Amore supera ogni forza e ogni intelligenza; così Orlando e Rinaldo, sebbene uniti da vincoli di parentela e di amicizia, si accingono a battersi l’uno contro l’altro. Riprendono gli insulti reciproci: Rinaldo ora non è protetto da Malagise (il paladino mago), in passato ha rapito la principessa saracena Belisandra e ucciso a tradimento Mambrino, i suoi fratelli e il re Pantasilicor. È un brigante da strada e, in India, ha sottratto a Orlando il bottino che gli spettava. Allora Rinaldo rinfaccia a Orlando l’uccisione di don Chiaro, la conversione all’Islam di Gherardo da Fratta e la corresponsabilità nelle morti di Renaldo di Bilanda (padre di Olivieri), del re Balante e di Rugger Vassallo (1-11). Rincominciano anche i colpi formidabili e simmetrici. Le lance si rompono. Rinaldo stordisce Orlando, ma Orlando riesce a ferirlo a sangue e, dopo avere frantumato un pezzo di marmo con la spada, assesta un tale fendente al cugino che lo mette temporaneamente fuori combattimento. Sembra finita, Orlando sta per sferrare il colpo di grazia, ma Angelica lo ferma e gli chiede di andare a distruggere il giardino di Falerina in terra d’Orgagna. Orlando parte subito e lascia perdere Rinaldo, che si sveglia e vorrebbe inseguirlo, ma ne è dissuaso dagli amici (12-35). Angelica desidera parlare con Rinaldo, ma lui si rifiuta. La dama innamorata se ne lamenta, consapevole anche di avere mandato Orlando incontro a una morte certa (35-41). Poi invia una sua damigella al campo nemico per restituire Baiardo a Rinaldo e per provocare Marfisa. La ragazza va, ma il paladino non vuole accettare il cavallo da Angelica: lo prenderà Astolfo e lo ricondurrà al padrone. Marfisa riceve il messaggio e minaccia con impazienza (42-50). Nel frattempo Orlando trova una donna che si lamenta appesa per i capelli a un albero vicino a un ponte su un fiume. Le fa la guardia un cavaliere armato che intima a Orlando di allontanarsi perché la ragazza è la creatura più astuta e perfida di tutti i tempi (51-54).
1.
Chi provato non ha che cosa è Amore
Biasmar potrebe e dui baron pregiati,
Che insieme a guera con tanto furore,
Con tanta ira s’eran afrontati,
Dovendosi portar l’un l’altro onore,
Ch’eran d’un sangue e d’una gesta nati:
Maximamente il figliol di Melone,
Che più dela bataglia era cagione;
2.
Ma chi cognosce Amor e sua possanza,
Farà la scusa di quel cavaliero,
Ch’Amor il senno e l’intelleto avanza,
Né giova al proveder arte o pensiero;
Gioveni e vechi vano ala sua danza,
La bassa plebe col signor altiero.
Non ha remedio Amor e non l’ha Morte:
Ciascun prende, ogni gente e d’ogni sorte.
3.
E ciò se vidde alora manifesto:
Ché Orlando, qual di senno era compito,
Di sua natura si cangiò sì presto
E venne impacïente al’appetito,
E a Renaldo se fece molesto,
Col qual fo d’amistà già tanto unito.
Ora nel campo a morto lo desfida;
Sonando il corno ad alta voce crida:
4.
«Non hai vicino il forte Montealbano,
Che possa con sue mure ora camparte!
Non è teco il fratel di Vivïano,
Qual ti possa giovar con sua mal’arte:
Che te potrà levar dala mia mano?
Come andarai fugendo, e in qual parte?
Non è citade al mondo, o tenimento
Ove non abi fato un tradimento!
5.
Belisandra robasti in Barbaria,
Quando gli andasti come mercadante;
Vòi tu forsi tornar per quella via?
O fugir per il regno de Levante,
Dove sete fratei per sua folìa
E per le fraude tue, che son cotante,
A tradimento son condute a morte?
Forsi in Tesaglia andar te riconforte?
6.
Re Pantasilicor da te fo preso,
Né usata fo più mai tanta viltade,
Perché, essendo pregion, da te fo impeso:
Sì che non passerai per sue contrate!
E già non posso a pieno aver inteso
Tute le tue magagne e crudeltate;
Ma sciò ch’a Montealban a note scura,
Né al chiaro giorno è la strata sicura!
7.
Sciò che robasti il tesor indïano,
Che a me tocava per drita ragione,
Perché il re d’India, Durastante, al piano
Fo da me morto, e non da te, latrone!
Sotto la tregua dil re Carlo Mano
Robasti al re Marsilio il suo Macone.
Ora te penti, e fa’ che ben m’intenda:
Ogi di tanto mal farai l’amenda!».
8.
Renaldo fece al conte aspra risposta,
Forte sonando il suo corno Bondino,
Dicendo dopo il son: «Vien a tua posta,
Che or sei † uuaro †, ed eri paladino,
Dapoiché la tua mente è pur disposta
Far la vendeta d’ogni saracino,
Di qualunque sia morto in ogni lato,
Preso o disfato, o sia da me robato!
9.
Ma a te ramento che hagio a vendicare
La morte iniqua d’ogni cristïano:
Don Chiaro, il paladin, vuò racordare,
Che l’occidesti in campo di tua mano;
Perciò se ebbe Girardo a disperare
E per tua colpa divenne pagano.
Ascolta, renegato e maledeto:
Chi dà cagion al mal, lui n’ha il diffeto!
10.
Il patre de Oliver, malvagio cane,
Venne per tua cagion da Carlo occiso;
Renaldo di Bilanda per tue mane
Avanti al vechio patre fo diviso;
E tu, quando ti levi la dimane,
Credi acquistar zanzando il Paradiso
Con croci e patrinostri! Altro ci vòle
Che per rei fati dar bone parole!
11.
