Il cavaliere piangente che Rinaldo ha incontrato è Iroldo e racconta al paladino la sua storia (1-5). Abbandonata Babilonia, Iroldo era arrivato a Orgagna dove la malvagia Falerina, che reggeva lo stato in assenza del re Poliferno, catturava i forestieri di passaggio per darli in pasto a un drago. Iroldo stesso era stato preso e aveva atteso per quattro mesi di finire in bocca alla vorace creatura. Poi Prasildo aveva saputo della sua sorte e, recatosi a Orgagna, aveva corrotto uno dei carcerieri ottenendo così di sostituirsi a lui per salvargli la vita. Allora Iroldo, uscito dal carcere, aveva deciso di ricompensare la sua amicizia tentando di liberarlo, pur sapendo che l’azione di forza era inutile e che lo avrebbe anzi condotto a morte sicura (6-16). Mentre parla con Rinaldo, Iroldo aspetta il drappello dei carcerieri che porta Prasildo e una dama al drago e si prepara a un attacco suicida. Rinaldo offre subito il suo aiuto ma Iroldo lo esorta ad andarsene per salvarsi la vita. Allora Rinaldo insiste, commosso per l’amicizia tra i due e per la loro cortesia (17-22). Mentre discutono arriva il drappello, comandato dal corpulento Rubicone. Nella dama condotta al supplizio Rinaldo riconosce Fiordelisa e si scaglia contro i custodi facendone strage (23-31). Terminata la battaglia, Iroldo, Prasildo e Fiordelisa cominciano a venerare Rinaldo come se fosse Maometto in persona sceso in terra per salvarli. Il paladino li dissuade e anzi espone loro i principi della fede cristiana riuscendo a convertirli e a battezzarli (32-37). I quattro devono ora decidere dove andare: Rinaldo vorrebbe dirigersi al giardino di Falerina per distruggerlo, ma Fiordelisa ha un libro in cui sono descritti i pericoli del luogo e lo sconsiglia. Inoltre la donzella rammenta al paladino la sua promessa di liberare Orlando smemorato dal giardino di Dragontina. Rinaldo la accontenta e così i quattro partono (38-49). Durante il cammino la compagnia incontra un uomo terrorizzato che fugge a cavallo: è uno dei soldati di Agricane e sta scappando da Albracà, dove ha visto combattere un guerriero formidabile. Subito il cavaliere si allontana e i quattro capiscono che il guerriero è Orlando: proseguono dunque verso Albracà (49-57). Giunti presso la Drada avvistano un cavaliere armato nel quale Fiordelisa riconosce Marfisa. Rinaldo intende sfidarla, ma arriva un messaggero di Galafrone che chiede aiuto alla guerriera. Marfisa preferisce abbattere i tre nuovi arrivati prima di scendere in battaglia per i suoi alleati e decide di affrontarli subito (58-66).
1.
Io vi promisse contar la risposta,
Nel’altro canto, di quel cavaliero
Che avìa l’anima a sospirar disposta
Quando Renaldo lo trovò al verziero,
Presso alla fonte di fronde nascosta:
Or ascoltati il fatto ben intiero.
Quel cavalier in voce lacrimose
Con tal parole a Renaldo rispose:
2.
«Vinte giornate de quindi vicina
Sta una gran terra de alta nobeltate
Che già del’Orïente fo regina:
Babilonia se appella la citate.
Havi una dama nomata Tisbina
Che in lo universo, in tutte le contrate,
Quanto il sol scada e quanto cinge il mare
Cosa più bella non se può mirare!
3.
Nel dolce tempo di mia età fiorita
Fo’ io di quella dama possessore
E fo la voglia mia sì sieco unita
Che nel suo peto ascoso era il mio core;
Ad altri la concessi alla finita:
Pensa se a questo far ebbe dolore!
Lassar tal cosa è duol magior assai
Che disiarla e non averla mai.
4.
Come una parte del’anima mia
Da il cor mi fosse per forza divisa,
Fuor de mi stesso vivando morìa,
Pensa tu con qual modo e a qual guisa!
Doe volte tornò il sole alla sua via,
Per vinte e quatro lune, alla recisa;
E io sempre piangendo andai mischino,
Circando il mondo come peregrino.
5.
Il longo tempo e le fatiche assai
Che io sosteneva al diverso paese
Pur me alentarno li amorosi guai
De che ebe l’osse e le medole accese;
E poi Praseldo, a cui quella lassai,
Fo un cavalier sì prodo e sì cortese
Che ancor mi giova avermi per lui privo,
E sempre gioverà se sempre vivo.
6.
Or, seguendo la istoria, io me ne andava
Circando il mondo come disperato
E, come volse la Fortuna prava,
Nel paese de Orgagna io fo’ arivato.
Una dama quel regno governava,
Ché il suo re Poliferno era asembrato
Con Agricane insieme a far tinzone
Per una figlia de il re Galafrone.
7.
La dama che quel regno aveva in mano
Sapea de ingani e frode ogni mistero:
Con falsa vista e con parlar umano
Dava recepta ad ogni forastiero.
Poi che era gionto se adoprava invano
Indi partirsi e non vi era pensiero
Che mai bastasse di poter fugire;
Ma crudelmente convenìa morire,
8.
Però che la malvagia Falerina
(Ché cotal nome ha quella incantatrice
Che ora de Orgagna se apella regina)
Have un giardino nobile e felice;
Fossa nol cinge, né seppe di spina,
Ma un saxo vivo intorno fa pendice
E sì lo chiude de una centa solla
Che entro passar non pote chi non volla.
9.
Aperto è il saxo verso il sol nascente
Dove è una porta tropo alta e soprana;
Sopra alla soglia sta sempre un serpente
Che di sangue se pasce e carne umana.
A quisto date son tutte le gente
Che sono prese in quella terra strana:
Quanti ne gionge, prende ciascuna ora,
E là li manda e il drago li divora.
10.
Or (comme io disse) in quella regïone
Fo’ preso a inganno e posto alla catena:
Ben quatro mesi stete in la pregione,
Che era di cavalieri e dame piena.
Io non te dico la compassïone
Che era a vederci tutti in tanta pena:
Doi ne eran dati al drago in ogni giorno,
Comme la sorte se voltava intorno.
11.
Il nome de ciascuno era signato,
Insieme de una dama e un cavaliero,
E cossì ne era a divorar mandato
Quel par che ala pregione era primero.
