CANTO SESTO

Orlando si batte con Zambardo e lo uccide, ma il gigante, prima di morire, riesce a imprigionare il cavaliere in una robustissima rete metallica (1-14). Il conte resta bloccato per il resto del giorno e per tutta la notte; quindi arriva un anziano frate che cerca di liberarlo con Durindana ma, essendo troppo debole, non ci riesce e decide di preparare il malcapitato a una morte serena. Per confortarlo gli racconta dei buoni effetti che la speranza in Dio può sortire: egli stesso è sfuggito fortunosamente a un gigante antropofago e monocolo che ha invece trattenuto alcuni suoi compagni (15-27). Nel frattempo arriva quella mostruosa creatura e il frate fugge. Il Ciclope trova Orlando ben legato e decide di mangiarselo; perciò si serve di Durindana per tagliare le catene. Il paladino, appena sciolto, gli sfugge e lo affronta riuscendo a ucciderlo dopo averlo accecato; libera poi i compagni del frate e riprende il cammino (28-38). Giunto a un crocevia, incontra un messaggero in cerca di aiuto per Angelica, assediata in Albracà da Agricane re di Circassia che la vuole sposare. Lei lo rifiuta, ma suo padre vorrebbe accettare la proposta per evitare la guerra (39-42). Orlando si dirige verso Albracà, ma arriva a un luogo fortificato e circondato da un fiume, cui si accede tramite un ponte. Sul ponte una donzella gli offre un calice d’acqua magica che lo fa smemorare del tutto. Entrato nel giardino protetto dalle mura, il cavaliere osserva stupefatto la storia di Ulisse e Circella mirabilmente raffigurata su una loggia. All’improvviso si sente un rumore fortissimo (43-53). Nel frattempo il campo cristiano è confuso per la scomparsa di Rinaldo. Ricciardetto riconduce il contingente militare in Francia, mentre Marsilio si accorda con Gradasso e diventa suo alleato. Anche i saraceni muovono verso Parigi. Carlo prepara la difesa della città e assegna a Uggeri il Danese la prima schiera. Arrivano le truppe nemiche e comincia la battaglia (54-69).

1.
Stati ad oldir, signor, la gran bataglia,
Che un’altra non fu mai cotanto scura:
Di sopra odisti la forza e la taglia
De Zambardo, diversa creatura.
Ora odireti con quanta travaglia
Fu combatuto, e la disaventura
Che intravenne ad Orlando senatore,
Qual forsi non fu mai, né la magiore.

2.
Lo ardito cavalier monta su il ponte;
Zambardo la sua maza in man aferra.
A megia cossa non li gionge il conte,
Ma con gran salti se leva da terra,
Sì che ben spesso li tien fronte a fronte.
Ecco il gigante che il baston disserra:
Orlando vede il colpo che vien d’alto,
Dal’altro canto se gitò de un salto.

3.
Forte se turba quel saracin fello;
Ma ben lo fece Orlando più turbare,
Perché nel bracio il gionsi a tal flagelo
Che il baston fece per terra cascare.
Subitamente poi parve uno ocello
Che l’altro colpo avesse a radopiare,
Ma tanto è duro il còr di quel serpente
Che sempre poco ne toca, o nïente.

4.
La simitara avea trata Zambardo
Dapoi che in terra gli càde il bastone;
Ben vede quel baron esser galiardo
E de adoprar la rete fa rasone:
Ma quelo aiuto vòl che sia il più tardo.
Or mena dela spada un roversone:
A megia guanza fu il colpo diverso,
Ben vinte passi Orlando andò in traverso.

5.
Per questo è il conte forte riscaldato:
Il viso li comencia a lampegiare,
L’un e l’altro ochio avëa stralunato;
Questo gigante ormai non può campare!
Il colpo mena tanto infulminato
Che Durindana facea vinculare,
Ed era grossa (come Turpin conta)
Ben quatro dita dal’elzo ala ponta.

6.
Orlando lo colpisse nel galone,
Specia le scaglie e il dosso de il serpente;
Avea cinto di ferro un corigione:
Tutto lo parte quel brando tagliente.
Sotto lo usbergo stava il pancirone,
Ma Durindana non cura niente;
E certamente per megio il tagliava,
Se per lui stesso a terra non cascava.

7.
A terra cadde: o per voglia o per caso
Io nol sciò dir, ma tutto se distese.
Color nel volto non gli era rimaso
Quando vidde il gran colpo sì palese.
Il cor gli bate e fredo ha il mento e ’l naso;
Il suo baston, ch’è in terra, ancor riprese;
Cossì a traverso verso Orlando mena,
E gionsel proprio a megio ala catena.

8.
El conte di quel colpo andò per terra,
E l’un vicin al’altro era caduto;
Cossì distesi ancor se fan guerra.
Più presto in piedi Orlando è revenuto:
Nela barbuta ad ambe man l’affera,
Lui anco è preso dal gigante arguto.
E’ streto se l’abracia sopra al petto:
Via nel porta nel fiume il maledeto.

9.
Orlando ad ambe man gli batte il volto,
Ché Durindana in terra avea lassata;
Sì forte il bate che ’l cervel gli ha tolto:
Cadde il gigante in terra un’altra fiata.
Incontinente il conte si è rivolto:
Detro ale spale la testa ha abraciata.
Balordito è il gigante e non gli vedde,
Ma al despeto de Orlando salta in piede.

10.
Or si rinova il dispietato assalto:
Questo ha il baston e quel ha Durindana.
Già nol potea ferir Orlando ad alto
Standosse fermo in sula terra piana,
Ma sempre nel colpir alciava un salto:
Bataglia non fo mai tanto vilana.
Vero è che Orlando del scrimir ha l’arte:
Già ferito è ’l gigante in quatro parte.

