CANTO TREDICESIMO

Rinaldo affronta un gigante che custodisce l’ingresso di una caverna, dentro la quale si trova Rabicano. Il cavallo è un vero prodigio: nessuno corre quanto lui (1-5). Il gigante è armato e si serve anche di due grifoni che tiene alla catena, ma Rinaldo lo ferisce a morte (6-11). L’avventura non è finita perché il gigante, prima di morire, libera i grifoni, che aggrediscono il paladino. Pur con notevoli difficoltà, Rinaldo ha ragione di entrambe le feroci creature (11-23). Prima di rimettersi in cammino, il cavaliere esplora la caverna e vi trova una porta meravigliosamente lavorata: nel mezzo giace una donzella morta. Da una scritta sopra la porta si apprende che solo chi promette di vendicare la fanciulla potrà ottenere Rabicano e avere salva la vita. Rinaldo giura subito e varca la soglia. Vicino al cavallo trova un libro scritto con il sangue, nel quale legge la storia della sfortunata donzella (24-30). Trufaldino, re di Baldaca, odiava Orrisello, signore di Montefalcone, una terra confinante con la sua. Orrisello aveva una sorella bellissima, di nome Albarosa, innamorata del nobile cavaliere Polindo, che la ricambiava. Trufaldino sapeva di non potere espugnare Montefalcone con la forza e dunque decise di agire con l’inganno: si finse amico di Polindo e lo convinse ad accettare il suo aiuto per conquistare l’amore di Albarosa; donò quindi al giovane un castello dove potesse incontrarla. Convenuti i due amanti nella rocca, Trufaldino li fece catturare e cercò di persuadere Albarosa a scrivere una lettera al fratello per attirarlo in un’imboscata, ma la giovane rifiutò e neppure le torture più atroci bastarono a farle cambiare idea. Lo sventurato Polindo aveva dovuto assistere alla terribile scena (31-46). Davanti al cadavere di Albarosa, Rinaldo si commuove e giura nuovamente vendetta. Quindi riparte con Fiordelisa ma ormai calano le tenebre e i due devono fermarsi per dormire. Contrariamente alle sue abitudini, Rinaldo – ancora sotto l’effetto dell’acqua del disamore – non degna di alcuna attenzione Fiordelisa, che rimane molto delusa (47-50). All’improvviso appare un centauro, che vive nella selva dove soggiornano i due, e attacca Rinaldo che si difende gagliardamente. Il mostro allora cattura Fiordelisa (51-58).

1.
Io vi disse di sopra comme odito
Fu quel gran crido di spavento pieno;
Di nulla s’è Ranaldo sbigotito:
Smonta ala terra e lascia il palafreno
A quella dama da il viso fiorito,
Che per gran tema tutta venìa meno.
Ranaldo imbraza il scudo e trase avante:
La cagione di quella era un gigante,

2.
Che stava fermo sopra ad un sentero,
Dréto a una tomba cavernosa e scura;
Orribil di persona e viso fiero
Per spaventar ogni anima sicura.
Ma non smarite già quel cavaliero
Che mai non ebe in sua vita paura,
Anci contra li va col brando in mano:
Nulla si move quel gigante altano.

3.
Di fero avëa in pugno un gran bastone,
De fina maglia è tuto quanto armato;
Da ciascun lato li stava un grifone,
Alla boca de il saxo incatenato.
Or, se volete saper la cagione
Che tenea quivi quel dismisurato,
Dico che quel gigante in guardia avìa
Quel bon distrier che fo del’Argalìa.

4.
Fu il caval fatto per incantamento,
Perché di foco e di favilla pura
Fu fenta una cavalla a compimento,
Benché sia cosa fora de natura;
Questa dapoi se fiè pregna di vento:
Nacque il destrier, veloce a dismisura,
Che erba di prato né biada rodea,
Ma solamente de aria se pascea.

5.
Dentro a quella spelunca era tornato,
Sì come lo disolse Feraguto,
Però che in quella prima fu creato
E chiuso in essa sempre era cresciuto.
Dapoi, per forza de libro incantato,
L’Argalìa un tempo l’avea posseduto
Finché fu vivo, e quello ultimo giorno
Fece il caval al suo loco ritorno.

6.
E quel gigante in sua guardia si stava
Con fronte altera, cruda e pertinace,
E sieco dui grifon incatenava,
Ciascun più ongiuto, oribil e rapace.
Quella catena a modo se ordinava
Che solver li può ben quando a lui piace;
Ogni grifon de quegli è tanto fiero
Che via per l’aria porta un cavaliero.