Or stando in questa forma impregionato,
Né avendo de campar alcun pensiero,
La ria Fortuna che me avìa batuto
Per farmi pegio ancor mi porsi aiuto,
12.
Perché Prasildo, quel baron cortese
Per cui dolente abandonai Tisbina
E Babilonia, il mio dolce paese,
Ebbe a sentir di mia sorte mischina.
Io non saprìa già dir comme lo intese,
Ma giorno e notte lui sempre camina
E con molto tesoro, iscognisciuto,
Fu ne’ confini de Orgagna venuto.
13.
Ivi se pose quel baron soprano
Per il mio scampo molto a praticare;
E proferse grande oro al guardïano
Se di nascosto me lasciava andare.
Ma poi che egli ebi ciò tentato invano
Né a pregi o prezo lo pòte piegare,
Ottenne per denari e per bel dire
Che, per camparmi, lui possa morire.
14.
Cossì fo’ tratto dela pregion forte
E lui fo incatenato al loco mio;
Per darme vita lui vòl prender morte:
Vedi quanto è il baron cortese e pio!
E ogi è il giorno dela trista sorte
Che lui serà condutto al loco rio
Dove il serpente e miseri divora;
E io quivi lo aspetto ad ora ad ora.
15.
E benché io sapia e cognosca per certo
Che bastante non sono a darli aiuto,
Voglio mostrar a tuto il mondo aperto
Quanto a quel cor gentile io sia tenuto
A render guidardon di cotal merto:
Però che, comme quivi fia venuto,
Con quei che il menan prenderò bataglia,
Benché sian mille e più quella canaglia!
16.
E quando io fia da quella gente occiso,
Sarami quel morir tanto iocondo
Che io ne andarò di volo in Paradiso
Per starmi con Prasildo al’altro mondo.
Ma quando io penso che sarà diviso
Lui da quel drago, tutto mi confondo,
Poiché io non posso, ancor col mio morire,
Tuorli la pena di tanto martire!».
17.
Cossì dicendo, il viso lacrimoso
Quel cavaliero ala terra abassava.
Ranaldo, odendo il fatto sì piatoso,
Con lui teneramente lacrimava
E con parlar cortese e animoso
Proferendo sé stesso il confortava,
Dicendo a lui: «Baron, non dubitare,
Ché il tuo compagno ancor potrà campare!
18.
Se dua cotanta fosse la sbiraglia
Che qui lo condurano, io non ne curo:
Manco gli stimo che un fasso di paglia.
E per la fé di cavalier ti giuro
Che io te li scotirò con tal travaglia
Che alcun di lor non se terà securo
De aver fugita da mia man la morte
Sinché sia gionto de Orgagna ale porte!».
19.
Guardando, il cavalier, e suspirando
Disse: «Deh, vàne alla tua via, barone,
Che qua non se ritrova il conte Orlando,
Né il suo cognato, che è figlio de Amone.
Noi altri assai faciamo alora quando
Tenemo campo ad un sol campione:
Nïuno è più de uno om, e sia chi il vole;
Lascia pur dir, che tutte son parole!
20.
Pàrtite, in cortesia, ché già non voglio
Che tu per mia cagion sia quivi gionto:
Parte non hai di quel grave cordoglio
Che me induce a morir, come io t’ho conto,
E io non posso mo’, sì come io soglio,
Renderti gratia a questo estremo ponto
De il tuo bon cor e dela tua proferta:
Dio te la renda, e a chiunque la merta!».
21.
Disse Renaldo: «Orlando non sono io,
Ma pur io farò quel che hagio proferto.
Né per gloria lo facio, o per desio
Aver da te né guidardon né merto,
Ma sol perché io cognosco, al parer mio,
Che un par di amici al mondo tanto certo
Né ora se trova né mai fo trovato:
Se io fosse il tercio, io me terìa beato.
22.
Tu concedisti a lui la donna amata
E sei de il tuo dileto al tutto privo;
Egli ha per te sua vita impregionata;
Or tu sei sanza lui di viver scivo.
Vostra amistate non fia mai lassata,
Ma sempre sarò vosco, e morto e vivo;
E se per ogi aviti ambi a morire,
Voglio esser morto per vosco venire!».
23.
Mentre che ragionarno in tal manera,
Una gran gente videro apparire
Che portano davanti una bandiera
E doe persone menano a morire.
Chi sanza usbergo, chi sanza gambiera,
Chi sanza maglia se vedea venire:
Tutti ribaldi e gente da taverna,
E pegio in ponto è quel che li governa.
24.
Era colui chiamato Rubicone
Ch’avìa ogni gamba più d’un trave grossa:
Seicento libre pesa quel poltrone,
Superbo, bestïale e de gran possa;
Nera la barba avea come un carbone
E a traverso al naso una percossa;
Li ochi avìa rossi e vedea sol con uno.
Mai sol nascente nol trovò digiuno.
25.
Costui menava una dongella avante,
Incatenata sopra a un palafreno,
E un cavalier, cortese nel sembiante,
Legato come lei, né più né meno.
Guarda Renaldo al palafreno amblante
E ben cognobe, quel baron sereno,
Che la meschina è quella damigella
Che gli contò de Iroldo la novella;
26.
Poi li fo tolta nela selva ombrosa
Da quel centauro contrafato e strano.
Lui più non guarda e sanza alcuna posa
De un salto se gitò su Rabicano.
Diciamo dela gente dolorosa,
Che erano più de mille in su quel piano:
Come Renaldo videro apparire,
Per la più parte se derno al fugire.
27.
Già l’altro cavaliero era in arzone
E avìa tratta la spada forbita,
Ma il principe se driza a Rubicone,
Ché tutta l’altra gente era smarita
E lui faceva sol defensïone.
Questa bataglia fo presto fenita,
Perché Renaldo de un colpo diverso
Tutto il tagliò per megio de il traverso.
28.
È dà tra li altri con molta tempesta,
Benché occider la gente non cura
E spesso spesso de ferir se aresta
E ha dileto dela lor paura.
Ma pur a quatro getò via la testa,
Doi ne partìte insino alla cintura:
Lui ridendo e da scrizo combatìa,
Tagliando gambe e braze tuttavia.
29.
Cossì restarno al campo e doi pregioni,
Ciascun legato sopra il suo destriero,
Poi che fugito fòrno quei briconi
Che de condurli a morte avìan pensero.
Su il prato, tra bandiere e confaloni
E targhe e lanze, è Rubicone altiero,
Feso per mezo e tagliato le braza;
Renaldo li altri tutafiata caza.
