CANTO VENTINOVESIMO

Il cavaliere posto a guardia della dama appesa all’albero esorta Orlando ad andarsene e gli racconta il motivo del supplizio che le è inferto. La donzella si chiama Origille ed è nata a Batria. Di lei si erano innamorati Uldarno (il suo attuale custode), Locrino e Ariante. Origille, con astuzia e cattiveria, lusingava i suoi innamorati senza concedersi ad alcuno finché un giorno, dopo un’accorata dichiarazione di Uldarno, aveva ordito un inganno di grande crudeltà. Qualche tempo prima, un cavaliere di nome Oringo aveva ucciso il giovane Corbino, fratello della dama; il padre di lei e del ragazzo, desideroso di vendetta, cercava ora un campione per vendicarlo e presto l’avrebbe trovato. Origille aveva chiesto a Uldarno di indossare le insegne di Oringo e di farsi catturare dal campione prescelto: sarebbe stato quindi consegnato a lei e i due avrebbero potuto stare insieme indisturbati (1-19). Uldarno aveva subito accettato e vestito le insegne di Oringo. Allora Origille aveva convocato Locrino, gli aveva chiesto di sconfiggere Oringo per amor suo e gli aveva indicato dove avrebbe incontrato l’avversario (in realtà Uldarno sotto mentite spoglie). Lo aveva quindi armato con le insegne di Ariante. Questi si era già accordato con il padre di Origille: sarebbe stato il suo campione e avrebbe sposato la ragazza (20-23). In campo, Ariante aveva poi catturato facilmente Uldarno, ma Locrino aveva incontrato per caso il vero Oringo e ingaggiato con lui una zuffa violentissima, nella quale erano stati entrambi feriti gravemente. Locrino aveva comunque catturato l’avversario. Il padre di Origille aveva quindi ottenuto il prigioniero promettendo a Locrino la mano di sua figlia (24-29). Quando Ariante si era presentato con il finto Oringo prigioniero, l’inganno era stato scoperto. I quattro cavalieri erano stati condannati a morte: Uldarno e Locrino perché un’antica legge del paese proibiva di portare insegne diverse dalle proprie, Oringo perché aveva ucciso un avversario troppo giovane e Ariante perché aveva accettato di agire da sicario per ottenere la donna desiderata. In attesa dell’esecuzione della sentenza, Origille sta appesa all’albero e i suoi spasimanti le fanno la guardia (29-37). Orlando non dà retta a Uldarno e abbatte lui e gli altri. Poi libera Origille e riparte con lei (38-44). Ben presto il paladino è vittima del fascino della dama e se ne innamora. Origille se ne accorge e trova subito il modo di beffare il suo salvatore. I due infatti giungono al sepolcro di Nino, il fondatore di Ninive, e la donna consiglia a Orlando di salire in cima per potere osservare dentro alla roccia il Paradiso e l’Inferno. Il cavaliere le crede e sale i gradini, ma Origille lo irride e fugge con il suo cavallo Brigliadoro. A Orlando non resta che darsi dello sciocco e incamminarsi a piedi. Poco dopo avvista un gruppo di persone che si avvicina. Qui la storia si interrompe, ma il poeta promette un seguito che vedrà le gesta di Ruggero, il cavaliere più valoroso di tutti (45-56).

1.
Nel’altro canto io ve contai che Orlando
Vide il bel pin a lato ala rivera,
Dove la damma impesa, lacrimando
Avrìa mosso a pietate un cor di fiera;
E mentre che lui stava riguardando
Quel’altro campïon, con voce altiera,
Gli disse: «Cavalier, va’ ala tua via,
Né dar aiuto a quella dama ria,

2.
La qual adesso ha ben tuta so voglia,
Poiché sta impesa con le chiome al vento
E voltasi leger comme una foglia!
E ben fo questo sempre il suo talento:
Or con vana speranza, or certa doglia
Tenir li amanti in estremo tormento;
Come al vento si volge or per sí stessa,
Cossì sempre rivolse ogni promessa!».

3.
Rispose il franco conte: «In veritate
Nela mia mente non posso pensare,
Nonché aprir gli ochi a tanta crudeltate:
In ogni modo la voglio campare,
Né crede ch’abbi in te tanta viltate
Che a questa cosa debbi contrastare;
Se offeso sei e di vendetta hai brama,
Ciò non convien oprar sopra a una dama!».

4.
«Questa dongella» disse il cavaliero
«Fo sempre sì crudel e dispietata,
E tanto vana e d’animo legero
Che dritamente è quivi condenata;
Ma tu forsi, baron, èi forestiero,
Né sciai la storia di questa contrata,
Però pietà te muove a dar socorso
A quella che è crudel più ch’alcun orso.

5.
Ascolta, ch’io te prego, in qual manera
Ben iustamente e per drita ragione
Fosse nel pin impesa quella fiera.
Lei nacque meco in una regïone
E fo per sua beltate tanto altiera
Che mai non fo mirato alcun pavone
Ch’avesse più soperbia nela coda,
Quando la sparge al sol e ha chi ’l loda.

6.
Origille è ’l suo nome, e la citade
Dove nascemmo Batria è nominata;
Io l’amai sempre dala prima etade,
Comme piacque a mia sorte isventurata.
Leï or con sdegni, or con fente pietade,
Promettendo e negando alcuna fiata,
Me incese di tal fiamma a poco a poco
Che tuto ardeva, anci era io tuto un foco.