7.
Renaldo ala bataglia se apresenta,
Con grande aviso e con molto riguardo;
Né crediati però che il se spaventa
Perché vada sospeso a passo tardo.
L’alto gigante nel cor argumenta
Che questo sia un baron molto galiardo:
Lui scorgìa ben ciascun, se è vil o forte,
Che a più de mile avea data la morte;

8.
E tutto il campo intorno bianchegiava
De ossi de morti da il gigante occisi.
Or la bataglia dura incomenciava:
Perso è il ventagio e i pensati avisi,
Ma colpi roinosi se menava.
Non avea alcun di lor festa né risi,
Anci conoscon ben, senza fallire,
Che o l’un o l’altro qui convien morire.

9.
Il primo feritor fo il bon Renaldo
E gionse a quel gigante in sula testa;
Ma egli avea un elmo tanto forte e saldo
Che nula quel gran colpo lo molesta.
Ora esso di superbia e de ira caldo
Mena il baston in furia con tempesta;
Renaldo al colpo riparò col scuto:
Tutto il fracassa, quel gigante arguto,

10.
Ma non li fece per questo altro male.
Renaldo colpì lui con gran valore
De una ferita ben cruda e mortale,
Che fo nel fianco, assai vicina al core.
Subitamente par che mette l’ale:
Rimena l’altra con più gran furore,
Rompe di ponta quela forte maglia,
Sino ale rene passa la anguinaglia.

11.
Per questo fo il gigante sbigotito,
E vede ben che li convien morire:
Dele due piaghe ha un dolor infenito,
Né quasi in piedi se può sostenire;
Onde turbato prese il mal partito
Di far con sieco Renaldo perire:
Corre ala tana e con molto fracasso
Dislega i dui grifon da il forte sasso.

12.
Il primo tolse quel gigante in piede,
E via per l’aria con esso ne andava:
Tanto è salito che più non se vede.
L’altro verso Renaldo se avantava,
Che di portarsi il baron forsi crede:
Con le penne aruffate zuffillava,
L’ale ha distese e ogni branca aperta.
Renaldo mena un colpo di Fusberta

13.
E già non prese in quel ferir errore:
Ambe le branche ad un trato tagliava.
Sentì quel’ucelacio un gran dolore:
Via va cridando e mai più non tornava.
Ecco di verso il ciel un gran rumore:
L’altro grifone il gigante lasciava.
Non sciò se camparà di quel gran salto:
Più de tremile braza era ito ad alto.

14.
Roinando venìa con gran tempesta;
Renaldo il vede giù del ciel cadere:
Parli che al dréto venga di sua testa,
E quasi in capo già se il crede avere.
Lui vede la sua morte manifesta,
Né scià comme a quel caso provedere:
Per tuto ove egli fuge o sta a guardare
Sembra il gigante in quella parte andare.

15.
E già vicino a terra è gionto al basso;
Poco è Renaldo da lui dilongato,
Che li cade vicino a men de un passo.
Percosse al capo quel dismisurato,
E mena nel cader sì gran fracasso
Che tremar fece intorno tuto il prato.
Tal periglio a Renaldo è stato un sogno:
Ora aiutelo Dio, che egli è bisogno!

16.
Però che quel grifone in giù venìa
Ad ale chiuse, con tanto romore
Che il ciel e tutta l’aria ne fremìa
E oscurava al sol il suo splendore,
Con sì grande ombra quel campo coprìa:
Mai non fo vista una bestia magiore!
Torpin lo scrive lui per cosa certa
Che ogni ala è dieci braza essendo aperta.

17.
Renaldo fermo il grande ocello aspecta,
Ma poco tempo bisogna aspetare,
Perché qual è di foco una saeta
Cotal vide il grifon sopra arrivare.
Lui si stava ben scorto ala vedeta:
Nela sua gionta un colpo ebe a menare
Soto la gorga aponto al canaletto
Gionse un traverso, e fése assai nel peto.

18.
Non fu quel colpo tropo aspro e mortale,
Però che al suo voler non l’ebe colto.
Quel torna al ciel batendo le grande ale,
E forïoso ancor giù se è rivolto;
Gionse nel’elmo quel fiero animale
E il cerchio con lo ungion tuto ha dissolto:
Né ’l roppe né lo intaca tanto è fino
(L’elmo è fatato, e già fo di Mambrino!).

19.
Su vola spesso e giù torna a ferire:
Renaldo non la pote indovinare
Che una sol volta lo possa colpire.
Stava la donna la pugna a guardare
E di paura si credea morire;
Non già di sé, che non gli avìa a pensare,
Né de esser quivi lei si ricordava:
De il baron teme e sol per lui pregava.