11.
Mostra Zambardo un colpo radopiare,
Ma nel ferir a megio si rafrena
E,comme vede Orlando indietro andare,
Passagli adosso e forte a doe man mena.
Non val a Orlando il suo presto saltare:
Sibilla il ciel e sona ogni catena;
Non se smarisse quel conte animoso:
Col brando incontra il colpo roinoso

12.
E ha rotto il baston e fracassato.
E non crediati poi ch’el stia a dormire,
Ma d’un riverso al fianco gli ha menato,
Là dove l’altra volta ebbe a colpire.
Quivi il còr del serpente era tagliato:
Or che potrà Zambardo ben guarnire?
Ché Durindana vien con tal furore
Che saetta del tron non l’ha magiore.

13.
Quasi il parte dal’un al’altro fianco:
Da un lato se tenea poco o nïente.
Venne il gigante in facia tutto bianco,
E vedde ben ch’è morto veramente.
Forte la terra bate col piè stanco
E la rete si scocca incontinente,
E con tanto furor aggrappa Orlando
Che, nel pigliar, de man li trasi il brando.

14.
Le bracie al busto gli strenge con pena,
Che già non si poteva dimenare:
Tanto ha grossa la rete ogni catena
Che ad ambe man non si potrìa pigliare.
«O Dio del Ciel, o Vergine serena,»
Dicëa il conte «debbami aiutare!»
Alor che quella rete Orlando affera,
Cadde Zambardo morto in sula terra.

15.
Solitario è quel loco e sì diserto
Che rade volte gli venìa persona.
Legato è ’l conte soto al ciel aperto:
Ogni speranza al tuto l’abandona;
Perduto è del’ardìr ogni suo merto,
Non gli val forcia, né armatura bona.
Sancia manzar un dì stete in quel loco,
E quella notte dormì molto poco.

16.
Cossì quel giorno e la nocte passava;
Cresce la fame e la speranza manca.
E’ ciò che sente d’intorno guardava:
Ed ecco un frate con la barba bianca.
Comme lo vidde, il conte lo chiamava
Quanto levar potea la voce stanca:
«Padre, amico de Dio, donami aiuto,
Ch’io son al fin dela vita venuto!».

17.
Forte se maraviglia il vechio frate
E tutte le catene va mirando:
Ma non scià come averle dischiavate.
Diceva il conte: «Pigliate il mio brando,
E sopra a me questa rete tagliate!».
Risponde il frate: «A Dio te racomando!
S’io te occidesse, io sarìa irregulare;
Questa malvagità non voglio fare».

18.
«Stati securo in sula fede mia»,
Diceva Orlando «ch’io son tanto armato
Che quella spada non mi tagliarìa».
Cossì dicendo tanto l’ha pregato
Che ’l monico quel brando pur prendìa:
Apena che di terra l’ha levato,
Quanto può l’alcia sopra ala catena:
Non che la rompa, ma la segna a pena.

19.
Poi che se vide indarno affatigare;
Getta la spada e con parlar umano
Comencia il cavalier a confortare:
«Vogli morir» dicea «come cristiano,
Né ti voler per questo disperare:
Abbi speranza nel Signor soprano,
Ch’avendo in pacïentia questa morte,
Te farà cavalier dela sua corte».

20.
Molte altre cose assai gli sapea dire,
E tutto il martilogio gli ha contato:
La pena ch’ogni santo ebe a soffrire,
Chi crucifixo e chi scorticato.
Dicëa: «Figlio, il ti convien morire:
Abine Dio del Ciel ringracïato!».
Rispose Orlando con parlar modesto:
«Ringracïato sia, ma non di questo!

21.
Perch’io vorebbe aiuto e non conforto:
Mal agia l’asinel che t’ha portato!
Se un giovene venìa, non sarìa morto;
Non potea gionger qui più siagurato!».
Rispose il frate: «Ahimè, baron acorto,
Io veddo ben che tu sei disperato:
Poiché t’è forcia la vita lassiare,
L’anima pensa e non l’abandonare!

22.
Tu sei barone di tanta presenza
E làssite ala morte spaventare?
Sappi che la divina Providenza
Non abandona chi in Lui vòl sperare:
Troppo è dismisurata sua potenza.
Io de me stesso ti voglio contare
Che sempre ho, la mia vita, in Dio sperato:
Odi da qual fortuna io son campato.

23.
Tre frate e io di Erménia se partìmo
Per andar al perdon in Zorzanìa,
E smarìmo la strata (com’io stimo),
E arivàmo quivi in Circasìa.
Un fraticel de’ nostri andava primo,
Perché diceva lui saper la via;
Ed ecco indreto correndo è rivolto,
Cridando: «Aiuto!» e palido nel volto.

24.
Tutti guardàmo, ed ecco giù del monte
Venir un gran gigante smisurato:
Un ochio sol avea in megio la fronte;
Io non te saprìa dir de che era armato,
Parean unge de drago insieme agionte;
Tre darde avea e un gran baston ferato.
Ma ciò non bisognava a nostra presa,
Ché tuti ce legò sancia contesa.

25.
A una spelonca dentro ce fiè entrare,
Dove molti altri avìa nela pregione;
Lì con questi ochi mei vide sbranare
Un nostro fraticel ch’era gargione,
E cossì crudo lo vide mangiare,
Che mai non fo magior compassïone!
Poi, volto a me, dicea: “Questo letame
Non se potrà mangiar se non con fame!”.