Ricòrdate, crudel, che a Monteforte,
Per prender quel castel a tradimento,
Il franco re Balante ebe la morte:
E che fo ben di tuo consentimento,
Ché stavi apresso a Carlo Mano in corte;
Né ti bastando il cor, o l’ardimento,
D’incontrarti con lui sopra al sentiero,
Altrui mandasti, e fo morto Rugero!».
12.
Queste parole e altre più diverse
Dicìa Renaldo con voce robesta.
Ora più oltra il conte non sofferse,
Ma contra a lui se mosse a gran tempesta.
Ciascadun sotto il scudo se coperse,
E ambi con furor sue lanze arresta;
E’ vengosi a ferir con ardimento:
Sembràr quei doi destrier folgor e vento.
13.
Comme nel ciel o sopra la marina
Doi venti fieri, orribil e diversi
Scontrano insieme con molta roina,
E fan conche e navigli andar roversi;
E comme un rivo da il monte declina
Con sassi rotti e arbori dispersi,
Cossì quei doi baron pien di valore
Se urtarno con altissimo romore.
14.
Non fo piegato alcun di lor un dito
Abenché dele lanze smisurate
Ciascun troncon insino al ciel è gito.
Già son rivolti, e han trato le spate,
Né intorno fo pagan cotanto ardito
Che non se sbigotisse in veritate
Quando l’un l’altro rivoltò la faza,
Piena de orore e d’ira e di minaza.
15.
Non vide il mondo mai cosa più cruda
Che ’l fier assalto di questa bataglia
E ciascun, sol mirando, trema e suda:
Pensati che fa quel che se travaglia!
In più parte avean lor la carne nuda,
Ché mandata han per tera piastra e maglia.
Renaldo sopra al conte s’abandona:
Nel forte scudo il gran colpo risona.
16.
Il scudo aperse, il brando dentro passa,
Sopra la spalla gionse al guarnimento,
La piastra dil brazal tuta fracassa.
Sente a quel colpo il conte un gran tormento:
Adosso de Renaldo andar se lassa
E ben sembra al soffiar tempesta e vento.
A man sinestra gionge il brando crudo,
Sino ala spalla rompe e parte il scudo.
17.
A poco a poco più l’ira s’accende:
Renaldo sopra l’elmo gionse il conte;
Taglio di brando a questo non offende,
Però ch’era incantato, e fo d’Almonte,
Ma il cavalier stordito se distende
Per quel colpo superbo ch’ebbe in fronte.
E’ riviènne in sé stesso in poco d’ora:
Ira e vergogna al peto lo divora.
18.
Stringendo e denti, il forte paladino
Mena a Renaldo un colpo nela testa;
Gionse nel’elmo che fo di Mambrino:
Non fo veduta mai tanta tempesta!
Quel baron tramortito andava e chino;
Via fuge Rabicano, e non s’arresta,
Intorno al campo: e’ par che meta l’ale;
Al conte Orlando il suo spronar non vale.
19.
Non fo veduto mai tanto peccato
Quanto era di Renaldo valoroso,
Ch’era sopra l’arzon abandonato
E strasinava il brando al prato erboso;
Fuor del’elmo ussìa il sangue d’ogni lato,
Però che a quel gran colpo forïoso
Tanta angoscia sofferse e tanta pena
Che ’l sangue gli crepò fuor d’ogni vena.
20.
Fuor dela boca ussiva e fuor dil naso,
Già n’era l’elmo tuto quanto pieno;
Spirto nel peto non gli era rimaso,
Correndo il suo destrier a vuoto freno.
E cossì stete in quel dolente caso
Quasi un’ora compita, o poco meno;
Ma non fu giamai drago né serpente
Qual è Ranaldo alor che se risente!
21.
Non fo roina al mondo mai magiore,
Ché l’altre tutte quante questa passa:
Stracia dal peto il scudo e con romore
Contra ala terra tutto lo fracassa;
Fusberta, il crudo brando, a gran furore
Stringe a do mane, e la redine lassa,
E ferisse cridando al forte conte:
Proprio lo gionse al megio dela fronte.
22.
Non puote il colpo sofferir Orlando,
Ma sule crope la testa percosse,
Le branze a ciascun lato abandonando,
Già non mostra d’aver l’usate posse;
Di qua, di là se andava dimenando
E ambe l’anche di sella rimosse:
Poco mancò che ’l stordito barone
Fuor non ussisse al tuto del’arzone.
23.
Ma comme quel ch’avìa forza soprana,
Ben prestamente uscì di quel’affano,
E riguardando la sua Durindana,
Dicea: «Questo è ’l mio brando, o ch’io m’ingano?
Questo è pur quel ch’ïo ebe ala fontana,
Ch’ha fato a’ saracin già tanto dano.
Io me destino veder per espresso
S’io son mutato, opur se ’l brando è desso!».
24.
Cossì diceva, e intorno guardando
Vide un pezo di marmo in quel loco:
Quasi per megio lo partì col brando
Persino al fondo, e mancòvi ben poco.
Poi se volta a Ranaldo folminando,
Torceva gli ochi che parean di foco,
D’ira soffiando sì comme un serpente
Mena a doe mano e bate dente a dente.
25.
O Dio del ciel, o Vergene Regina,
Difendìte Ranaldo a questo trato!
Ché ’l colpo è fier e di tanta roina
Che un monte de diamanti avrìa disfato.
Taglia ogni cosa Durindana fina,
Né sieco ha l’armatura tregua o pato;
Ma Dio, che campar volse il fio d’Amone,
Fece che ’l brando colse di piatone.
26.
Se gionto avesse la spada di taglio,
Tutto il fendeva insin sul’arzone:
Sbergo né malia non giovava un aglio,
Ed era occiso al tuto quel barone!
Ma fo di morte ancor a gran sbaralio,
Ch’il colpo gli donò tal stordigione
Che dal’orechie ussìa il sangue, e di boca:
Con tanta foria sopra l’elmo il toca.
27.
Tutta la gente che intorno guardava
Levò gran crido a quel colpo diverso,
E Marfisa tacendo lacrimava,
Perché pose Renaldo al tuto perso.
