CANTO SETTIMO

Tutto il canto narra la battaglia intorno a Parigi. Uggeri combatte valorosamente, ma è ferito e deve tornare in città (1-2). Escono allora altri cavalieri cristiani, tra i quali lo stesso Carlo Magno in sella a Baiardo, ma, nonostante molti gesti valorosi, devono arrendersi a Gradasso e ai suoi (3-24). Gradasso cerca anche di impadronirsi di Baiardo, che però lo allontana a calci e lo costringe a farsi medicare (25-27). È tutto inutile: il re saraceno torna in campo e mette in fuga i cristiani superstiti (28-29). Il Danese, sebbene ferito, esce da una porta della città e copre la ritirata ai compagni in rotta; resiste da solo per un pezzo, ma alla fine è catturato anch’egli da Gradasso (30-36). A Parigi tutto sembra perduto; si fanno preghiere e processioni in attesa della caduta. Le prigioni sono aperte e i prigionieri liberati: esce così anche Astolfo, che decide spavaldamente di sfidare Gradasso a duello per liberare Carlo e gli altri (37-39). Intanto, nel campo saraceno, Gradasso tratta cortesemente i cristiani e chiede Baiardo e Durindana in cambio della loro liberazione. Carlo accetta, ma Astolfo rifiuta di consegnare il cavallo e, imprigionato il messo inviato dall’imperatore, lancia la sua sfida a Gradasso (40-45). Nonostante le parole di Carlo e di Gano, che descrive Astolfo come un buffone, il re accetta lo scontro. L’indomani mattina il barone inglese si presenta armato della lancia dell’Argalìa (della quale continua a ignorare i poteri magici) e disarciona l’avversario al primo colpo (46-56). Gradasso accetta la sconfitta e si appresta a smobilitare con le sue truppe, ma Astolfo decide di giocare uno scherzo ai compagni prigionieri, che sono soliti schernirlo. D’accordo con Gradasso, finge di avere perso e, solo dopo un po’, rivela l’effettivo esito del duello. Chiede quindi scusa all’imperatore e libera tutti, imponendo una penitenza al solo Gano. Acclamato universalmente come un eroe, Astolfo rifiuta ogni ricompensa e decide di partire in cerca di Orlando e di Rinaldo. Anche i saraceni lasciano la Francia per tornare a casa (57-72).

1.
Dura bataglia e crudele e diversa
È comenciata, come ho sopra detto.
Ora il Danese Urnasso giù riversa:
Partito l’ha Cortana insino al petto.
Questa schiera pagana era ben persa,
Ma quel distrier de Urnasso, maladeto,
Ferrì il Danese col corno ala coscia:
Lo arnese e quella passa con anguoscia.

2.
Era il Danesse in tre parte ferito,
E tornò indreto a farse medicare.
Lo imperator, che il tuto avea sentito,
Fa Salamone ala battaglia intrare,
E doppo lui Turpino, il prete ardito;
Il ponte a San Dionigi fa callare,
E mette Gaino fuor con la sua scorta;
Ricardo fece ussir de una altra porta.

3.
De un’altra uscite il possente Angelieri,
Dudon quel forte, che a bontà non mente;
E da Porta Real viene Oliveri,
E di Bergogna quel Guido possente;
Il duca Naimo e il figlio Belengeri,
Avolio, Ottone e Avino, ognon valente,
Chi da una porta e chi d’altra ne viene,
Per dar a’ saracin sconfita e pene.

4.
Lo imperator, deli altri più feroce,
Uscite armato e guida la sua schiera,
Racomandando a Dio con umil voce
La cità di Parigi, che non piera.
Moneci e preti, con relique e croce,
Vano de intorno e fan molte preghiera
A Dio e a’ santi, che diffenda e guardi
Re Carlo Mano e soi baron galiardi.

5.
Or sona a martelo ogni campana,
Trombe e tamburi e cridi ismisurati;
E da ogni parte la gente pagana,
Davanti, in megio e detro èno asaltati.
Bataglia non fu mai cotanto strana,
Ché tuti insieme son ramescolati.
Oliver tra la gente saracina
Un fiume par, che fenda la marina.

6.
Cavali e cavalier vano a traverso:
E’ questo occide e quel getta per tera;
Mena Altachiara a drito e a roverso,
Più che mile altri ai saracin fa guera;
Non creder che un sol colpo egli abia perso!
Ecco scontrato fu con Straciabera,
Quel negro de India, re de Lucinorco,
Ch’ha fuor de boca il dente come porco.

7.
Tra lor durò la bataglia nïente,
Ché il marchese Oliver mose Altachiara
Tra ochio e ochio e l’uno e l’altro dente,
Partendo in mezo quella facia nera.
Poi dà tra li altri col brando tagliente,
Mete in roina tuta quella schiera;
E mentre che il combate con furore,
Ariva quivi Carlo imperatore.

8.
Avìa quel re la spada insanguinata,
Montato era quel giorno in su Baiardo.
La gente saracina ha sbaratata:
Mai non fu visto un re tanto galiardo!
Ripone il brando e una lancia ha pigliata,
Però che ebe adochiato il re Francardo:
Francardo, re de Elissa, lo Indïano,
Che combatendo va con l’arco in mano.

9.
Sagittando va sempre, quel diverso:
Tuto era negro e il suo gambilo bianco;
Lo imperatore il gionse su il traverso
E tutto lo passò da fianco a fianco;
Del’anima pensati: il corpo è perso!
Ma già non parve alor Baiardo stanco:
Col morto era il gambilo in sul sentero,
Sopra de un salto li passò il distriero.

10.
«Chi me potrà giamai chiudere il passo,
Che io non ritrovi a mio dileto scampo?»,
Dicea il re Carlo, e con molto fracasso
Parea tra i saracin di foco un vampo.
Cornuto, quel distrier che fu de Urnasso,
Andava a vota sella per il campo;
Col corno in fronte va verso Baiardo:
Non si spaventa quel distrier galiardo!