26.
E con un piè mi trabucò del sasso.
Era quel scoglio orribil e arguto:
Trecento braza è dala cima al basso.
In Dio sperava e lui me dette aiuto,
Perché, roinando io tutto in un fasso,
Me fo un ramo de pruno in man venuto,
Che uscìa del scoglio con branchi spinosi:
A quel m’apresi e sotto a quel m’ascosi.

27.
Io stava queto e pur non soffiava
Finché venuto fu la nocte scura».
Mentre che il frate cossì ragionava,
Guardossi indetro e con molta paura
Fugìa nel bosco. «Ahimè tristo!» cridava
«Ecco la maledeta creatura,
Quel che io ti ho deto, ch’è cotanto rio!
Franco barone, io te acomando a Dio!

28.
Cossì li disse; e più non aspectava,
Che presto nela selva se nascose.
Quel gigante crudel quivi arivava:
La barba e le mascelle ha sanguinose;
Con quel grande ochio de intorno guardava.
Vedendo Orlando, a riguardar se il pose;
Sul col lo abranca e forte lo dimena,
Ma nol può svilupar dela catena.

29.
«Io non vuò già lassar questo grandone»
Diceva lui «dapoiché io l’ho trovato.
Debe esser sodo come un bon montone:
Intégro a cena me lo avrò mangiato,
Sol de una spala vuò far un buccone!»
Cossì dicendo, ha il grande ochio voltato
E vede Durindana in sula terra:
Presto se china e quela in man afera.

30.
E soi tre dardi e il suo baston ferato
Ad una quercia avìa possati apena,
Che Durindana, quel brando afilato,
Con ambe mano adosso ’ Orlando mena.
Lui non ocise, perché era afatato,
Ma ben gli taglia adosso ogni catena,
E sì gran bastonata sente il conte
Che tuto suda, dai pedi ala fronte.

31.
Ma tanto è l’alegreza de esser sciolto
Che nula cura quella passïone.
Dale man de il gigante è presto tolto:
Corre ala quercia e piglia il gran bastone.
Quel dispietato se turbò nel volto,
Ché se il credea portar come un castrone:
Poi che altramente vede il facto andare,
Per forcia se il distina conquistare.

32.
Come sapite, egli hano arme cambiate;
Orlando teme asai dela sua spada,
Però non se avicina molte fiate:
Da largo quel cigante tien a bada.
Ma lui menava bote disperate:
Il conte non ni vòl di quela biada,
Or là or qua, giamai fermo non tarda,
E da sua Durindana ben se guarda.

33.
Bate spesso il cigante de il bastone,
Ma tanto vien a dir come nïente,
Ch’è quel’ armato de unge de grifone:
Più dura cossa non è veramente!
Per longa straca pensa quel barone
Che nei tre giorni pur sarà vincente;
E mentre ch’el combate in tal riguardo,
Muta pensiero e prende in man un dardo.

34.
Un di quei dardi che lasciò il cigante
Orlando prestamente in man l’ha tolto:
Non falò il colpo quel signor de Anglante,
Che proprio a megio l’ochio l’ebe colto.
Un sol n’avea (comme odisti davante)
E quel sopra de il naso, in cima al volto;
Per quel’ochio andò il dardo entro al cervelo:
Càde il cigante in terra con flagelo.

35.
Non fa più colpo a sua morte mistiero:
Orlando in gionechion Dio ne rengracia.
Ora ritorna il frate in su il sentero,
Ma comme vede quel cigante in facia,
Benché sia morto, li parve sì fiero
Che ancor fugendo nel bosco se cacia.
Ridendo Orlando il chiama e asicura,
E quel ritorna, e ha pur gran paura.

36.
E poi diceva: «O cavalier de Dio
(Che ben cossì ti debo nominare),
Opera de un baron divoto e pio
Sarà da morte l’anime campare
Che avea nela prigion quel mostro rio:
Ala spelonca te saprò guidare,
Ma se un cigante fosse rivenuto,
Da me non aspectare alcun aiuto!».

37.
Cossì dicendo ala spelonca il guida,
Ma de intrar dentro il frate dubitava.
Orlando in sula boca forte grida:
Una gran petra quel buco serava.
Là giù se odìno voce in pianto e strida,
Ché quela gente forte lamentava.
La petra era de un pecio, quadra e dura:
Dece piedi è ogni quadre per misura.

38.
Avëa un pede e mezo di grosseza,
Con due catene quella si sbarava.
In questo loco infenita forteza
Volse mostrare il gran conte di Brava:
Con Durindana le catene speza;
Poi sule braza la petra levava
E tuti quei prigion subito sciolse
E andò ciascadun là dove volse.

39.
De qui se parte el conte e lascia il frate.
Va per la selva detro ad un sentero
E gionse proprio dove quatro strate
Faceano croce: e’ stava in gran pensiero
Qual d’esse meni ale tere abitate.
Vede per l’una venir un correro:
Con molta freta quel corriero andava,
Il conte de novelle il domandava.

40.
Dicea colui: «Di Media son venuto,
E voglio andar al re di Circasìa:
Per tuto il mondo vo’ cercando aiuto
Per una dama che è regina mia.
Ora ascoltati il caso intravenuto:
Il grande imperator de Tartarìa
Dela regina è inamorato forte,
Ma quela dama a lui vòl mal di morte.

41.
Il patre dela dama, Galafrone,
È omo antiquo e amator di pace,
Né col Tartaro vòl la questïone,
Che quelo è un signor forte e tropo audace;
Vòl che la figlia, contra a ogni ragione,
Prenda colui che tanto li dispiace.
La damigella prima vòl morire
Che ala voglia de il patre consentire.

42.
Ela n’è dentro Albracà fugita,
Che longi è dal Cataio una giornata;
Ed è una roca forte e ben guarnita
Da far a un longo assedio gran durata.
Lì dentro adesso è la dama polita,
Angelica nel mondo nominata:
Che qualunque è nel ciel più chiara stela
Ha manco luce ed è di lei men bela».