30.
Ma Iroldo (il cavalier che io vi contai
Che stava ala fontana a lamentare),
Poi che anco egli ebi de lor morti assai,
Corse quei doi pregion a dislegare.
Più non fo lieto ala sua vita mai:
Prasildo abraza e non potea parlare,
Ma come in gran leticia far si sòle,
Lacrime dava in cambio di parole.
31.
Il principe era longi da doa miglia,
Sempre caciando il popul spaventato.
Quando quei doi baron con maraviglia
Guardarno a Rubicon, che era tagliato
Per il traverso ala terra vermiglia;
Essi mirando il colpo smisurato,
Dicean che non era om, anci era dio,
Che sì gran busto col brando partìo.
32.
Callava già Renaldo giù de il monte
Avendo fata gran destrucïone;
Ciascun de’ doi baron con le man gionte
Come dïo adorarno in gionichione
E a lui divotamente in voce pronte
Dicean: «O re de il Ciel, o dio Macone,
Che per pietà in terra sei venuto
In tanta nostra pena a darci aiuto!
33.
Per cagion nostra giù de il ciel lucente
Or sei disseso a mostrarci la facia:
Tu sei lo aiuto del’umana gente,
Né mai salvarli il tuo volto si sacia.
Fa’ ciascadun di noi ricognoscente,
Dapoiché ce hai donata cotal gratia,
Sì che per merto al fin si troviam degni
De star con teco neli eterni regni!».
34.
Renaldo se turbò nel primo aspeto,
Vegendosi adorare in veritate;
Ma ascoltandoli poi prese diletto
De il pacio aviso e gran simplicitate
De questi, che il chiaman Macometto,
E a lor rispose con umilitate:
«Questa falsa credanza via toglitte,
Che io son di terra, come voï site!
35.
Tuto è di fango il corpo e questa scorza,
L’anima non, che fo da Cristo espressa;
Né ve maravigliati de mia forza,
Ché Esso per sua pietà me l’ha concessa.
Lui la virtute accende e lui la smorza,
E quella fede che il mio cor confessa,
Quando si crede, drita mente e pura,
De ogni spavento l’animo asecura».
36.
Con più parole poi li racontava
Sì come egli era il sir de Montealbano;
È tuta nostra fede predicava,
E perché Cristo prese corpo umano;
E in conclusïon tanto operava
Che l’uno e l’altro se fiè cristiano:
Dico Iroldo e Prasildo, per suo amore
Macon lassando e ogni falso errore.
37.
Poi tuti tre parlarno ala dongella,
A lei mostrando diverse ragione
Che pigliar debba la fede novella,
La falsità mostrando di Macone.
Essa era sagia sì come era bella:
Però contrita e cum devocïone
Coi cavalier insieme, ala fontana
Fo per Renaldo facta cristiana.
38.
Esso dapoi con bel parlar espose
Che egli intendeva de andare al giardino
Qual fato ha tante gente dolorose,
E con lor se consiglia de il camino;
Ma la dongella subito rispose:
«Da tal pensier te guarda Dio divino!
Non potresti acquistar altro che morte,
Tanto è lo incanto a maraviglia forte!
39.
Io hagio un libro dove sta depinto
Tuto il giardino a ponto e con misura;
Ma nel presente sol avrò distinto
Dela sua entrata la strana ventura,
Però che quello è de ogni parte cinto
De una alta pietra, tanto forte e dura
Che mille mastri a botta de picone
Non ne potrìan spezar quanto un botone!
40.
Dove il sol nasce, a megio un torrïone,
Havi una porta de marmo polito.
Sopra ala soglia sta sempre il dracone,
Qual da che naque mai non ha dormito,
Ma fa la guardia per ogni stagione;
E quando fosse alcun de entrar ardito,
Convien con esso prima battagliare,
Ma poi che è vinto assai li è più che fare;
41.
Ché incontinente la porta se serra
Né mai per quella si può far ritorno,
E comenciar conviensi un’altra guera,
Perché una porta si apre a Mezogiorno.
Ad essa in guardia n’esce dela tera
Un bove ardito e ha di fero un corno,
L’altro di foco, e ciascun tanto acuto
Che non vi giova sbergo o piastre o scuto.
42.
Quando pur fosse questa fiera morta
(Che serìa gran ventura veramente),
Comme la prima è chiusa quella porta;
E l’altra si apre verso lo Occidente
E ha diffese vinte ala sua scorta:
Uno asinel che ha la coda tagliente
Come una spada, e poi le orechie piega
Come li piace e ciascun omo lega,
43.
E la sua pelle è di piastre coperta,
E sembra d’oro, e non si può tagliare;
Sinché egli è vivo sta sua porta aperta,
Come egli è morto mai più non appare.
Ma poi la quarta, come il libro acerta,
Subito se apre, e là conviensi andare:
Questa risponde proprio a Tramontana,
Dove non giova ardire o forza umana,
44.
Ché sopra a quella sta un gigante fiero,
Qual la diffende con la spada in mano;
E si egli è occiso de alcun cavaliero,
Dela sua morte dui ne nasce al piano;
Doi ne nasce ala morte de il primero,
Ma quatro de il secondo a mano a mano;
Otto de il terzo e sedeci de il quarto
Nascono armati de lor sangue sparto.
45.
E cossì va crescendo in infenito
Il numero di lor sanza menzogna;
Sì che lascia, per Dio, questo partito
Che è pien di oltragio, danno e di vergogna.
Il fato proprio sta comme hai sentito,
Sì che farli pensier non ti bisogna;
Molti altri cavalier li sono andati:
Tutti son morti e mai non son tornati!
46.
Se pur ha’ voglia di mostrar ardire
E di provare un’altra novitate,
Assai fia meglio con meco venire
A far una opra di molta pietate,
Come altra fiata io t’ebe ancor a dire:
E tu me prometesti in veritate
Venir con meco ed esser mio campione,
Per trar Orlando e li altri de pregione».
47.
Stete Renaldo un gran pecio pensoso
E nulla ala dongella respondìa,
Perché entrar al giardin maraviglioso
Sopra ogni cosa de il mondo desia;
E non è fato il baron pauroso
De il gran periglio che sentito avìa,
Ma la difficultà, quanto è magiore,
Più li par grata e più digna de onore.
48.
Dal’altra parte la promessa fede
Ala dongella, che la ricordava,
Forte lo strenge, e quella ora non vede
Che il trovi Orlando che cotanto amava.
