistra per dare più forza’; a mezza spada è un tecnicismo della scherma (cfr. FIORE 1902, p. 212, f. 25r) e potrebbe anche indicare un colpo sferrato da vicino (GDLI s. vv. lama e spada). Affera vale qui ‘mette il ferro, la lama’. 8. caveci: ‘pezzi’ (cfr. I, iii, 3, 8).

6. 1. ‘Il valoroso cavaliere non indugia per nulla’. 2. chi: ‘che’. 5. ‘Ma non può togliersi dalla testa’. 7. cignare: cioè segnare ‘fare segno’.

7. 3. il fior: ‘il meglio’. 5. con sì bruta vilania: ‘in modo così poco cavalleresco’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 6. intornïato: ‘circondato’. 8. Convienti: ‘devi’. prigione: ‘prigioniero’.

8. 1. tanto difecto: ‘una tale scortesia’. 3. io hagio electo: ‘io ho deciso’. 4. Dapoiché:‘poiché’. 5. alo effeto:‘alla conclusione’. 6. alfana:‘cavallo’ (cfr. I, iv, 31, 8). 8.‘risulta molto diversa a seconda del suo cavallo’.

9. 1. pato: ‘condizione’. 3. preso: ‘prigioniero’. 5. sula fede mia: ‘sulla mia parola’. 6. ronzone: ‘cavallo’. 7. me abia a partire: ‘che io debba andarmene’.

10. 2. Alto: ‘nobile’. 5. èi: ‘sei’; settentrionalismo (MENGALDO 1963, p. 120). 8. Anci: ‘anzi’.

11. 3-4. ‘Ma non mi trovo in condizioni così gravi che debba invocare da te la salvezza’. 6. ‘non potrebbe impedirmi di andarmene’. Rispetto alla lezione ipometra di P, a testo nell’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani: Non potrebe al partir divetare, si preferisce quella di R2. 7. hai talento: ‘desideri’.

12. 1. ‘Subito si accordarono su’. Dileguo della preposizione a. 2. il convinente: ‘ciò che serve’; in questo caso probabilmente le regole. 5. al suo talento: ‘a suo piacere’. 7. macia: ‘mazza ferrata’. 8. Memoria dantesca; cfr. «passando per li cerchi sanza scorta» (Inf. VIII, 129).

13. 1. aparechiato: ‘preparato, pronto’. 2. damatina: nell’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani da matina (lezione di P; da vale ‘circa’), ma è forse meglio pensare a una var. di domat(t)ina ‘l’indomani mattina’ (domatina in T e nelle edizioni moderne). 3. vantagio: forse ‘colpo speciale della scherma’, ma non è voce documentata (TROLLI 2003, p. 303). a mente hano tornato: ‘hanno ripassato nella memoria’. 4. offese: ‘attacchi’. scrimire: ‘schermire’. 7. per arte: ‘per magia’. come ebe a contare: ‘come raccontai’.

14. Da qui, le ottave si infittiscono di echi lirici ed elegiaci per descrivere le sofferenze amorose di Angelica. 2-6. La similitudine ha il suo precedente più clamoroso nella Didone virgiliana (in partic. Aen. IV, 68-69: «uritur infelix Dido totaque vagatur / urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta»), ma risente anche di Petrarca (Rvf 209, 9-11: «Et qual cervo ferito di saetta, / col ferro avelenato dentr’al fianco, /fugge, et più duolsi quanto più s’affretta», dove è da notare la coincidenza in rima saet[t]a : af[f]ret[t]a; TISSONI BENVENUTI 1999). 3. di saeta: ‘con una freccia’. 5. ‘e, quanto più accelera la sua corsa’. 6. Chiasmo.

15. 2. strenge: verbo tipico della tradizione lirica, che sottolinea l’ossessione amorosa. 3. da il longo martire: ‘dalla lunga pena’; anche martire indica spesso i dolori amorosi in ambito lirico. 5. disire: ‘desiderio’. 6. crucioso: ‘adirato’.

