CANTO DICIANNOVESIMO

Orlando e Agricane continuano a combattere, finché il paladino assesta un poderoso colpo che ferisce a morte il suo avversario (1-11). Agricane, prima di spirare, si converte e si pente dei suoi peccati, chiedendo a Orlando di battezzarlo. Il cavaliere cristiano, vittorioso ma addolorato, piange con lui e lo accontenta. Dopo essergli stato accanto fino all’ultimo, si accorge che il cavallo di Agricane è Baiardo e vorrebbe sapere come è caduto in mano al saraceno appena morto. Riparte con i due cavalli e trova nel bosco tre giganti che hanno catturato una fanciulla alle Isole Lontane: un cavaliere valoroso sta cercando di liberarla (12-22). Il racconto torna al campo di battaglia, dove la strage è impressionante. L’esercito di Agricane, rimasto senza condottiero, è in rotta. I cavalieri di Galafrone liberano Astolfo e gli altri prigionieri, che sono poi condotti ad Angelica. Astolfo ricomincia a vantarsi e si dirige con gli altri verso la battaglia, tornando in possesso delle proprie armi e compiendo mirabili gesta (23-32). Nel frattempo Rinaldo e Marfisa si stanno ancora battendo senza che alcuno dei due prevalga. Arriva Galafrone e riconosce Rabicano nel cavallo di Rinaldo; pensa allora che Rinaldo abbia ucciso suo figlio – l’Argalìa – e lo assale per vendicarsi. Marfisa, privata dell’avversario e perciò ancora più infuriata, attacca Galafrone, ma è a sua volta aggredita dai cavalieri del re, che la circondano. Rinaldo non può tollerare che la guerriera, da sola, debba fronteggiare tanti nemici e decide di aiutarla a costo della propria vita. I due sono presto raggiunti dall’esercito di Marfisa e infliggono perdite terribili a Galafrone e ai suoi (33-62). Fiordelisa, che osserva il massacro da lontano, teme per la sorte di Brandimarte e va a cercarlo. Lo trova da solo, che si vergogna per l’attacco di molti contro Marfisa. I due innamorati, felicissimi di essere di nuovo insieme, si coricano in una radura discosta dalla battaglia e recuperano con gioia il tempo perduto, addormentandosi poi serenamente. Un eremita malintenzionato li guarda da un colle vicino (53-65).

1.
Signori e cavalieri innamorati,
Cortese damigelle e gratïose,
Venitene davanti e ascoltati
L’alte aventure e le guere amorose
Che fér li antiqui cavalier pregiati:
È fòrno al mondo degne e glorïose,
Ma sopra tuti Orlando e Agricane
Fièr opre per amor alte e soprane.

2.
Sì come io disse nel canto di sopra,
Con fier assalto dispietato e duro
Per una dama ciascadun se adopra;
E benché sia la note e il ciel oscuro,
Già non vi fa mestier che alcun si scopra,
Ma conviensi guardar e star sicuro
E ben diffeso di sopra e de intorno,
Come il sol fosse in ciel al megio giorno.

3.
Agrican combatea con più furore,
Il conte con più senno se servava;
Già contrastato avean più de cinque ore
E l’alba in Orïente se schiarava.
Or se incomencia la zuffa magiore:
Il superbo Agrican se disperava
Che tanto contra esso Orlando dura
E mena un colpo fiero oltra a misura.

4.
Gionse a traverso il colpo disperato
E il scudo come un late al megio taglia;
Piagar non pote Orlando che è affatato,
Ma fracassa ad un ponto piastre e malia.
Non potea il franco conte aver il fiato:
Benché Tranchera sua carne non taglia,
Fo con tanta roina la percossa
Che avìa fracati e nerbi e peste l’ossa.

5.
Ma non fo già per questo sbigotito,
Anci colpisse con magior fierecia:
Gionse nel scudo e tutto l’ha partito;
Ogni piastra de il sbergo e malia specia
E nel sinistro fianco l’ha ferito.
E fo quel colpo di cotanta asprecia
Che il scudo megio al prato andò di neto
E ben tre coste li tagliò nel peto.

6.
Come ruge il leon per la foresta
Alor che l’ha ferito il caciatore,
Cossì il fier Agrican con più tempesta
Rimena un colpo di tropo furore;
Gionse nel’elmo al megio dela testa:
Non ebe il conte mai bota magiore
E tanto ussito è fuor di conoscenza
Che non sa se egli ha il capo o si egli è senza.

7.
Non vedea lume per li ochi nïente
E l’una e l’altra oreglia tintinava;
Sì spaventato è il suo destrier corente
Che intorno al prato fugendo il portava;
È sarebe caduto veramente
Se in quella sbordigion ponto durava,
Ma sendo nel cader, per tal cagione
Tornògli il spirto e ténesse alo arcione.

8.
È véne di sé stesso vergognoso,
Poiché cotanto se vede avanzato;
«Comme andaraï» dicea doloroso
«Ad Angelica mai vituperato?
Non te ricordi quel viso amoroso
Che a far questa bataglia t’ha mandato?
Ma chi è richiesto e indugia il suo servire,
Servendo poi, fa il guidardon perire.

9.
Presso a doi giorni ho già fato dimora
Per il conquisto de un sol cavaliero
E seco a fronte me ritrovo ancora,
Né gli ho vantagio più che il dì primero;
Ma se più indugio la bataglia un’ora,
L’arme abandono ed entro al monastiero:
Frate mi facio e chiamomi danato
Se mai più brando mi fia visto a lato!».

10.
Il fin del suo parlar già non è inteso,
Ché bate e denti e le parole incocca;
Fuoco rasembra di furore acceso
Il fiato che esce fuor di naso e boca.
Verso Agricane se ne va disteso,
Con Durindana ad ambe man il toca
Sopra ala spalla destra de riverso:
Tuto la taglia quel colpo diverso.

11.
Il crudel brando nel petto dichina
E rompe il sbergo e taglia il pancirone:
Benché sia grosso e de una maglia fina,
Tuto lo fende fin soto il galone.
Non fo veduta mai tanta roina!
Scinde la spata e gionse nelo arcione:
De osso era questo e intorno ferrato,
Ma Durindana lo mandò su il prato.