11.
Sancia che Carlo lo governa o guide,
Volta le groppe e un par di calci serra:
Dove la spala apunto si divide
Gionse a Cornuto e getalo per terra.
Oh quanto Carlo forte se ne ride!
Mo’ se incomencia ad ingrossar la guera,
Perché de’ saracin gionge ogni schiera:
Davanti a tutti li altri vien l’Anfrera.

12.
Sula ziraffa vien il smisurato,
Menando forte al basso de il bastone.
Torpin di Rana al campo ebbe trovato:
Sotto la cinta se il posse al galone;
Tal cura n’ha se non l’avesse a lato.
Dopo lui branca Belengeri e Ottone;
De tutti tre doppo ne fece un fasso
Legati insieme li porta a Gradasso.

13.
E’ ritornò ben presto ala campagna,
Che tutti gli altri ancor volìa pigliare.
Gionse Marsilio e sua gente di Spagna:
Or se comencia le man a menare!
La vita o il corpo qui non si sparagna:
Ciascun tanto più fa quanto pò fare.
Già tutti i paladini e Oliveri
Sono raduti intorno alo imperieri.

14.
Egli era in su Baiardo, copertato
A zigli d’or dale còme al talone;
Oliver il marchese a lato a lato,
Ale sue spalle il possente Dudone,
Angelieri e Ricardo apregïato,
Il duca Naimo e il conte Ganelone,
Ben streti insieme vano con roina
Contra a Marsilio e gente saracina.

15.
Feraguto scontrò con Olivieri:
Ebbe vantagio alquanto quel pagano,
Ma non che il pigasse de il distreri;
Poi comenciarno con le spade in mano.
E scontrarno Spinella e Angelieri,
E il re Morgante se scontrò con Gaino,
E lo Argalifa e il duca di Bavera,
E tuta insieme poi schiera con schiera.

16.
Cossì le schiere sono insieme urtate;
Grandonio era afrontato con Dudone:
Questi si davan diverse mazate,
Però che l’un e l’altro avea il bastone.
Par che le gente sïeno acopiate:
Re Carlo Mano è con Marsilïone,
E ben l’arebbe nel tutto abatuto,
Se non gi fosse gionto Feraguto,

17.
Che lasciò la battaglia de Oliviero,
Tanto gl’increbbe di quel suo ciano.
Ma quel marchese, ardito cavaliero,
Vene alo aiuto de re Carlo Mano.
Or ciascun di lor quatro è bon guirero,
Di cor ardito e ben presto di mano;
Re Carlo era quel giorno più galiardo
Che fosse mai, perché era su Baiardo.

18.
Ciascun è gran barone o re possente,
E per onor e gloria se procacia;
Non se adoprano e scudi per nïente,
Ognon mena de il brando ad ambe bracia.
Ma in questo tempo la cristiana gente
La schiera saracina in rotta cacia:
De il re Marsilio è in terra la bandera;
Ecco ala zuffa è tornato l’Anfrera.

19.
Quella gente de Spagna se ne andava
A tutta briglia fugendo nel piano;
Marsilio né Grandonio li voltava,
Anci con li altri in frota se ne vano;
E lo Argalifa le gambe menava,
E il re Morgante, quel falso pagano;
Spinella si fugiva ala distesa;
Sol Feraguto è quel chi fa diffesa.

20.
Lui ritornava a guisa di leone,
Né mai le spalle al tutto rivoltava;
Adosso a lui sempre è il franco Dudone,
Oliveri e il re Carlo martellava.
Lui or di punta, or mena riversone:
Or questo, or quel d’i tre spesso caciava;
Ma come egli era punto dai soi mosso,
A furia tutt’e tri li erano adosso.

21.
E certamente l’avrìan morto o preso,
Ma (come è detto) ritornò l’Anfrera;
Mena il bastone di cotanto peso:
Al primo colpo divide una schiera.
Già Guido di Bergogna a lui si è reso,
Con esso il vechio duca di Baviera;
Ma Oliver e Dudone e Carlo Mano,
Tutti e tre insieme a lui adosso vano.

22.
Chi di qua, chi di là li vene a dare,
Ciascun li è intorno con fronte sicura;
Lui la zirafa non pò rivoltare,
Chi è bestia pigra molto per natura.
Colpi diversi ben potea menare:
Re Carlo e li altri de schifarli han cura;
Ma poi che più non pò, nanti a Gradasso
Con la zirafa fuge di trapasso.

23.
Il re Gradasso lo vede venire,
Che l’avea prima in bona opinïone;
Verso di lui se affronta e prese a dire
«Ahi bruto manigoldo, vil bricone!
Non ti vergogni a tal modo fugire?
Tanto sei grande e sei tanto poltrone!
Va’ nel mio paviglion, vituperato:
Fa’ che più mai io non te veda armato!».

24.
E cossì deto, toca la sua alfana:
Al primo scontro riversò Dudone.
Mostra Gradasso forcia più che umana:
Ricardo abatte, e lo re Salamone.
Mòvessi la sua gente sericana:
A tuti fa il suo core de dragone;
Di ferro intorno è cinta la sua lancia:
Mai non fo al mondo sì fata posancia!

25.
E’ se fu riscontrato al conte Gano:
Gionse nel scudo, a peto de il falcone;
A gambe aperte lo getò su il piano.
Da longe ebe veduto il re Carlone;
Spronagli adosso con la lanza in mano:
Al primo colpo il geta delo arcione.
La briglia di Baiardo in man ha tolta:
Presto le grope quel distrier rivolta,

26.
Forte cridando un par di calci mena.
Di soto da il ginochio il colse un poco:
La schiniera è incantata e grossa e piena,
Pur dentro se piegò gitando foco.
Mai non sentì Gradasso cotal pena:
Tanto ha la doglia che non trova loco;
Lascia Baiardo e la briglia abandona:
Dentro a Parigi va la bestia bona.