Il conte ad ambe mano anco minava
Per tagliar quel baron tuto a traverso;
E ben poteva usar di cotal prove:
Renaldo è comme morto e non se move.
28.
Quel colpo sopra lui già non dissese,
Ché Angelica ala zufa era presente:
Lei tenne il conte e per il brazo il prese,
E a lui volta, con faza ridente,
Disse: «Baron, egli è chiaro e palese
Che tra gentil e generosa gente
Solo a parole se observa la fede:
Sanza giurare l’un al’altro crede.
29.
Questa matina promissi e giurai
Per una volta di farti contento,
E comme e quando tu comanderai;
Ma prima tu déi trar a compimento
Una impresa per me, comme tu sai,
Qual posso comandar a mio talento.
Sì ch’io te dico, franco paladino:
Incontinenti pòneti a camino!
30.
Prendi la strada per questa campagna,
Né te curar de indugia né de pòssa,
Sinché sei gionto nel regno de Orgagna,
Là dove troverai mirabil cosa,
Ch’una regina piena di magagna
(Cossì Dio ne la faccia dolorosa!)
Ha fabricato un giardin per incanto,
Per cui distruto è il regno tuto quanto.
31.
Perché ala guarda del falso giardino
Dimora un gran dragon in sula porta,
Qual ha diserto intorno a quel confino:
Tuta la gente del paese è morta,
Né passa per quel regno peregrino,
Né dama, o cavalier ala sua scorta,
Che non sian presi per quelle contrate
E dati al drago con gran crudeltate.
32.
Ond’io te prego, se me porti amore,
Come ho veduto per esperïenza,
Che questa doglia me levi del core,
Dela qual più non posso aver soffrenza.
E sciò ben che cotanto è il tuo valore,
E ’l grande ardir e l’alta tua potenza
Che, abench’il fato sia pericoloso,
Pur nela fin serai vitorïoso».
33.
Orlando ala dongella presto inchina,
Né se fece pregar più per nïente;
E’ con tanto furor ratto camina
Che ussito è già di vista a quella gente.
Or, menando fracasso e gran roina,
Il fio d’Amon turbato si risente;
Strenge a doe man il forïoso brando,
Credendo vindicarsi al conte Orlando.
34.
Ma quello è già lontan più ch’una lega;
Renaldo sel destina di seguire,
Ché mai non vòl con lui pace né tregua,
Sinché l’un l’altro non farà morire.
Marfisa, Astolfo e ciascun altro il prega,
E tanto ognon di lor sepe ben dire
Che Renaldo, ch’avìa la mente acesa,
Pur fo aquetato, e lasciò quella impresa.
35.
Questo fine ebe la bataglia fella.
Tornò Renaldo a farsi medicare;
Parlar li volse Angelica bella,
Lui per nïente la volse ascoltare,
Ché tanto odio portava ala dongela
Ch’apena la poteva riguardare.
Or lei si parte, e ven sopra al girone;
Renaldo in campo torna al pavaglione.
36.
Su nela rocca ritornò la damma,
E de Amor se lamenta e di Fortuna;
Piange dirottamente e Morte chiama,
Dicendo: «Or fo giamai soto la luna,
Per l’universo una dongella gramma,
O nelo Inferno passò anima alcuna,
Ch’avesse tanta pena e tal ardore
Qual io sostengo all’afanato core?
37.
Quel gentil cavalier l’alma m’ha tolta,
Né vòl ch’io campo e non mi fa morire,
Ed è tanto crudel che non m’ascolta:
Ch’almanco gli potesse io far odire
Li affanni che sostengo una sol volta
E dapoi presto mia vita fenire;
Ché doppo morte ancor sarìa contenta,
Se egli ascoltasse il duol che me tormenta!
38.
Ma ciascuna alma disdignosa e dura
Amando e lacrimando al fin si piega,
Sì che speranza ancor pur me assicura
Ch’a un tempo mi darà quel che or mi niega:
E sol di quello è la Bona Ventura
Che patïentia segue e piange e priega;
E s’io son fuor di tal conditïone,
Pur stato non sarà per mia cagione.
39.
Io vincerò la sua discortesia:
Ancor se placarà, se ben fia tardo;
Faragli ancor pietà la pena mia
E ’l foco smisurato ov’io dentro ardo!
Poiché seguir conviensi questa via,
Io vuò mandarli adesso il suo Baiardo,
Ché, come intende e per ciascun se narra,
Cosa del mondo a lui non è più cara.
40.
Orlando più non tornerà giamai,
Che non gioverà forza né sapere
Al’estremo periglio ove el mandai:
Far posso del destrier il mio parere.
Ahi, Re del Ciel, come forte fallai
A far perir colui ch’ha tal potere!
Ma Dio lo scià ch’io non puòte soffrire
Quel che tanto amo vederlo morire!
41.
Or fia morto il bon conte di Brava
Sol per campar la vita al fio d’Amone:
Quel molto più che sua vita me amava,
Questo non ha di me compassïone;
E certo coscïenza assai me grava
E vedo ch’io fo pur contra ragione,
Ma la colpa è d’Amor, che senza lege
E soi subietti a suo modo correge!».
42.
Cossì dicendo chiede una dongella,
Che fo con lei creata picolina,
Di aria gentil e di dolce favella;
Ala sua damma davanti se inchina.
Disse Angelica a lei: «Va’, monta in sella!
Calla nel campo di quella regina,
Qual per suo orgoglio, contra ogni ragione,
Sta nel’assedio di questo girone.
43.
Tu monterai sopra il tuo palafreno,
Baiardo, quel destrier, menalo a mano.
Di tende e pavaglion il campo è pieno:
Circa tu quel del sir de Montealbano.
A lui del bon destrier dà in man il freno
E digli, poich’egli è tanto inumano
Che comporta ch’io piera in tante brame,
Non vuò che ’l suo ronzon mori di fame.
44.
Io non potrebe mai già comportare
Che ’l suo destrier patisse alcun disagio,
Abenché lui mi vienne ’ assediare
E femmi oltra al dover cotanto oltragio.