12.
Da il destro lato al’anguinaglia stanca
Era tagliato il re cotanto forte:
Perse la vista e ha la faza bianca
Come colui ch’è già gionto alla morte;
E benché il spirto e l’anima li manca,
Chiamava Orlando e, con parole scorte,
Sospirando diceva in bassa voce:
«Io credo nel tuo Dio che morì in croce.

13.
Bategiami, barone, ala fontana
Prima che io perda in tuto la favella;
E se mia vita è stata iniqua e strana,
Non sia la morte almen de Dio rebela:
Lui che véne a salvar la gente umana,
L’anima mia ricoglia tapinella!
Ben mi confesso che molto peccai,
Ma sua misericordia è grande assai!».

14.
Piangea quel re che fo cotanto fiero
E tenìa il viso al ciel sempre voltato.
Poï ad Orlando disse: «Cavaliero,
In questo giorno de ogi hai guadagnato
Al mio parere il più franco destriero
Che mai fosse nel mondo cavalcato:
Questo fo tolto ad un forte barone
Che del mio campo dimora pregione.

15.
Io non me posso ormai più sostenire:
Levami tu de arcion, baron accorto,
Deh, non lassar questa anima perire!
Bategiami ormai, che già son morto!
Se tu me lassi a tal guisa morire,
Ancor n’arai gran pena e disconforto».
Questo diceva e molte altre parole:
O quanto al conte ne rencresce e dole!

16.
Egli avea pien di lacrime la facia
E fo smontato in sula terra piana;
Ricolse il re ferito nele bracia
E sopra al marmo il pose ala fontana.
È di pianger con seco non si sacia,
Chiedendoli perdon con voce umana;
Poi batizollo al’aqua dela fonte,
Pregando Dio per lui con le man gionte.

17.
Poco poi stete che l’ebbe trovato
Fredo nel viso e in tuta la persona,
Onde se avidi che egli era passato.
Sopra il marmo ala fonte lo abandona
Cossì come era, tuto quanto armato,
Col brando in mano e con la sua corona;
È poi verso il destrier fece riguardo
E parli di veder che sia Baiardo.

18.
Ma creder non pò mai per cosa certa
Che qua sia capitato quel ronzone;
E anco il nascondeva la coperta
Che tuto lo guarnìa sino al talone.
«Io vuò saper la cosa in tuto aperta»
Disse a sé stesso il figliol di Melone
«Se questo è pur Baiardo o se il somiglia,
Ma se egli è desso, io n’ho gran maraviglia!».

19.
Per saper tutto il fatto il conte è caldo,
E verso de il caval se pone a gire;
Ma lui, che Orlando cognobe de saldo,
Li venne incontra e comencia a nitrire.
«Deh, dime, bon destrier, ove è Renaldo?
Ove ène il tuo signor? Non mi mentire!»
Cossì diceva Orlando, ma il ronzone
Non potea dar risposta al suo sermone:

20.
Non avea quel destrier parlar umano,
Benché fosse per arte fabricato.
Sopra vi monta il senator romano,
Che già l’avìa più fiate cavalcato;
Poi ch’ebe preso Briliadoro a mano,
Subitamente ussì fuora de il prato,
Ed entrò dentro dela selva folta,
Ma cossì andando un gran romor ascolta.

21.
Sanza dimoro ataca Briliadoro
A un tronco de una querce indi vicina;
Ma voglio che sapiati che coloro
Che entro a quel bosco fan tanta roina
Son tri giganti; e han molto tesoro
E sopra ad un gambelo una fantina
Tolta per forza al’Isole Lontane:
Un cavalier è con lor ale mane.

22.
Quel cavalier è di soperchia lena
E per scoter la dama se travaglia;
Un d’i giganti la dongella mena
E li altri doi con esso fan bataglia.
Poi vi dirò la cosa intégra e piena,
Ma di saperla adesso non ve incaglia;
Presto ritornarò dove io ve lasso:
Or vuò cantar de il campo il gran fracasso.

23.
De il campo, dico, che (come io cantai)
Andava a schiere in mile pecci sparte;
Più scura cosa non se vite mai:
Occisa è la gran gente in ogni parte
Con più roina che io non conto assai.
Il re Adrïan li segue e Brandimarte;
Risona il ciel e de il fiume la foce
De cridi, de lamenti e de alte voce.

224.
La gente de Agrican, sanza governo,
Poi che perduto è il suo forte signore
(Che mai nol viderano in sempiterno),
Fuge de il campo rota con romore:
Tutti son morti e callano alo Inferno.
Il vechio Galafron, pien de furore,
Di quella gente già non ha pietade,
Anci li pone al taglio dela spade.

25.
Non vòl che campi alcun di quella gente,
Tutti li occide il superbo vechione.
E già son gionti ove primeramente
Stava il re Agricane: il paviglione
Gitato fo per terra incontinente,
Dove trovarno Astolfo che è pregione
E il re Balano pien de vigoria;
Con sieco è Antifor de Albarosìa.

26.
Tuti e tre inseme, come eran, legati,
Fòrno conduti ad Angelica avanti;
Ma la dongella li ha molto onorati,
Che ben li cognosceva tuti quanti.
E poi che fòr dissolti e scatenati,
Con bel parlar e con dolci sembianti,
Mostrandoli careze e bella facia,
Di ciò che han per lei fatto li ringratia.

27.
Diceva Astolfo: «Star quivi non posso,
Che io mi vo’ vendicar con ardimento
De quella gente che mi véne adosso
E me getarno in terra a tradimento.
Io non sarrìa per tuto il mondo mosso
E più de un milïon n’avrebe spento,
Ma foi tradito da il falso Agricane:
Oggi l’ociderò con le mie mane!

28.
Fa’ che agia l’arme e prestami un destriero,
Ché incontinente giù voglio calare;
E ben ti giuro che al colpo primero
Quindeci peci de un omo vuò fare.
Prenderò vivo l’alto cavaliero:
Intorno il capo me il voglio agirare,
Po’ verso il ciel tanto alto il lascio gire
Che penarà tre giorni a giù venire!».

29.
Balan e Antifor, che eran presenti
Quando in tal modo Astolfo bravegiava,
Nol cognoscendo per fama altramenti,
Ciascun fuor de intelleto il iudicava.
Ambi eran ponderosi, ambi valenti,
E perciò ciascun l’arme adimandava;
Nel castello era molta guarnisone:
Presto si armorno e montarno in arcione.