16. Il topos dell’amante che, separato dall’oggetto della sua passione, si volge verso il luogo dove esso si trova, quasi per lenire il dolore della distanza, poggia su una cospicua tradizione letteraria; si possono ricordare almeno Rvf 129, 59-65 e il Filostrato boccacciano (Proemio, 13; parti V e VI). 4. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha hor; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. 6. me acora: ‘mi colpisce fino al cuore’; il verbo ha precedenti danteschi ed è caro a Boiardo (CANOVA 2008, pp. 63-64). 7. di durecia: ‘quanto a durezza’. 8. a me il convien amare: ‘sono obbligata ad amarlo’.

17. L’ottava insiste sull’impossibilità di opporsi ad Amore, anche facendo ricorso alle arti magiche. Boiardo aveva certo presente Apollo nel primo libro delle Metamorfosi ovidiane (vv. 523-524: «ei mihi, quod nullis amor est sanabilis herbis, / nec prosunt domino, quae prosunt omnibus, artes»; cfr. già RAZZOLI 1901, p. 31), ma si notano anche possibili contatti con la sestina petrarchesca Anzi tre dì creata era alma in parte: «Et ò cerco poi ’l mondo a parte a parte, / se versi o petre o suco d’erbe nove / mi rendesser un dì la mente sciolta» (Rvf 214, 16-18) e con quella albertiana Forza d’erbe, di pietre e di parole: «Forza d’erbe, di pietre e di parole / non porrien l’alma scioglier da quel nodo, / col qual mi strinse Amor per farmi guerra» (vv. 1-3), che ne deriva. 1. l’ultima prova: tessera petrarchesca (Rvf 136, 8). 2. puon: ‘possono’. incanti: ‘incantesimi’. parole:‘formule magiche’. 3-4. Indicazioni sul momento in cui cogliere le erbe si trovano nella Naturalis historia di Plinio (XVIII 75, 322; XXV 10, 29; cfr. TISSONI BENVENUTI 1999). 3. strane: ‘dai poteri magici’. 8. Si ribadisce il motto virgiliano (cfr. I, i, 2).

18. 1. véni: ‘venne’; con desinenza dialettale. 2. sagio: ‘sapiente’; Malagise era un mago provetto. 6. quelo ingrato peregrino: potrebbe essere riferito sia a Rinaldo sia a Malagise, ma più probabilmente al primo. 8. dà tal merto: ‘ricompensa così’.

19. 4. ad: ‘per’. non c’è ragione: ‘non c’è modo’. 5. l’usso: ‘l’uscio’. 8. altrui non sòl mai gire: ‘nessun altro è solito andare’.

20. 2. si spacia: ‘fa in modo’. 5. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha ancor; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. li favela: ‘gli dice’. 7. Comme: ‘quando’. Barone: ‘cavaliere’. 8. franco: ‘libero’.

21. 3. ritornare: ‘far tornare’. 4. iocondo: ‘valoroso’ (TROLLI 2003, p. 178). 6. doglia: ‘dolore’. 7. fàme: ‘mi fa’. 8. nocte: ‘notti’; pl. sett. non trovo loco: ‘non trovo pace’.

22. 1. nel tuo sacramento: ‘sotto giuramento’. 5. se n’hai talento: ‘se lo desideri’.

23. 1. troppo: ‘molto’; avverbio. 3. comme: ‘che’. non ne vòle: ‘non ne vuole sapere’. 4. menarlo ala sicura: ‘di condurlo con sicurezza’. Rinaldo era notoriamente molto sensibile al fascino femminile e si era invaghito di Angelica non appena l’aveva vista. Boiardo sovverte anche qui un topos consolidato. 7. un dimonio ha tolto soto: ‘è salito in groppa a un demonio’. 8. di botto: ‘subito’.

24. 1. tuttafiata: ‘continuamente’. 5. ordinata: ‘preparata’. 6. De ciò chi è facto: ‘di ciò che è avvenuto’. 8. dici: ‘dice’.

25. 2. restava: ‘mancava’. 7. trabaca: ‘tenda’. colcato: ‘coricato’. 8. ebelo svegliato: ‘lo svegliò’.