Oltra di questo, ben certo si crede
Un’altra volta, comme desiava,
A quel giardino soletto venire,
Ed entrar dentro, e conquistarlo, e ussire.
49.
Sì che nel fin pur se pose a camino
Con la dongella e con quei cavalieri;
Sempre ne vano, da sira al matino,
Per piano e monte e per strani sentieri,
E dela selva già sono al confino,
Dove solea vedersi el bel verzieri
Di Dragontina sopra ala fiumana,
Che ora è disfato, e tuto è tera piana.
50.
Come io vi disse, il giardin fu disfato,
E il bel palagio e il ponte e la rivera,
Quando fo Orlando con quel’altri tratto;
Ma Fiordalisa a quel tempo non vi era
E però non sapea di questo facto,
E trovar Brandimarte ella si spiera,
E con lo aiuto de il figliol de Amone
Trarlo con li altri fuor dela pregione.
51.
E cavalcando per la selva scura,
Essendo megio il giorno già passato,
Vidon venir correndo ala pianura
Sopra un cavallo, uno om tuto armato
Che mostrava ala vista gran paura;
Ed era il suo destrier molto affannato,
Forte batendo l’un e l’altro fianco,
Ma l’omo trema ed è nel viso bianco.
52.
Ciascadun di novelle il dimandava,
Ma lui non rispondëa alcuna cosa,
E pur adietro spesso riguardava.
Doppo, ala fin, in voce paurosa,
Perché la lingua col cor li tremava,
Disse: «Mal agia la voglia amorosa
De il re Agricane, ché per quel’amore
Cotanta gente è morta a gran dolore!
53.
Io fo’, signor, con molti altri attendato
Intorno ad Albracà con Agricane;
Fo Sacripante de il campo caciato
E avémo la terra nele mane:
Solo il girone ad alto fo servato.
Ed ecco ritornare una dimane
La dama che la roca diffendìa,
Con nove cavalier in compagnia,
54.
Tra ’ quali io vi cognobe il re Balano
E Brandimarte e Oberto da il Leone.
Ma non cognosco un cavalier soprano
Che non ha di prodeza parangone:
Tutti soletto ce caciò de il piano;
Occise Radamanco e Saritrone
Con altri cinque re ch’è in quella guerra:
Tuti in due peci fece andar per terra.
55.
Io vidi (e ancor mi par che io l’agia in faza)
Gionger a Pandragone in su il traverso:
Tagliòli il peto e nete ambe le braza.
Dapoi che io vidi quel colpo diverso,
Ducento miglia son fugito in caza
E volentier me avrìa nel mar sumerso,
Perché averlo ale spale ognor mi pare.
A Dio siati: io non voglio aspetare!
56.
Ché io non me credo maï esser securo
Sinché io non son a Rocabruna ascoso:
Levarò il ponte e starò sopra al muro!».
Queste parole disse il pauroso,
E fugendo nel bosco folto e scuro
Uscì de vista nel camin ombroso.
La damigella e ciascun cavaliero
Rimase del suo dire in gran pensiero.
57.
E l’un con l’altro insieme ragionando
Compreser che e baron eran campati
E che quel cavalier è il conte Orlando,
Che facìa colpi sì desterminati;
Ma non sàno stimare o come o quando
E con qual modo e’ siano liberati;
Ma tutti insieme sono de un volere:
Indi partirsi e andarli a vedere!
58.
Fuor de il deserto per la drita strada
Sopra il Mar de il Bacù van tutavia.
Essendo gionti al gran fiume di Drada,
Vidiro un cavalier che indosso avìa
Tute arme a ponto e al fianco la spada;
Una dongella il suo destrier tenìa:
Però che alora montava in arcione,
Quella tenïa il freno al suo ronzone.
59.
Ai compagni se volse Fiordelisa
Dicendo: «Se io non fallo al mio pensiero
E se io ramento ben questa divisa,
Quel che vedeti non è un cavaliero,
Anci è una dama nomata Marfisa,
Che in ogni parte, per ogni sentiero,
Quanto la terra può circarsi a tondo,
Cosa più fiera non si trova al mondo.
60.
Onde a voi tutti sciò ben racordare
Che non entrati de giostra al periglio:
Spaciànci pur de adetro ritornare!
Credeti a me, che bene io vi consiglio:
Se non ce ha visto potremo campare,
Ma se adosso vi pone il fiero artiglio,
Morir conviense con dolor amaro,
Ché non si trova a sua possa riparo!».
61.
Ride Renaldo di quelle parole
E de il consiglio la dama ringratia,
Ma veder quella prova al tuto vòle:
Prende la lanza e il forte scudo imbraza.
Era salito a megio il ciel il sole
Quando qui’ dui fòr gionti a facia a facia,
Ciascun tanto animoso e sì potente
Che se stimavan l’un l’altro nïente.
62.
Marfisa riguardava il fio de Amone
Che li sembrava ardito cavaliero;
Già tien per guadagnato il suo ronzone,
Ma sudar prima li farà mestiero.
Fermosse l’uno e l’altro in sulo arcione
Per trovarsi assetato al scontro fiero;
E già ciascun il suo destrier voltava,
Quando un messagio in su il fiume arivava.
63.
Era quel messagero vechio antico
E seco avìa da vinti omini armati;
Gionto a Marfisa disse: «Il tuo nemico
Ce ha tutti al campo rotti e dissipati:
Morto è Archiloro e non vi valse un fico
Il suo martello e i colpi smesurati;
E fo Agricane che occise il gigante:
Tutta la gente a lui fuge davante!
64.
Re Galafrone a ti se racomanda
E in te sola ha posta sua speranza;
L’ultimo aiuto a te sola dimanda:
Fa’ che il tuo ardire e la tua gran possanza
In questo giorno per nome si spanda!
E il re Agricane, che ha tanta arroganza
Che crede contrastare a tuto il mondo,
Sia per te preso, o morto, o messo al fondo!».
65.
Disse Marfisa: «Un poco ivi rimane,
Che io vengo al campo senza far dimora:
Ora che questi tre me sono in mane
Daròtegli pregion in poco de ora;
Poi prenderagio presto il re Agricane,
Che ben agia Macone e chi l’adora!
Vivo lo prindirò, non dubitare,
E ala roca lo farò fillare!».
66.
E più non disse la persona altiera,
Ma verso il cavalier si ebe a voltare,
E poi con voce menaciante e fiera
Tuti tre insieme li ebbe a disfidare.