7.
Un altro gioveneto ancor l’amava
(Non più di me, che più non se può dire);
Ma giorno e notte sempre lacrimava,
Quasi condutto al’ultimo morire.
Locrino il cavalier si nominava,
Qual sofrea per amor tanto martire
Che giorno e note lacrimando forte
Chiedea per suo ristor sempre la morte.

8.
Lei l’un e l’altro con bone parole
E tristi fati al lazo tenìa preso,
Mostrandoci nel verno le vïole
E ’l giazo nela state al sol acceso;
E benché spesso, comme far si suole,
Fosse l’ingano suo da noi compreso,
Non fo l’amor d’alcun abandonato,
Credendo più ciascun esser amato.

9.
Più volte avanti a lei mi presentai,
Formando le parole nel mio petto,
Ma poi redirle non pòte giamai,
Ché, comm’io fo’ conduto al suo cospetto,
Quel che pensato avìa domenticai,
E sì perdei la voce e l’intelletto
E tutti e sentimenti per vergogna,
Ch’era il mio ragionar d’un om che sogna.

10.
Pur me diè Amor alfin tanta baldanza
Ch’un tal parlar a lei da mi fo mosso:
“Se vui credisti, dolce mia speranza,
Ch’io potesse soffrir quel ch’io non posso
E che la vita mia fosse a bastanza
Dil foco che m’ha roso insino al’osso,
Lasciati tal pensier in abandono,
Ché se aiuto non ho, morto già sono!

11.
Ciò vi giuro: ed è vero, e non ve inganno;
E pensar ben doviti in vostro core
Che l’om dié sostenir l’estremo danno
Prima ch’el provi il suo amico magiore;
Perché, essendo ingannato, ogn’altro affanno,
Anci la morte, è ben pena minore;
Perché al fin ogni martir avanza
Trovarsi vana l’ultima fidanza.

12.
Ben lo scià Dio che in altri non ho spene
E chi vui seti quella che più amo;
Soffrir non posso ormai cotante pene:
Al’estremo dolor mercé vi chiamo.
Camparmi al vostro onor ben si conviene,
Che sol per vui servir la vita bramo
E se aiuto non dati al mio gran male,
Io moro e voi perditi un cor leale”.

13.
Non fuòn queste parole simulate,
Anci trate al mio cor dela radice;
Lei che femina è ben (in veritate,
Che tute son pegior che non se dice!),
Feci risposta con gran falsitade
Per farme più dolente e infelice,
Dicendo: “Uldarno,” (che così mi chiamo)
“Più che ’l mio spirto e più che gli ochi v’amo!

14.
E se io potesse mostrarne la prova
Comm’ïo posso in voce proferire,
Cosa non ho nel cor che sì me mova
Quanto al vostro disio poter servire;
E s’alcun modo o forma se ritrova
Ch’io possa contentar questo disire,
Io son aparichiata a tute l’ore,
Purché si servi insieme il nostro onore.

15.
Ma certamente io vedo una sol via
(Volendo, comme io dico, riservare
Nel vostro onor la nominanza mia)
Che ce possiamo insieme ritrovare:
Comme sapeti, la Fortuna ria
Fece alla morte insieme disfidare
Oringo, il cavalier tanto inumano,
Contra a Corbino, il mio franco germano.

16.
E fo quel damigello al campo morto
(Dico Corbino), e contra ala ragione,
Che ancor non era ben nel’arme scorto
E l’altro fo più volte al parangone.
Ora, per vendicar cotanto torto,
Mio patre va cercando un campïone,
Proferendo a ciascun estremo merto,
E hal trovato, o trovaral di certo.

17.
Vui portareti adunque l’arme indosso
De Oringo e la sua insegna e ’l suo cimero;
Fuor dela terra vi sarete mosso,
Là dove scontrareti un cavaliero;
Poi che l’un l’altro ve areti percosso,
Pigliar vi lassareti di ligero.
E questo è sol il modo e la manera
A far contenta vostra voglia intiera:

18.
Però che quivi sareti menato
Dal’altro cavalier che ve avrà preso;
Soto mia guardia stareti legato,
E non temeti già de esser offeso,
Ch’a vostra posta vi darò combiato.
E benché ’l patre mio sia d’ira acceso
E abia molta voluontate e fretta
Di far del suo figliol aspra vendeta,

19.
Nulla di manco ho già preso il partito
Di poter vosco alquanto dimorare;
Poi mostrerò che siati fugito”.
Cossì la falsa m’ebbe a ragionare,
E io ben presto prese questo invito;
Né periglio o fatica ebbe a pensare,
Ché, per trovarmi sieco ad un sol luoco,
Passato arìa per mezo un mar di foco.

20.
Adobato mi fo’ subitamente
L’arme de Oringo e ogni sua divisa;
Ma comme io fo’ partito, incontinente
Costei, che del mio mal facea gran risa,
Comme quella ch’è troppo fraudolente
E perfida e crudel fuor d’ogni guisa,
Partito (comme io dico) a lei davante,
Fece chiamar a sé quel’altro amante.

21.
Ciò fo Locrino (de che ragionai,
Ch’a un tempo meco questa falsa amava)
E con promesse e con parole assai,
Comme sapea ben far, lo alosingava,
Dicendo, se sperar dovìa giamai
Guiderdon del’amor che gli mostrava,
Che per un giorno sia suo campïone:
Dïalli Oringo morto, over pregione.