26. 3. trapontin: tipo di materasso da campo (TROLLI 2003, p. 295). 4. da cento: ‘circa cento’; iperbole. 5. te spaza: ‘spicciati’. 7. deliberare: ‘liberare’. 8. vuò tornare: ‘devo tornare’.

27. 2. che tu faci un gran periglio: ‘che tu compia un’impresa molto pericolosa’. 4. Neta: ‘bella’. ambro: ‘ambra’; spesso masch. in it. antico bianca come un giglio: similitudine tra le più formulari. 5. ‘Togli me dall’impiccio e tu ti dai piacere’. 7. pensaristi: ‘penseresti’.

28. 3. alta dolia: ‘profondo dolore’. 4. li cangiò: ‘gli cambiò’. 5. un partito: ‘una decisione’. 6. non la scià dir fore: ‘non riesce a esprimerla’.

29. Ottava retoricamente ben costruita: l’anafora di ogni sottolinea la volontà da parte di Rinaldo di affrontare qualsiasi prova per Malagise, ma l’ultimo verso nega bruscamente la disponibilità all’azione in teoria più semplice e meno rischiosa. 2. ciance false: ‘bugie’. 4. ‘e non ne escludo la morte’. 5. fortuna: ‘caso, situazione’. 6. sofrire: ‘sopportare’.

30. 5. nol ritorna: ‘non lo faccia ritornare’. 6. sanguinitate: ‘consanguineità’. 7. proferte: ‘promesse’; in passato Malagise aveva più volte aiutato Rinaldo, ricevendone promesse di contraccambio (TISSONI BENVENUTI 1999).

31. 1. un pecio: ‘un pezzo’. indarno: ‘invano’. 4. butargli in ochio: ‘rinfacciargli’. 5. Quasi… m’ho dato: ‘sono quasi finito’. 6. vòi: ‘vuoi’. 7. Guàrti da me: ‘guardati da me’; minaccia formulare. Il verbo ha forma sincopata.

32. 1. avante a lui se tolse: ‘gli si tolse davanti’. 2. se fo dispartito: ‘se ne andò’. 3. volse: ‘volle’. 4. avea preso il partito: ‘aveva deciso’. 5. disciolse: ‘aprì’. 6. negromante: ‘mago’. 7. Draginazo: nome demoniaco dantesco (cfr. Draghignazzo in Inf. XXI, 121). Falseta: nome parlante e di probabile invenzione boiardesca. trà da banda: ‘prende in disparte’.

33. Malagise escogita un trucco per allontanare Rinaldo dal campo di battaglia (ott. 33-54): il demonio Falseta assumerà le sembianze di Gradasso e attirerà il paladino su una nave incantata che se lo porterà via. Come notava RAZZOLI 1901, pp. 32-33, Boiardo riecheggia qui un episodio dell’Eneide (X, 633-688): Giunone crea con le nubi un simulacro di Enea, che si fa inseguire da Turno su una nave. L’imbarcazione parte senza che nessuno la conduca e il fantasma si dissolve, lasciando Turno nell’angoscia più profonda. Timoroso per la sorte dei suoi e per la taccia di codardo che gli spetterà, egli giunge più volte al proposito di suicidarsi e ne è distolto dalla dea che lo protegge. Come si vedrà, la vicenda di Rinaldo ricalca questa trama. 1. ’dobar: ‘addobbare’. 4. cota d’arme: ‘sopravveste senza maniche’. 7. al’ora dela nona: alle quindici circa. 8. ‘Rinaldo sarà in campo’.

34. 2. Costrutto latineggiante, con l’accusativo della persona. Nei romanzi cavallereschi è consuetudine che i signori più cortesi regalino qualcosa agli ambasciatori che fanno loro visita, a prescindere dalle notizie che portano. 5. Le anelle: ‘gli anelli’; pl. sett. da neutro latino (ROHLFS 369). 6. invilupato: ‘avviluppato, avvolto’; si tratta di un turbante. 7. vergata: ‘rigata’.