Fo la bataglia sopra alla rivera
Terribel e crudel a riguardare,
Ché ciascun oltra modo era possente,
Comme odirete nel canto seguente.
1. 1. vi promisse contar: ‘vi promisi di raccontare’. 4. verziero: ‘giardino’ (cfr. I, i, 21, 6). 5. di fronde: ‘dalle fronde’. Bisticcio al centro del verso.
2. 1. ‘A venti giornate (di cammino) da qui’. 3. fo: ‘fu’. 4. se appella: ‘si chiama’. 5. Havi: ‘vi è’. 6. in tutte le contrate: ‘in tutti i paesi’. 7. Var. di una perifrasi già incontrata (cfr. I, i, 7, 8). Cosa: ‘creatura’.
3. Si scopre che l’interlocutore di Rinaldo è Iroldo, uno dei protagonisti della novella raccontata da Fiordelisa nel canto dodicesimo di questo libro. 1. di mia età fiorita: ‘della mia giovinezza’. Questo verso, costruito con materiali petrarcheschi («età fiorita» si trova in Rvf 278, 1; 315, 1 ecc.; Nel dolce tempo de la prima etade è l’incipit di Rvf 23), torna identico in altre opere boiardesche: Al I, 1, 2 e Pastorali V, 26 (entro una citazione dei due versi iniziali di Al I, 1). 2. Fo’: ‘fui’. 3. ‘e la mia volontà fu così unita alla sua’. 4. ascoso: ‘nascosto’. 5. Ad altri: ‘a un altro’, cioè a Prasildo. alla finita: ‘alla fine’. 6. Pensa: l’imperativo, che si ripeterà a 4, 4, aumenta il pathos della narrazione interna (cfr. il racconto della vecchia a I, viii, 40, 4: «Pensi se ciò facendo avìa dolore!»). ebbe: ‘ebbi’. 7. duol: ‘dolore’. 8. disiarla: ‘desiderarla’.
4. 3. ‘Fuori di me, morivo pur vivendo’; l’ossimoro è di tradizione lirica. Per la forma vivando cfr. I, xvi, 40, 5. 4. modo… guisa: sinonimi. 5-6. Entrambe le perifrasi astronomiche significano un periodo di due anni. 6. alla recisa: ‘in poche parole’ (TROLLI 2003, p. 240). 7. mischino: ‘infelice’. 8. Circando: ‘percorrendo’.
5. 1. Le peregrinazioni di Iroldo ricordano quelle che lui e Tisbina speravano potessero fare disamorare Prasildo; cfr. I, xii, 30, 7-8 (TISSONI BENVENUTI 1999). 2. al diverso paese: ‘in terra straniera’. 3. ‘attenuarono comunque i dolori d’amore’. 4. le medole: ‘le midolla’. Ossa e midolla come sede più profonda del contagio amoroso sono un topos classico molto diffuso anche nella lirica volgare. 6. prodo: ‘prode’; cfr. I, xvi, 63, 7. 7. ‘che mi fa ancora piacere essermi privato (di Tisbina) per lui’; per il latinismo giova cfr. I, viii, 40, 5.
6. 1. seguendo: ‘proseguendo’. 3. volse: ‘volle’. prava: ‘malvagia’ (cfr. I, xii, 78, 6). 4. io fo’ arivato: ‘io arrivai’. 5. Una dama: Falerina. 6. era asembrato: ‘era partito con l’esercito’ (cfr. I, i, 6, 2). 7. a far tinzone: ‘a combattere’. 8. una figlia: Angelica.
7. 2. ‘conosceva ogni faccenda legata all’inganno’. I commentatori si dividono sul significato di mistero: TROLLI 2003, p. 196 preferisce ‘segreto’, ma mi pare un equivalente di mestiere, come spesso in testi sett. antichi (cfr. p. es. TRENTI 2008, p. 358). TISSONI BENVENUTI 1999 propende per ‘modo, artificio’ pur non escludendo ‘segreto’. Ingani e frode: coppia sinonimica. 3. Chiasmo. ‘con aspetto ingannevole e con parole gentili’. 4. Dava recepta: ‘dava ricetto, accoglienza’. 4-8. Il sogg. è sempre il forastiero che, una volta arrivato a Orgagna, tentava inutilmente di andarsene, ma non c’era modo e, alla fine, doveva morire. Per la costruzione personale di convenìa cfr. I, i, 45, 6.
8. 1. Però che: ‘perché’. 4. Have: ‘ha’ (dal lat. HABET); è una forma della tradizione lirica (MENGALDO 1963, p. 121). nobile: ‘bello’. 5-7. ‘non è circondato da un fossato né da una siepe spinosa, ma gli fa muro intorno la roccia viva e lo rinchiude di una sola cerchia’. 8. non pote: ‘non può’. volla: ‘vola’.
9. 1. verso il sol nascente: ‘a est’. 2. tropo alta e soprana: ‘molto alta’; tropo è il solito francesismo e gli agg. costituiscono una dittologia sinonimica. 3. Sopra: ‘presso’. serpente: ‘drago’. 5. quisto: ‘questo’. 6. strana: di solito ‘straniera’, ma qui probabilmente ‘fuori dall’ordinario’ (TROLLI 2003, p. 282). 7. ‘cattura sempre quanti riesce a raggiungere’.
10. 2. Fo’ preso a inganno: ‘fui catturato con l’inganno’. 3. stete: ‘stetti’. 5. la compassïone: ‘la scena compassionevole’. 7. Doi: ‘due’. 8. Per sciogliere le vittime si tirava a sorte, come si capisce nell’ottava seguente.
11. 1-2. ‘I nomi di tutti erano scritti a coppie: una dama e un cavaliere insieme’. 4. ‘quella coppia che era sorteggiata per prima nella prigione’. 5. in questa forma: ‘in questo modo’. 6. ‘e non avendo alcuna speranza di salvarmi’. 7. ria: ‘malvagia’. me avìa batuto: ‘mi aveva colpito’. 8. porsi: ‘porse’. Ottava aperta.
12. 1. baron: ‘cavaliere’. 5. saprìa: ‘saprei’. 6. camina: ‘viaggia’. 7-8. ‘e con molto denaro, in incognito, arrivò in terra di Orgagna’.
13. 1-2. ‘Lì quel nobile signore si diede a condurre molte trattative per salvarmi’. 3. proferse grande oro: ‘offrì molto oro’. 5. ebi: ‘ebbe’. 6. ‘non riuscì a convincerlo né con le preghiere né con il denaro’; pòte: ‘poté’. 7. per bel dire: ‘con efficace eloquenza’.