Sol d’una cosa me può biasimare:
Ch’io l’amo oltra misura, e ameragio
Sinché avrò spirto in cor, o sangue adosso,
O voglio o non, però che altro non posso!
45.
A lui ragionaraï in cotal guisa
E a trarni risposta abbi l’inzegno:
Ché tanto è la pietà da quel divisa
Che forsi di parlarti avrà disdegno.
Partendoti da lui, vanne a Marfisa,
Né far d’onor o riverencia un
segno: Senza smontar d’arzon a lei te acosta
E da mia parte fa’ questa proposta:
46.
Diragli ch’io credìti che Agricane
Dovesse per suo exempio spaventare
E le gente vicine e le lontane
Da il non dover con me guera pigliare;
Ma dapoich’essa ancor non se rimane,
Che gli altri se potrano amaestrare
Per lo exempio di lei, che tanto è paza
Che bisogna ha d’aiuto, e pur minacia!».
47.
La damigella uscì di quel girone
E giù nel campo subito discese;
La sua ambassiata fece al fio d’Amone
Con bassa voce e ragionar cortese:
Sempre parlando stete in genochione.
Io non sciò dir se ben Renaldo intese,
Ché, come prima odì chi la mandava,
Voltò le spalle, e più non l’ascoltava.
48.
Era con lui Astolfo al pavaglione,
Il qual, vegendo la dama partire
Che seco ne menava il bon ronzone,
Subitamente lo prese a seguire,
Dicendo a lei che per drita ragione
Questo destrier potrìa ritenire
Come sua cosa, poich’era palese
Ch’esso l’avìa conduto in quel paese.
49.
A concluder: la damma potea meno,
E ’l modo non avìa da contrastare,
Onde se lasciò tuor di mano il freno;
Adietro l’ebe Astolfo a reminare.
Or per quel campo, ch’era d’arme pieno,
La messagera se pone a cercare:
Cerca per tuto, e mai non se rafina,
Sinché fo gionta avanti alla regina.
50.
E non se sbigotì di sua presentia,
Ma fece sua proposta alteramente,
Con ardire meschiato di prudencia.
Quella regina, ch’ha l’animo ardente,
L’odìa parlar con poca pacïentia,
E sol rispose: «Ben è tostamente
Il minaciar d’altrui, ma il fin del ioco
È di cui fa de’ fatti e parla poco!».
51.
Lasciamo il ragionar dela dongella,
La qual, nel modo ch’aviti sentito,
Tornò davanti ad Angelica bella;
E ragionamo de quel conte ardito
Che per li fiori e per l’erba novella
Via caminando è d’una selva ussito.
Fuor dela selva, aponto in su quel piano,
Armato è un cavalier con l’asta in mano.
52.
Sopra d’una aqua un ponte marmorino
Tenìa quel cavalier in sua diffesa;
Alla rippa del fiume, ad un bel pino,
Stava una dama per le chiome impesa,
La qual facìa lamento sì tapino
Ch’avrebbe di dolor quel’aqua accesa:
Sempre soccorso e mercede domanda,
Di pianto empiendo intorno in ogni banda.
53.
Di lei molta pietà si venne al conte,
E per la desligar al pin andava,
Ma il campïon, che armato era in sul ponte,
«Non andar, cavalier!» forte cridava
«Che fai a tuto il mondo oltragio e onte
Dando soccorso a quel’anima prava,
Perché l’antiqua etade e la novella
Non ebbe mai più falsa damigella!
54.
Per sua malicia sette cavalieri
Sono perduti, e per sua fellonia;
Ma ciò contarti non mi fa mistieri,
Ché tropo è longo: vanne ala tua via!
Làssala star, e prende altri pensieri!».
Cari signor e bella baronia,
Stati contenti a quel ch’aveti odito:
Per questa fiata il canto è qui fenito.
1. Le prime due ottave, in luogo di un più prevedibile esordio con invocazione e argomento, tornano sul tema dell’onnipotenza di Amore, che regge il poema fin dal suo inizio. Qui troviamo anche un motivo antichissimo, in particolare nella lirica: l’impossibilità di comprendere l’esperienza amorosa senza averla provata direttamente. 2. ‘potrebbe biasimare i due cavalieri valorosi’. 3. insieme: cfr. I, ii, 3, 1. 5-6. ‘pur dovendo portarsi rispetto a vicenda, perché erano nati da una stirpe dello stesso sangue’. 6. d’un sangue e d’una gesta: endiadi. 7-8. ‘e soprattutto (sembrerebbe da biasimare) Orlando, che era stato maggiormente responsabile della battaglia’. Rinaldo aveva cercato in tutti i modi di evitare lo scontro, ma Orlando non aveva sentito ragioni.
2. 2. Farà la scusa di: ‘giustificherà’. 3-4. ‘perché Amore supera la saggezza e l’intelligenza; né l’astuzia o l’ingegno servono a difendersi’. 5. vano ala sua danza: ‘lo seguono, gli obbediscono’; come osserva TISSONI BENVENUTI 1999, c’è una forte analogia con la danza macabra. 6. col signor altiero: ‘e il nobile’. 8. Ciascun prende: ‘catturano tutti’. d’ogni sorte: ‘di ogni genere’. TISSONI BENVENUTI 1999 nota che il verso si potrebbe anche interpretare: ‘entrambi (Amore e Morte) prendono ogni persona e d’ogni qualità’.
3. 1. Sia qui sia al v. 7 si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni rispetto a quella di P (alhor, Hor) seguita dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani. ‘E ciò si vide allora chiaramente’. 2. qual di senno era compito: ‘che era molto assennato’. 3-4. ‘si mutò di indole così rapidamente e divenne incapace di resistere al desiderio’. 6. ‘al quale fu già tanto legato d’amicizia’. 7. a morto lo desfida: ‘lo sfida a morte’; morto: falsa restituzione dell’atona finale. 8. Cfr. I, xxvi, 6, 5
4. 1. il forte Montealbano: il castello di Rinaldo poteva contare su mura costruite dai demoni di Malagise (Rinaldo XXVI). 2. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha hor; si preferisce la lezione più regolare degli altri testimoni. camparte: ‘salvarti’. 3. teco: ‘con te’. fratel di Vivïano: Malagise. 4. ‘che ti possa aiutare con le sue arti magiche’. 5. Che: ‘chi’. 7. tenimento: ‘territorio’. 8. non abi fato: ‘tu non abbia fatto’.