22.
Il loco li raconta ove mandato
M’avìa lei stessa, fuor dela citade,
E tanto fece alfin che l’ebe armato
D’insegne contrafate e divisate.
E’ fora venne per trovarmi al prato:
Nel scudo verde ha doe corne dorate,
E nela sopravesta e nel cimero,
Comme portava un altro cavaliero.

23.
Quel cavalier avea nome Arrïante,
Che per insegna le corna portava:
Tanto animoso e di membre aiutante
Che forsi un altro par non s’atrovava.
Questo era de Origilla anco esso amante,
E averla per moglie procaciava;
E già col patre di essa stabilito
Avìa per patto d’esser suo marito,

24.
Ma prima Oringo dovìa conquistare
E a lui presentarlo o morto o preso.
Or (per far breve il nostro ragionare)
Questo ne venne a quel prato desteso,
Là dove io stava armato ad aspetare;
Doppo lieve bataglia io me foi reso,
Credendo a questa falsa esser menato:
Feci poca diffesa e foi pigliato.

25.
Locrino in questo tempo, il giovenetto,
Nel vero Oringo a caso fo iscontrato,
Né minarno la zuffa da diletto,
Questo d’amore, quel d’ira infiamato.
Fo ferrito Locrino a megio il peto,
Oringo nela testa e nel costato
E fo l’assalto lor sì crudo e forte
Che ciascun d’essi quasi ebbe la morte,

26.
Abenché al fin Oringo fo prigione,
Ch’uno amoroso cor vince ogni cosa.
Or interviéne che ’l crudo vechione,
El qual è patre a questa dolorosa,
Avea di far vendeta il cor fellone
E note e giorno mai non stava in posa:
Sempre guardando cerca con gran pena
Se ’l suo campione Oringo ancor li mena.

27.
Ed ecco avanti lo vide venire,
Con la man disarmata e senza brando,
Comme colui ch’è preso, a non mentire.
Andogli incontra, palido e tremando,
E apena se ritenne del ferire.
Ma poi da presso con lor ragionando,
Conobe nela voce e nel sembiante
Che Locrino era quel, non Arïante.

28.
Ben sapea il vechio che quel gioveneto
La sua figliola avìa molto ad amare
E però gli diceva: “Io te prometto:
Se questo tuo pregion mi vuo’ donare,
Contento ti farò di quel diletto
Qual più nel mondo mostri desiare:
Se vero è che mia figlia cotanto ami,
Io te contentarò di quel che brami”.

29.
Locrin, pacio, si fo presto accordato,
Benché darli il pregion non gli era onore;
Tanto già lui d’Amor era spronato
Che gli avrìa dato parte del suo core.
Essendo già tra lor fato il mercato,
La nostra gionta gli pose in errore,
Perché Arïante e io, ch’era pregione,
Giongémo avanti a quel crudo vechione.

30.
Quivi la cosa fo tuta palese,
E la cagion del’arme tramutate;
Alor Oringo molto me riprese
Che indosso le sue insegne avìa portate;
E tra nui quatro fòr molte contese
E quasi ne venémo a trar le spate,
Perché Arïante ancor se lamentava
Pur de Locrin, che sua insigna portava.

31.
Nel regno nostro è lege manifesta
Che chiunque porta scudo over cimero
D’un altro campïon o d’altra gesta,
È disfamato con gran vitupero
E, se non ha perdon, perde la testa.
Benché ’l statuto sia crudel e fero,
Ché la pena è magior che la falanza,
Pur è servata per antica usanza.

32.
Avanti al re fo tratta la querella,
Il qual, vigendo tuta la cagione
Esser usita da questa dongela,
Qual ci avea induto a quela guarnisone
E con le insigne altrui montar in sela,
Prese consiglio con molta ragione:
Ch’avendo ognon di noi fato gran male,
Tuti dannòce a pena capitale;

33.
Oringo, perché morto avìa Corbino,
Ch’era gargione e lui già di gran fama;
E Arïante sì comme assasino,
Qual per aver il prezo d’una dama,
Avìa promessa a quel vechio mastino
La morte di colui, che tanto brama;
Cossì meco Locrino ad una guisa,
Che avevamo portata altrui divisa.

34.
Sì iudicati tuti quatro a morte,
Fòmo obligati soto a sacramento
Non ussir for di Batria dale porte
Sinché non è il iudicio a compimento;
E fece il re dapoi ponere a sorte
Chi menar debba la damma al tormento,
Perché lei, ch’è cagion di tanto erore,
Non ha già morte, ma pena magiore.

35.
Comme tu vedi, per le chiome impesa
Sopra a quel pin al vento se trastulla;
E per farla campar è bene atesa
D’ogni vivanda, e non gli manca nulla.
La prima sorte a me dete l’impresa
De star in guardia ala falsa fanciula;
E cossì già tre giorni ho combatuto
Contra a ciascun che gli vòl dar aiuto.

36.
E sette cavalier ho tratto a fine;
E nomi tutti non te vuò contare:
Mira quei scudi e l’arme peregrine
Qual ciaschedun di lor solìa portare.
Tuti han perduto l’anime tapine
Per voler questa damma liberare:
Il scudo de ciascun e l’elmo e il corno
Son atacati a quel tronco d’intorno.

37.
E se caso averà che io pur sia morto,
Oringo, e poi Locrino e Arïante
Viran l’un doppo l’altro a questo porto,
Ciascun di me più fiero e aiutante.
E però, cavalier, io te conforto
Che non te curi di passar avante,
Perché qualunque al ponte non se atiene
Aver bataglia meco li conviene».