14. 1. fo’ tratto: ‘fui tratto’. 2. al loco mio: ‘al mio posto’. 4. cortese: come nel canto dodicesimo, si insiste sulla cortesia dei personaggi. pio: ‘compassionevole’. 7. e miseri: ‘gli sventurati’. 8. ad ora ad ora: ‘da un momento all’altro’.
15. 1. sapia e cognosca per certo: ‘sappia con certezza’; i due verbi compongono una coppia sinonimica. 2. Che bastante non sono: ‘che non sono in grado (da solo)’. 3. aperto: ‘con chiarezza’; avv. 4-5. ‘quanto io sia obbligato a ricompensare quel nobile cuore di un tale merito’. 6. comme quivi fia venuto: ‘quando sarà arrivato qui’. 7. che il menan: ‘che lo conducono’. 8. canaglia: collettivo.
16. 2. ‘quella morte mi sarà così gradita’. 5. diviso: ‘sbranato’. 7. ancor col mio morire: ‘neppure con la mia morte’. 8. ‘togliergli il dolore di un tale supplizio’.
17. 3. piatoso: ‘tale da suscitare compassione’. 6. Proferendo sé stesso: ‘offrendosi di aiutarlo’. 7. non dubitare: ‘non temere’.
18. 1. ‘Se anche i custodi fossero il doppio’. 2. lo condurano: plur. a senso. 3. ‘li stimo meno di un fascio di paglia’. 4. fé: ‘fede, onore’. 5. Letteralmente ‘che te li scuoterò provocando loro tale pena’; te esprime una partecipazione emotiva assimilabile al dativo etico latino. 6. non se terà securo: ‘non si sentirà al sicuro’.
19. 2. vàne: ‘vattene’. 4. cognato: qui vale ‘parente’; Rinaldo era cugino di Orlando. figlio de Amone: cfr. I, iv, 71, 6. 6. Tenemo campo: ‘teniamo testa’. 7. ‘nessuno, chiunque egli sia, vale più di un uomo’.
20. 1. Pàrtite, in cortesia: ‘Vattene, ti prego’. È ancora la cortesia il valore nel cui nome Iroldo rifiuta l’aiuto di Rinaldo per non esporlo al pericolo di morte. 2. gionto: ‘raggiunto’ e dunque ucciso. 3. Parte non hai: ‘non partecipi, non ti riguarda’. 4. conto: ‘raccontato’; participio passato forte. 5. soglio: ‘ero solito’ (cfr. I, v, 59, 5). 6. Renderti gratia: ‘ringraziarti’. 8. la merta: ‘la merita’.
21. 2. hagio proferto: ‘ho offerto’. 3. desio: ‘desiderio’. 4. né guidardon né merto: ‘ricompensa o gratitudine’. 5. cognosco: ‘capisco’. 6. un par: ‘una coppia’. tanto certo: ‘tanto fedele’. 8. il tercio: ‘il terzo’. me terìa: ‘mi riterrei’. Rinaldo è commosso dalla cortesia che scaturisce dall’amicizia tra i due e desidera prendervi parte anche a rischio della vita, riconoscendosi pienamente nel valore che qui trova la sua massima espressione. TISSONI BENVENUTI 1999 nota un’analogia con l’episodio dei due pitagorici Damone e Finzia narrato delle Tusculanae disputationes di Cicerone (V, 22, 63): Dionisio, tiranno di Siracusa, aveva condannato a morte uno dei due e l’altro si era offerto come garante in luogo dell’amico. All’ora stabilita per l’esecuzione, il condannato si era presentato per essere giustiziato, liberando così il mallevadore. Dionisio, ammirato, aveva esclamato: «Utinam […] tertius vobis amicus adscriberer!».
22. 2. de il tuo dileto: ‘della tua gioia’. 4. tu sei… di viver scivo: ‘tu non vuoi più vivere’. 5. ‘La vostra amicizia non sarà mai lasciata (da me)’. 6. vosco: ‘con voi’. 7. aviti ambi a morire: ‘dovete morire entrambi’. In questi ultimi versi Boiardo insiste sul legame dell’amicizia che supera la morte (anafora di vosco e di morto; ancora morire al v. 7).
23. 1. ragionarno: ‘parlavano’. 5-8. Nella descrizione del drappello Boiardo mette l’accento sull’aspetto dei carcerieri, più simili a straccioni che a soldati. 5. usbergo: cfr. I, ii, 61, 3. gambiera: parte dell’armatura che protegge la gamba. 6. maglia: cfr. I, i, 61, 4. 7. ribaldi: ‘furfanti’. 8. ‘e quello messo peggio è colui che li guida’.
24. 1. Rubicone: la scelta del nome non sembra dovuta al fiume (ci sarà un’allusione al verbo rubare?). 3. seicento libre: circa trecento chili. poltrone: ‘briccone’. 4. de gran possa: ‘molto forzuto’. 6. una percossa: ‘una cicatrice’.
25. 2. palafreno: ‘cavallo’ (cfr. I, iv, 5, 2). 3. nel sembiante: ‘nell’aspetto’. 5. amblante: forma francesizzante di ambiante ‘che va a passo d’ambio’, cioè muovendo alternativamente le zampe del lato destro e quelle del sinistro. 6. cognobe: ‘riconobbe’. sereno: agg. formulare. 8. Fiordelisa.
26. 1. li fo tolta: ‘gli fu rapita’ (cfr. I, xiii, 58). 2. contrafato: ‘mostruoso’. 3. posa: ‘indugio’. 4. se gitò: ‘si gettò, balzò’. 5. gente dolorosa:è la scorta; qui dolorosa vale ‘che provoca dolore, malvagia’ (TROLLI 2003, p. 139) diversamente che nel dantesco «genti dolorose» (Inf. III, 17). 8. se derno al fugire: ‘si diedero alla fuga’.
27. 1. l’altro cavaliero: Iroldo. in arzone: ‘in sella’. 2. forbita: ‘lucente’. 3. se driza: ‘si dirige’. 5. ‘e lui era l’unico a difendersi’. 7. de un colpo diverso: ‘con un colpo straordinario’. 8. per megio de il traverso: ‘a metà della lunghezza’, cioè ‘alla cintura’ (TROLLI 2003, p. 63).