30.
Astolfo prima gionse ala pianura,
Sempre sonando con tempesta il corno:
Ben mostra cavalier sanza paura,
Sì zoglioso veniva e tanto adorno.
Or ascoltati che bella ventura
Li mandò avanti Dio del ciel quel giorno!
Ché proprio nela strata se incontrava
In un che l’arme e sua lancia portava.

31.
Quel’arme che valean un gran tesoro
Un Tartaro le tien in sua balìa,
E il suo bel scudo e quella lanza d’oro
Che primamente fu delo Argalìa.
Il duca Astolfo sanza altro dimoro
Per terra a gran furor quello abatìa
Fuor dele spalle sei palmi passato:
Smontò ala tera ed ebel disarmato.

32.
Esso fu armato e ha sua lanza presa
E fata prova grande oltra misura,
Benché e nemici non facìan diffesa,
Ché de aspetarlo alcun non se asicura:
Tuti ne vano in rota alla distesa
Quella gente de il campo con paura;
Ma presso al fiume è guera de altra guisa
Tra il pro’ Renaldo e la forte Marfisa.

33.
Già combatuto avìan tuto quel giorno,
Né l’un né l’altro n’ha punto avanzato:
Non ha Renaldo pezzo de arme intorno
Che non sia rotto e in più parte fiacato;
Muor de vergogna e parli aver gran scorno
E sé de il tuto tien vituperato
Poiché una dama lo conduce a danza,
E più li perde assai che non avanza.

34.
Dal’altra parte è Marfisa turbata
Assai più de Renaldo nela vista
E non vorebbe al mondo esser mai nata,
Poiché in tante ore il baron non acquista:
Speciato ha il scudo e la spata troncata,
Tuta ha dolente la persona e pista,
Benché le membra non abia tagliate:
Non geta sangue per l’arme affatate.

35.
Mentre che l’un e l’altro combatìa,
Né tra lor se cognosce alcun vantagio,
La dolorosa gente che fugìa
Gionge sopra di lor in quel rivagio.
Re Galafron, che sempre li seguìa
Con animo adirato e cor malvagio,
Fermossi riguardando il crudo fato:
Marfisa ben cognobe al primo trato,

36.
Ma non cognosce il sir de Montealbano,
Che sieco combatea con arroganza;
Iudica ben che egli è un omo soprano,
Di sommo ardir e di molta possanza.
Guardando iscorse il destrier Rabicano,
Che fu de il suo figliol occise in Franza:
Feraguto lo occise con gran pena,
Come sapeti, alla selva de Ardena.

37.
Il vechio patre assai se lamentava
Come ebe Rabicano, il destrier,
scorto; Per nome l’Argalìa forte chiamava:
«O stella di vertute, o ziglio de orto,
Che più che la mia vita assai te amava;
È questo il traditor che ti m’ha morto?
Questo è ben quel malvagio, a naso il sento,
Che ti tolse la vita a tradimento!

38.
Ma fia squartata e fia pasto di cane
La mia persona, e fia polver de saldo,
Se de tua morte per le terre istrane
Vantandose anderà quisto ribaldo!».
Cossì dicendo, col brando a due mane
Va forïoso adosso di Renaldo
E lo ferisse con tanta roina
Che sopra al colo a quel destrier lo inchina.

39.
Quando Marfisa vede quel vechione
Che sua bataglia vien a disturbare,
Forte se adira e parli che a ragione
Se debba de tal onta vendicare:
Vàne turbata verso a Galafrone.
Or Brandimarte quivi ebe ’ arivare,
E con esso Antifor de Albarosìa;
Niun di lor la dama cognoscìa.

40.
Stimàr che quella fosse un cavaliero
De il campo de Agrican, sanza contesa,
E, vegendo lo assalto tanto fiero,
De il vechio re se possero in diffesa,
Che già l’avea batuto de il destriero
Quella superba di furor accesa;
E se sua spada se trovava ponta,
Morto era Galafron a prima gionta.

41.
Morte era Galafron (come io ve naro)
Che già fuor delo arcion era caduto;
Ma Brandimarte vi pose riparo,
E Antifor, che gionse a darli aiuto,
Benché costasse al’un e al’altro caro:
Gionse Antifor in prima e fo abatuto;
Marfisa de un tal colpo l’ha ferito
Che il fece andar a terra tramortito.

42.
Assai fu più che far con Brandimarte,
Ché non era tra lor gran differenza:
Ben meglio ha il cavalier di guera l’arte,
Ma questa dama ha grande sua potenza.
Renaldo alora se trava da parte,
Pensando che la eterna Providenza
Voglia che l’un e l’altro insieme mora,
Che son pagan e di sua lege fora.

43.
È la bataglia fiera riguardava,
E che meglio de il brando se martella;
E l’uno e l’altro prodo iudicava,
Ma più forte stimava la dongella.
Ecco Antifor di terra se levava,
E salliva ben presto in sula sella,
E sieco è Galafron col brando in mano:
Verso Marfisa rato se ne vano.

44.
Ecco venire Oberto da il Leone,
E il forte re Balan, che alora è gionto,
E il re Adrïano e il franco Chiarïone,
Che tuti quanti arivano ad un ponto;
Ciascadun segue lo re Galafrone:
Tri re, tri cavalier (come io vi conto)
Ne vano adosso alla dama pregiata,
Che già con Brandimarte era atacata.

45.
E sicome un cingial tra can mastini,
Che intorno se ragira furïoso
E nel fronte superbo adriza e crini,
E fa la schiuma al dente sanguinoso;
Sembrano un foco li ochi picolini,
Alcia le sete e sanza alcun riposo
La fiera testa fulminando mena:
Chi più se gli avicina ha magior pena;

46.
Non altramenti, quella dama altiera
De driti e de riversi oltra misura
Facea bataglia sì crudel e fiera
Che a più de un par de lor pose paura.
Già più de trenta sono in una schiera:
Lei contra a tuti combatendo dura.
Crescono ognora, e già son più de cento:
Contra a quisti altri va con ardimento.