35. 1. almansore: carica politico-militare saracena; arabismo passato in it. tramite l’a. fr. 4. primera: ‘prima’. 5. Sencia: ‘senza’. 6. il suo signor adorno: Gradasso. 8. per espreso: ‘chiaramente’.

36. 2. E soi: ‘i suoi’. d’ogni banda: ‘da ogni parte’. 7. soprano: ‘altissimo’. 8. torna: ‘riporta’.

37. 1. debilo obedire: ‘obbedisci a lui’; con uso pleonastico del verbo servile (cfr. I, i, 49, 7). 2. ‘e non tenere conto del fatto che in passato io mi sia comportato diversamente’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 3. falire: ‘sbagliare’. 4-5. ‘ma chi dà calci contro un muro così solido fa intorpidire i suoi piedi e non le pietre’. La metafora rappresenta bene la palinodia di Rinaldo che, nei romanzi in circolazione al tempo di Boiardo, è di solito un barone ribelle e insofferente dell’autorità imperiale. 6. lodo: ‘lode’. 7. ‘che non tenne mai conto dei miei sbagli’ (TISSONI BENVENUTI 1999).

38. 1. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha ancor; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. 2. Forte piangendo: tessera dantesca; cfr. Inf. III, 107 (SANGIRARDI 1998, p. 815 riporta questa e altre occorrenze nel poema boiardesco). 4. sopra al lito: ‘alla spiaggia’. 6. naviglio: ‘nave’. 8. Stasi: ‘sta’.

39. 1. s’appara: ‘si prepara’. 5. forbite: ‘lucenti’. 6. che giamai non resta: emistichio formulare di origine dantesca (cfr. Inf. V, 31), desemantizzato e ricorrente. 7. cimer: ‘cimiero’.

40. 3. Ben dadovero: ‘veramente’. ch’el butti vampo: ‘che getti fiamme’ per l’impazienza; espressione iperbolica formulare. 4. fracasso: ‘furia’. 5. inzampo: cioè inciampo ‘ostacolo’. 6. sul’aviso: ‘in guardia’. 8. al drito dela testa: ‘alla testa, calando dall’alto verso il basso’ (TROLLI 2003, p. 141).

41. 2. cossa: ‘coscia’. 6. a un ponto: ‘tutta in una volta’.

42. 2. ‘sferra il colpo con tutta la sua forza’. 5. barbuta: parte dell’elmo che protegge il mento. 7. lo dissera: ‘lo spacca’.

43. 3. sbigotito: ‘spaventato’. 4. ‘non sta in sé per la gioia’.

44. Lo scherno di Rinaldo amplifica le parole di Turno nell’episodio dell’Eneide. 4. pòi: ‘puoi’. 5. guarnito: ‘bardato’. 7. ‘Vieni a prendertelo: perché mi tieni a distanza?’.

45. 2. pariva: ‘pareva’. 4. fo montato: ‘salì’. 6. sopra al legno: ‘sulla nave’. fo arivato: ‘arrivò’. 7. li mena: ‘gli sferra’. 8. carena: ‘stiva’.

46. 1. se gl’incora: ‘gli si accanisce’; accezione non documentata (TROLLI 2003, p. 174). 2. L’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani preferisce la lezione di P, che, omettendo giù, offre un verso ipometro. 6. invellenito: ‘inferocito’. 8. maraviglia: ‘prodigio’.

47. 2. maraviglia… se dona: ‘si sorprende’. 3. legno: ‘nave’. 5. sarte: ‘sartie’. 6. Chiasmo. Camina ad alto: ‘procede verso l’alto mare’.

48. Anche questa ottava e le seguenti amplificano il lamento di Turno nell’Eneide. 3. falato: ‘peccato’. 5. vergognato: ‘svergognato, disonorato’.

49. 3. falso traditore: cfr. I, iii, 27, 3. 4. Chiasmo. Gli: ‘li’; come al v. 8. 7. le strida: ‘le grida’.

50. 3. seti: siete’. 5. dela vita casso: ‘ucciso’. 6. ‘appena arrivai in Spagna’. 7. tenuto: ‘ritenuto’.