27.
Gradasso se ritorna al paviglione;
Non dimandati se egli ha gran dolore.
S’è radoto nel campo ier un vechione
Che dela medecina avea l’onore:
Legò il genochio con molta ragione;
Poi de radice e de erbe avea un liquore
Che, come il re Gradasso l’ha bevuto,
Par che quel colpo mai non abia avuto.

28.
Or torna ala bataglia assai più fiero:
Non è rimedio ala soa gran possanza.
Venegli adosso il marchese Olivero,
Ma lui lo atera co’ un colpo de lanza;
Avolio, Avino e Guido e Angeliero
Van tuti quatro insieme ad una danza;
A dir in somma, e’ non vi fu barone
Che non l’avesse quel giorno pregione.

29.
Il popul cristïano in fuga è volto,
Né contra a’ saracin più fan diffesa;
Ogni franco baron di megio è tolto,
L’altra gentalia fuge ala distesa.
Non vi è chi mostri a quei pagan il volto,
Tutta la bona gente è morta o presa,
Li altri tutti ne vano in abandono:
Sempre ale spalle e saracin li sono.

30.
Or dentro da Parigi è ben palese
La gran sconfitta e che Carlo è in pregione.
Salta de il leto subito il Danese
Forte piangendo, quel franco barone;
Fascia la coscia e vèstisse l’arnese,
E ala porta ne vene pedone,
Ché, per non indugiare, il sir pregiato
Comanda che il distrier lì sia menato.

31.
Comme qui gionge, la porta è serrata;
Di fuor da quella se odeno gran stride:
Morta è tuta la gente batizata,
Non vòl aprir quel portier omicide!
Perché la Paganìa non vi sia intrata
Comporta che i pagan sua gente occide.
Il Danese lo prega e lo conforta
Che sotto a sua diffesa apra la porta.

32.
Quel portier crudo con turbata faza
Dice al Danese che non vòl aprire,
E con parole superbe il menaza
Se dala guardia sua non s’ha a partire.
Il Danese turbato prende una aza,
Ma, come quello il vede a sé venire,
Lascia la porta e fuge per la terra:
Presto il Danese quella apre e disserra.

33.
Il ponte calla lo ardito guirero:
Sopra vi monta lui con l’aza in manno.
Ora di aver bon ochi li è mestero,
Che dentro fuge a furia ogni cristiano
E ciascadun vòle esser il primero.
Mesciato è tra lor seco alcun pagano;
Ben lo cognose il Danese possente
E con quella aza fa ciascun dolente.

34.
Gionge la furia de’ pagani in questa:
Avanti a tutti li altri è Serpentino.
Sopra de il ponte salta con tempesta;
L’aza mena il Danese paladino
E gionge a Serpentino in sula testa.
Tutto se avampa a foco l’elmo fino,
Perché di fatasone era sicura
De il franco Serpentin quella armatura.

35.
Sente il Danese la foria arivare:
Gionge Gradasso e Feragù possente;
Ben vede lui che non pò riparare,
Tanto gl’ingrossa de intorno la gente.
Il ponte ale sue spalle fa tagliare:
Giamai non fu un baron tanto valente!
Contra tanti pagan, tutto soletto,
Diffese un pecio il ponte a lor dispeto.

36.
Intorno li è Gradasso tuttafiata,
E ben comanda che altri non se impaza.
Sente il Danese la porta serrata:
Ormai più non se cura e mena l’aza.
Gradasso con la man l’ebbe spezata,
Dismonta a piedi e ben streto lo abraza:
Grande è il Danese, e forte campïone,
Ma pur Gradasso lo porta pregione.

37.
Dentro ala terra non è più barone,
Ed è venuto già la nocte scura.
Il popul tutto fa processïone
Con vesta bianca e con la mente pura;
Le chiesie sono aperte e le pregione,
Il giorno aspeta con molta paura:
Né altro ne resta che, ala porta aperta,
Veder sí stesso e sua cità diserta.

38.
Astolfo con quel’altri fo lassato,
Né se amentava alcun che il fosse vivo,
Perché, come fu in prima impregionato,
Fu detto a pieno che di vita è privo.
Era lui sempre di parlar usato,
E vantatore assai più ch’io non scrivo:
Però, come oldì il facto, disse: «Ahi lasso!
Ben sepe come io stava il re Gradasso!

39.
Se io me trovava dela pregion fora,
Non era giamai preso il re Carlone;
Ma ben li ponerò rimedio ancora:
Il re Gradasso vuò pigliar pregione,
E domatina, al tempo del’aurora,
Armato e solo io montrò in arcione!
Stati voi sopra a’ merli ala vedeta:
Tristo è il pagan che nel campo m’aspeta!».

40.
Di for se alegra quella gente fiera
E stano al re Gradasso tuti intorno,
Lui sta nel megio con superba cera
Per prender la cità al novo giorno;
Per alegreza perdonò al’Alfrera.
Or conduti e pregion davanti fòrno:
Come Gradasso vide Carlo Mano,
Seco lo aseta e prendello per mano.

41.
E a lui disse: «Savio imperatore,
Ciascun signor gentil e valoroso
De gloria cerca e pascese de onore:
Chi atende a far richeza o aver riposo,
Sancia mostrar in prima il suo valore,
Merta de il regno al tuto esser deposo.
Io che in Levante mi potea possare,
Sono in Ponente per fama acquistare,

42.
Non certamente per acquistar Franza,
Né Spagna, né Alamagna, né Ungaria.
Lo effecto ne serà testimonianza:
A me basta mia antiqua signoria,
Eguai a me non voglio di possanza.
Adunque ascolta la sentencia mia:
Un giorno intégro tu con toi baroni
Voglio che in campo me siati pregioni.

43.
Poi ne potrai a tua cità tornare,
Che io non voglio in tuo stato por la mano,
Ma con tal pato: che me abi a mandare
Il destrier de il signor di Montealbano
(Che di ragione io l’ebe ad acquistare,
Abenché me gabasse, quel vilano);
E simil voglio, come torni Orlando,
Che in Sericana mi manda il suo brando».