38.
Orlando stava attento al cavaliero
Ch’avìa contata longa diceria;
Ma la dongella da quel pin altiero
Forte piangendo il cavalier mentìa,
Dicendo che malvagio era e sì fiero
Che la tormenta sol per fellonia,
E perch’è damma e non può far diffesa
La tien per crudeltate al pin appesa;

39.
E che sèti baron a tradimento
Avëa occiso, e non per sua vertute;
E per dar tema agli altri e gran spavento
Tenea quei scudi in mostra e le barbute.
Cossì dicea la dama e con lamento
Parlava al conte per la sua salute,
Per Dio pregando e sempre per pietate
Che non la lassi in tanta crudeltate.

40.
Non stete Orlando già molto a pensare,
Perché pietà lo mosse incontinente,
Dicendo a Uldarno o che l’abia a spicare
O che prenda bataglia di presente.
Cossì l’un l’altro s’ebe a disfidare:
Ciaschedun volta il suo destrier corente
E vengosi a ferir con cruda guera.
Al primo incontro Orlando il pose in terra.

41.
Poi che fo il cavalier caduto al piano,
Il conte prestamente al pin andava.
Sopra una tore a quel ponte era un nano
Che incontinente un gran corno sonava;
Doppo quel sòno apparve a mano a mano
Un cavalier armato, che cridava
E morte al conte e gran pena menaza
Se s’avicina al ponte a vinte braza.

42.
Il conte aveva intégra ancor sua lanza;
Presto se volta e quella al fianco aresta
E ferise al baron con tal possanza
Che sopra al prato il fiè bater la testa.
Ma far nova bataglia ancor gli avanza,
Ché ’l nano sona il corno a gran tempesta,
E gionge il terzo cavalier armato:
Sì come l’altri andò disteso al prato.

43.
Sopra la torre il nano el corno sona:
Il quarto cavalier ne vien palese;
Orlando contra a lui forte sperona
E con fracasso a terra lo distese.
Poi tutti comme morti li abandona
E passa il ponte sanza altre contese
E gionge al pin e smonta dela sella,
Salisse al tronco e spicca la dongela.

44.
Giù per le rame la portava in bracio
E quella damma lo prese a pregare,
Poi che trata l’avìa di tal impazo,
Che via con sieco la voglia portare;
Perché di lei sarìa fato gran strazo
Se quivi se lasciasse ritrovare.
Orlando l’asicura e la conforta:
In croppa se la pone e via la porta.

45.
Era la damma di estrema beltate,
Malicïosa e di losinghe piena:
Le lacrime tenëa apparechiate
Sempre a sua posta con’ aqua di vena;
Promessa non fìa mai con veritate,
Mostrando a ciaschedun facia serena;
E se in un giorno avesse mille amanti,
Tutti li beffa con dolci sembianti.

46.
Come io disse, la porta il conte Orlando
E, già partito essendo di quel loco,
Lei con dolce parole ragionando
Lo incese dil suo amore a poco a poco;
Esso non se ne avide e, rivoltando
Pur spesso il viso a lei, prende più foco,
E sì novo piacer gli entra nel core
Che non ramenta più l’antiquo amore.

47.
La dama ben s’accorse incontinente,
Come colei ch’è scorta oltra misura,
Che quel baron d’amor è tuto ardente:
Onde a infiamarlo più pone ogni cura,
E con bei mòti e con faza ridente
A ragionar con sieco lo assicura,
Però che ’l conte, ch’era mal usato,
D’amor parlava come insonïato.

48.
Mille anni pare a lui ch’asconde il sole,
Per non aver al scur tanta vergogna,
Perché, benché non sapia dir parole,
Pur spera de far fati ala bisogna;
Ma sol quel tempo d’aspetar gli dole
E fra sé stesso quel giorno rampogna,
Qual più degli altri gli par longo assai,
Né a quella sera crede gionger mai.

49.
E cossì cavalcando a passo a passo,
Ragionando più cose intra di loro,
A megio il prato ritrovarno un sasso,
Ch’è scripto tuto intorno a letre d’oro
E trenta gradi, dala cima al basso,
Avìa tagliato con netto lavoro:
Per questi gradi in cima se salliva
A quel petron, ch’asembra fiamma viva.

50.
Disse la dama al conte: «Or te assicura,
Se hai (com’io credo) la virtù soprana,
Che ’n questo sasso è la magior ventura
Che sia nel mondo tuto, e la più strana.
Monta quei gradi, e sopra quel’altura
La pietra è aperta a guisa di fontana:
Ivi te appogia, e giù callando il viso
Vedrai l’Inferno e tuto il Paradiso!».

51.
Il conte non vi fece altro pensiero:
Certo il demonio e Dio veder si crede,
E ala dama lascia il suo destriero.
Lei, come gionto sopra il sasso il vede,
Forte ridendo disse: «Cavaliero,
Non sciò se seti usati a gir a piede,
Ma sciò ben dir che usar ve gli convene.
Io vado in qua: Dio ve conduca bene!».

52.
Cossì dicendo, volta per quel prato,
E via fogendo va la falsa dama.
Rimase il conte tuto smemorato
E sé fuor d’intelleto e pacio chiama,
Benché sarìa ciascun stato ingannato,
Ché di liger si crede a quel che s’ama;
Ma lui la colpa dà pur a sé stesso,
Lochio e balordo nomandosi spesso.