5. 1-2. Carlo Magno si era innamorato di Belisandra, bellissima figlia del re saraceno Trafumieri, avendone sentito parlare da un buffone di nome Luteri e aveva mandato Rinaldo a prenderla a Brimesta in Barbaria (nell’Africa settentrionale). Della spedizione aveva fatto parte anche Orlando (BRUSCAGLI 1995). L’episodio si legge nell’Inamoramento de Carlo Mano, la cui prima edizione nota è del 1481, ma probabilmente circolava, come altri, in redazioni diverse già prima dell’età tipografica (CANOVA 2008a; per le vicende editoriali dell’Inamoramento de Carlo Mano cfr. VILLORESI 1995). 2. mercadante: ‘mercante’. 3. Vòi: ‘vuoi’. forsi: ‘forse’. 5-6. Orlando ricorda qui le guerre di Rinaldo contro Mambrino e i suoi sei fratelli, avventure famosissime del paladino e narrate anche nel romanzo in ottave a lui intitolato (BRUSCAGLI 1995). ‘dove sette fratelli per la loro follia e per i tuoi inganni, che sono tanti, furono uccisi a tradimento?’. 8. ‘Forse speri di andare in Tessaglia’; per te riconforte cfr. TROLLI 2003, p. 242. In Tessaglia dovevano essersi svolti i fatti di cui Orlando parla nell’ottava successiva e che però non ci sono noti.
6. 1-3. Questo episodio non si trova nelle fonti finora note. Un personaggio di nome Pantasilicor è nel Falconetto in ottave (la cui prima edizione nota è del 1500 e risente già dell’Inamoramento de Orlando), ma non è certamente quello cui si riferisce Orlando. 2-3. ‘e non fu mai usata tanta viltà, perché, essendo lui prigioniero, da te fu impiccato’. 4. Sottinteso: senza essere punito. per sue contrate: ‘dalle sue parti’. 6. magagne: ‘colpe’. 7-8. Nelle terre di Rinaldo le strade non sono sicure né di notte né di giorno: torna l’accusa di brigantaggio, spesso rivolta al paladino (cfr. I, xxvi, 33). sciò: ‘so’.
7. 1-4. Durastante è un principe indiano che Orlando uccide nell’Altobello (romanzo cavalleresco in ottave che ebbe grande successo tra XV e XVI secolo); tuttavia non si hanno notizie di un bottino (tesor) che Rinaldo gli avrebbe sottratto (TISSONI BENVENUTI 1999). 2. per drita ragione: ‘a buon diritto’. 3. al piano: ‘sulla pianura’. 4. morto: ‘ucciso’. 5-6. I fatti si svolgono in altro episodio dell’Inamoramento de Carlo Mano (canto XXXVIII; cfr. VILLORESI 1995, p. 138). Macone: una statua di Maometto. 7. P e R, seguiti dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, hanno Hor; si preferisce la lezione più regolare di T e Z. te penti: ‘pentiti’. 8. farai l’amenda: ‘pagherai lo scotto’.
8. 2. Bondino:è il nome del corno di Rinaldo anche in altri testi cavallereschi; forse deriva dall’a. fr. bondir ‘risuonare’ (POLDI 1977, pp. 22-23). 3. Vien a tua posta: ‘vieni quando vuoi’. 4. † uuaro †: lezione incomprensibile, portata da P e da T. Gli altri testimoni non danno alternative convincenti: avaro R, vario R2, vano R3, vasalo Z. TISSONI BENVENUTI 1999 osserva, a ragione, che la parola dovrebbe avere un significato opposto a paladino e che dunque la versione di Z non è accettabile. TROLLI 2003, p. 302 propone cautamente una forma b(er)uaro ‘berroviere, sbirro’, cui si potrebbe accostare barruer ‘bandito’ in Bonvesin de la Riva. 5. Dapoiché: ‘poiché’. 6. I crimini rinfacciati da Orlando a Rinaldo hanno avuto come vittime personaggi mussulmani. 7. qualunque: ‘chiunque’. in ogni lato: ‘in ogni luogo’. 8. ‘che sia stato catturato o ucciso o derubato da me!’.
9. 1. te ramento: ‘ti ricordo’. hagio a vendicare: ‘devo vendicare’. 2. iniqua: ‘ingiusta’. 3-6. Girardo da Fratta era un vassallo che si era ribellato a Carlo Magno e, dopo essergli stato ostile per molto tempo, aveva deciso di risolvere la contesa con un duello tra suo nipote don Chiaro e Orlando, nipote di Carlo Magno: in quell’occasione Orlando aveva ucciso don Chiaro. La vicenda appartiene alla leggenda di Aspramonte e, come osserva FRANCESCHETTI 1975, p. 235, nella versione in prosa di Andrea da Barberino la decisione di Girardo di convertirsi all’Islam è immediatamente determinata dalla morte del nipote. 3. vuò racordare: ‘voglio ricordare’. 7. renegato: ‘rinnegato’. 8. ‘chi provoca il male ne porta la colpa’.
10. 1. C’è qui un’incongruenza, perché a II, xxiv, 14, si leggerà che «Raner di Rana, il patre d’Olivero» sarà ucciso da Feraguto (TISSONI BENVENUTI 1999). Per quanto riguarda questa ottava: Arnaldo di Bellanda, padre di Olivieri e Alda, è ucciso da Carlo Magno in una versione in ottave dell’Aspramonte, ma senza responsabilità di Orlando (FRANCESCHETTI 1975, p. 235). 4. ‘fu ferito a morte davanti al vecchio padre’. 5-8. ‘e tu, quando ti alzi la mattina credi di acquistarti il Paradiso chiacchierando, con le croci e recitando il Padre nostro! Ci vuole altro che restituire parole devote per le proprie malefatte!’. Va però osservato, con TROLLI 2003, p. 215, che paternostro può valere ‘rosario, grani del rosario’, significato che meglio si accorderebbe con le croci.