47.
Al pro’ Renaldo, che stava a guardare,
Par che la dama riceva gran torto;
E a lei disse: «Io te voglio aiutare,
Se ben dovesse tieco esserne morto!».
Quando Marfisa lo sente arivare,
Ne prese alta baldanza e gran conforto,
E a lui disse: «Cavalier iocondo,
Poi che sei meco, più non stimo il mondo!».

48.
Cossì dicendo la cruda dongella
Dà tra coloro, e toca il franco Oberto,
E tuto l’elmo in capo li flagella,
E gionse il scudo, e in tal modo l’ha aperto
Che da due bande il fé cader de sela.
Non valse al re Balano esser esperto:
Marfisa con la man l’elmo li afferra,
Leval de arzone e tràl contra alla terra.

49.
Fé magior prova ancora il fio de Amone,
Ma non se pòno in tal modo contare,
Ché con lui se afrontarno altre persone
Che Turpin non li seppe nominare;
Cinque ne fése insin sopra al galone,
E a sette la testa ebe a tagliare:
Dodeci colpi fiè for di misura,
Onde ciascun de lui prese paura.

50.
Ma crescìa ognora più la gente nova,
E sopra di lor doi sempre abondava,
Ché quei di dreto non sapean la prova
Qual sopra a’ primi Renaldo mostrava.
«Voi non potreti far che indi mi mova!»
Ad alta voce Marfisa cridava
«Il mio tesor e il mio regno vi lasso
Se me forzati a ritornar un passo!».

51.
Or vien distesa sopra ala rivera
Una gran gente con molta roina,
Che han la corona rotta alla bandera,
Com’è la insegna di quella regina:
Ed era di Marfisa questa schiera,
Che vien correndo e mai non se raffina,
E voglìan sua madama aver diffesa,
Timendo di trovarla o morta o presa.

52.
Qui comenciosse la fiera bataglia,
Né stata v’era più crudel quel giorno:
Intrò Marfisa tra questa canaglia,
E forïosa se voltava intorno;
Speza la gente in ogni banda e taglia,
Né men Renaldo, il cavalier adorno,
Braze con teste e gambe a tera manda:
Ciascun che il vede a Dio se racomanda.

53.
Iroldo con Praseldo e Fiordalisa
Stavan discosti con quella dongella
Qual era camariera de Marfisa,
Longi due miglia ala bataglia fella.
La camariera ali altri tri divisa
Quanto sua dama è forte in sula sella,
E quanti cavalier ha messo al fondo
E in qual modo, gli raconta a tondo.

54.
Per questo Fiordalisa fue smarita,
Temendo che non toca a Brandimarte
Provar la forza di Marfisa ardita.
Subitamente dali altri se parte,
Dove è la gran bataglia se n’è gita;
Vede le schiere dissipate e sparte,
Che ver la roca in sconfita ne vano:
Dreto li caza il sir de Montealbano.

55.
Ma lei sol Brandimarte va cercando,
Che già de tuti li altri non ha cura;
E mentre va intorno rimirando,
Vedel soleto sopra ala pianura:
Trato s’era da parte alora quando
Fu comenciata la battaglia dura,
Che a lui parbe vergogna e cosa fella
Cotanta gente offender la dongella.

56.
Però stava da largo a riguardare
E di vergogna avìa rossa la faza:
De’ compagni se avëa a vergognare,
Non già di sé, che di nulla si impaza.
Ma come Fiordalisa ebbe a mirare,
Corsegli incontra e ben streta l’abraza:
Già molto tempo non l’avìa veduta,
Credìa nel tuto di averla perduta.

57.
Egli ha sì grande e sùbita alegreza
Che ogni altra cosa alor dimenticava:
Né più Marfisa né Renaldo apreza,
Né di lor guerra più se racordava.
Il scudo e l’elmo via getò con freza
E mille volte la dama basava.
Streta la abraza in su quela campagna,
De ciò la dama se lamenta e lagna.

58.
Molto era Fiordalisa vergognosa,
Ed esser vista in tal modo gli dole;
Impetra adonque, questa gratïosa,
Da Brandimarte con dolce parole
De gir con essa ad una selva umbrosa,
Dove era l’erbe fresche e le vïole:
Staran con zoglia insieme e con diletto,
Sanza aver tema o di guerra sospetto.

59.
Prese ben presto il cavalier lo invito
E forte caminando fòrno agionti
Dentro a un boscheto, a un bel prato fiorito
Che de ogni lato è chiuso da dui monti,
De fior diversi pinto e colorito,
Fresco de umbre vicine e de bei fonti.
Lo ardito cavalier e la dongella
Presto smontarno in sul’erba novella.

60.
E la dongella con dolce sembiante
Comencia il cavalier a disarmare;
Lui mille volte la basò, davante
Che se potesse un pecio de arma trare,
Né trate ancor se gli ebe tute quante
Che quella abraza e non pote aspetare,
Ma ancor di maglia e dele gambe armato
Con essa in brazo se colcò su il prato.

61.
Stavan sì streti quei dui amanti insieme
Che l’aria non potrebe tra lor gire,
E l’un al’altro sì forte se preme
Che non vi sarìa forza al dipartire;
Come ciascun sospira e ciascun geme
De alta dolceza non saprebe io dire:
Lor lo dican per me, poiché a lor toca,
Che ciascadun avìa due lengue in boca.

62.
Parbe nïente a loro il primo gioco,
Tanto per la gran freta era passato;
E nel secondo assalto intrarno al loco
Che al primo ascontro apena fu tocato,
Sospirando de amore, e a poco a poco
Se fu ciascun di loro abandonato
Con la faza soave insieme streta,
Tanto il fiato del’un l’altro dileta.

63.
Sei volte ritornarno a quel danzare
Prima che il lor desir ben fosse spento;
Poi comenciarno dolce ragionare
De’ loro affanni e passato tormento.
Il fresco loco gli invita a posare,
Perché in quel prato suspirava un vento
Che sibilava tra le verde fronde
De il bel boscheto che li amanti asconde,

64.
E un ruscelleto di fontana viva
Mormorando passava per quel prato.
Brandimarte, che stava in quella riva,
Per molto affanno in quel giorno durato,
Nel bel pensar de amor qui se adormiva;
E Fiordalisa, che gli era da lato,
Che di guardarlo un atimo non perde,
Se dormentò con lui sul’erba verde.