53.
Non scià più che se far il paladino,
Poi che perduto è il suo bon Brigliadoro;
Torna a guardar il sasso marmorino
E va legendo quele letre d’oro.
Quivi ritrova che sopolto è Nino,
Qual fo già re di questo tenitoro
E fece Ninivé, l’alta citade,
Che in ogni verso è longa tre giornate.

54.
Ma lui, che de guardar ha poca cura
Poi ch’ha perduto il suo destrier soprano,
Smonta dolente dela sepoltura;
E caminando a piede per il piano
(La note gionge e tuto il ciel se oscura),
Vede una gente, e non molto lontano;
E cossì andando ognor più s’avicina,
Perché la gente verso lui camina.

55.
Diròvi tuta quanta poi la cosa,
Qual gl’incontrò quando fo gionto al gioco,
E sarà di piacere e diletosa;
Ma poi la conteremo, in altro loco,
Perché ’l cantar dela storia amorosa
È necessario abandonar un poco
Per ritornar a Carlo imperatore
E ricontarvi cossa assai magiore.

56.
Cosa magior, né di gloria cotanta
Fo giamai scrita, né di più diletto,
Ché dil novo Ruger quivi si canta,
Qual fo d’ogni virtute il più perfeto
Di qualunque altro ch’al mondo si vanta;
Sì che, signor, ad ascoltar vi aspetto
Per farvi di piacer la mente satia,
Se Dio mi serva al fin la usata gratia.

1. La scena descritta a I, xxviii, 52 è qui riproposta in modo molto simile (TIZI 1988, pp. 251-252). 1. contai: ‘raccontai’. 2. a lato ala rivera: ‘di fianco al fiume’. 3. la damma impesa: ‘la dama appesa’. 4. ‘avrebbe mosso a compassione il cuore di una belva feroce’. 5. riguardando: ‘guardando’. 6. altiera: ‘sprezzante’. 7. ala tua via: ‘per la tua strada’. 8. ria: ‘malvagia’. Ottava aperta.

2. L’ottava è costruita attorno all’antico topos della volubilità femminile, che spiega anche il contrappasso inflitto alla bella appesa. I precedenti noti a Boiardo sono numerosi, a partire da Ovidio: «verba puellarum foliis leviora caducis, / inrita… ventus et unda ferunt» (Am. II, 16, 45-46) poi rovesciato “al maschile” su Paride dalla ninfa Enone: «Tu levior foliis, tum cum sine pondere suci / mobilibus ventis arida facta volant» (Her. V, 109-110). Il tema ha molti esecutori anche in volgare, tra i quali è da ricordare almeno Boccaccio: «Giovane donna, e mobile e vogliosa / è negli amanti molti… / virtù non sente né conoscimento, / volubil sempre come foglia al vento» (Filostrato VIII, 30). Altri riferimenti in DONNARUMMA 1992, pp. 556-557 e TISSONI BENVENUTI 1999. 1-2. ha ben vento: ‘ha tutto ciò che vuole, è completamente appagata, appesa per i capelli ed esposta al vento’; ironico: la donna ha realizzato appieno la volubilità che l’ha condotta per tutta la vita. 3. voltasi leger: ‘si volge leggera’. 4. fo: ‘fu’. talento: ‘desiderio’ (TROLLI 2003, p. 287), ma ‘abilità’ per TISSONI BENVENUTI 1999. 5-6. ‘tenere i suoi innamorati in gran pena ora con speranze vane, ora con dolori certi’. Il v. 5 è costruito su un parallelismo di coppie aggettivo-sostantivo di segno opposto. vana speranza: giuntura petrarchesca (Rvf 1, 6). 7-8. ‘come ora si muove da sé al vento, così rigirò sempre ogni sua promessa’, cioè non la mantenne (TROLLI 2003, p. 250).

3. 1. franco: ‘valoroso’. 3. ‘e nemmeno aprire gli occhi davanti a una cosa tanto crudele’; Orlando non può tollerare la vista di un tale spettacolo. 4. campare: ‘salvare’. 5-6. ‘e non credo che tu abbia in te tanta scortesia da opporti a questo’. 5. crede: cfr. I, xxvii, 47, 5. 7. brama: ‘desiderio’. 8. ‘non bisogna comunque comportarsi così con una donna’.

4. 1. dongella: ‘donzella’. 2. dispietata: ‘spietata’. 3. legero: ‘volubile’. 4. ‘che è qui condannata a buon diritto’.

5. forsi: ‘forse’. baron: cfr. I, i, 8, 4. èi: ‘sei’. 6. ‘e non sai che cosa è accaduto in questo paese’. 7. Però: ‘perciò’. te muove: ‘ti spinge’. 8. più ch’alcun orso: ‘più di un orso’, animale la cui ferocia era proverbiale. Si inserisce nel racconto un’altra novella, la cui protagonista – apprenderemo che si chiama Origille – avrà un ruolo importante nello svolgimento della trama principale. Il personaggio, che ha tutte le caratteristiche della donna bellissima, astuta e crudele, metterà più volte Orlando nei guai facendolo innamorare e sfuggendogli sistematicamente dopo averlo ingannato. L’eroina negativa, insomma, darà ancora maggior risalto all’inettudine del paladino di fronte alla passione erotica. 2. Le due espressioni sono sinonime. per drita ragione: ‘a buon diritto’. 3. nel pin: ‘al pino’. fiera: ‘belva’. 4. meco in una regïone: ‘nel mio stesso paese’. 5. per sua beltate: ‘a causa della sua bellezza’. altiera: ‘superba’. 6. non fo mirato: ‘non si vide’. 7. nela coda: ‘per la sua coda’. 8. sparge: ‘apre’.