11. Si tratta ancora di eventi contenuti nella materia di Aspramonte: maggiori punti di contatto sembrano sussistere con la redazione in ottave andata a stampa. Si vede come la responsabilità di Orlando si faccia via via più marginale (FRANCESCHETTI 1975, p. 236). 1. Per la costruzione del verso si può ricordare Inf. XXX, 118: «Ricorditi, spergiuro, del cavallo», una delle colpe che mastro Adamo rinfaccia a Sinone (dunque un contesto non troppo dissimile dalla lite tra Orlando e Rinaldo). 3. Balante: fu ucciso da Uggeri il Danese. 4. ‘e che ciò accadde con il tuo consenso’. 5. apresso: ‘vicino’. 6. ti bastando il cor: ‘bastandoti il coraggio’. 7. ‘di batterti con lui in campo’; per sentiero cfr. I, ix, 53, 5. 8. Rugero: Ruggero (o Riccieri) Vassallo fu ucciso da don Chiaro.
12. 1. diverse: ‘crude’ (TROLLI 2003, p. 138). 2. robesta: ‘fortissima’. 3. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha Hor; si preferisce la lezione più regolare degli altri testimoni. sofferse: ‘sopportò’. 4. a gran tempesta: ‘con gran furia’. 5. Ciascadun… se coperse: ‘entrambi si chiusero’. 6. arresta: ‘arrestano’ (cfr. I, ii, 70, 6). 7. vengosi a ferir: ‘si vengono a colpire’. 8. Sembràr: ‘sembrarono’. doi: ‘due’.
13. L’ottava, che deve descrivere lo scontro immane tra i due paladini, raccoglie materiali di varia provenienza, con una sovrapposizione di luoghi classici e romanzi che rende difficile individuare fonti puntuali (TISSONI BENVENUTI 1999). Vanno comunque ricordati la Tebaide di Stazio per i venti (VII, 560-561) e per il fiume in piena (I, 361-366), con un possibile tramite nel Filocolo di Boccaccio (I, 17). Per la struttura «parallelistica a due elementi di correlazione» della similitudine cfr. MATARRESE 2004, p. 42. 1. sopra la marina: ‘sul mare’. 2. orribil e diversi: cfr. I, v, 69, 8. 3. Scontrano: ‘si scontrano’. roina: ‘violenza’. 4. ‘e fanno naufragare barche e navi’. 5. rivo: ‘fiume’. declina: ‘scende’. 6. arbori dispersi: ‘alberi divelti’.
14. 1-3. ‘Nessuno di loro si piegò nemmeno di un dito, sebbene ogni pezzo delle enormi lance sia salito fino al cielo’. 4. son rivolti: ‘si sono voltati’. trato: ‘sguainato’. 5. fo: ‘vi fu’. 6. ‘che non si spaventasse veramente’. 7. faza: ‘faccia’. 8. minaza: ‘minaccia’.
15. 1. cruda: ‘crudele’. 3. sol mirando: ‘solo a guardare’. 4. quel che se travaglia: ‘chi combatte sul serio’. 5. nuda: ‘scoperta’. 6. piastra e maglia: cfr. I, ii, 1, 5. 7. sopra al conte s’abandona: ‘si scaglia contro il conte’.
16. 1. aperse: ‘spaccò’. il brando: ‘la spada’. 2. al guarnimento: ‘all’armatura’. 3. dil brazal: ‘del bracciale’, cioè della protezione del braccio. 4. tormento: ‘dolore’. 5. andar se lassa: cfr. s’abandona a 15, 7. 6. al soffiar: ‘per come soffia’. 7. A man sinestra: ‘a sinistra’. 8. parte: ‘divide’.
17. 2. gionse: ‘colpì’. 3. a questo non offende: ‘non lo danneggia’. 4. Però ch’era: ‘perché era’. Almonte: cfr. I, i, 5, 8. 5. se distende: sulla groppa del cavallo. 7. ‘Egli riprese i sensi poco dopo’.
18. 1. e: ‘i’. 3. Mambrino: cfr. I, iv, 82, 5. Da notare il parallelo instaurato con l’elmo di Orlando nell’ottava precedente. 5. chino: ‘piegato’. 7. che meta l’ale: ‘che metta le ali, che voli’. 8. Per quanto sproni il suo cavallo, Orlando non riesce a raggiungere Rabicano.
19. 1. tanto peccato: ‘una situazione tanto dolorosa’ (TROLLI 2003, p. 215). 3. l’arzon: ‘l’arcione, la sella’. 4. strasinava: ‘trascinava’. La spada era legata al polso. 5. ussìa: ‘usciva’. 7. angoscia… pena: sinonimi per indicare il dolore fisico. 8. crepò: ‘sprizzò’. Questa accezione, non documentata altrove, è dovuta probabilmente a metonimia: infatti si riferisce originariamente al contenitore e si sposta al contenuto (TROLLI 2003, p. 26).
20. 1. Formulare: cfr. p. es. I, i, 78, 8. 3. Rinaldo era svenuto. 4. a vuoto freno: ‘a briglia sciolta’. 5. in quel dolente caso: ‘in quella dolorosa condizione’. 6. compita: ‘intera’. 7. drago né serpente: cfr. I, xxvii, 13, 1. 8. se risente: ‘riprende i sensi’.
21. 1. roina: ‘furia rovinosa’. 2. passa: ‘supera’. 3. Stracia: ‘strappa’. 6. a do mane: ‘a due mani’. 7. ferisse: ‘colpisce’. 8. al megio dela fronte: ‘in mezzo alla fronte’.