65.
Sopra dell’un d’i monti che io contai
Che al verde praticelo era de intorno,
Stava un palmer (che Dio gli doni guai!),
Che dete a Brandimarte un grave scorno.
Ma questo canto è stato longo assai,
E io vi contarò questo altro giorno
(Se tornati ad odir) la bella istoria.
Tutti vi guarda il Re del’alta gloria!

1. Una lettura delle prime 17 ottave di questo canto, e dunque del duello tra Orlando e Agricane con la conversione e la morte del saraceno, si trova in MENGALDO 2008, pp. 69-76. L’appello al pubblico di questo esordio è insolitamente dettagliato e richiama quello del primo canto. Come nota TISSONI BENVENUTI 1999, compaiono per la prima volta tra il pubblico le «damigelle», che saranno spesso invocate in seguito. Anche il congedo del canto è un po’ anomalo e imita più del solito lo stile canterino. 2. Cortese: ‘cortesi’. 3. Venitene: ‘venite qui’. 4. alte: ‘nobili’. guere amorose: parrebbero le guerre sostenute per amore, ma ci potrebbe essere un’allusione alle gesta erotiche compiute da Brandimarte e Fiordelisa (59-64). 5. fér: ‘fecero’. pregiati: ‘onorati’. 6. fòrno: ‘furono’. 8. Fièr: ‘fecero’. soprane: ‘eccellenti’.

2. 3. se adopra: ‘si dà da fare, combatte’. 5-8. ‘bisogna che nessuno dei due si scopra, ma (anzi) è necessario che (entrambi) si proteggano e si tengano al sicuro e difesi da ogni lato, come se ci fosse il sole in cielo a mezzogiorno’. Lo scontro si sta svolgendo di notte, cioè in un momento affatto inusuale, ma non ha nulla di diverso (quanto a pericolo) da un normale duello diurno.

3. 2. con più senno se servava: ‘si risparmiava con più accortezza’. 3. contrastato: ‘combattuto’. 4. se schiarava: ‘si rischiarava, si illuminava’. 5. Formulare (cfr. I, xviii, 26, 5). 7. dura: ‘resiste’. 8. fiero: ‘violento’.

4. 1. a traverso: ‘di traverso, in orizzontale’. 2. ‘e taglia lo scudo a metà come se fosse di latte’. 3. Piagar: ‘ferire’. pote: ‘può’. affatato: ‘fatato’ (cfr. I, iv, 3). 4. ad un ponto: ‘insieme’. piastre e malia: armi di difesa (cfr. I, ii, 1, 5). 5. franco: ‘valoroso’. aver il fiato: ‘rifiatare’. 7. Fo: ‘fu’. roina: ‘violenza’. 8. ‘che aveva i tendini dolenti e le ossa ammaccate’.

5. 2. Anci colpisse: ‘anzi colpisce’. fierecia: ‘fierezza, forza’. 3. Gionse: ‘colpì’. partito: ‘diviso’. 4. sbergo: ‘corazza’ (cfr. I, ii, 61, 3). specia: ‘spezza’. 7. il scudo megio: ‘metà dello scudo’. 8. coste: ‘costole’.

6. 1-4. Il paragone con il leone ferito è di ascendenza virgiliana: in Aen. XII, 4-9 è riferito a Turno (ZAMPESE 1994, p. 182). 1. ruge: ‘ruggisce’. 3. tempesta: ‘furia’. 4. Rimena: ‘torna a sferrare’. tropo: ‘molto’ (cfr. I, i, 41, 6). 7. ussito: ‘uscito’, cioè ha perso i sensi. 8. si: ‘se’.

7. 1. lume: ‘luce’. 2. ‘ed entrambe le orecchie gli ronzavano’ (TROLLI 2003, p. 291). 3. destrier corente: ‘cavallo veloce’; espressione formulare. 6. ‘se rimaneva ancora un poco in quello stordimento’; per sbordigion(e) cfr. I, xviii, 11, 4. 7-8. ‘ma essendo sul punto di cadere, proprio per quello si riprese e si aggrappò alla sella’.

8. 1. véne: ‘divenne’. 2. avanzato: ‘superato’. 3. doloroso: ‘addolorato’. 4. vituperato: ‘svergognato’. 7-8. ‘Ma colui al quale è chiesto un favore e indugia a farlo, facendolo in ritardo perde la ricompensa’. La reazione di vergogna da parte di Orlando che non riesce a sconfiggere Agricane richiama quella di Rinaldo che non riusciva ad avere ragione di Marfisa (cfr. I, xviii, 24).

9. 1. ‘Mi sono già attardato per quasi due giorni’. 2. Per il conquisto: ‘per conquistare, battere’. 3. E seco a fronte: ‘e di fronte a lui’, cioè ‘alle prese con lui’. 4. ‘e non ho più vantaggio del primo giorno’; cioè Orlando non è riuscito a prevalere in alcuna misura sull’avversario. 5. ‘ma se prolungo questo duello di una sola ora’. 7. chiamomi danato: ‘mi definisco dannato’; equivalente di ‘che io sia dannato’. I vv. 6 e 7 sono entrambi costruiti su un chiasmo. 8. ‘se mi si vedrà mai una spada al fianco’.

10. 1. non è inteso: ‘non si può intendere’. 2. e denti: ‘i denti’. le parole incocca: ‘balbetta’. L’incapacità di parlare è una delle conseguenze tipiche della rabbia dei cavalieri. 3. rasembra: ‘sembra’. 5. disteso: ‘risolutamente’. 6. ad ambe man il toca: ‘lo colpisce a due mani’ (cfr. I, v, 3, 4). 8. diverso: ‘straordinario’.

11. Il tragitto del colpo formidabile è descritto con dovizia di particolari che quasi rallentano la scena. 1. dichina: ‘scende’. 2. pancirone: protezione del ventre. 3. fina: ‘resistente’. 4. galone: ‘fianco’. 5. roina: ‘distruzione’. 6. Scinde:i commentatori preferiscono pensare a una forma dialettale per scende piuttosto che al latinismo scinde ‘taglia’.

12. 1. al’anguinaglia stanca: ‘all’inguine sinistro’. 2. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha tanto; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. cotanto forte: ‘con tanta forza’. 3. faza: ‘faccia’. 6. scorte: ‘comprensibili’.