20.
Per la note vicina il giorno ascura,
E la bataglia ancora pur durava.
Di questo sol Renaldo avìa paura:
De non veder la bestia che volava;
Onde per trarne fin pone ogni cura.
Ogni partito in l’animo pensava:
Al fin ne trova quel che debbia fare.
Poiché per l’aria lui non puote andare,

21.
Al fin su il prato tuto si distende,
Giù riversato comme fusse morto.
Quel’ucelazo subito discende,
Che non si fu di tal inganno accorto,
E a traverso con le branche il prende.
Stava Renaldo in sulo aviso scorto:
Non fu sì presto a quel’ucel gremito
Che menò il brando il cavalier ardito.

22.
Proprio sopra alla spalla il colpo sèra,
E nervi e l’osso Fusberta fracassa:
Di neto una ala li mandò per terra.
Ma per questo la fiera già nol lassa:
Con ambeduoi le grife il peto affera,
E sbergo e maglia e piastra tute passa;
E l’un e l’altro ongion strenge sì forte
Che par a quel baron sentir la morte.

23.
Ma non pertanto lascia di ferire:
Or nela pancia il passa, or nel galone
Di tante ponte che il fece morire.
Poi si levava in piede quel barone;
Gran periglio ha portato, a non mentire:
Lui Dio ringratia con devocïone.
E già la dama al palafren lo invita,
Parendo a lei la cosa esser fenita.

24.
Ma Renaldo quel loco avìa veduto
Dove stava il destrier maraviglioso:
Se non avesse il fatto a pien saputo,
Sarìa stato in sua vita doloroso.
Era quel saxo orribil e arguto;
Dentro vi passa il principe animoso.
Da cento passi vicina alla intrata
Era di marmo una porta intagliata.

25.
Di smalto era adornata quella porta,
Di perle e di smeraldi in tal lavoro
Che non fu ma da uno ochio d’omo scorta
Cosa de un pregio di tanto tesoro.
Stava nel megio una dongela morta,
E avìa scrito sopra in letre d’oro:
«Chi passa quivi arà di morte streta
Se non giura di far la mia vendeta;

26.
Ma se giura lo oltragio vendicare
Che mi fu fato con gran tradimento,
Avrà quel bon destrier a cavalcare
Che di veloce corso passa il vento».
Or non stete Renaldo più a pensare,
Ma a Dio promete e fanne giuramento
Che, quanta vita e forza l’avrà scorto,
Vendicarà la dama occisa a torto.

27.
Poi passa dentro e vede quel destriero,
Che de catena d’oro era legato,
Guarnito aponto a ciò che fa mestiero,
Di bianca seta tutto copertato;
Egli comme un carbone è tuto nero,
Sopra ala coda ha pel bianco meschiato;
Cossì la fronte ha partita di bianco,
La ungia di detro ancora al pede manco.

28.
Destrier de il mondo con questo si vanta
Correre al pare, e non ne tro Baiardo
Del qual per tuto il mondo ogi si canta:
Quel’ è più forte, destro e più galiardo,
Ma questo aveva legereza tanta
Che detro a sé lassava un saxo, un dardo,
Uno ocel che volasse, una saetta,
O se altra cossa va con magior freta.

29.
Renaldo fuor de modo se alegrava
Di aver trovato tanto alta ventura;
Ma la catena a un libro se inchiavava,
Che avea di sangue tuta la scritura.
Quel libro a chi lo lege dichiarava
Tutta la istoria e la novella scura
Di quella dama occisa in sula porta,
E in che forma e chi l’avesse morta.

30.
Narrava il libro comme Trufaldino,
Re di Baldaco, falso e maledetto,
Aveva un conte al suo regno vicino,
Ardito e franco e de vertù perfetto;
Ed era tanto de ogni lodo fino
Che il re malvagio n’avea gran dispeto.
Fo quel barone nomato Orrisello,
Montefalcone ha nome il suo castelo.

31.
Avea il conte Orrisello una sorella
Che de tute altre dame era l’onore,
Perché di viso e di persona bella,
De ligiadria, di gratia e di valore,
Se alcuna fo compita, lei fo quella.
Essa portava a un cavalier amore,
Nobil di schiata e famoso di ardire,
Ligiadro e bello a più non poter dire.

32.
Il sol che tutto ’l mondo volta intorno
Non vedea un altro par de amanti in tera
Sì de beltate e de ogni lode adorno;
Una voglia, un amor quisti dui sèra,
E cresce più ognor de giorno in giorno.
Or Trufaldino a possanza di guerra
Mai non potrìa pigliar Montefalcone,
Ché sua forteza è fuor de ogni ragione.

33.
Sopra de un saxo terribil e duro,
Un miglio ad alto, per streto sentiero,
Se perveniva al smisurato muro;
Né a questo s’apressava di ligero,
Perché un profondo fosso e largo e scuro,
Volge il castel intorno tutto intiero.
Ciascuna porta ove dentro si vàne
Ha di tre torre fora un barbacane.