43.
Poi che partito fu quel messagero,
Orlando via cavalca ala spiccata
E ben par a sé stesso nel pensiero
Aver la bela dama guadagnata.
Cossì pensando, il franco cavaliero
Vede una torre con longa murata,
La qual chiudeva de uno ad altro monte;
Di soto ha una rivera con un ponte.

44.
Sopra a quel ponte stava una dongela
Con una coppa di cristallo in mano;
Vedendo Orlando, con dolce favella
Fàssigli incontra, e con un viso umano
Dice: «Baron che seti sula sella,
Se avanti andati, voi andariti invano;
Per forcia o ingegno non si può passare:
La nostra usanza vi convien servare.

45.
Ed è la usanza che in questo cristalo
Bever conviensi di questa rivera».
Non pensa il conte ingano o altro falo:
Prende la coppa piena e beve intiera.
Comme ha bevuto, non fa longo stalo
Che tuto è tramutato a quel ch’egli era,
Né scià perché qui venne o comme o quando,
Né si egli è un altro o si egli è pur Orlando.

46.
Angelica la bella gli è fugita
Fuor dela mente, e lo infenito amore
Che tanto ha travagliata la sua vita;
Non se ricorda Carlo imperatore;
Ogni altra cosa ha de il petto bandita:
Sol la nova dongela gli è nel core.
Non che di lei se speri aver piacere,
Ma sta sugeto ad ogni suo volere.

47.
Entra la porta sopra a Brigliadoro
Fuor di sé stéso, quel conte di Brava.
Smonta a un palagio de sì bel lavoro
Che per gran maraviglia il riguardava:
Sopra a colone de ambro e base d’oro
Una ampia e rica logia se possava;
Di marmi bianchi e verdi ha il suol distinto,
Il ciel de azuro e or tutto è dipinto.

48.
Davanti dela logia un giardino era,
Di verdi cedri e di palme adombrato,
E di arbori gentil de ogni manera;
Di sotto a questi verdigiava un prato
Nel qual sempre fioriva primavera;
Di marmoro era tutto circondato,
E da ciascuna pianta e ciascun fiore
Ussiva un fiato di suave odore.

49.
Posesi il conte la logia a mirare
Che avea tre facie, ciascuna depinta;
Sì seppe quel maestro lavorare
Che la natura vi sarebe vinta.
Mentre che il conte stava a riguardare,
Vide una istoria nobile e distinta:
Dongelle e cavalieri eran coloro,
Il nome de ciascuno è scrito d’oro.

50.
Era una giovenetta in ripa al mare,
Sì vivamente in viso colorita
Che chi la vede par che oda parlare.
Questa ciascuno ala sua ripa invita,
Poi li fa tutti in bestie tramutare.
La forma umana si vedìa rapita:
Chi lupo, chi lione, chi cingiale,
Chi diventa orso e chi grifon con l’ale.

51.
Vedèassi arivar quivi una nave
E un cavalier usir di quella fore,
Che con bel viso e con parlar suave
Quella dongella acende de il suo amore.
Essa pareva donargli la chiave
Sotto la qual si guarda quel liquore,
Col qual più fiate quella dama altera
Tanti baron avea mutati in fiera.

52.
Poi se vedeva lei tanto acercata
De il grande amor che portava al barone
Che dala sua stessa arte era inganata,
Bevendo al napo dela incantasone;
Ed era in bianca cerva tramutata,
E dapoi presa in una caciasone.
Circella era chiamata quella dama:
Ulixe quel baron che lei tanto ama.

53.
Tuta la istoria sua ve era compita:
Come lui fuge e lei dama tornava.
La dipintura è sì rica e pulita
Che d’or tutto il giardino aluminava.
Il conte, che ha la mente sbigotita,
Fuor de ogni altro pensier quela mirava;
Mentre che di sé stesso è tutto fore,
Sente far nel giardino un gran rumore.

54.
Ma poi vi contarò di passo in passo
Di quel romore e chi ne fuò cagione.
Ora voglio tornar al re Gradasso,
Che tutto armato, come un campïone,
Ala marina giù discese al basso:
Tuto quel giorno aspeta il fio de Amone.
Ora pensati se il debe aspettare,
Che quel duamilia leghe è longe in mare!

55.
Ma poi che vede il ciel tutto stelato
E che Renaldo pur non è aparito,
Credendo certamente esser gabato,
Ritorna al campo tuto invelenito.
Diciàn de Riciardeto adolorato,
Che poi che vede il giorno esserne gito
E che non è tornato il suo germano,
O morto o preso lo crede certano.

56.
Delo animo che egli è, voi lo pensati:
Ma non lo abate già tanto il dolore
Che non abia i cristian tuti adunati;
E’ de il suo dipartir conta il tinore,
E quella note se ne sono andati.
Non ebero i pagan alcun sentore,
Ché ben tre leghe il sir de Montealbano
Da il re Marsiglio alogiava lontano.

57.
Via caminando van sancia riposo
Finché son gionti di Franza al confino.
Or tornamo a Gradasso furïoso:
Tutta sua gente fa armare al matino.
Marsilio da altra parte è pauroso,
Ché preso è Feraguto e Serpentino,
Né vi ha baron che ardisca di star saldo;
Fugiti èno i cristian, perso è Renaldo.

58.
Vene lui stesso, con basso visagio,
Avanti al re Gradasso in gionechione:
De’ cristïani raconta lo oltragio,
Che fugito è Renaldo, quel giotone.
Esso promette voler far omagio,
Tenir il regno comme suo barone;
E in poche parole e’ s’è acordato:
L’un campo e l’altro insiem è mescolato.