28. 1. dà: ‘colpisce’. tempesta: ‘furia’. 3-4. ‘e molto spesso smette di colpire e trae divertimento dalla loro paura’. 6. partìte: ‘divise, tagliò’. 7. da scrizo: ‘per scherzo’ (per la forma, piuttosto dialettale, cfr. TROLLI 2003, p. 258). combatìa: ‘combatteva’. 8. tuttavia: ‘continuamente’.
29. 1. e doi pregioni: ‘i due prigionieri’. 3. ‘dopo che furono fuggiti quei farabutti’. 4. avìan pensero: ‘pensavano’. 6. targhe: ‘scudi’. 7. ‘tagliato a metà e con le braccia mozzate’. 8. tutafiata caza: ‘continua a incalzare’.
30. 3. anco: ‘anche’. egli ebi… morti: ‘ebbe uccisi’. 6. abraza: ‘abbraccia’. 7. ‘ma, come si suole fare nei momenti di grande gioia’.
31. 1. ‘Il principe (Rinaldo) era lontano circa due miglia’. 2. il popul: la gente di Rubicone. 5. vermiglia: ‘rossa’, per il sangue versato. 6. il colpo: ‘la ferita’. 7. anci: ‘anzi’. 8. ‘colui che aveva tagliato un così gran corpo con la spada’.
32. 1. Callava: ‘calava, scendeva’. 4. adorarno in gionichione: ‘(lo) adorarono in ginocchio’. 5. in voce pronte: ‘con le voci pronte’, cioè ‘parlando senza esitazione’. 6. Macone: Maometto (cfr. I, ii, 4, 7).
33. I due saraceni si esprimono in modo molto “cristiano”. 2. disseso: ‘disceso’. 4. si sacia: ‘si sazia’, cioè ‘si stanca’. 7. per merto: ‘per i nostri meriti’. si troviam: ‘ci troviamo’. 8. con teco: ‘con te’.
34. In questa ottava e nelle successive Rinaldo dispensa agli amici saraceni un rapido corso di catechismo e li converte. È un elemento tradizionale: spesso i paladini (Orlando in particolare) che si trovano in terre mussulmane provvedono all’evangelizzazione degli indigeni e talvolta di intere città o popolazioni. 1. nel primo aspeto: ‘sulle prime’. 2. Vegendosi: ‘vedendosi’. 3-4. ‘si divertì dell’opinione erronea e della grande ingenuità’. 5. Dialefe tra che e il. Macometto: Maometto (cfr. a fr. Mahomet). 6. umilitate: ‘gentilezza’. 7. ‘Liberatevi di questa falsa credenza’; credanza risente forse della fonetica francese. 8. site: ‘siete’. Terra qui e fango dell’ottava seguente richiamano il racconto della creazione dell’uomo «de limo terrae» (Gen. 2, 7).
35. 1. questa scorza: dovrebbe essere sinonimo di corpo (TROLLI 2003, p. 261). 2. che fo da Cristo espressa: ‘che fu creata da Cristo’; più propriamente da Dio. Esprimere con questo significato ha la sua unica attestazione antica nota in Boiardo (TROLLI 2003, p. 145). 6. confessa: ‘professa’. 7. drita mente e pura: ‘con giustizia e con purezza’; il suffisso avverbiale -mente (in origine l’ablativo lat. mente) è riferito a entrambi gli aggettivi. 8. ‘rende l’animo sicuro da ogni paura’.
36. 2. Sì come: ‘che’. 5. tanto operava: ‘faceva tanto’. 6. se fiè cristiano: ‘si fecero cristiani’. 8. falso errore: ‘ingannevole sviamento’ (TISSONI BENVENUTI 1999).
37. 3. Che: ‘per le quali’. 3. novella: ‘nuova’, cioè il cristianesimo. 6. Però: ‘perciò’. cum: cfr. I, i, 6, 8. 7. fontana: ‘fonte’. 8. ‘fu battezzata da Rinaldo’.
38. 1. dapoi: ‘dopo’. 3. ‘il quale ha dato dolori a tante persone’. 4. de il camino: ‘sul viaggio’. 6. te guarda: ‘ti protegga’. 8. a maraviglia: ‘straordinariamente’.
39. 1. hagio: ‘ho’. depinto: ‘disegnato’. 2. a ponto e con misura: ‘nei minimi dettagli’. 3. sol avrò distinto: ‘descriverò solo’. 4. ‘la strana condizione della sua entrata’. 5. cinto: ‘circondato’. 6. pietra: ‘roccia’. 7. mastri: ‘scalpellini’ (TISSONI BENVENUTI 1999) o forse, più genericamente, ‘operai’. a botta de picone: ‘a colpi di piccone’. 8. potrìan: ‘potrebbero’. quanto un botone: ‘una quantità insignificante’.
40. 1. ‘a est, in mezzo a un torrione’. 2. Havi: ‘c’è’. polito: ‘liscio, levigato’. 4. Qual: ‘il quale’. 5. per ogni stagione: ‘sempre’. 6. fosse… ardito: ‘avesse il coraggio’. 7. convien: ‘deve’; per la costruzione cfr. I, i, 45, 6. 8. assai li è più che fare: ‘c’è molto di più da fare’.
41. 1. incontinente: ‘subito’. se serra: ‘si chiude’. 3. conviensi: ‘bisogna’. 4. a Mezogiorno: ‘a sud’. 5. ‘A guardia di essa esce dalla città’. 6. Un bove: sembra trattarsi piuttosto di un toro. 8. Che non vi giova: ‘che non servono (contro le corna)’. sbergo: cfr. 23, 5. piastre: cfr. I, ii, 1, 5.
42. 2. serìa: ‘sarebbe’. ventura: ‘fortuna’. 5. vinte ala sua scorta: ‘collegate alla sua difesa’. 8. Ottava aperta,
43. 4. mai più non appare: ‘(la porta) sparisce per sempre’. 5. acerta: ‘informa’. 7. a Tramontana: ‘a nord’. 8. non giova: cfr. 41, 8. Ottava aperta.
44. 1. fiero: ‘terribile’. 2. Qual: cfr. 40, 4. 4. al piano: ‘nella pianura’. 6. de il primero: ‘dal primo’. 6. a mano a mano: ‘subito’. 8. sparto: ‘versato’.
45. 1. in infenito: ‘all’infinito’. 2. sanza menzogna: zeppa formulare. 3. questo partito: ‘questa decisione’. 4. ‘che porterà onta, danno e vergogna’; per il costrutto cfr. TROLLI 2003, p. 35. 6. ‘sicché non devi pensarci’.