34.
Con incredibil cura si guardava
Questa forteza da il franco Orisello:
Lui temea Trufaldin che lo odïava,
E facto ha già più assalti a quel castello,
E con vergogna sempre ritornava.
Or sapeva quel re, de ogni altro fello,
Che la sorella del conte, Albarosa,
Polindo amava sopra ogni altra cosa.

35.
Polindo il cavalier è nominato,
Albarosa la dama delicata,
Quella de che hagio sopra ragionato,
Che amava tanto ed era tanto amata.
Ora, quel cavalier innamorato
Andava ala ventura alcuna fiata,
Cercando e regni per ogni confino;
In corte si trovò di Trufaldino.

36.
Era quel re malvagio e traditore:
Ciascuna cossa sapea simulare.
A Polindo faceva molto onore,
Con gran proferte e cortese parlare,
E prometteli aiuto e gran favore,
Quando Albarosa voglia conquistare.
Diversa cosa è lo amor veramente:
Teme ciascuno e crede ad ogni gente!

37.
Che altri mai che Polindo avrìa creduto
A quel malvagio mancator di fede?
Ché cossì da ciascun era tenuto.
Il cavalier nol stima, e ciò non crede,
Anci di aver il proferito aiuto
Sempre procacia, e mai l’ora non vede
Che Albarosa la bella tenga in bracio,
E de altra cossa non se dona impacio.

38.
Poi che la dama fu tentata invano
Che dentro dala roca toglia gente,
A Polindo promette e giura in mano
Una notte partirse quietamente,
Al piè de il saxo scender gioso al piano
Ed esserli in sua vita obedïente,
Andar con luï e far tutte sue voglie;
Esso promette a lei tuorla per moglie.

39.
L’ordine dato se pone ad effetto.
Avìa già Trufaldin prima donata
A Polindo una roca da dilecto,
Longi a Montefalcone una giornata;
Qui dentro intrarno senza altro rispeto
Quel cavalier e la gioven amata;
Cenando insieme con gran festa e riso,
Eccoti Trufaldin quivi improviso.

40.
Vaga Fortuna, mobile e incerta,
Che alcun dileto non lassa durare!
Soto la terra è una strata coperta:
Per quella nela roca se può andare.
Avea il malvagio questa cosa esperta,
Perciò li volse la roca donare.
Cossì cenando, e doi de amor acesi
Fuòr de improviso crudelmente presi.

41.
Polindo di parlar già non ardiva
Per non far seco la dama perire,
Ma di grande ira e rabia se moriva,
Ché non può a Trufaldin sua voglia dire.
Quel re comanda ala dama che scriva
Al suo german che a lei deba venire,
Fingendo che Polindo l’ha menata
Dentro a una selva grande e smisurata

42.
E quivi a forza rinchiusa la tiene,
Sotto la guarda da tre suoi famigli;
Ma se lui quivi secreto ne viene,
Vòl che Polindo e quegli insieme pigli;
Che le cagion diragli intier e piene
Di sua partita, e non se maravigli,
Che poi lo chiarirà, che il suo camino
Campato ha lui di man di Trufaldino.

43.
La dama dice de voler morire
Più presto che tradir il suo germano,
Né per minacie o per piacevol dire
Può far che prenda pur la péna in mano.
Il re fa incontinente qui venire
Un tormento aspro, crudo e inumano,
Che con fero affocato e membri stracia:
Quella fanciulla prende nela facia.

44.
Nela facia pigliò col ferro ardente:
Non se lamenta lei, né gitta voce;
Ala richiesta risponde nïente.
Quel focoso tormento assai più coce
Polindo, che vi stava di presente.
E’, benché fosse de animo feroce
E de uno alto ardir pieno in veritate,
Pur cade in terra per molta pietate.

45.
Narava il libro tutte queste cose,
Ma più distinto e con altre parole;
Ché vi erano atti con voce pietose,
E quel dolce parlar che usar se sòle
Tra l’anime congionte e amorose.
Eravi che Polindo assai se dole,
Più de Albarosa che de il proprio male,
E lei fa de il suo amante uno altro tale.

46.
Lege Renaldo quella istoria dura
E molto pianto dali ochi li cade;
Nel viso se conturba sua figura
Per quello estremo caso di pietade.
Una altra fiata sopra al libro giura
De vendicar quella aspra crudeltade,
E torna fora il cavalier soprano,
Con quel destrier che ha nome Rabicano.