59.
Ussì Grandonio fuor di Barcelona
E fece poi Marsilio il giuramento
Di seguir di Gradasso la corona
Contra di Carlo e de il suo tenimento.
Esso in secreto e palese ragiona
Che disfarà Parigi al fondamento
Se non gli è dato il suo Baiardo in mano,
E tutta Franza vòl gitare al piano.

60.
Già Riciardeto con tutta la gente
È gionto da il re Carlo imperatore,
Ma di Ranaldo non scià dir nïente.
Di questo è nato in corte un gran romore:
Quei di Maganza, assai vilanamente,
Dicono che Ranaldo è un traditore;
Ben vi è chi il niega, e ha quisti a mentire,
E vòl bataglia con chi lo vòl dire.

61.
Ma il re Gradasso ha già passato i monti,
E a Parise se ne vien disteso.
Raduna Carlo soi principi e conti,
E bastagli lo ardir de esser diffeso.
Nela cità guarnisse torri e ponti:
Ogni partito dela guerra è preso,
Stan ordinati: ed ecco una matina
Vedon venir la gente saracina.

62.
Lo imperator ha le schiere ordinate
Già molti giorni avanti nela terra.
Or le bandere tutte son spigate,
E sonan li istromenti dala guerra.
Tutte le gente sono in piaza armate,
La porta di San Celso se disserra:
Pedoni avanti e detro i cavalieri;
Il primo assalto fa il Danese Ogeri.

63.
Il re Gradasso ha sua gente partita
In cinque parte, ognuna a gran bataglia.
La prima è de India una gente infenita:
Tuti son negri, la bruta canaglia;
Sotto a dui re sta questa gente unita,
Cardone è l’uno, e comme cane baglia;
El suo compagno è il dispietato Urnaso,
Che ha in man la ceta e de sei dardi un fasso.

64.
A Straciaberra la secunda toca;
Mai non fu la più bruta creatura:
Dui denti ha de cingial fuor dela boca,
Sol nela vista ’ ognon mette paura;
Con lui Francardo, che con l’arco scoca
Dardi ben longi e grossi oltra misura.
Di Taprobana è poi la tercia schiera:
Conducela il suo re, e quel è l’Anfrera.

65.
La quarta è tutta la gente de Spagna,
Il re Marsilio e ogni suo barone.
La quinta, che empìa il monte e la campagna,
È proprio di Gradasso il suo penone.
Tanta è la gente smisurata e magna
Che non se ne può far discrecïone.
Ma parlamo ora de il forte Danese,
Che con Cardone è già gionto ale prese.

66.
Dodecemillia di bella brigata
Mena il Danese Ogeri ala bataglia;
E tutta insieme stretta e ben serrata
La schiera de quei negri apre e sbaraglia.
Contra a Cardone ha la lancia arestata:
Quel bruto viso comme un can abaglia,
Sopra a un gambilo armato è il maledeto;
Danese lo colpisse a megio il peto.

67.
E non li valse scudo o pancirone,
Che giù di quel gambilo è roinato.
Or trà di calci al vento su il sabione,
Perché da banda in banda era passato.
Mòvesse Urnasso, l’altro compagnone,
Verso il Danese ha de un dardo lanciato:
Passa ogni malia e la coraza e il scudo,
E andò il fero insino al peto nudo.

68.
Oger turbato li sperona adosso;
Quel lanciò l’altro con tanto furore
Che li passò la spalla infino al’osso;
E ben sente il Danese un gran dolore,
Fra sé dicendo: «Se acostar mi posso,
Io te castigarò, can traditore!».
Ma quel’Urnasso e dardi in tera geta,
E prende ad ambe man una gran ceta.

69.
Signor, sapiati che il caval de Urnasso
Fu bon destrier e pien di molto ardire;
Un corno aveva in fronte longo un passo:
Con quel soleva altrui spesso ferire.
Ma per adesso di cantar vi lasso,
Ché, quando è tropo, incresce ogni bel dire:
Ma la bataglia che ora è comenciata
Serà crudel e longa e smisurata.

1. 1. oldir: ‘udire’ (cfr. I, i, 1, 2). 2. scura: ‘terribile’. 4. diversa: ‘mostruosa’. 5. travaglia: con il solito metaplasmo (cfr. I, iv, 1, 1). 6. Fu combatuto: ‘si combatté’. 7. intravenne: ‘accadde’. senatore: cfr. I, v, 83, 3. 8. ‘non gliene capitò mai una così, né una maggiore’.

2. 3. A megia cossa: ‘a metà gamba’. 6. disserra: ‘lascia andare’ per colpire. 8. canto: ‘lato’. de: ‘con’.

3. 1. fello: ‘malvagio’. 3. il gionsi a tal flagelo: ‘lo colpì con tale violenza’. 7. il còr: cioè il cuoio ‘la pelle’. 8. toca: ‘taglia’ (l’accezione non sembra documentata altrove; TROLLI 2003, p. 291).

4. 1. avea trata: ‘aveva estratto’. 4. fa rasone: ‘comincia a pensare’. 5. il più tardo: ‘l’ultimo’. 6. roversone: ‘colpo di rovescio’. 7. ‘il colpo eccezionale lo raggiunse in pieno volto’. 8. vinte: ‘venti’. andò in traverso: ‘si spostò di lato’.

5. 2. Il viso: ‘lo sguardo’. 3. stralunato: ‘stravolto’; Orlando era notoriamente strabico, ma qui è probabile che sia la rabbia a fargli torcere gli occhi (TISSONI BENVENUTI 1999). 5. infulminato: ‘violento come un fulmine’. 6. vinculare: ‘flettere come un giunco’. 7. L’autorità di Turpino è invocata per confermare i fatti più inverosimili, come lo spessore di Durindana. 8. elzo: ‘elsa’.