51. 2. apellato: ‘accusato’. 3. Chi non sta al parangon: ‘chi si sottrae al confronto’; parangon è forma epentetica sett. consueta. 4. riprovato: ‘privato della dignità cavalleresca’ (TROLLI 2003, p. 246). 5. figliol de Lanfusa: anche se alcuni commentatori hanno pensato che si tratti di Malagise, non si conoscono testi in cui Lanfusa figuri come madre di quest’ultimo. In alcune redazioni della Spagna, tra cui quella ferrarese, ella è invece la temibile genitrice di Feraguto (STROLOGO 2009a, p. 7). Questa identificazione è la più probabile, come nota TISSONI BENVENUTI 1999, che pure conserva qualche cautela perché non avrebbe senso che Rinaldo volesse morire per lui (v. 6) cioè ‘al posto suo’. In realtà, visto che il paladino preferirebbe qualsiasi cosa al disonore della fuga, l’interpretazione potrebbe essere giusta. 8. mità martire: ‘la metà del dolore’.

52. 3. Mongrana: la stirpe di Rinaldo (che è però talvolta associato a quella di Chiaramonte). 5. ‘come festeggeranno alle porte della città’. 7. già puòti dirli traditore: ‘in passato ho potuto chiamarlo traditore’.

53. 1. prigiato: ‘valoroso’. 3. fu deliberato: ‘decise’. 4. passare: ‘trafiggere’. 7. del’anima: ‘per la sua anima’. 8. ‘gli impedì di esercitare su se stesso quell’azione scellerata’.

54. 2. il streto: lo stretto di Gibilterra. 5. se inchina: ‘si piega’. 6. vento di Sibiglia: di Siviglia, cioè di nord-est. 7. Né cossì stete volta: ‘né mantenne quella rotta’.

55. 1. da ogni banda: ‘in ogni luogo’. 2. non li appare: ‘non vi si vede sopra’. 5. In genochione: ‘in ginocchio’. 7. palagio: ‘palazzo’. 8. d’intorno intorno: ‘tutt’intorno’.

56. La brusca interruzione narrativa ha fatto sì che in alcune edizioni antiche si mettesse qui indebitamente fine al canto. 8. novella: ‘notizia’.

57. 4. riscontra un palmero: ‘incontra un pellegrino’. Il palmiero è, in origine, il pellegrino cristiano che porta a casa la palma tornando dalla Terra Santa, ma Boiardo usa il termine in accezione più ampia. 6. dispietato e fero: coppia sinonimica. 7. disio: ‘desiderio’. 8. te acomando: ‘ti raccomando’.

58. 1. Se Dio te aiute: ‘che Dio ti aiuti’; se ha valore ottativo. 2. Quella cagion: ‘il motivo’. 5. Lasso: ‘ahimé’; interiezione. tapino: ‘sventurato’. 6. ‘Oggi mi è capitata una disgrazia!’. 7. non vien meno: ‘non smette’.

59. 1. Diròti: ‘ti dirò’. 2. il vòi: ‘lo vuoi’. 3. ‘A circa due miglia da qui c’è un’alta rupe’. 5. comme io soglio: ‘come ero solito’; il verbo ha valore di passato (provenzalismo comune). 6. Chiasmo. Per… per: con valore causale. 7. La ripa: ‘la parete’. 8. Il verso riecheggia Purg. XXX, 33: «vestita di color di fiamma viva» (SANGIRARDI 1998, p. 817). asembra: ‘assomiglia’.

60. 2. paventosa: ‘spaventosa’. 3. ragiona: ‘dice’. 6. tenebrosa: ‘scura’.

61. 2. pur ora: ‘poco fa’. 3. rio: ‘malvagio’. 4-5. ‘Posso quasi dire che non lo vedo neanche ora ripensandoci, tanto nascostamente ha preso mio figlio’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 6. Hasel portato: ‘se lo è portato’. 7. savuta: ‘saputa’.

62. 1. Pensossi:‘pensò’; pseudoriflessivo. 3. aracomando: cfr. I, ii, 4, 7. 4. debbi: ‘devi’. 6. Avrai a… remirare: ‘vedrai’. 7. membruto: ‘robusto’.