13. 1. Bategiami: ‘battezzami’. barone: ‘cavaliere’. 2. la favella: ‘la capacità di parlare’. 3. strana: ‘lontana da Dio’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 4. rebela: ‘ribelle’. 6. ‘accolga la mia povera anima’.

14. 2. tenìa: ‘teneva’. 5. franco: ‘valente’. 8. pregione: ‘prigioniero’.

15. Come nota MENGALDO 2008, p. 74, l’andamento di questa ottava è molto frammentato. Con l’eccezione del distico 5-6, alla fine di ogni verso corrisponde una pausa sintattica forte, a suggerire le ultime frasi singhiozzanti del ferito. 2. accorto: cfr. I, iii, 66, 8. 5. a tal guisa: ‘in questo modo’. 6. n’arai: ‘ne avrai’. pena e disconforto: coppia sinonimica. 8. ne rencresce e dole: altra coppia sinonimica.

16. 3. ‘prese in braccio il re ferito’. 5. con seco: ‘con lui’. non si sacia: ‘non si sazia, non smette’. 6. umana: ‘gentile’. 7. batizollo: ‘lo battezzò’. 8. Il verso richiama un altro luogo boiardesco: Pastorali VIII, 111: «che el ti domanda e prega a palme gionte» (CANOVA 2008b, p. 104).

17. 1-3. ‘Dopo un poco lo sentì freddo in viso e in tutto il corpo, per cui si accorse che era morto’. 7. fece riguardo: ‘guardò’. 8. parli: ‘gli pare’.

18. 1. : ‘può’. 2. ronzone: ‘cavallo’. 4. guarnìa: ‘guarniva, addobbava’. 5. in tuto aperta: ‘del tutto chiara’. 6. il figliol di Melone: Orlando. 8. è desso: ‘è proprio lui’.

19. 1. ‘Il conte vuole sapere come stanno le cose’. 2. se pone a gire: alla lettera ‘si mette ad andare’, cioè ‘va’. 3. cognobe de saldo: ‘riconobbe subito’. 5. dime: ‘dimmi’. 6. ène: ‘è’; con epitesi. 8. al suo sermone: ‘alla sua domanda’.

20. 2. ‘benché fosse stato creato per magia’ (cfr. I, i, 5, 8). 3. il senator romano: titolo abituale di Orlando (cfr. I, v, 83, 3). 4. fiate: ‘volte’. 5. Briliadoro: cfr. I, ii, 28, 3. a mano: ‘con la mano’, cioè tenendolo per la briglia. 6. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha fuor; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. ussì: ‘uscì’.

21. 1. dimoro: ‘indugio’. 2. querce:è lezione del solo P, con falsa restituzione dell’atona finale. Gli altri testimoni hanno quercia. indi vicina: ‘lì vicina’. 4. roina: ‘strepito’. 6. gambelo: ‘cammello’. fantina: ‘fanciulla’. 7. Tolta: ‘rapita’. Isole Lontane: sono forse le Molucche, così come erano immaginate tra Medio Evo e prima Età Moderna. Nel romanzo si legano al tema della ricchezza (TISSONI BENVENUTI 1999). 8. ale mane: ‘alle mani’, cioè ‘sta lottando’.

22. 1. di soperchia lena: ‘di eccezionale forza’. 2. ‘e si dà da fare per liberare la dama’. 3. mena: ‘porta via’. 4. doi: ‘due’. 5. intégra e piena: ‘per intero’; coppia sinonimica. 6. non ve incaglia: ‘non vi curate’ (da incalere ‘importare’). 8. cantar:è lezione di P; gli altri testimoni hanno un comunque verosimile contar. de il campo il gran fracasso: ‘la gran battaglia che si faceva in campo’; quella sotto Albracà.

23. 1. cantai: anche in questo caso i testimoni diversi da P leggono contai. 2. in mile pecci sparte: ‘frantumate in mille pezzi’. 3. scura: ‘terribile’. vite: ‘vide’. 4-5. ‘la maggior parte della gente è ormai morta ovunque con molta più distruzione di quella che io racconto’; topos dell’ineffabilità (cfr. I, i, 11, 6). 6. segue: ‘inseguono’.

24. 1. sanza governo: ‘senza guida’. 3. ‘(che non rivedranno più in eterno)’. Infatti Agricane è morto battezzato. 4. rota: ‘rotta, sbaragliata’.

25. 2. vechione: ‘vecchio’. 3. primeramente: ‘prima’. 4. il paviglione: ‘la tenda’. 5. incontinente: ‘subito’. 8. Con sieco: ‘con loro’.

26. 2. ad Angelica avanti: ‘davanti ad Angelica’. 5. ‘E dopo che furono liberati’; dissolti e scatenati vale, alla lettera, ‘sciolti e privati delle catene’. 6. con dolci sembianti: ‘con aspetto amorevole’. 7. ‘dimostrando loro affetto e gioia’.

27. Torna alla ribalta l’Astolfo più sbruffone, famigliare ai lettori di Boiardo, con i suoi vanti smisurati. 1. quivi: ‘qui’. 2. vo’: ‘voglio’. 3. che mi véne adosso: ‘che mi assalì’. 5. ‘Io non mi sarei spostato neanche per tutto il mondo’. 6. n’avrebe spento: ‘ne avrei ucciso’. 7. foi: ‘fui’.

28. 1. Fa’ che agia: ‘fa’ che io abbia’. 3. al colpo primero: ‘al primo colpo’. 4. ‘voglio tagliare un uomo in quindici pezzi’. 5. alto: ‘nobile’; è lezione congetturale dell’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani contro altro di tutti i testimoni. 6. ‘voglio farmelo girare attorno alla testa’. 7. il lascio gire: ‘lo faccio andare’. 8. penarà: ‘penerà’, cioè ‘impiegherà’.

29. 2. bravegiava: ‘si vantava’. 3. ‘non conoscendo altrimenti la sua reputazione’. 4. È destino frequente di Astolfo essere giudicato matto per la sua irragionevole loquacità. 5. ponderosi: ‘poderosi, forti’; la forma con epentesi della nasale è frequente, forse influenzata da ponderoso ‘pesante’. 6. adimandava: ‘domandava’. 7. era molta guarnisone: ‘c’erano molte armi’. 8. si armorno: ‘si armarono’.