6. 1. colpisse: ‘colpisce’. galone: ‘fianco’. 3. corigione: grossa cintura. 4. lo parte: ‘lo divide’. 5. pancirone: parte dell’armatura che ripara il ventre. 7. per megio: ‘per il mezzo’. 8. ‘se non fosse caduto a terra da solo’.

7. 1. Si noti il forte nesso lessicale che lega questa ottava alla precedente. 2. sciò: ‘so’. 8. ‘lo colpì proprio con la parte centrale di una delle catene (della sua mazza)’ (TISSONI BENVENUTI 1999).

8. 1. di: ‘a causa di’. 4. è revenuto: ‘si è rialzato’. 5. barbuta: cfr. I, v, 42, 5. 6. arguto: cfr. I, i, 58, 3.

9. 3. che ’l cervel gli ha tolto: ‘che lo ha intontito’. 4. fiata: ‘volta’. 7. Balordito: ‘stordito’. non gli vedde: ‘non ci vede’.

10. 3. ferir: ‘colpire’. ad alto: ‘in alto’. 5. alciava: cioè alzava ‘spiccava un salto’. 6. fo: ‘fu’. vilana: ‘feroce’. 7. scrimir: ‘schermire’.

11. 2. a megio si rafrena: ‘si ferma a metà’. 8. incontra: ‘contrasta’. Ottava aperta.

12. 3. riverso: ‘colpo di rovescio’. 6. guarnire: ‘proteggere’. 8. tron: ‘tuono’.

13. 2. Il corpo del gigante era tagliato a metà e le due parti si tenevano insieme per pochissima carne, o addirittura per nulla. 3. Venne: ‘divenne’. 5. stanco: ‘sinistro’ (meno probabilmente ‘senza forze’). 8. li trasi: cioè li trase ‘gli strappò’ (il verbo ha desinenza dialettale).

14. 6. debbami aiutare: cfr. I, v, 37, 1.

15. 5. ‘è perduto (cioè inutile) ogni merito del suo coraggio’. 6. forcia: ‘forza’. 7. Sancia: ‘senza’. 8. L’annotazione ha un tocco ironico.

16. La figura dell’anziano religioso che entra in scena alleggerisce questo tratto narrativo denso di scontri armati. La pavida inettitudine del nuovo arrivato produrrà effetti alquanto comici anche su Orlando, di solito intemerato campione della fede cristiana. 2. Chiasmo. 5. Comme lo vidde: ‘quando lo vide’.

17. 2. va mirando: ‘osserva’. 3. averle dischiavate: ‘scioglierle’. 7. io sarìa irregulare: ‘trasgredirei la regola prevista dalla Chiesa per il mio ministero’ (TROLLI 2003, p. 178). Punta ironica antifratesca: come se l’omicidio andasse evitato solo in termini di diritto canonico.

18. 5. monico: ‘monaco’; ma poco sopra si è detto che è un frate. 7. l’alcia: ‘la alza’. 8. segna: ‘scalfisce’.

19. 1. indarno: ‘invano’. 5. ‘e non perdere la speranza nella salvezza (eterna)’. 7. pacïentia: ‘pazienza’.

20. 2. martilogio: ‘martirologio’. 4. La lezione di P a testo richiede una dialefe tra crucifixo ed e.È forse più soddisfacente fo scorticato in altri testimoni. 5. il ti convien morire: ‘devi morire’. 6. Abine… ringracïato: ‘ringrazia’. 7. con parlar modesto: ‘con voce umile’, che fa riscontro al parlar umano del frate (19, 2), ma Orlando sta per perdere la pazienza.

21. 5. acorto: epiteto formulare. 7. t’è forcia: ‘sei costretto’. 8. pensa: uso transitivo del verbo.

22. 1. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha Baron; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. presenza: ‘vigore’. 2. ‘e ti lasci spaventare dalla morte’. 7. la mia vita: ‘nella mia vita’. 8. ‘senti da quale disgrazia sono scampato’.

23. L’avventura che il frate sta per narrare ha per protagonista un gigante antropofago e monocolo il cui modello è chiaramente Polifemo. Come non aveva nominato la sfinge, così Boiardo non fa qui nessun riferimento esplicito ai Ciclopi, ma il racconto presuppone le Metamorfosi di Ovidio (XIV) forse più dell’Odissea. Sull’ambientazione, e fuori dal mito di Ulisse, può avere influito l’Eneide (ZAMPESE 1994, p. 144) e non mancano gli echi dalla letteratura in volgare (RAZZOLI 1901, pp. 38-39 indicava il Guerrin Meschino, pp. 80-83). 1. frate: ‘frati’. Erménia: Armenia. 2. al perdon: ‘a guadagnare l’indulgenza’. Zorzanìa: Georgia. 3. (com’io stimo): zeppa. 7. indreto: ‘indietro’.

24. 4. de che era armato: ‘che armatura aveva’. Come nota TISSONI BENVENUTI 1999, la figura pastorale del Ciclope è necessariamente adattata al romanzo cavalleresco. 5. ‘parevano artigli di drago uniti insieme’. 6. Tre darde:è frequente che le creature mostruose portino con sé tre frecce. Lo farà anche il centauro che incontreremo a I, xiii, 52 e, fuori dall’Inamoramento, si può ricordare il semiumano Pulicane del Buovo d’Antona (XI, 50). 7. presa: ‘cattura’. 8. sancia contesa: ‘senza trovare resistenza’.