63. 2. l’abia un poco ivi aspetato: ‘lo aspetti lì per un po’’. 4. combiato: ‘commiato’. 5. li ebe a dare: ‘gli diede’.

64. 1. il re de Circasìa: Sacripante (cfr. I, ix, 38, 5); la Circassia è una regione del Caucaso nord-occidentale. 3. fera ria: ‘fiera malvagia’. 4. apellare: ‘chiamare’. 6. sòle indivinare: ‘è solito indovinare’. 7. egli: cioè colui che passa di lì. 8. qua giò il roina: ‘lo fa precipitare quaggiù’.

65. 1. adimandone: ‘domandò’; con prefissazione o prostesi dialettale ed epitesi. 3. la questïone: ‘la lite, la causa dello scontro’. 4. a ferire: ‘colpirsi’. 8. Eco da Purg. X, 139: «piangendo parea dicer: ‘Più non posso’» (SANGIRARDI 1998, p. 853). si rese: ‘si arrese’.

66. 1. riscose: ‘liberò’. 2. ritornollo: ‘lo restituì’. 5. fuor sviluppa: ‘estrae’; il libro magico è una presenza costante nei romanzi arturiani (ma si ricordi anche quello di Malagise: I, i, 44). 7. compiuto: ‘perfetto’; epiteto formulare. 8. te sarò tenuto: ‘ti sarò obbligato’.

67. 1. rimeritare: ‘ricompensare’. 3. voglilo acceptare: ‘accettalo’. 4. vertù: ‘potere magico’. soprana: ‘fortissima’. 5. ogni dubïoso ragionare: ‘ogni parlare oscuro’. 6. se dichiara e spiana: ‘si chiarisce e si spiega’; coppia sinonimica. 8. se partio: ‘se ne andò’; forma arcaizzante (MENGALDO 1963, p. 125).

68. 1. se arestò: ‘si fermò’. 3. altano: ‘alto’. 5. istrano: ‘straordinario’; forma prostetica. 7. questo: prolettico.

69. 1. vista: ‘aspetto’. 2. divetta: ‘vieta’. 4. Dàgli la strata: ‘gli dà strada, lo lascia passare’. 5. tomba: ‘grotta’. 7. saxo: ‘roccia’. 8. oribil e diverso: coppia sinonimica ricorrente.

70. Sebbene Boiardo non lo nomini espressamente, il mostro ha molte caratteristiche della sfinge. Questa reticenza rientra in una prassi frequente nel romanzo, che stabilisce con il lettore una complicità fondata sulle allusioni. La maniera in cui la fiera è costruita, poi, richiama la tecnica a mosaico spesso impiegata da Plinio nella Naturalis historia, ma trova alcuni precedenti anche nei cantari in ottava rima come la Pulzella Gaia (TISSONI BENVENUTI 1999). I materiali lessicali includono pure la Commedia dantesca e sono notevoli le corrispondenze con Gerione (Inf. XVII, 1-18; cfr. BRUSCAGLI 1995). Sicché il passo si presta bene a esemplificare il gusto tutto boiardesco per la contaminazione dei modelli. 1. cren: ‘crine, capelli’. ridente: ‘sorridente’. 4. branche: ‘artigli’. 5. serpente: ‘drago’ (cfr. I, i, 10, 3). 6. depinte: ‘colorate’; la bellezza delle ali serve a coprire le parti più brutte e pericolose del corpo del mostro.

71. 4. Il significato del verso non è chiaro; forse la roccia scavata rimane aperta quando il mostro si raccoglie in se stesso ritraendo la coda. 6-8. Orlando formula la domanda con uno stile “da indovinello”. 6. provenze: ‘province’; cioè ‘terre’. lengue: ‘luoghi in cui si parlano lingue diverse’; cioè, ancora, ‘terre’.