44.
Re Carlo dice de darli Baiardo,
E che de il brando farà il suo potere.
Ma il re Gradasso il priega sancia tardo
Che mandi a tuorlo, che lo vòl vedere.
Cossì ne vene a Parigi Ricardo:
Ma come Astolfo questo ebe a sapere
(Lui de il governo ha pigliato il bastone),
Prende Ricardo e mettelo in pregione.

45.
Di fuor de il campo manda uno araldo
A disfidar Gradasso e la sua gente:
Che se lui dice aver preso Renaldo,
Over caciato, o morto, che il ne mente,
E disdir li farà come ribaldo;
Che Carlo ha a far in quel destrier nïente,
Ma se lo vòle, esso il venga ’ acquistare:
Doman su il campo ge l’avrà a menare.

46.
Gradasso domandava al re Carlone
Chi fosse questo Astolfo e di che sorte;
Carlo li dice sua condicïone,
Ed è turbato nelo animo forte.
Gano dicea: «Signor, egli è un buffone,
Che dà dileto a tutta nostra corte:
Non guardar a suo dir, né star per esso
Che non ci atendi quel che ci hai promesso».

47.
Dicea Gradasso a lui: «Tu dice bene,
Ma non creder però per quel ben dire
Di andarne tu, se Baiardo non vene.
Sia chi si vòle, egli è de molto ardire:
Voi seti qui tuti presi con pene,
E lui vòl meco a bataglia venire.
Or se ne venga e sia pur bon guirero,
Che io son contento: ma mena il distriero.

48.
Ma se io guadagno per forza il ronzone,
Io posso far de voi pur mio volere,
Né sono tenuto ala condicione,
Se non me aveti il patto ad ottenere».
O quanto era turbato il re Carlone!
Ché dove il crede libertate avere
E stato e robba e ogni suo barone,
Perde ogni cossa: e un pacio n’è casone!

49.
Astolfo, comme prima aparve il giorno,
Baiardo ha tutto a pardi copertato;
Di grosse perle ha l’elmo al cerchio adorno,
Guarnito è de or la spada al manco lato;
E tante riche pietre aveva intorno
Ch’a un re di tuto il mondo avrìa bastato;
Il scudo è d’oro, e sula coscia avìa
La lancia d’or che fu del’Argalìa.

50.
Il sol apunto alora si levava
Quando lui gionse in sula prataria;
A gran furor il suo corno sonava,
Ad alta voce doppo il suon dicìa:
«O re Gradasso, se forsi te grava
Provarti sol ala persona mia,
Mena con teco il gran gigante Alfrera
E, se te piace, mille in una schiera:

51.
Mena Marsilio e il falso Balugante,
Insieme Serpentino e Falcirone;
Mena Grandonio, ch’è sì gran gigante,
(Che una altra volta il tratai da castrone)
E Feraguto, ch’è tanto arrogante.
Ogni tuo paladino, ogni barone
Mena con teco, e tutta la tua gente,
Che te con tutti non temo nïente!».

52.
Con tal parole Astolfo avìa cridato.
Oh quanto il re Gradasso ne redìa!
Pur se arma tuto e vassene sul prato,
Ché de pigliar Baiardo voglia avìa.
Cortesemente Astolfo ha salutato,
Poi dice: «Io non sciò già che tu ti sia;
Io dimandai de tua condicïone:
Gano me dice che tu sei buffone.

53.
Altri m’ha detto poi che sei signore,
Ligiadro, largo, nobile e cortese,
E che sei de ardir pieno e di valore.
Quel che se sia, io non facio contese,
Anci sempre ti voglio far onore;
Ma questo te sciò ben dirti palese:
Che io vuò pigliarti (e si’, se vòi, galiardo);
Altro de il tuo non voglio che Baiardo!».

54.
«Ma tu fai sancia l’osto la ragione»
Diceva Astolfo «e convienla riffare.
Al primo scontro te levo de arcione
E, poiché te odo cortese parlare,
De il tuo non voglio il valor de un botone,
Ma vuò che ogni pregion me abi a donare
E te lasserò andare in Paganìa,
Salvo con tutta la tua compagnia!»

55.
«Io son contento, per lo dio Macone»,
Disse Gradasso «e cossì te lo giuro!»
Poi volta indreto e guarda il suo troncone
Cinto de ferro e tanto grosso e duro
Che non di tòre Astolfo de il ronzone,
Ma credìa de aterar un grosso muro.
Dal’altra parte Astolfo ben se afranca:
Forcia non ha, ma l’animo non manca.

56.
Già sula alfana se move Gradasso,
Né Astolfo d’altra parte sta a guardare:
L’un più che l’altro vien a gran fracasso,
A megio il corso si ebbeno a scontrare.
Astolfo toccò primo il scudo a basso,
Ché per niente non volìa fallare;
Sì (comme io disse) al scudo basso il toca,
E fuor de sella netto lo traboca.

57.
Quando Gradasso vede che egli è in tera,
A pena che a sé crede che il sia vero:
Ben vede mo’ che fenita è la guera
E perduto è Baiardo, il bon distriero.
Lèvassi in piedi e la sua alfana affera;
Volto ad Astolfo e’ disse: «Cavaliero,
Con meco hai tu vinta la tenzone:
A tuo piacer, vien piglia ogni pregione!».

58.
Cossì ne vano insieme a man a mano:
Gradasso molto li faceva onore.
Carlo né i paladin ancor non sano
De quella giostra ch’è fatta il tenore;
E Astolfo a Gradasso dice piano
Che nulla dica a Carlo imperatore,
E a lui sol de dir lascia lo impacio,
Che alquanto ne vuol prender di solacio.

59.
E gionto avanti a lui, con viso acerbo
Disse: «E peccati te han cerchiati in tondo:
Tanto eri altero e tanto eri superbo
Che non stimavi tutto quanto il mondo!
Renaldo e Orlando, che fòr di tal nerbo,
Sempre cercasti di metterli al fondo;
Ecco usurpato te avevi Baiardo:
Or l’ha acquistato questo re galiardo.