47.
Sopra di quello è il cavalier salito,
E via cavalca con la damigella,
Ma poco andàr che il giorno fo sparito.
Ciascun di lor dismonta dela sella;
Sotto un albro è Renaldo adormito,
Dorme vicino a lui la dama bella.
Lo incanto dela Fonte de Merlino
Ha tolto suo costume al paladino:

48.
Ora li dorme la dama vicina,
Non ne piglia il baron alcuna cura.
Già fo tempo che un fiume e una marina
Non avrìan posta al suo disio misura:
A un muro, a un monte avrìa data roina
Per star coniunto a quella creatura.
Or li dorme vicina e non glien cale:
A lei, credo io, ne parve molto male!

49.
Già l’aria se schiariva tutta intorno,
Abenché il sol ancor non se mostrava;
Di alcune stelle è il ciel sereno adorno,
Ogni oceleto ali albori cantava:
Note non era e non era ancor giorno.
La damigella Renaldo guardava,
Però che essa al matino era svegliata:
Dormìa il baron al’erba tuttafiata.

50.
Egli era bello, e alor gioveneto,
Nerboso e sciuto e de una vista viva,
Streto ne’ fianchi e membruto nel peto,
Pur mo’ la barba nel viso scopriva.
La damisella il guarda con dileto:
Quasi, guardando, di piacer moriva;
E di mirarlo tal dolceza prende
Che altro non vede e altro non attende.

51.
Sta quella dama di sua mente tratta,
Guardandosi davanti il cavaliero.
Or dentro quella selva aspra e disfata
Stava un centauro, teribile e fiero:
Forma non fo giamai più contrafata,
Però che aveva forma di destriero
Sino ale spalle e, dove il collo usìa,
E corpo e braze e membre d’omo avìa.

52.
De altro non vive che di caciasone,
Per quel deserto che è sì grande e strano;
Tre dardi aveva e un scudo e un gran bastone,
Sempre caciando andava per quel piano.
Alora alora avea preso un leone,
E così vivo se il portava in mano.
Ruge il leone e fa gran dimenare:
Per questo s’ebe la dama a voltare.

53.
E altramenti sopra li giongìa
Tutto improviso il diverso animale,
E forsi che Renaldo ociso avrìa:
Molto commodo avìa di farli male.
La damigella un gran crido metìa:
«Donàti aiuto, o Re celestïale!».
A quel crido se desta il baron pronto,
E già il centauro è sopra d’eli gionto.

54.
Renaldo salta in piede e il scudo imbraza,
Benché il cigante l’avea fracassato;
E quel centauro de spietata faza
Getta il leon, che già l’ha strangolato.
Renaldo adosso a lui tuto se caza;
Quel fuge un poco, e poi s’è rivoltato,
E con molta roina lancia un dardo.
Stava Renaldo con molto riguardo

55.
Sì che nol pote a quel colpo ferire;
Or lancia l’altro con molta tempesta.
L’elmo scampò Renaldo da il morire,
Ché proprio il gionse a megio dela testa.
L’altro ancor geta e nol pote colpire,
Ma già per questo la pugna non resta,
Perché il centauro ha preso il suo bastone
E va saltando intorno al campïone.

56.
Tanto era destro, veloce e legero
Che Renaldo se vede a mal partito.
Lo esser galiardo ben li fa mestiero:
Quello animal il tien tanto assalito
Che apressar non se pote al suo destriero.
Girato ha tanto che quasi è stordito;
A un grosso pin se acosta, che non tarda:
Questo col tronco a lui le spale guarda.

57.
Quel’omo contrafato e tanto istrano
Saltando va de intorno tutavia;
Ma il principe, che avea Fusberta in mano,
Discosto a sua persona lo tenìa.
Vede il centauro afaticarsi invano
Per la diffesa che il baron facìa;
Guarda ala dama da il viso sereno,
Che di paura tuta venìa meno.

58.
Subitamente Renaldo abandona
E leva delo arcion quela dongella;
Fredda nel viso e in tuta la persona
Alor divenne quella mischinella.
Ma questo canto più non ne ragiona:
Nel’altro contarò la istoria bella
Di questa dama, e quel che io disse avante,
Tornando ad Agricane e Sacripante.

1. 3. Di nulla: ‘per nulla’. 4. palafreno: cfr. I, ii, 55, 2. 5. fiorito: ‘bello’. 6. tema: ‘paura’. venìa meno: ‘stava per svenire’. 7. imbraza: ‘imbraccia’. trase avante: ‘si fa avanti’. 8. quella: probabilmente da riferire all’«alta voce» del canto precedente (90, 3; BRUSCAGLI 1995). Ottava aperta.

2. 2. Dréto… tomba: ‘(il sentiero conduceva) dritto a una caverna’. 5. non smarite: ‘non spaventò’ (TROLLI 2003, p. 268). 8. Nulla: ‘per nulla’. altano: ‘alto’.