72. 3. La perifrasi indica che il mostro già conosce il motivo per cui Orlando cerca Angelica. 4. Albracà: talvolta si trova con accentazione piana (p. es. in Ariosto); l’identificazione della città non è univoca. Si apprenderà che dista una giornata di cammino dal Cataio (I, vi, 42, 2) e potrebbe essere Bukhara, ma forse è da mettere in rapporto con la Balac (cioè l’antica Balx, in Afghanistan) del Milione (p. 553; e cfr. TISSONI BENVENUTI 1999). 5. a mia mainera: ‘a modo mio’. 6-7. La sfinge pone due indovinelli. Il primo presuppone qualche conoscenza erudita (cfr. l’ottava 77, dove si scoprirà che l’animale è la foca); il secondo risale al mito: l’animale è l’uomo, che da piccolo cammina a quattro zampe, da adulto si muove sulle due gambe e da vecchio si aiuta con il bastone. L’enigma era posto dalla sfinge che infestava la città di Tebe e fu risolto da Edipo. 8. Sottinteso piedi.

73. 2. ‘Né sa sciogliere alcun punto di essa’. 4. Quella: la sfinge. 5-7. L’anafora di or rende con efficacia la mobilità della sfinge durante il suo attacco. 5. tutta subitana: ‘all’improvviso’. 7. di: ‘con la’. delo ungione: ‘con l’artiglio’. 8. ‘gli è proprio necessario avere l’incantesimo (che lo rende invulnerabile)’.

74. 2. electo: ‘eccellente’; epiteto formulare. 3. cente: ‘cento’; se non è un refuso dell’incunabolo o falsa restituzione della vocale atona finale, si tratta di numerale declinato (ROHLFS 976). 5. ‘Quando Orlando si fu rigirato per bene’. 6. Chiasmo. cresigli: ‘gli cresce’. 7. Adochia il tempo: ‘sceglie il tempo’. 8. gionsela: ‘la colpì’.

75. 4. gremito: ‘ghermito’ (cfr. I, iii, 60, 4). 7. ‘dopo che se lo fu tolto di dosso’. 8. la trabuca: ‘lo fa precipitare’; forse da correggere in lo trabuca. La sfinge del mito, adirata per essere stata sconfitta da Edipo, si gettava da una rupe.

76. 7. io potea satisfare: ‘avrei potuto rispondere’.

77. 3. vechio marino: ‘foca’; dal lat. vitulus marinus, del quale Boiardo trovava notizia nella Naturalis historia pliniana (IX 13, 42: «Pinnis, quibus in mari utuntur, humi quoque vice pedum serpunt»; cfr. ZAMPESE 1994, p. 208).

78. 1. rivera: ‘fiume’. 4. derrupata: ‘scoscesa’. 6. ‘seguendo il corso del fiume’. 7. Il gigante funge da guardiano, come di consueto, e il ponte è l’abituale luogo arturiano di passaggio, spesso associato a prove pericolose da superare. guarda: ‘fa la guardia’. 8. Vassene: ‘va’.

79. 5. poresti: ‘potresti’. 6. invilupate: ‘aggrovigliate’. 7. d’ognora: ‘sempre’. 8. Convien: ‘è necessario’. doi: ‘due’.

80. 1. guardava: ‘custodiva’. 3. Più de dui piedi: circa 60 centimetri. 4. l’altro busto: ‘il resto del corpo’. 5. rasembrava: ‘sembrava’. 6. fusto: ‘mazza’. 8. palota: ‘palla’. in cima: ‘all’estremità’. Ottava aperta.

81. 1. vinte: ‘venti’. 2. è di un serpente armato: ‘è coperto da una pelle di serpente (o di drago)’. 4. da il manco lato: ‘al fianco sinistro’.

82. 2. arena: ‘sabbia’ o, più in generale, ‘terreno’. 3. la scoca: ‘la fa scattare’. 6. Qualunque: ‘chiunque’.

83. 2. aiutante: ‘aitante, forte’. 3. il senator romano: titolo tradizionalmente attribuito a Orlando. 8. Tipica chiusura di stile canterino, in cui l’autore simula la fatica fisica provocata dalla recitazione del racconto (CABANI 1988, pp. 154-155).