60.
A torto me ponesti in la pregione,
Per far careza a casa di Maganza;
Or dimanda al tuo conte Ganelone
Che ti conserve nel regno di Franza!
Or non v’è Orlando, fior de ogni barone,
Non v’è Renaldo, quella franca lanza:
Ché se sapisti tal gente tenire,
Non senteristi mo’ questo martire.

61.
Io ho donato a Gradasso il ronzone
E già mi son con lui ben acordato:
Stòmi con sieco e servo di buffone,
Mercé de Gano, che me gli ha lodato.
So che li piace mia condicïone:
Ognon de voi li avrò ricomandato;
Lui Carlo Mano vuol per ripostieri,
Danese scalco, e per coquo Olivieri.

62.
Io li ho lodato Gano di Maganza
Per omo forte e digno de alto affare,
Sì che stimata sia la sua possanza:
Le legne e l’acqua convirà portare.
Tutti voi altri poi, gente da zanza,
A questi soi baron vi vòl donare
E, se a lor sarà grata l’arte mia,
Farò che avrite bona compagnia».

63.
Già non rideva Astolfo de nïente,
E proprio par che il dica dadovera.
Non dimandar se il re Carlo è dolente
E ciascadun ch’è preso in quella schiera!
Dice Turpin a lui: «Ahi, miscredente!
Hai tu lassata nostra fede intiera?».
A lui rispose Astolfo: «Sì, pritone,
Lassato ho Cristo e adoro Macone!».

64.
Ciascun è smorto e sbigotito e bianco:
Chi piange, chi lamenta e chi sospira.
Ma poi che Astolfo di beffar è stanco,
Avanti a Carlo in ginochion se tira,
E disse: «Signor mio, voi seti franco!
E se il mio fallir mai vi trasse ad ira,
Per pietate e per Dio chiedo perdono,
Ché, sia quel che io mi voglia, vostro sono.

65.
Ma ben ve dico che mai per nïente
Non voglio in vostra corte più venire:
Stia con voi Gano e ogni suo parente
Che sano il bianco negro far venire.
Il stato mio vi lasso obedïente:
Io damatina me voglio partire,
Né mai me posarò per fredo o caldo,
Insinché Orlando non trovi e Renaldo!».

66.
Non sàno ancor se il beffa o dice il vero:
Tutti l’un l’altro se guardava in volto
Sinché Gradasso, quel signor altero,
Comanda che ciascun via se sia tolto.
Gano fu il primo a montare a distriero
Astolfo, che lo vede, il tempo ha colto,
E disse a lui: «Non andati, barone!
Li altri son franchi, e voi sete pregione!».

67.
«Di cui son io prigion?» diceva Gano;
Rispose a lui: «De Astolfo de Ingliterra».
Alor Gradasso fa palese e piano
Comme sia stata tra lor doi la guerra.
Astolfo il conte Gano prende a mano,
Con lui davanti di Carlo se aterra
E inginochiato disse: «Alto signore,
Costui voglio francar per vostro amore;

68.
Ma con tal patti e tal condicïone:
Che in vostra man el convirà ziurare
Per quatro giorni de intrar in prigione,
E dove e quando io lo vorò mandare;
Ma, sopra a questo, vuò promissïone
(Perché egli è usato la fede mancare)
Da’ paladini e da vostra corona
Darmi legata e presa sua persona».

69.
Rispose Carlo: «Io voglio che lo faza!»,
E fecelo giurare incontinente.
Or de andar a Parigi ognon si spacia;
Altro che «Astolfo!» non se ode nïente:
E chi lo basa in viso e chi lo abracia,
E da lui solo va tutta la gente.
Campato ha Astolfo (è suo questo onore!)
La fe’ de Cristo e Carlo imperatore.

70.
Carlo se aforza assai de il ritenere:
Irlanda tuta li volea donare;
Ma lui se è destinato de partire,
Che vòl Renaldo e Orlando ritrovare.
Qua più non ne dirò: lasciatel gire,
Che assai di lui avrò poi a contare.
Or quela notte, inanti al matutino,
Partì Gradasso e ogni saracino.

71.
Andarno in Spagna, e lì restò Marsilio
Con la sua gente e ogni suo barone;
Gradasso ivi montò sopra al naviglio
Chi era una quantità fuor de ragione.
Or di nararvi fatica non piglio
Il suo viaggio e quelle regïone
Di negra gente sotto il ciel sì caldo,
Ma trovar volio ove io lasiai Renaldo.

72.
E conterovi de una alta ventura
Che li intravenne, e ben maravigliosa,
E de leticia piena e di sciagura
Che forsi sua persona valorosa
Mai non fu a sorte sì spietata e dura!
Ma pigliar vo’ i’ adesso alcuna posa,
E poi vi conterò nel’altro canto
Cose mirabil di alegreza e pianto.

1. Secondo TISSONI BENVENUTI 1999 questo canto chiude una sequenza compatta, una sorta di primo segmento con cui Boiardo mette alla prova se stesso e sperimenta il gusto del suo pubblico. 1. crudele e diversa: emistichio dantesco; cfr. Inf. VI, 13 «Cerbero, fiera crudele e diversa» (in rima con si riversa) (SANGIRARDI 1998, p. 818). 3. giù riversa: ‘rovescia a terra’. 4. Partito: ‘diviso’. 7. Ferrì: ‘ferì’; in rima con il solito raddoppiamento ipercorretto come in molte parole vicine (Danesse, doppo, callare ecc.). 8. Lo arnese: ‘l’armatura’. anguoscia: cioè angoscia ‘dolore’, con iperdittongazione.

2. 2. indreto: ‘indietro’. 8. de: ‘da’.

3. 1. uscite: ‘uscì’ (cfr. I, ii, 59, 4). 2. a bontà: ‘quanto a valore’.

4. 1. feroce: ‘fiero’. 4. che non piera: ‘che non perisca’. 5. Moneci: ‘monaci’. 6. preghiera: plurale. 7. diffenda e guardi: coppia sinonimica. 8. e soi baron: ‘e i suoi cavalieri’.