3. 2. fina: ‘buona, resistente’. 4. Alla boca de il saxo: ‘all’ingresso della caverna’. 6. quel dismisurato: il gigante. 8. Ricompare Rabicano (cfr. I, iii, 53).

4. Il motivo delle cavalle ingravidate dal vento è in diversi testi classici (p. es. Georg. III, 271-279 e Nat. Hist. VIII, 67) e contemporanei (p. es. il commento di Guglielmo Capello al Dittamondo di Fazio degli Uberti) che potevano essere noti a Boiardo (TISSONI BENVENUTI 1999). 1. incantamento: ‘magia’. 3. ‘fu creata una cavalla’. 4. fora: ‘fuori’. 5. se fiè… vento: ‘fu ingravidata dal vento’. 7. rodea: ‘mangiava’.

5. 2. disolse: ‘sciolse, liberò’. 3. Però che: ‘perché’. 5. 5. per forza… incantato: ‘con l’aiuto di formule magiche’.

6. 2. fronte: ‘faccia’. pertinace: ‘risoluta’. 3. sieco: ‘con sé’. 4. ongiuto: ‘dotato di artigli’. 5. a modo se ordinava: ‘era fatta in modo’. 6. solver: ‘sciogliere’. 7. fiero: ‘feroce, forte’.

7. 2. ‘con grande astuzia e molta attenzione’ (TROLLI 2003, p. 96). 4. sospeso a passo tardo: ‘guardingo a passi lenti’. 5. nel cor argumenta: ‘dice tra sé’. 7. scorgìa: ‘giudicava’. 8. Ottava aperta.

8. 1-2. Le ossa disseminate che biancheggiano sul terreno sono un topos frequente (esempi classici e medievali in TISSONI BENVENUTI 1999). 4. ‘sono inutili i colpi speciali e gli accorgimenti che si erano pensati prima’. 6. ‘Nessuno di loro due scherzava’. 7. conoscon: ‘sanno’. 8. convien: ‘deve’.

9. 2. gionse a: ‘colpì’. 5. caldo: ‘infuriato’. 6. con tempesta: ‘con violenza’. 7. scuto: ‘scudo’. 8. arguto: ‘feroce’ (cfr. I, i, 58, 3).

10. 6. Rimena l’altra: ‘(Rinaldo) colpisce ancora’. 10. 8. passa la anguinaglia: ‘trafigge l’inguine’.

11. 3. piaghe: ‘ferite’. 4. sostenire: ‘reggere’. 5. il mal partito: ‘la crudele decisione’. 6. con sieco: ‘con sé’.

12. 1. tolse… in piede: ‘afferrò con gli artigli’. 4. se avantava: ‘si avventava’. 6. zuffillava: ‘sibilava’. 7. branca: ‘artiglio’. 8. Ottava aperta.

13. 1. ‘E non sbagliò quel fendente’. 2. ad un trato: ‘in un solo colpo’. 13. 5. di verso il ciel: ‘dal cielo’. 7. Non sciò se camparà: ‘non so se sopravviverà’. 8. ‘era salito di più di tremila braccia’.

14. 1. Roinando: ‘precipitando’. 3. ‘gli sembra che gli cada proprio sulla testa’. 6. a quel caso provedere: ‘fare fronte a quel pericolo’. 7. Per tuto ove: ‘ovunque’.

15. 2. dilongato: ‘allontanato’. 4. Percosse al capo: ‘batté la testa’. 7. ‘Quel pericolo è stato un sogno, una cosa da nulla per Rinaldo (rispetto a quanto sta per accadergli)’. 8. aiutelo: ‘lo aiuti’.

16. 3. ne fremìa: ‘ne fremeva’.

17. 3-4. ‘perché vide arrivargli addosso il grifone come un fulmine di fuoco’. 5. ‘Lui se ne stava in guardia ben attento’. 6. Nela sua gionta: ‘quando (il grifone) arrivò’. 7-8. ‘menò un colpo di traverso sotto la gola, proprio al canale, e fece un grosso taglio nel petto’.

18. 2. ‘perché non lo colpì come avrebbe voluto’. 6. dissolto: ‘spaccato’. 7. fino: ‘robusto’. 8. Mambrino: cfr. I, iv, 82, 5.

19. 2. ‘Rinaldo non riesce a prevederlo’. 4. pugna: ‘lotta’; latinismo. 6. ‘non già per sé stessa, che proprio non ci pensava’.

20. 1. ascura: ‘diviene buio’. 5. ‘perciò fa di tutto per finire’. 6. partito: ‘soluzione’.