22. 1. Non puote il colpo sofferir: ‘non poté sopportare il colpo’. 2. ‘ma batté la testa sulla groppa del cavallo’. 3. branze: ‘braccia’; forma dialettale piuttosto rara (TROLLI 2003, p. 102 dà documentazione e ipotesi etimologiche). 4. l’usate posse: ‘la forza consueta’. 5. Di qua, di là: solita tessera dantesca (Inf. V, 43). 6. rimosse: ‘spostò’; Orlando oscillava sulla sella. 8. ‘non finisse a terra’.
23. 1. soprana: ‘somma’. 2. prestamente: ‘presto’. 5. ala fontana: ‘vicino alla fonte’; la scena dell’uccisione di Almonte. 7-8. ‘Io sono deciso a vedere chiaramente se sono cambiato oppure se la spada è proprio la stessa’.
24. 2. Dialefe tra marmo e in. 3. per megio lo partì: ‘lo spaccò a metà’. 4. mancòvi: ‘ci mancò’. 5. folminando: ‘lanciando occhiate di fuoco’ (TROLLI 2003, p. 157). 6. Torceva: ‘strabuzzava’.
25. 2. a questo trato: ‘questa volta’. 4. un monte de diamanti: cfr. I, ii, 5, 3. 5. fina: ‘eccellente’. 6. ‘l’armatura non può fare con lei patto o tregua’, cioè non le si può opporre. 7. che campar volse: ‘che volle salvare’. 8. ‘fece sì che la spada colpisse di piatto’.
26. 1-2. ‘Se la spada l’avesse colpito di taglio, l’avrebbe spaccato fino alla sella’. 2. Il verso, come si legge in P, richiede dialefe in cesura. Gli altri testimoni hanno insin in su l’arzone. 3. Sbergo: cfr. I, ii, 61, 3. un aglio: ‘nulla’. 4. al tuto: ‘sicuramente’. 5. a gran sbaralio: ‘in gran pericolo’. 6. gli donò tal stordigione: ‘gli diede tale stordimento’. 7. e di boca: ‘e dalla bocca’. 8. il toca: ‘lo colpisce’.
27. 2. diverso: ‘eccezionale’. 4. ‘perché pensò che Rinaldo fosse spacciato’. 5. anco minava: ‘stava per colpire ancora’. 7. ‘e avrebbe certo potuto farlo’.
28. 1. non dissese: ‘non scese’. 4. ridente: ‘sorridente’. 6. gentil: ‘nobile’. 7-8. ‘Si mantiene quello che si è promesso solo a parole; senza giuramenti l’uno si fida dell’altro’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 7. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, legge a parlar (v. 7) e giurar (v. 8); si preferiscono i metricamente più regolari a parole e giurare degli altri testimoni.
29. 4. tu déi trar a compimento: ‘tu devi portare a termine’. 6. a mio talento: ‘a mio piacere’. 7. franco: cfr. I, i, 1, 7. 8. ‘mettiti subito in cammino!’.
30. 2. Alla lettera ‘e non curarti di indugio né di riposo’, cioè ‘non indugiare e non riposarti’. Per indugia cfr. I, ix, 9, 8. 3. regno de Orgagna: ne abbiamo già sentito raccontare; cfr. p. es. I, xiv. 5. magagna: ‘malizia’. 6. ne la faccia dolorosa!: ‘gliela faccia pagare!’.
31. 1. ala guarda: ‘alla guardia’. falso: ‘ingannatore’. 3. ‘che ha distrutto quel territorio tutto intorno’. 5. peregrino: ‘viandante’.
32. 3. questa doglia: ‘questo dolore’. 4. aver soffrenza: ‘tollerare’. 7. il fato: ‘l’impresa’. 8. serai: ‘sarai’.
33. 1. inchina: ‘s’inchina’. 3. ratto: ‘veloce’. 7. forïoso: ipallage; è Rinaldo che è infuriato. 8. vindicarsi al: ‘vendicarsi del’.
34. 2. sel destina di seguire: ‘decide di seguirlo’. 3. tregua, lezione di P e T messa a testo, crea un’imperfezione in rima, ma bisogna ricordare che, in area padana, la grafia gu poteva rappresentare la velare sonora (cioè una pronuncia trega). Interessante la lezione treuga di R, che si trova anche in testi estensi vicini a Boiardo (MONDUCCI-BADINI 1997, p. 91). 6. ‘e ognuno di loro seppe parlare così bene’. 8. fo aquetato: ‘si calmò’.
35. 1. fella: ‘feroce’. 3. La lezione di P messa a testo chiede dialefe dopo il quinario; forse non è da rifiutare quella degli altri testimoni: Angelica la bella. li volse: ‘gli volle’. 6. ‘che a malapena riusciva a guardarla’. È già la seconda volta che Angelica salva la vita a Rinaldo e che lui non vuole nemmeno parlarle (cfr. I, ix, 18). 7. al girone: ‘alla rocca’. 8. pavaglione: ‘padiglione, tenda’.
36. Come già in altre occasioni, l’innamorata delusa si lamenta prendendo in prestito un buon numero di elementi del repertorio lirico ed elegiaco. 3. chiama: ‘invoca’. 4. fo giamai: ‘vi fu mai’. 5. gramma: ‘grama, infelice’. 8. sostengo: ‘sopporto’.
37. 1. l’alma: ‘l’anima’. 2. Antitesi di gusto lirico (cfr. ancora, p. es., Rvf 134, 7-8: «et non m’ancide Amore, et non mi sferra / né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio», ma il topos è diffusissimo). ch’io campo: ‘che io mi salvi’. 4-5. Cfr. Al II, 11, 5-7: «queste mie voce extreme / almanco sieno intese, / e fian palese / a quella che me occide». almanco: ‘almeno’. 6. dapoi: ‘dopo’.
38. Anche il tema dell’amore conquistato con una lunga sopportazione ha lunghissima fortuna nella lirica. 1. disdignosa e dura: dittologia di gusto lirico. 2. Cfr. Al II, 35, 6-7: «non è cor sì feroce / che amando e lamentando non se pieghi». 4. Ch’a un tempo: ‘che un giorno’. niega: forma iperdittongata, come priega al v. 6. 5. ‘e la Buona Sorte è solo di colui’. 8. per mia cagione: ‘per causa mia’.