5. 4. èno: ‘sono’. 6. ramescolati: ‘mescolati’; con prefisso marcatamente padano (cfr. I, i, 19, 8; I, iv, 18, 4 ecc.). 8. Il paragone è topico (CABANI 1988, p. 111). la marina: ‘il mare’.

6. 1. vano a traverso: il senso non è chiaro; forse ‘cadono a terra di qua e di là’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 3. Altachiara:è la spada di Olivieri (Hauteclaire nei testi a. fr.: il nome alludeva alla lucentezza della lama). 5. perso: ‘mandato a vuoto’.

7. 2. mose: la lezione è accettabile, ma va forse corretta in mise, verbo formulare in contesti come questo (cfr. I, xvi, 50, 7). 4. Partendo: ‘tagliando’. 5. : ‘colpisce’.

8. 3. sbaratata: ‘sbaragliata’. 4. Topos dell’evento senza precedenti (CABANI 1988, p. 86). 6. ‘perché vide il re Francardo’. 7. Elissa: forse Ely, sulle coste occidentali dell’India.

9. 1. Sagittando: ‘scagliando frecce’. diverso: ‘orribile’. 2. gambilo: ‘cammello’. 3. su il traverso: ‘di lato’. 8. de un salto: ‘con un salto’.

10. 2. a mio dileto: ‘a mio piacere’. 4. di foco un vampo: ‘una vampa di fuoco’. 6. vota: ‘vuota’.

11. 1. Sancia: ‘senza’. lo governa o guide: coppia sinonimica; entrambi i verbi sono al congiuntivo. 2. par: ‘paio’. serra: ‘sferra’. 3. ‘dove la spalla si articola’. 5. Espressione formulare (cfr. 52, 2).

12. 2. al basso: l’Anfrera era molto alto. de il: con il. 3. Torpin di Rana: Turpino di Reims (cfr. I, i, 3, 2). 4-5. ‘se lo mise al fianco sotto la cintura: se ne cura come se non l’avesse di lato’. 6. branca: ‘prende’. 7. fasso: ‘fascio’; cioè li legò insieme.

13. 1. campagna: ‘campo di battaglia’. 5. sparagna: ‘risparmia’, voce sett. (TROLLI 2003, p. 276). 8. raduti: ‘ridotti’ (cfr. 5, 6). imperieri: ‘imperatore’ (cfr. I, i, 17, 4).

14. 1-2. ‘coperto a gigli d’oro dalla criniera al tallone’; i gigli d’oro sono il simbolo del re di Francia. 3. a lato a lato: ‘fianco a fianco’. 5. La lezione è condivisa da tutti i testimoni e costringe a una poco probabile dieresi in apregïato (‘pregiato, valoroso’, cfr. 30, 7); forse è da ipotizzare un originario apretiato/-ziato. 6. Ganelone: var. comune di Gano (a. fr. Ganelon). 7. roina: furia.

15. 1. scontrò: il verbo è usato indifferentemente in modo transitivo o riflessivo (cfr. v. 6). 3. La lezione di P, a testo, impone dialefe tra che e il; gli altri testimoni presentano un più regolare che lo pigasse: ‘piegasse’. 6. Gaino: forma francesizzante del nome (Gaines), che però sembra presupporre il comune Gano ai fini della rima.

16. 3. diverse: ‘non comuni’; l’arma di Dudone era la mazza ferrata (bastone al v. successivo). 7. arebbe: ‘avrebbe’. 8. gi: ‘lì’, forma sett. arcaica; gli altri testimoni hanno gli. Ottava aperta.

17. 2. gl’increbbe: ‘gli spiacque’. ciano: cioè ziano ‘zio’. 3. quel marchese: Olivieri. 5. guirero: ‘guerriero’. 6. presto: ‘veloce’.

18. 2. se procacia: ‘si impegna’. 3. e: ‘gli’. 4. Cfr. I, v, 3, 4. 8. Espediente topico: l’arrivo di un campione ribalta le sorti di una battaglia il cui esito sembra segnato. In questo caso il racconto dell’effetto è differito all’ottava 21 e così Boiardo varia uno schema ben collaudato.

19. 3. li voltava: ‘li faceva tornare indietro (alla battaglia)’. 4. Anci: ‘anzi’. 5. le gambe menava: cioè fuggiva. 6. falso: ‘traditore’; formulare (cfr. I, iii, 13, 6). 7. ala distesa: ‘velocemente’. 8. chi: per che.

20. 1. a guisa di: ‘come’. 4. martellava: ‘lo colpivano in continuazione’. 5. riversone: ‘di rovescio’. 7. punto: ‘un po’’. mosso: ‘allontanato’.

21. 3. P ha baston; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. 5. reso: ‘arreso’.

22. 6. schifarli: ‘schivarli’. 7. più non pò: ‘non ne può più’. nanti: ‘davanti’. 8. di trapasso: passo della giraffa (cfr. I, iv, 66, 7).

23. 6. poltrone: ‘vile’. 7. vituperato: ‘svergognato’. 8. Si ha diesinalefe tra mai e io (MENICHETTI 1993, pp. 248-249).

24. 1. toca: ‘sprona’. alfana: ‘cavallo’ (cfr. I, iv, 31, 8). 5. Mòvessi: ‘si muove’. 6. ‘comunica a tutti il suo coraggio da drago’. 8. posancia: ‘possanza’.

25. 2. falcone: simbolo araldico dei Maganzesi che è raffigurato sullo scudo di Gano. 6. il geta delo arcione:‘disarciona Carlo Magno’. 8. Come suo solito, Baiardo dimostra intelligenza umana e si oppone bravamente alla conquista da parte di Gradasso. Ottava aperta.

26. 1. cridando: ‘nitrendo’. 2. il colse: ‘lo colpì’. 3. schiniera: parte dell’armatura che ripara lo stinco. 4. dentro se piegò: ‘si piegò verso l’interno’. 6. non trova loco: cfr. I, i, 34, 2. 7. Chiasmo. 8. bona: ‘valorosa’.