6. 1. Origille: il nome oscilla tra Origil(l)a e Origil(l)e. 2. Batria: identificata dai commentatori con l’antica Battra (Balkh), nella Battriana, regione settentrionale dell’attuale Afghanistan. nominata: ‘chiamata’. 3. dala prima etade: ‘dalla giovinezza’; sintagma petrarchesco (Rvf 23, 1: Nel dolce tempo de la prima etade). 4. isventurata: ‘sfortunata’; forma prostetica. 5. ‘Lei ora sdegnandosi con me, ora fingendo di intenerirsi’, secondo l’abituale comportamento della donna amata in molta poesia lirica. fente: ‘finte’ (o ‘finta’, se l’atona finale è alterata); forma sett. non anafonetica. 6. alcuna fiata: ‘di tanto in tanto’ (TROLLI 2003, p. 149). 7. Me incese: ‘mi accese’. fiamma: ovviamente amorosa. 8. ‘che io bruciavo, anzi ero diventato io tutto un fuoco’. Si possono notare, con TISSONI BENVENUTI 1999, le due prime persone sing. dell’imperfetto indicativo con desinenza etimologica in -a, tipo che prevale nettamente rispetto a quello analogico in -o nel romanzo.

7. 1. ‘Anche un altro giovane l’amava’. 2. Entrambi erano perdutamente innamorati di Origille, non si può dunque stabilire chi l’amasse di più. 4. condutto al’ultimo morire: ‘condotto alla morte’; condutto mantiene una forma latineggiante. 6. ‘il quale soffriva per amore tanta pena’. 8. ristor: ‘sollievo’.

8. 1-4. ‘Lei teneva entrambi presi al laccio con buone parole eazioni malvagie, facendoci vedere vedere le viole d’inverno e il ghiaccio d’estate al sole infuocato’. Boiardo sfrutta l’immagine, che ha origine nel Triumphus Cupidinis di Petrarca (IV, 17), anche nel suo canzoniere: «Già me mostrasti, et or pur me ne avedo, / rose de verno e neve al caldo sole» (Al II, 53, 5-6; BRUSCAGLI 1995). 7-8. ‘nessuno dei due abbandonò l’amore per Origille, perché ciascuno credeva di essere amato da lei più dell’altro’.

9. 1. avanti: ‘davanti’. 2. ‘preparando le parole nel mio cuore’. 3. redirle non pòte: ‘non potei pronunciarle’. 4. comm’io fo’ conduto: ‘quando fui condotto’, cioè ‘quando arrivai’. 5. domenticai: ‘dimenticai’; forma sett. labializzata. 6-8. Uldarno – così si chiama il personaggio – in presenza di Origille perde la memoria e quasi tramortisce per la vergogna. 8. ‘perché le mie parole erano quelle di un uomo trasognato’. Anche questo è un topos di ascendenza petrarchesca (cfr. Rvf 49, 7-8: «et se parole fai, / son imperfecte, et quasi d’uom che sogna») e torna nelle Pastorali IX, 34 (TISSONI BENVENUTI 1999).

10. 1-2. ‘Finalmente Amore mi diede tanto ardire che le dissi queste parole’. 3-8. ‘Se voi credeste, o dolce mia speranza, che io possa sopportare ciò che io non posso e che la mia vita sia abbastanza forte da tollerare il fuoco che mi ha consumato fino all’osso, abbandonate questo pensiero, perché, se non ricevo aiuto, sono già morto!’. Il discorso di Uldarno è costruito in modo molto artificioso e, di fatto, riscrive i vv. 27-43 della canzone dantesca La dispietata mente che pur mira (DONNARUMMA 1996, pp. 94-95).

11. 2. doviti: ‘dovete’. 3-8. ‘che bisogna sopportare il danno più grande prima di mettere alla prova il proprio migliore amico; perché, se si è ingannati, ogni altro dolore, anzi perfino la morte, è di certo una sofferenza molto minore; perché scoprire che la fiducia più grande (che si era concessa) è vana supera ogni pena’.

12. 1. scià: ‘sa’. spene: ‘speranza’; voce della tradizione poetica (SERIANNI 2009, pp. 156-157). 2. chi vui seti: ‘che voi siete’. 3. Soffrir: cfr. 10, 4. 4. ‘Nel momento del dolore più intenso vi chiedopietà’. Per l’espressione chiamare mercé cfr. TROLLI 2003, p. 194. 5-6. ‘Salvarmi si addice bene al vostro onore (cioè torna a vostro onore), perché desidero vivere solo per servirvi’. Va notato che servire è voce tipica della lirica cortese. 7. dati: ‘date’. 8. moro: ‘muoio’. perditi: ‘perdete’.

13. 1. fuòn: ‘furono’; è forma iperdittongata del sett. fòn(o). 2. ‘anzi estratte dalla radice del mio cuore’. 5. ‘rispose mentendo spudoratamente’; feci presenta la solita desinenza dialettale di III pers. sing. 6. farme: ‘rendermi’. dolente e infelice: coppia sinonimica.