21. 2. riversato: ‘steso’. 6. in sulo aviso scorto: ‘ben attento e pronto’. 7-8. ‘non appena fu ghermito da quell’uccello, subito colpì con la spada, il cavaliere coraggioso’; per gremito cfr. I, iii, 60, 4.

22. 1. sèra: ‘cala’ (accezione non documentata altrove; cfr. TROLLI 2003, p. 266). 5. Con ambeduoi le grife: ‘con ambedue gli artigli’. 6. sbergo: ‘corazza’; cfr. I, ii, 61, 3. passa: ‘attraversa’.

23. 1. lascia: ‘smette’. 2. galone: ‘fianco’. 3. ponte: ‘colpi di punta’. 5. ha portato: ‘ha corso’. a non mentire: zeppa formulare.

24. 4. ‘gli sarebbe dispiaciuto per tutta la vita’. 5. ‘Quella roccia era impervia e scoscesa’. 7. Da: ‘circa’.

25. 2. in tal lavoro: ‘lavorati con tale eleganza’ (cfr. I, i, 19, 5). 3. scorta: ‘vista’. 5. nel megio: ‘nel mezzo’. 6. letre: ‘lettere’. 7. arà… streta: ‘sarà ucciso’ (TROLLI 2003, p. 283).

26. 4. corso: ‘corsa’. passa: ‘supera’. 7. ‘che, finché sarà sorretto dalla vita e dalla forza’. 8. a torto: ‘ingiustamente’.

27. 3. ‘perfettamente addobbato di ciò che serve’. 4. copertato: cfr. I, i, 62, 1. 6. meschiato: ‘misto’. 27. 7-8. Una striscia bianca divide la fronte ed è bianco il pasturale (parte della zampa) posteriore sinistro (TROLLI 2003, p. 301). Questi dettagli danno ragione del nome del cavallo: rabicano indica infatti un pelo scuro marezzato di bianco (TISSONI BENVENUTI 1999).

28. 1-2. ‘Nessun cavallo al mondo si vanta di correre alla pari con questo e non escludo Baiardo’. 8. freta: ‘velocità’.

29. 1. ‘Rinaldo si rallegrava fuori di misura’. 2. alta: ‘nobile’. 3. se inchiavava: ‘era fissata’. 4. Il libro era scritto con il sangue. 6. scura: ‘terribile’. 8. morta: ‘uccisa’.

30. 5. de ogni lodo fino: ‘perfetto sotto ogni punto di vista’.

31. 2. l’onore: ‘la migliore’. 5. ‘se ce ne fu una perfetta, lei fu quella’.

32. 1. volta intorno: ‘gira attorno’. L’espressione, con varianti, torna in altri luoghi del romanzo (I, i, 7, 8; I, iv, 1, 4 ecc.) e anche negli Amorum libri (I, 3, 10-11: «il sole / che gira al mondo splendido d’intorno»; con eco dantesca: DONNARUMMA 1992, p. 523). 2. Memoria di Rvf 245, 9: «Non vede un simil par d’amanti il sole» (TISSONI BENVENUTI 1999). 4. ‘Un solo desiderio, un solo amore stringe questi due’. 6. a possanza di guerra: ‘con la guerra’. 8. fuor de ogni ragione: ‘smisurata’.

33. 2. Un miglio ad alto: ‘salendo per un miglio’. 4. s’apressava di ligero: ‘ci si avvicinava facilmente’. 6. Volge… intorno: ‘circonda’. 7. ove dentro si vàne: ‘per cui si entra’. 8. barbacane: fortificazione delle mura, qui costituita da tre torri.

34. 1-2. si guardava… da il: ‘era custodita dal’. 6. de ogni altro fello: ‘(re) di ogni malvagio’.

35. 6. alcuna fiata: ‘talvolta’. 7. Cercando e: ‘perlustrando i’.

36. 4. proferte: ‘offerte d’amicizia’. 7. Diversa: ‘strana’. 8. Verso dall’andamento proverbiale sull’incerto stato d’animo degli innamorati, che risente di Ov. Her. I, 12 probabilmente filtrato da Boccaccio (Fiammetta VII, 7: «Li amanti credono ogni cosa, però che amore è cosa sollicita, piena di paura»; DONNARUMMA 1992, p. 571).

37. 1. Che: ‘chi’. 3. tenuto: ‘ritenuto’. 4. nol stima: ‘non lo reputa tale’. 5-6. ‘anzi fa sempre di tutto per avere l’aiuto che gli è stato offerto’. 8. non se dona impacio: ‘non si preoccupa’.

38. 2. toglia: ‘prenda, faccia entrare’. 3. giura in mano: ‘giura solennemente’. 4. quietamente: ‘in silenzio’. 5. gioso: ‘giù’. 6. Ovviamente come moglie. 8. tuorla: ‘prenderla’.