27. 3. S’è radoto: ‘si è ridotto, è arrivato’. 4. ‘che primeggiava nella medicina’. 5. ragione: ‘bravura’. 6. liquore: ‘pozione’.

28. 4. atera: ‘atterra, abbatte’. 6. ad una danza: ‘incontro alla stessa sorte (quella di essere catturati)’. 8. l’avesse: il pronome è pleonastico; il soggetto è evidentemente Gradasso.

29. 5. Fuggendo mostrano la schiena. 7. in abandono: ‘alla disperata’; formulare. 8. e: ‘i’.

30. 5. vèstisse l’arnese: ‘indossa l’armatura’. 6. pedone: ‘a piedi’. 7. pregiato: ‘valoroso’.

31. 1. Comme: ‘quando’. 4. omicide: ‘assassino’. 5. ‘perché i mussulmani non entrino’. 6. Comporta: ‘sopporta’. occide: ‘uccidano’. 7. conforta: ‘esorta’.

32. 1. crudo: ‘crudele’. 3. il menaza: ‘lo minaccia’. 4. dala guardia sua: ‘dal suo posto di guardia’. 5. aza: l’azza è un’arma corta dotata sia di punta sia di lame, atta a colpire e a sfondare le armature; può avere forme diverse. 8. apre e disserra: coppia sinonimica.

33. 2. manno: raddoppiamento ipercorretto. 3. li è mestero: ‘gli è necessario’. 6. Mesciato: ‘mescolato’. 7. cognose: ‘riconosce’.

34. 1. in questa: ‘in questo frangente’. 3. tempesta: ‘furia’. 6. a: ‘di’. fino: ‘robusto’. 7. di fatasone: ‘in virtù di un incantesimo’.

35. 1. foria: ha qualche probabilità di essere corretta la lezione folta ‘mischia’ degli altri testimoni. 3. riparare: ‘difendere’ (TISSONI BENVENUTI 1999), o forse ‘tornare’. 5-8. Il gesto di Uggeri è chiaramente memore di quello di Orazio Coclite. 8. un pecio: ‘per un pezzo’.

36. 1. tuttafiata: ‘continuamente’. 2. non se impaza: ‘non si impicci’. 6. lo abraza: ‘lo abbraccia’. 8. pregione: ‘prigioniero’.

37. 1. terra: ‘città’. 5. chiesie: forma latineggiante. 7. ‘né resta altro da fare che, quando la porta (della città) sarà aperta’. 8. sí stesso: ‘se stesso’. diserta: ‘distrutta’.

38. 2. se amentava: ‘si rammentava’. il: ‘egli’. 3. in prima: ‘non appena’. 4. a pieno: ‘con sicurezza’. 5-6. Per queste caratteristiche del personaggio cfr. I, i, 60. 5. usato: ‘abituato’. 7. oldì: ‘udì’. 8. ‘Il re Gradasso è venuto a sapere che ero in prigione’.

39. 1. fora: ‘fuori’. 2. Non era giamai preso:‘non sarebbe mai stato catturato’ (cfr. I, i, 65, 5-6). 4. vuò: ‘voglio’. 6. La lezione di P richiede dialefe tra solo e io; gli altri testimoni leggono montarò, in luogo del sincopato montrò.

40. 1. Di for: ‘fuori dalla città’. 3. cera: ‘aspetto’. 4. La lezione di P richiede dialefe tra cità e al; gli altri testimoni leggono citade. 6. e pregion: ‘i prigionieri’. fòrno: ‘furono’. 8. ‘lo fa sedere vicino a sé e lo prende per mano’.

41. 2. gentil: ‘nobile’. 3. Chiasmo. 6. deposo: ‘deposto’. 7. possare: ‘riposare’.

42. 3. Lo effecto: ‘gli effetti, ciò che accadrà’. 5. Eguai… di possanza: ‘pari a me per potenza’. 6. Adunque: cfr. I, ii, 4, 7. sentencia: ‘sentenza’.

43. 6. gabasse: ‘imbrogliasse’ non presentandosi al duello. 7. simil: ‘similmente’.

44. 2. il suo potere: ‘ciò che potrà’. 3. sancia tardo: ‘senza esitare’, zeppa. 4. tuorlo: ‘prenderlo’. 7. bastone: simbolo del comando.

45. 5. ‘e che lo farà ritrattare come un traditore’. 6. ha a far in quel destrier nïente: ‘non ha alcun potere su quel cavallo’. 7. il venga ’ acquistare: ‘lo venga a conquistare’. 8. ge l’avrà a menare: ‘glielo porterà’; ge è voce sett. molto comune, forse da pronunciare ghe.

46. 2. di che sorte: ‘che tipo di uomo’. 3. condicïone: ‘rango sociale’. 5. La nomea di pazzo o di buffone accompagna Astolfo fin dall’età franco-italiana e si diffonde in molti romanzi anonimi in ottave, frutto della sua indole volubile e millantatoria. 7-8. ‘e non indugiare, per causa sua, a mantenere ciò che ci hai promesso’.

47. 3. andarne: ‘andartene’. 4. Sia chi si vole: ‘chiunque egli sia’.

48. 1. ronzone: ‘cavallo’ (cfr. I, ii, 50, 2). 4. ottenere: ‘mantenere’ (TROLLI 2003, p. 208). 6. dove: ‘proprio quando’. 8. pacio: ‘pazzo’. casone: ‘motivo’.

49. 1. comme prima: ‘non appena’. 2. Il pardo è il simbolo araldico di Astolfo. 3. cerchio: banda metallica attorno all’elmo (TROLLI 2003, p. 110). 6. avrìa bastato: ‘sarebbero bastate’. 8. Abile tocco di regia: la descrizione del prezioso (ma in sostanza inutile) armamento di Astolfo si chiude sull’unico pezzo che sarà determinante.