14. 1-4. ‘E se potessi dimostrare con i fatti (che vi amo) così come posso dirlo a voce, nulla mi starebbe a cuore quanto esaudire il vostro desiderio’. Da notare l’apodosi al presente indicativo, che conferisce «vivacità di parlato al discorso diretto» (MATARRESE 2004, p. 110). 5. modo o forma: sinonimi. se ritrova: ‘si trova’. 6. Ch’io: ‘in cui io’; perquesto uso di che cfr. MENGALDO 1963, pp. 160-161. contentar questo disire: ancora ‘soddisfare questo desiderio’. Origille insiste sulla propria disponibilità e sulla passione di Uldarno. 7. ‘io sono sempre pronta’. 8. si servi insieme: ‘si salvi anche’. Origille torna sulla necessità di salvare le apparenze e di non compromettersi in pubblico nell’ottava successiva. Questa attenzione ricorda quella di Criseida prima di concedersi a Troiolo nel Filostrato (cfr. p. es. II, 121-123; 140), ma i propositi della dama boiardesca sono ben diversi.

15. 2-3. ‘proteggere nel vostro onore la mia reputazione’; riservare ha il significato di solito attribuito a servare (cfr. TROLLI 2003, p. 247). 5. sapeti: ‘sapete’. 6. ‘fece sì che si sfidassero a morte’; per insieme cfr. I, ii, 3, 1. 7. inumano: ‘crudele’. 8. il mio franco germano: ‘il mio valoroso fratello’.

16. 1. ‘E quel ragazzo fu ucciso sul campo’. 2. contra ala ragione: ‘ingiustamente’. 3-4. ‘perché lui non era ancora esperto nell’uso delle armi e invece l’altro aveva combattuto più volte’; per parangone cfr. I, v, 51, 3. 5. cotanto torto: ‘un tale oltraggio’. 7. ‘offrendo a tutti grandissima ricompensa’. 8. hal trovato, o trovaral: ‘lo ha trovato, o lo troverà’.

17. 1. portareti: ‘porterete’. adunque: cfr. I, ii, 4, 7. 3. ‘uscirete dalla città’. 4. scontrareti: ‘vi batterete con’ (o ‘incontrerete’). 5. ve areti percosso: ‘vi sarete colpiti’. 6. ‘vi lascerete catturare facilmente’. 7. modo… manera: coppia sinonimica. 8. ‘per soddisfare interamente il vostro desiderio’. Ottava aperta.

18. 1. ‘perché sarete condotto qui’. 3. Soto mia guardia: ‘sotto la mia custodia’. Come osserva TISSONI BENVENUTI 1999, è frequente che i prigionieri siano affidati alla figlia del signore che li ha fatti catturare. 4-5. ‘non temete che vi si faccia alcun male, perché vi lascerò andare quando vorrete’. 7. voluontate: un’altra forma iperdittongata. 8. aspra: ‘crudele’. Ottava aperta.

19. 1-2. ‘Tuttavia ho già trovato il modo di stare con voi per un po’ di tempo’. 3. La lezione a testo è quella di P e R, seguita dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, e richiede una quinta sede vuota. 4. ‘Così mi parlò la traditrice’. 5. prese questo invito: ‘accettai questa proposta’. 6-8. ‘e non mi curai del pericolo o della fatica, perché, per trovarmi nello stesso luogo dov’era lei, avrei attraversato un mare di fuoco’. Il piano della donna è, in effetti, molto macchinoso e nasconde grosse insidie.

20. 1. ‘Indossai subito’. 2. divisa: ‘insegna’. 3. comme: ‘appena’. incontinente: ‘subito’. 5. troppo fraudolente: ‘ingannatrice al sommo grado’. 6. fuor d’ogni guisa: ‘oltremodo’; sintagma non attestato altrove (cfr. TROLLI 2003, p. 168). 7. Partito… a lei davante: ‘allontanatomi da lei’. 8. amante: ‘innamorato’.

21. 1. Ciò fo: ‘cioè’. de che ragionai: ‘del quale parlai’. 2. Ch’a un tempo meco: ‘contemporaneamente a me’. 4. lo alosingava: ‘lo lusingava’; per la forma cfr. I, ii, 4, 7. 5. se sperar dovìa giamai: ‘se mai doveva sperare’. 6. Guiderdon: ‘ricompensa’, in senso amoroso; tecnicismo della lirica cortese. 8. Dïalli: ‘le dia, le consegni’. pregione: ‘prigioniero’.

22. 1. Il loco li raconta: ‘gli indica il luogo’. 4. contrafate e divisate: ‘diverse dalle proprie, contraffatte’ (TISSONI BENVENUTI 1999). Le insegne false saranno la chiave dell’inganno ordito da Origille. 5. ‘uscì dalla città per incontrarmi in campo’. 6. doe corne: ‘due corna’. 7. E: ‘e anche’. L’insegna è quella di un altro cavaliere.

23. 1-2. Il proprietario dell’insegna è Ariante, futuro sposo di Origille. Non è improbabile che le corna alludano alla scarsa fedeltà della futura moglie (TISSONI BENVENUTI 1999). 3. di membre aiutante: ‘robusto nelle membra’. 4. par: ‘pari a lui’. 5. anco esso amante: ‘anch’egli innamorato’. 6. procaciava: ‘cercava di’. 8. per patto: ‘con un patto’. Ottava aperta.

24. 1. conquistare: ‘battere’. 2. preso: ‘prigioniero’. 4. desteso: ‘senza indugio’. 6. ‘dopo uno scontro di poco impegno io mi arresi’. 7. menato: ‘condotto’. 8. foi pigliato: ‘fui catturato’.