39. 2. ‘E pure si placherà, se anche sarà tardi’. 3. Faragli: ‘gli farà’. 5. conviensi: ‘bisogna’. 7. ‘perché, come sento dire e come tutti raccontano’.
40. 2. sapere: nei romanzi cavallereschi il termine sembra riferirsi spesso all’abilità in battaglia più che a una generica intelligenza (cfr. Falconetto 1483, p. 202). 3. periglio: ‘pericolo’. 4. il mio parere: ‘ciò che voglio’. 5. come forte fallai: ‘che gran peccato ho commesso’. 6. potere: ‘forza’. 7. ‘Ma Dio sa che non ho potuto sopportare’. 8. Enfatica reduplicazione del pronome.
41. 1. La lezione di P e R, a testo, vuole dialefe tra morto e il, accettabile come pausa enfatica nella recitazione; tuttavia Hora di R2, T e Z non è da rigettare senza appello. fia morto: ‘sarà ucciso’. bon: ‘valoroso’. Brava:o Blava; è un feudo di Orlando. 5. conscïenza assai me grava: ‘mi pesa molto sulla coscienza’. 6. fo pur contra ragione: ‘agisco contro la giustizia’. 7-8. ‘che regge i suoi sudditi a modo suo, senza seguire le leggi’. Anche il motivo di Amore signore che governa senza giustizia gli innamorati ha lungo corso nella lirica.
42. 2. ‘che da piccola fu allevata con lei’. 3. favella: ‘parola’. 6. Calla: ‘scendi’. 7. Qual: ‘la quale’. contra ogni ragione: ‘contro ogni diritto’. 8. nel’assedio: ‘all’assedio’.
43. 1. palafreno: cfr. I, ii, 55, 2. 2. menalo a mano: ‘portalo per la briglia’. 4. Circa: ‘cerca’. 6-8. ‘poiché egli è così crudele che sopporta che io muoia in tanto desiderio, non voglio che il suo cavallo muoia di fame’. 7. piera: cioè pèra ‘perisca’. 8. mori: ‘muoia’; forma padana (MENGALDO 1963, p. 130).
44. 1. potrebe: ‘potrei’. 3. mi vienne ’ assediare: ‘mi venne ad assediare’. 4. ‘e mi fece tanta offesa ingiustamente’ (cfr. TROLLI 2003, p. 140). 6. ameragio: ‘amerò’. 8. voglio o non: probabilmente da intendere voglia o non ‘che lo voglia o che non lo voglia’. A conclusioni non dissimili Angelica era già arrivata (cfr. I, iii, 48).
45. 1-2. ‘Gli parlerai in questo modo e ingégnati di ottenere risposta’. 3. divisa: ‘lontana’. 4. ‘che forse non ti vorrà parlare’. 5. vanne: ‘vai’. 6. riverencia: ‘riverenza’. 7. te acosta: ‘avvicinati’. 8. fa’ questa proposta: ‘porta questo messaggio’.
46. 1-4. ‘le dirai che io credevo che l’esempio di Agricane dovesse dissuadere i popoli vicini e lontani dal farmi guerra’. 5. non se rimane: ‘non la smette’. 6-7. ‘potranno essere istruiti dal suo esempio’. 8. e pur: ‘e tuttavia’.
47. 5. in genochione: ‘in ginocchio’. 7. come prima: ‘non appena’.
48. 2. vegendo: ‘vedendo’. 6. Il verso richiede una quinta sede vuota, a meno di non leggere potrïa. 6-7. ‘avrebbe potuto trattenere come sua proprietà’. 8. Ch’esso: ‘che egli stesso’. Astolfo aveva sconfitto Gradasso e si era impadronito di Baiardo (I, vii, 57).
49. 1-2. ‘Per concludere: la dama era meno forte e non aveva modo di opporsi’. 3. tuor: ‘togliere’. 4. ‘Astolfo lo ricondusse indietro’. 7. per tuto: ‘dappertutto’. non se rafina: ‘non smette’.
50. 2. alteramente: ‘con sicurezza’. 3. meschiato: ‘mescolato’. 5. L’odìa: ‘l’ascoltava’. pacïentia: ‘pazienza’. 6-8. ‘Si fa presto a minacciare, ma alla fine vince chi compie i fatti e parla poco!’.
51. 1. Lasciamo: ‘tralasciamo’. 2. aviti: ‘avete’. 5. novella: ‘fresca’. 6. ussito: ‘uscito’. 7. aponto: ‘proprio’. 8. asta: ‘lancia’.
52. 1. aqua: ‘corso d’acqua’. marmorino: ‘di marmo’. Il ponte è uno dei luoghi topici dell’avventura arturiana ed è spesso custodito da un cavaliere o da una dama (cfr. I, v, 60; I, vi, 44 ecc.). 2. Tenìa: ‘teneva’. 3. rippa: ‘riva’. 4. per le chiome impesa: ‘appesa per i capelli’. 5. facìa lamento sì tapino: ‘si lamentava in modo così straziante’. 7. mercede: ‘pietà’. 8. ‘Riempiendo di pianto ogni luogo intorno’. Verso marcato da più allitterazioni.
53. 1. si venne: ‘venne’; pseudoriflessivo. 2. la desligar: ‘slegarla’. 5. oltragio e onte: ‘un’offesa vergognosa’. 6. anima prava: ‘anima malvagia’ (cfr. I, xviii, 24, 4). 7-8. ‘perché i tempi antichi e quelli moderni non ebbero mai una fanciulla più traditrice’.
54. 1-2. malicia… fellonia: ‘astuzia malvagia e slealtà’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 2. Sono perduti: ‘si sono rovinati’. 3. ‘ma non bisogna che io te lo racconti’. 5. ‘lasciala perdere e preoccupati d’altro!’. 6. baronia: ‘insieme di nobili e cavalieri’. 7. ‘accontentatevi di ciò che avete ascoltato’. 8. Per questa fiata: ‘per questa volta’.