46. 2. novitate: ‘impresa straordinaria’. 3. fia: ‘sarà’. 5. ‘come ti ho detto anche un’altra volta’.
47. 1. un gran pecio pensoso: ‘a lungo pensieroso’. 4. desia: ‘desidera’. 5. non è fato… pauroso: ‘non si spaventa’. 6. periglio: ‘pericolo’. 8. grata: ‘gradita’.
48. 1. la promessa fede: ‘la parola data’ (TROLLI 2003, p. 147). 3. lo strenge: cioè lo stringe ‘lo obbliga’ (forma non anafonetica). ora non vede: ‘non vede l’ora’. 4. il: ‘egli’. 7. ‘andare da solo a quel giardino’. 8 ussire: ‘uscire’.
49. 1. nel fin: ‘alla fine’. se pose a camino: ‘si mise in viaggio’. 3. da sira al matino: alla lettera ‘dalla sera al mattino’, ma un viaggio notturno è improbabile. Sarà un hysteron proteron, magari sollecitato dalla rima. 4. strani: ‘sconosciuti’. 6. verzieri: ‘giardino’ (cfr. I, i, 21, 6). 7. ala fiumana: ‘al fiume’.
50. 1. fu disfato: ‘fu distrutto’ (cfr. I, xiv, 49). 2. la rivera: ‘il fiume’. 3. tratto: ‘liberato’. 5. però: ‘perciò’. 6. si spiera: ‘spera’.
51. 3. Vidon: la forma può valere sia ‘vedono’ sia ‘videro’. 5. ala vista: ‘nell’aspetto’. 7. batendo: il verbo dovrebbe indicare le pulsazioni nei fianchi del cavallo esausto; si ricordi, al riguardo, il cervo di Al III, 15, 3 «batendo per lo affanno il sciuto fianco» (TROLLI 2003, p. 99).
52. 1. ‘Tutti gli chiedevano notizie’. 3. riguardava: ‘guardava’. 6. Mal agia: alla lettera ‘abbia male’, cioè ‘sia maledetta’. 8. a gran dolore: ‘con grandi sofferenze’; emistichio formulare.
53. 1. attendato: ‘accampato’. 4. la terra nele mane: ‘la città in nostro possesso’. 5. ‘solo la cerchia murata più alta fu conservata (dagli assediati)’. 6. una dimane: ‘una mattina’. 7. diffendìa: ‘difendeva’; è Angelica. 8. Ottava aperta.
54. 1. cognobe: ‘riconobbi’ (vi è pleonastico). 3. soprano: ‘valoroso’. 4. ‘che non ha confronto quanto a valore’. 5. soletto: ‘da solo’. de il piano: ‘dalla pianura, dal campo di battaglia’. 8. in due peci: ‘tagliati in due pezzi’.
55. 1. che io l’agia in faza: ‘che io l’abbia in faccia, davanti agli occhi’. 2-3. ‘colpire Pandragone con un colpo di traverso: gli tagliò il petto ed entrambe le braccia di netto’. 5. in caza: ‘in caccia, precipitosamente’. 6. ‘e mi sarei volentieri buttato in mare’. 8. A Dio siati: ‘state con Dio’; formula di saluto.
56. 3. Levarò: ‘alzerò’. 8. ‘restarono a pensare alle sue parole’.
57. 1. ‘E parlando tra loro’. 2. e baron eran campati: ‘i cavalieri si erano salvati (dal giardino di Dragontina)’. 4. desterminati: ‘smisurati’. 7. sono de un volere: ‘hanno un solo proposito’.
58. 1. deserto: ‘luogo disabitato’. 2. ‘costeggiano il Mar Caspio’. 5. Tute arme a ponto: ‘tutte le armi in ordine, pronte’. 6. tenìa: ‘teneva’. 7. P, R e Z, seguiti dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, hanno alhor; si preferisce la lezione di R2 e T, metricamente più regolare. alora: ‘proprio in quel momento’. 8. ronzone: ‘cavallo’.
59. 2. Se io non fallo al mio pensiero: ‘se non m’inganno’. 3. ramento: ‘rammento, ricordo’. divisa: ‘insegna’. 7. circarsi a tondo: ‘esplorarsi tutta intorno’. 8. Cosa più fiera: ‘creatura più feroce’.
60. 1. sciò ben racordare: ‘so ben ricordare’. 2-3. ‘che non vi esponiate al pericolo di giostrare con lei. Sbrighiamoci a tornare indietro!’. 7. conviense: ‘bisogna’. 8. possa: ‘forza’.
61. 3. al tuto vòle: ‘vuole assolutamente’. 4. imbraza: ‘imbraccia’. 6. qui’ dui: ‘quei due’.
62. 1. fio: ‘figlio’. 3. Già tien per guadagnato: ‘pensa di avere già conquistato’. 4. li farà mestiero: ‘le sarà necessario’. 5. Fermosse: ‘si fermò, si fissò’. 6. assetato: ‘ben sistemato, pronto’. 8. messagio: ‘messaggero’. in su: ‘presso’.
63. 1. vechio antico: ‘molto vecchio’. 2. seco: ‘con sé’. da: ‘circa’. 4. dissipati: ‘dispersi’. 5. vi valse: ‘gli servirono’. 8. a lui fuge davante: ‘fugge davanti a lui’.
64. 5. per nome si spanda: ‘si diffonda per fama’ (TROLLI 2003, p. 275). 6. P e R, seguiti dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, hanno Agrican; si preferisce la lezione di T e R, metricamente più regolare. 8. messo al fondo: ‘umiliato’ (TROLLI 2003, p. 152).
65. 1. ivi rimane: ‘fermati qui’. 2. senza far dimora: ‘senza indugiare’. 3. in mane: ‘tra le mani’. 4. ‘te li darò prigionieri in poco tempo’. 5. prenderagio: ‘prenderò, catturerò’. 6. ben agia: alla lettera ‘abbia bene’, cioè ‘sia benedetto’. 7. prindirò: ‘prenderò’. 8. ‘e lo metterò a filare con la rocca’; nella filatura la rocca è l’asticella sulla quale si avvolge la lana. Come nota TISSONI BENVENUTI 1999, la minaccia è tanto più ironica perché è pronunciata da una donna.
66. 2. si ebe a voltare: ‘si voltò’. 3. menaciante: ‘minacciosa’. 4. ebbe a disfidare: ‘sfidò’. 6. a roguardare: ‘da vedere’. 7. oltra modo: ‘in modo smisurato’.