50. La sfida di Astolfo segue la prassi consueta, dal suono del corno alle minacce all’avversario. 5. te grava: ‘ti pesa, ti spaventa’. 7. Mena con teco: ‘porta con te’.

51. 4. castrone: cfr. I, vi, 31, 6.

52. 2. redìa: ‘rideva’; forse per ipercorrettismo sulle frequenti chiusure di e in i (ma, come annota anche TISSONI BENVENUTI 1999, gli altri testimoni hanno qui un più normale ridìa). 3. vassene: ‘se ne va’.

53. 2. largo: ‘generoso’. 4. ‘Comunque sia, io non sto a discutere’. 6. te: pronome pleonastico. 7. si’: ‘sii’.

54. 1. ‘Ma tu fai i conti senza l’oste’; frase proverbiale. 2. convienla riffare: ‘bisogna rifarli’.

55. 3. troncone: la lancia. 5. tòre… de il ronzone: ‘togliere dal cavallo, disarcionare’. 7. ben se afranca: ‘si assicura per bene sulla sella’.

56. 4. A megio il corso: ‘a mezza strada’. 5. ‘Astolfo colpì per primo la parte bassa dello scudo’. 6. fallare: ‘sbagliare’. 8. lo traboca: ‘lo fa cadere’.

57. 2. ‘ripensandoci, a malapena crede che il fatto sia realmente accaduto’. 3. fenita: ‘finita’. 5. Lèvassi: ‘si alza’. 8. vien piglia: doppio imperativo asidentico.

58. 1. a man a mano: ‘insieme’. 4. ‘come si è svolto il duello che si è fatto’. 8. solacio: ‘divertimento’.

59. 1. viso acerbo: ‘aria risentita’. 2. te han cerchiati in tondo: ‘ti hanno circondato’. 5. che fòr di tal nerbo: ‘che ebbero tale vigore’. 6. metterli al fondo: ‘rovinarli’. 8. acquistato: ‘conquistato’.

60. 2. Per far careza: ‘per fare piacere’. 7. sapisti: ‘sapessi’. tenire: ‘tenere (presso di te)’. 8. senteristi: ‘sentiresti’.

61. Comincia qui la climax con cui Astolfo si prende la rivincita su Carlo Magno, sui Maganzesi e su tutti i suoi denigratori. Nello scherzo, tutti i personaggi cristiani più eminenti dovranno assumere le funzioni più umili alla corte di Gradasso, coerentemente con il ruolo di Astolfo, che ora sarà un vero buffone. 3. Stòmi con sieco: ‘me ne sto con lui’. 4. ‘grazie a Gano, che gli ha parlato bene di me’. 5. condicïone: rinvio ironico a 46, 5-8. 6. li avrò ricomandato: ‘gli raccomanderò’. 7. ripostieri: sorta di cameriere, forse addetto alle vivande (TROLLI 2003, p. 246). 8. scalco: ‘addetto al taglio delle vivande’. coquo: ‘cuoco’.

62. 1-2. Così come Gano aveva lodato Astolfo presso Gradasso nell’ottava precedente. 4. convirà: ‘dovrà’; qui il verbo convenire è costruito in modo personale. 5. gente da zanza: ‘gente buona solo per le chiacchiere’. 7. l’arte mia: quella del buffone. 8. avrite: ‘avrete’.

63. È interessante notare che, in alcuni romanzi precedenti l’Inamoramento de Orlando, Astolfo prigioniero dei saraceni promette loro aiuto e talvolta pure di convertirsi all’Islam pur di avere salva la vita. Qui sembra che Boiardo lo voglia riscattare dall’immagine di codardo e potenziale apostata (CANOVA 2007, pp. 98-106). 1. de nïente: ‘per nulla’. 2. Si preferisce emendare in dadovera ‘davvero’ (T Z) il da vera di P, a testo nell’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani. 6. intiera: credo che si debba interpretare come avverbio (‘integralmente’) piuttosto che come aggettivo (‘intera, pura’) riferito a fede. 7. pritone: ‘pretone’.

64. 1-2. Lo schema ternario ripetuto (TISSONI BENVENUTI 1999) rende bene lo sconforto generale dei prigionieri cristiani. 4. in ginochion: ‘in ginocchio’. se tira: ‘si mette’. 5. seti franco: ‘siete libero’.

65. 4. ‘che sanno trasformare il bianco in nero’. 6. L’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani conserva la lezione di P da matino ‘di mattina’, ma si preferisce quella di R damatina ‘domattina’ perché, come di consueto, il cavaliere vuole mettere subito in atto il suo proposito piuttosto che indicare un momento della giornata per la sua partenza. 7. posarò: ‘avrò riposo, mi fermerò’.

66. 1. beffa: ‘scherza’. 4. che ciascun via se sia tolto: ‘che tutti si tolgano di lì’. 6. il tempo ha colto: ‘ha scelto bene il momento’.

67. 1. Di cui: ‘di chi’. 3. fa palese e piano: ‘spiega’, dittologia sinonimica. 4. doi: ‘due’, solita forma sett. 5. a mano: ‘per mano’. 6. se aterra: ‘si inginocchia’. 8. francar: ‘liberare’. Ottava aperta.

68. 2. el convirà ziurare: ‘egli dovrà giurare’. 5. sopra: ‘oltre’.

69. 1. faza: ‘faccia’. 7. Campato ha: ‘ha salvato’. 8. fe’: ‘fede’.

70. 1. ‘Carlo si sforza molto di trattenerlo’. 3. se è destinato: ‘ha deciso’. 5. gire: ‘andare’. 7. inanti al matutino: ‘prima dell’alba’ (cfr. I, iv, 27, 7).

71. 3. naviglio: ‘flotta’. 4. fuor de ragione: ‘spropositata’.

72. 1. conterovi: ‘vi racconterò’. alta: ‘nobile’. 2. li intravenne: ‘gli accadde’. 5. ‘non si trovò mai in una condizione così tremenda’. 6. alcuna posa: ‘un po’ di riposo’.