25. 1. fiè: ‘fece’. 4. gargione: cioè garzone ‘ragazzo’. 5. vide: ‘vidi’. 6. compassïone: ‘dolore’. 8. ‘potrò mangiarlo solo quando avrò molta fame (e nulla di meglio a disposizione)’.

26. 1. mi trabucò del sasso: ‘mi fece cadere dalla rupe’. 2. scoglio: ‘rupe’. arguto: ‘scosceso’; l’agg. è formulare e può assumere significati diversi (MENGALDO 1963, pp. 278-279; TROLLI 2003, p. 89). 3. braza: ‘braccia’; un braccio equivaleva all’incirca a mezzo metro. 5. tutto in fasso: ‘come un fagotto’. 6. Me fo… venuto: ‘mi venne’. 7. branchi: ‘rami’. 8. m’apresi: ‘mi appigliai’.

27. 1. Il verso raggiunge la misura se si accetta una dialefe tra queto ed e; bisogna altrimenti supporre soffïava. 3. ragionava: ‘parlava’. 7. rio: ‘malvagio’. 8. ‘valoroso cavaliere, io ti raccomando a Dio’.

28. 6. a riguardar se il pose: ‘si mise a guardarlo’. 7. Sul col lo abranca: ‘lo prende per il collo’. 8. svilupar: ‘sciogliere’.

29. 4-5. ‘me lo mangerò intero a cena, voglio farmi un boccone della sola spalla!’.

30. 1. E soi: ‘i suoi’. 5. afatato: ‘incantato’.

31. 2. passïone: ‘sofferenza’. 3. è presto tolto: ‘si toglie in fretta’. 6. castrone: ‘agnello castrato’. 8. ‘decide di conquistarlo con la forza’.

32. 1. egli hano arme cambiate: ‘essi si sono scambiati le armi’. 3. molte fiate: ‘molte volte’. 4. Da largo: ‘dalla distanza’. 6. Metafora ironica: Orlando non ne vuole di quei fendenti.

33. 1. de il: ‘con il’. 2. ‘ma non serve a nulla’. L’espressione, piuttosto colloquiale, è anche in Al III, 5, 9. 5. Per longa straca: ‘per sfinimento sul lungo tempo’. 6. nei tre giorni: cfr. I, iv, 1. 7. in tal riguardo: ‘con questa prospettiva’ (TISSONI BENVENUTI 1999).

34. 1-2. Ripresa dall’ottava precedente. 2. l’ha tolto: ‘l’ha preso’. 3. Non falò: ‘non sbagliò’. Anglante:o Angrante; è il feudo di Orlando. 4. ‘che lo colpì proprio in mezzo all’occhio’. 8. con flagelo: ‘rovinosamente’ (TROLLI 2003, p. 151).

35. 1. Non fa… mistiero: ‘non è necessario’. 2. in gionechion: ‘in ginocchio’; forma sett. frequente (MENGALDO 1963, p. 344; cfr. 58, 2 ecc.). 5. fiero: ‘feroce’. 6. se cacia: ‘si addentra’. 7. asicura: ‘rassicura’.

36. 2. nominare: ‘chiamare’. 4. campare: ‘salvare’. 7. fosse rivenuto: ‘tornasse’.

37. 2. dubitava: ‘aveva paura’. 3. in sula boca: ‘all’ingresso (della caverna)’. 5. se odìno: ‘si udirono’. 7. de un pecio: ‘di un solo pezzo’. 8. ogni quadre: ‘ogni lato’; il piede corrispondeva all’incirca a 30 centimetri.

38. 4. Volse mostrare: ‘dovette dimostrare’. Brava:o Blava; è un altro celebre feudo di Orlando. 6. levava: ‘sollevava’.

39. 4. stava in gran pensiero: ‘era molto incerto su’. 7. corriero: ‘messaggero’. 8. Costruzione sintattica latineggiante. novelle: ‘notizie’.

40. 1. Media: regione a sud del Mar Caspio. 5. intravenuto: ‘accaduto’. 6. Agricane (cfr. I, xi, 38, 7). 8. a lui vòl mal di morte: ‘lo odia a morte’.

41. 2. antiquo: ‘anziano’. 3. vòl la questïone: ‘vuole la guerra’. 6. li: ‘le’.

42. 1. La lezione di P richiede una dialefe tra dentro e Albracà, ma sarebbe forse preferibile ad Albracà come negli altri testimoni. 4. durata: ‘resistenza’. 5. dama polita: ‘bella donna’. È espressione formulare come la comparazione nel distico successivo. 8. manco: ‘meno’.

43. 2. ala spiccata: ‘velocemente’. TISSONI BENVENUTI 1999 dubita che si debba leggere spicciata e TROLLI 2003, p. 278 nota che GDLI riporta solo questa occorrenza del termine. 8. rivera: ‘fiume’.

44. 3. con dolce favella: ‘con parole cortesi’. 4. Fàssigli incontra: ‘gli si fa’. 5. seti: ‘siete’. 7. ingegno: ‘astuzia’. 8. servare: ‘osservare, rispettare’.

45. Questa ottava e le seguenti conservano memoria della canzone petrarchesca Chiare, fresche et dolci acque (Rvf 126) ma anche un richiamo ad Al I, 17, tanto da far pensare a un gioco (auto)allusivo da parte di Boiardo (CANOVA 2008, pp. 58-60). 3. falo: ‘imbroglio’ (TROLLI 2003, p. 145). 5. non fa longo stalo: ‘non passa molto tempo’. 6. a: ‘da’. 8. pur: ‘ancora’.

46. 7. piacere: di tipo amoroso. 8. sugeto: ‘sottomesso’.