39. 3. una roca da dilecto: ‘un castello dove divertirsi’. 4. Longi a: ‘lontano da’. 5. senza altro rispeto: ‘senza alcuna preoccupazione’.

40. 1. Vaga: ‘instabile’. 2. ‘che non permette di durare ad alcun piacere’. 3. strata: ‘via’. 5. Avea… esperta: ‘sapeva’. 7. e doi: ‘i due’. 8. Fuòr… presi: ‘furono catturati’.

41. 4. sua voglia: ‘ciò che vorrebbe’. 6. german: ‘fratello’. 7. menata: ‘condotta’.

42. 2. da: ‘di’. famigli: ‘servitori’. 4. quegli:i servitori. 5. intier e piene: ‘per intero, appieno’. 7. lo chiarirà: ‘gli spiegherà’. il suo camino: ‘la sua fuga’. 8. Campato ha lui: ‘lo ha salvato’.

43. 2. Più presto: ‘piuttosto’. 3. per piacevol dire: ‘con parole gentili’. 4. péna: ‘penna’. 6. tormento: ‘strumento di tortura’. 7. ‘che strazia con il ferro arroventato le membra’.

44. 1. L’azione più tremenda è descritta due volte, in questo verso e in quello finale dell’ottava precedente, in modo molto simile. 2. né gitta voce: ‘né emette alcun suono’. 4. coce: ‘brucia’. 6. feroce: ‘fiero’. 8. pietate: ‘compassione’.

45. 2. più distinto: ‘con più dettagli’. 5. congionte e amorose: ‘unite nell’amore’. 6-8. La sofferenza per la sofferenza della persona amata era già emersa nella novella di Iroldo, Prasildo e Tisbina (I, xii, 48).

46. 1. dura: ‘crudele’. 3. se conturba sua figura: ‘si turba il suo aspetto’.

47. 3. andàr: ‘andarono’. 5. La lezione di P sarebbe accettabile con una dialefe prima di un e una normale sinalefe tra albro ed è. Gli altri testimoni presentano sotto un alboro (R) e sotto ad un albro (T). è… adormito: ‘si è addormentato’. 8. suo costume: ‘le sue abitudini’. Rinaldo era notoriamente molto attratto dal gentil sesso (cfr. I, i, 15, 5).

48. 3-6. ‘Ci fu un tempo in cui né un fiume né un mare avrebbero posto limiti al suo desiderio. Avrebbe abbattuto un muro, e anche un monte per stare vicino a quella donna’. 7. non glien cale: ‘non gliene importa’. 8. Ironico: la dama è delusa dall’indifferenza di Rinaldo.

49. 8. tuttafiata: ‘ancora’.

50. 2. ‘muscoloso, snello e di aspetto vivace’. 3. membruto: ‘robusto’. 4. ‘da poco gli cresceva la barba’. 8. altro non attende: ‘non si cura d’altro’.

51. 1. di sua mente tratta: ‘fuori di sé, smarrita’. 3. disfata: ‘desolata’ (TROLLI 2003, p. 133). 5. contrafata: ‘orribile’ (cfr. I, iv, 39, 6). 6. forma: ‘aspetto’. 7. dove il collo usìa: ‘dove il collo si attaccava al corpo’.

52. 1. caciasone: ‘cacciagione’. 2. strano: ‘inospitale, selvaggio’ (TROLLI 2003, p. 282). 3. Tre dardi: cfr. I, vi, 24, 6. 5. Alora alora: ‘proprio allora’. 6. in mano: ‘in braccio’. 7. Ruge: ‘ruggisce’.

53. 1-2. ‘E altrimenti la creatura mostruosa sarebbe saltata loro addosso all’improvviso’. 4. ‘avrebbe avuto facilmente modo di ferirlo’. 5. metìa: ‘emetteva, lanciava’. 8. è sopra d’eli gionto: ‘gli è arrivato addosso’.

54. 3. faza: ‘aspetto’. 5. se caza: ‘si scaglia’. 7. roina: ‘violenza’. 8. riguardo: ‘attenzione’. Ottava aperta.

55. 2. l’altro: dardo. tempesta: ‘violenza’. 4. a megio: ‘in mezzo’. 6. non resta: ‘non si ferma’.

56. 4. il tien tanto assalito: ‘lo aggredisce con tale foga’. 7. che non tarda: ‘senza rallentare’; zeppa formulare. 8. guarda: ‘protegge’.

57. 1. istrano: ‘mostruoso’; forma prostetica. 4. Discosto a sua persona: ‘lontano da sé’. 8. Variatio del v. 1, 6.

58. 2. leva delo arcion: ‘toglie dalla sella’. 7. avante: ‘prima’.