30. 2. con tempesta: ‘con furia’. 3. mostra: ‘si mostra’ (per la forma senza pronome cfr. I, xviii, 32, 8). 4. zoglioso: ‘gioioso, allegro’. 5. bella ventura: ‘caso fortunato’. 6. avanti: ‘davanti’.

31. 1. Cfr. I, i, 61. 2. in sua balìa: ‘in suo possesso’. 4. primamente: ‘dapprima’. 6. abatìa: ‘abbatteva’. 7. ‘dopo averlo trafitto facendogli uscire di sei palmi la lancia dalla schiena’. 8. ebel disarmato: ‘lo disarmò’.

32. 1. Esso fu armato: ‘Astolfo si armò’. 3. e: ‘i’. 4. non se asicura: ‘non si fida’. 5. alla distesa: ‘a rotta di collo’. 8. pro’: ‘prode’.

33. 2. n’ha punto avanzato: ‘non ha superato il rivale nemmeno di poco’. 3. intorno: ‘addosso’. 4. fiacato: ‘ammaccato’. 5. scorno: ‘disonore’. 6. ‘e si ritiene completamente svergognato’. 7. lo conduce a danza: ‘lo fa ballare’; la danza è spesso usata come metafora per il combattimento (cfr. I, ii, 3, 8). 8. ‘e (Rinaldo) perde molto più di quanto riesca a guadagnare’.

34. 1. turbata: ‘adirata’. 2. nela vista: ‘nell’aspetto’. 4. non acquista: ‘non conquista, non sconfigge’. 5. Speciato: ‘spezzato’. 6. pista: ‘pesta’. 8. ‘non perde sangue grazie alle armi incantate’.

35. 2. ‘e non si vede alcun divario tra loro’. 4. sopra di lor: ‘loro addosso’. rivagio: ‘riva’; forma francesizzante. 7. Fermossi: ‘si fermò’. il crudo fato: ‘il fatto crudele’, cioè il duello. 8. ‘riconobbe Marfisa immediatamente’. Ottava aperta.

36. 1. il sir de Montealbano: Rinaldo, che Galafrone non ha ancora incontrato. 2. sieco: ‘con lei’. arroganza: ‘furia’. 3. soprano: ‘eccellente’. 5. iscorse: ‘scorse, vide’; forma prostetica. 6. occise: ‘ucciso’; è lezione di P contro occiso degli altri testimoni (cfr. I, viii, 25, 3). 7-8. Cfr. I, iii, 61-63.

37. 2. Come: ‘quando’. 4. vertute: ‘valore’. ziglio de orto: ‘giglio di giardino’; è espressione formulare utile sia per i personaggi maschili sia per quelli femminili (cfr. I, i, 21, 6). 6. che ti m’ha morto: ‘che ti ha ucciso’; per il pronome di I pers. sing. cfr. I, xvii, 18, 5.

38. 2. e fia polver de saldo: ‘e sarà subito polvere’. 3. istrane: ‘straniere’; forma prostetica. 4. ribaldo: ‘traditore’. 7. ferisse: ‘colpisce’. roina: cfr. 4, 7. 8. lo inchina: ‘lo fa piegare’.

39. 3. parli: ‘le pare’. a ragione: ‘a buon diritto’. 4. onta: ‘oltraggio’. 5. Vàne turbata: ‘se ne va infuriata’. 6. ebe ’ arivare: ‘arrivò’. 8. Niun: ‘nessuno’.

40. 1. Stimàr: ‘pensarono’. 2. sanza contesa: ‘senza dubbio’. 3. vegendo: ‘vedendo’. 4. se possero: ‘si misero’. 5. batuto: ‘abbattuto’. 7. se trovava ponta: ‘avesse avuto la punta’, che era stata tagliata da Rinaldo (I, xviii, 17). Sull’uso dell’imperfetto indicativo nella protasi (v. 7) per l’ipotetica dell’irrealtà cfr. MENGALDO 1963, p. 187 (cfr. I, i, 65, 5-6 ecc.). 8. ‘Galafrone sarebbe morto al primo colpo’.

41. 1. Morte: lezione di P contro morto degli altri testimoni. Comunque ‘sarebbe morto’. 2. fuor delo arcion: ‘giù dalla sella’.

42. 1. ‘Ci fu molto più da fare con Brandimarte’. 3. di guera l’arte: ‘la conoscenza della tecnica di combattimento’. 5. se trava da parte: ‘si faceva da parte’. 7. l’un e l’altro: Brandimarte e Marfisa (dunque forse da correggere in altra). mora: ‘muoiano’. 8. di sua lege fora: ‘lontani dalla fede cristiana’.

43. 1. riguardava: ‘stava a guardare’. 2. ‘e chi meglio colpisce con la spada’. se martella: pseudoriflessivo. 3. prodo: ‘prode’ (cfr. I, xvi, 63, 7). 5. se levava: ‘si alzava’. 8. rato: ‘velocemente’.

44. 2. alora: ‘proprio in quel momento’. 4. ad un ponto: ‘nello stesso tempo’. 6. conto: ‘racconto’. 7. pregiata: ‘valorosa’. 8. era atacata: ‘stava combattendo’.

45. Tutta l’ottava è occupata da una similitudine riferita a Marfisa in combattimento, come si apprende nell’ottava successiva. L’immagine ha ascendenze virgiliane (Aen. X, 707-718) e boccacciane (Teseida I, 38 e VII, 119) e ricorre con qualche analogia nell’Orlando laurenziano (XXXVIII, 13-14); cfr. DONNARUMMA 1992, pp. 540-542; TISSONI BENVENUTI 1999. 1. cingial: ‘cinghiale’. 2-3. ‘che gira su se stesso furioso e rizza superbo la criniera sulla testa’. 4. sanguinoso: ‘insanguinato’. 6. Alcia le sete: ‘alza le setole’. riposo: ‘indugio’. 7. ‘colpisce ferocemente a testate’.

46. 1. altiera: ‘ardimentosa’. 2-4. ‘con smisurati colpi di dritto e di rovescio si batteva in modo così violento che spaventò più di un paio di loro’. 6. dura: cfr. 3, 7. 7. Crescono ognora: ‘aumentano continuamente’. 8. quisti: ‘questi’, forma con metafonesi sett.