47. 1. Entra: usato transitivamente, alla latina. 3. de sì bel lavoro: ‘di così raffinata costruzione’. 5. ambro: ‘ambra’. 7. ‘il pavimento è lastricato di marmi bianchi e verdi’.

48. 6. marmoro: ‘marmo’. 8. un fiato: ‘una brezza’.

49. L’ecfrasi che occupa questa e le ottave successive permette a Boiardo una diversione dal racconto principale. L’espediente gli servirà ancora (si vedano, p. es., le decorazioni del palazzo di Agramante, dove sono raffigurate le storie di Alessandro Magno, a II, i, 21-30); qui è narrata la storia di Ulisse e di Circe, che dimostra come la forza d’Amore possa sortire effetti straordinari, fino alla metamorfosi delle persone. Rispetto alle fonti classiche il tono è abbassato, adattato a un pubblico cortigiano. Si notino già il diminutivo Circella, per il nome della protagonista femminile, e i personaggi designati come Dongelle e cavalieri poco sotto (TISSONI BENVENUTI 1999). Il finale, inoltre, è del tutto diverso da quello noto. Da rilevare l’insistenza sulla bellezza e sulla verosimiglianza del manufatto che Orlando osserva rapito: significativo il numero delle voci del verbo vedere. 3. maestro:‘artista’. 6. nobile e distinta: ‘eseguita con maestria ed eccellente’ (TROLLI 2003, pp. 137, 202).

50. 1. ripa: ‘riva’. 6. ‘Si vedeva loro sottratto l’aspetto umano’.

51. 1. Vedèassi: ‘si vedeva’. 2. usir… fore: ‘uscire fuori’. 6. si guarda quel liquore: ‘si tiene racchiusa quella pozione’.

52. 1. acercata: ‘circondata’; la lezione è difficilior rispetto a acechata ‘accecata’ degli altri testimoni. 4. napo: ‘calice’. 5. bianca cerva: l’animale è evocazione petrarchesca (Rvf 190, 1), ma ha una cospicua tradizione simbolica nel Medio Evo. 6. caciasone: ‘battuta di caccia’.

53. 1. compita: ‘conclusa’. 3. pulita: cioè polita ‘lucente’. 4. aluminava: ‘illuminava’.

54. 2. fuò: forma iperdittongata di fo ‘fu’. 5. marina: ‘riva del mare’. 6. fio de Amone: Rinaldo. 8. longe: ‘lontano’.

55. 3. gabato: ‘ingannato’. 4. invelenito: ‘inferocito’. 5. Diciàn: ‘diciamo’. Intervento di regia molto sintetico, che sposta il fuoco della narrazione. 6. gito:‘andato’. 7. germano: ‘fratello’. 8. certano: ‘per certo’.

56. 1. ‘In che stato animo sia, pensatelo voi’; consueta formula di coinvolgimento del lettore. 2. abate: ‘abbatte’. 3-4. ‘che non raduni tutti i cristiani; egli spiega in che modo se ne debbano andare’. 4. tinore: ‘modo’.

57. 5. pauroso: ‘spaventato’. 7. star saldo: ‘resistere’. 8. èno: ‘sono’.

58. 1. con basso visagio: ‘a testa bassa’. 4. giotone: ‘farabutto’. 5. voler far omagio: ‘di diventare suo vassallo’; voler è pleonastico. 8. L’un campo e l’altro: ‘i due eserciti’.

59. 4. tenimento: ‘territorio’. 6. al fondamento: ‘fin dalle fondamenta’. 8. gitare al piano: ‘distruggere’.

60. 7. e ha quisti a mentire:‘e smentisce questi’. 8. bataglia:‘duello’.

61. 2. disteso: ‘rapidamente’. 4. ‘e gli basta il coraggio per preparare le difese’; così interpretano gli ultimi commentatori. 5. guarnisse: ‘fortifica’. 6. partito: ‘decisione’. 7. ordinati: ‘pronti’.

62. 2. avanti: ‘prima’. terra: ‘città’. 3. spigate: ‘spiegate’. 4. li istromenti dala guerra: ‘gli strumenti della guerra’. 6. La porta di San Celso: forse la porta di Saint Cloud (TISSONI BENVENUTI 1999). 7. Chiasmo.

63. 1. partita: ‘suddivisa’. 2. a gran bataglia: ‘per una gran battaglia’; complemento di fine (TISSONI BENVENUTI 1999). 6. baglia: ‘abbaia’; con aferesi e con il consueto ipercorrettismo sett. 8. la ceta: ‘la scure’. fasso: ‘fascio’.

64. 4. Solito dileguo della preposizione a.

65. 3. empìa: ‘riempiva’. 4. penone: ‘bandiera’; ma qui, forse, ‘reparto di soldati sotto la medesima bandiera’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 6. far discrecïone: ‘descrivere’.

66. 1. di bella brigata: ‘insieme’ (cfr. I, iv, 29, 2). 5. arestata: ‘posta in orizzontale’. 7. gambilo: ‘cammello’. 8. a megio il peto: ‘in mezzo al petto’.

67. pancirone: cfr. I, vi, 6, 5. 2. roinato: ‘caduto’. 3. trà: ‘tira’. sabione: cfr. I, i, 65, 1. 4. da banda in banda era passato: ‘era trafitto da parte a parte’. 5. Mòvesse: ‘si muove’. 6. de un dardo: de ha valore strumentale (TISSONI BENVENUTI 1999).

68. 2. l’altro: cioè ‘un’altra freccia’. 7. e: ‘i’.

69. 3. un passo: circa 30 centimetri. 5-8. Consueta finzione canterina: l’autore non vuole stancare il pubblico; si interrompe ma promette un seguito allettante. 6. incresce: ‘spiace’.