47. Fatto abbastanza inconsueto: Rinaldo, che fino a poco prima aveva combattuto allo spasimo contro Marfisa, da buon cavaliere ora decide di aiutarla, ritenendo che le sia stato inferto un insopportabile oltraggio. 4. ‘se anche dovessi essere ucciso con te’. 6. alta baldanza: ‘molto coraggio’. 8. ‘visto che sei al mio fianco, nemmeno il mondo intero mi impensierisce’.

48. 2. ‘si lancia tra quelli, e colpisce il nobile Oberto’. 3. li flagella: ‘gli fracassa’. 5. ‘che lo fece cadere dalle due parti della sella’. 8. ‘lo leva di sella e lo butta a terra’.

49. 1. il fio de Amone: Rinaldo (cfr. I, iv, 71, 6). 2. ‘ma (le sue gesta) non si possono raccontare allo stesso modo’. 3. se afrontarno: ‘si scontrarono’. 5. fése: ‘tagliò’. 7. for di misura: ‘smisurati’. 8. Onde: ‘perciò’.

50. 2. ‘ed era sempre numerosa contro loro due’. 3. dreto: ‘dietro’. 4. Qual: ‘la quale’. 5. indi: ‘da qui’. 8. ‘se mi costringete ad arretrare di un passo’.

51. 1. distesa: cfr. 32, 5. sopra ala rivera: ‘presso il fiume’. 2. una gran gente: ‘un grande esercito’. 3-4. Cfr. I, xviii, 4, 3. 6. non se raffina: ‘non si ferma’. 7. ‘e volevano difendere la loro signora’. 8. presa: ‘prigioniera’.

52. 5. in ogni banda: ‘da ogni parte’. 6. men: riferito a braze, teste e gambe del verso successivo.

53. 2. quella dongella: cfr. I, xvi, 55-56. 4. Longi: ‘lontano’. fella: ‘crudele’. 5. divisa: ‘descrive, racconta’; gallicismo. 7. ha messo al fondo: ‘ha sconfitto’. 8. a tondo: ‘compiutamente’.

54. 1. fue smarita: ‘si turbò’; fue è forma con epitesi. 2. Temendo che non: ‘temendo che’; costrutto latineggiante. 4. se parte: ‘si allontana’. 5. se n’è gita: ‘se n’è andata’. 6. dissipate e sparte: ‘sbaragliate e confuse’. 7. ver: ‘verso’. 8. li caza: ‘li incalza’.

55. 2. non ha cura: ‘non si preoccupa’. 3. Dialefe tra va e intorno. rimirando: ‘guardando con attenzione’. 4. Vedel soleto: ‘lo vede da solo’. 7. parbe: ‘parve’. fella: ‘disonorevole’.

56. 1. Però: ‘perciò’. da largo: ‘da lontano’. 4. che di nulla si impaza: ‘che non c’entra per nulla’. 5. ebbe a mirare: ‘vide’. 6. Corsegli: ‘le corse’. 8. nel tuto: ‘definitivamente’.

57. 3. apreza: ‘si preoccupa di’. 4. se racordava: cfr. I, ix, 2, 1. 5. con freza: ‘di fretta’; forma sett. con molte attestazioni antiche (TROLLI 2003, p. 156). 6. basava: ‘baciava’.

58. 1. vergognosa: ‘pudica’. 2. gli dole: ‘le spiace’. 3. Impetra adonque: ‘ottiene dunque’. 8. tema… sospetto: sinonimi per ‘paura’.

59. 1. Prese: ‘accettò’. 2. fòrno agionti: ‘giunsero’. 3-6. È la descrizione di un tipico locus amoenus. 5. pinto e colorito: sinonimi. 8. novella: ‘giovane, fresca’.

60. 3-4. ‘prima che potesse togliersi un solo pezzo dell’armatura’. 7. Cioè con l’armatura ancora indosso. 8. in brazo: ‘tra le braccia’. se colcò: ‘si coricò’.

61. 2. gire: ‘passare’. 4. ‘che non ci sarebbe forza capace di dividerli’. 6. alta: ‘grande’. saprebe: ‘saprei’.

62. In questa ottava e nella successiva, Boiardo fa ricorso a diversi ambiti metaforici per significare il rapporto carnale (gioco, assalto, ascontro, danza), con una notevole variatio di topoi erotici frequenti nei romanzi cavallereschi. 3. intrarno: ‘entrarono’. 4. Ne trassero, cioè, maggiore soddisfazione. ascontro: ‘scontro’ (cfr. I, ii, 4, 7). 7. soave: ‘dolcemente’. 8. dileta: ‘diletta, piace’.

63. 1. Sei volte: anche il numero elevato caratterizza abitualmente le imprese amatorie dei cavalieri (cfr. p. es. VILLORESI 1995, pp. 130-131 e n.). 2. desir: ‘desiderio’; forma francesizzante. 3-4. Forte memoria boccacciana: «insieme cominciaro a ragionare, / e l’uno all’altro i preteriti pianti / e l’angosce e ’ sospiri a racontare» (Filostrato III, 40; ALEXANDRE-GRAS 1988, p. 121). dolce ragionare: ‘a parlare dolcemente’, se c’è omissione della preposizione a, oppure ragionare potrebbe essere infinito sostantivato (TISSONI BENVENUTI 1999). 5. posare: ‘riposare’. 8. Ottava aperta.

64. 1. di fontana viva: ‘che veniva da una fonte zampillante’. 4. durato: ‘sopportato’. 5. se adormiva: ‘si addormentava’.

65. 1. un d’i monti: cfr. 59, 4. 3. palmer: ‘eremita’; come si apprenderà nel canto successivo. doni: ‘dia’. 4. dete: ‘diede’. scorno: ‘offesa’. 6. questo altro giorno: ‘il prossimo giorno’, cioè ‘domani’. L’ottava di commiato ha un tono più “canterino” del consueto, con la promessa di un seguito collocato in un tempo apparentemente definito (l’indomani) e la richiesta di protezione divina sugli uditori/lettori. Allo stesso gusto si adegua la perifrasi Re del’alta gloria. 8. vi guarda: ‘vi protegga’.