25. 1. giovenetto: ‘giovane’. 2-3. ‘si imbatté per caso nel vero Oringo, e non fecero una zuffa per scherzo’, insomma si batterono sul serio. minarno: ‘menarono, fecero’. 5. ‘Locrino fu ferito in pieno petto’. 8. Ottava aperta.

26. 2. Il verso ribadisce una delle verità fondamentali del romanzo. amoroso: ‘innamorato’. 3. interviéne: ‘accadde’. crudo vechione: ‘il crudele vecchio’. 4. a questa dolorosa: ‘di questa malvagia’. 5. ‘aveva il cuore incattivito per desiderio di vendetta’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 6. mai non stava in posa: ‘non aveva mai pace’. 8. campione: Ariante. Oringo ancor li mena: ‘gli porta finalmente Oringo’; per questo uso di ancor cfr. TROLLI 2003, p. 84.

27. 1. avanti lo vide venire: ‘se lo vide arrivare davanti’. 2. brando: ‘spada’. 3. Comme colui ch’è preso: ‘come un prigioniero’. a non mentire: zeppa formulare. 4. Andogli: ‘gli andò’. tremando: gerundio con valore di participio presente. 5. se ritenne del ferire: ‘si trattenne dal colpirlo’. 6. da presso: ‘da vicino’. 7. Conobe: ‘riconobbe’. sembiante: ‘aspetto’. 8. Locrino aveva assunto l’insegna di Ariante.

28. 2. avìa molto ad amare: ‘amava molto’; forma perifrastica. 4. vuo’: ‘vuoi’. 5-6. ‘ti farò avere ciò che mostri di desiderare di più al mondo’.

29. 1. pacio: ‘pazzo’ (cfr. I, i, 6, 7). si fo presto accordato: ‘si accordò presto’. 2. non gli era onore: ‘non gli faceva onore’. 5. fato il mercato: ‘concluso l’affare’. 6. ‘il nostro arrivo li confuse’. 8. Giongémo avanti: ‘arrivammo davanti’

30. 1. fo tuta palese: ‘fu del tutto evidente’. 2. ‘e il motivo delle insegne scambiate’. 3. me riprese: ‘mi biasimò’. 5. fòr: ‘ci furono’. 6. ‘e quasi arrivammo a sguainare le spade’. 7. ancor: ‘anche’. 8. Pur: rafforzativo.

31. 1. manifesta: ‘nota’. 3. d’altra gesta: ‘di un’altra famiglia. 4. ‘è disonorato con grande vergogna’. 5. se non ha perdon: ‘se non ottiene il perdono’. 6. ’l statuto: ‘quanto è stato stabilito’ (TISSONI BENVENUTI 1999). crudel e fero: coppia sinonimica. 7. falanza: ‘colpa’. 8. servata: ‘rispettata’; femm. perché riferito a lege del v. 1.

32. 1-4. ‘La lite fu portata davanti al re, il quale, vedendo che tutta la questione era stata provocata da questa donzella, che ci aveva indotto ad armarci così’. 6. ‘decise molto giustamente’. 8. dannòce: ‘ci condannò’.

33. 1. morto avìa: ‘aveva ucciso’. 2. gargione: cioè garzone ‘ragazzo’. 4. il prezo d’una dama: ‘una dama in premio’. 33. 5. mastino: ‘cane’; usato anche altrove come insulto (cfr. TROLLI 2003, p. 192). 6. che: riferito a morte. 7. ‘così me e Locrino nello stesso modo’.

34. 1. iudicati: ‘condannati’. 2. Fòmo: ‘fummo’. sacramento: ‘giuramento’. 4. ‘finché la sentenza non sia stata eseguita’. 5. P e R, seguiti dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, hanno poi; si preferisce la lezione degli altri testimoni, metricamente più regolare e conforme all’usus (cfr. I, ii, 30, 5; I, iii, 40, 1 ecc.). ponere a sorte: ‘tirare a sorte’. 6. menar: ‘condurre’. 7. erore: ‘male’ (TROLLI 2003, p. 143).

35. 2. se trastulla: ‘si diverte’; ironico. Il secondo emistichio ricalca Petrarca, Triumphus Temporis, 133 (TISSONI BENVENUTI 1999). 3. è bene atesa: ‘è ben provvista’. 5. ‘Il primo sorteggio mi diede il compito’.

36. 1. ho tratto a fine: ‘ho ucciso’. 2. E: ‘i’. vuò: ‘voglio’. 3. Mira: ‘guarda’. l’arme peregrine: ‘le belle armi’. 4. solìa: ‘soleva’. 5. tapine: ‘sventurate’ 8. ‘sono appesi attorno a quel tronco’.

37. 1. E se caso averà: ‘e se accadrà’. 3. Viran: ‘perverranno’. a questo porto: ‘a questa situazione’ (TROLLI 2003, p. 225). 4. aiutante: ‘aitante’. 5. conforto: ‘esorto’. 7-8. ‘perché chiunque non si ferma davanti al ponte deve combattere con me’.

38. 2. longa diceria: ‘la lunga storia’. 3. altiero: ‘alto’. 4. mentìa: ‘smentiva’. 6. fellonia: ‘malvagità’. 7. far diffesa: ‘difendersi’. 8. Ottava aperta.

39. 1. sèti: ‘sette’; forma concordata con il masch. pl. del sostantivo (MATARRESE 2004, p. 78). 2. per sua vertute: ‘per suo valore’. 3. tema… spavento: sinonimi. 6. per la sua salute: ‘per la sua salvezza’; cioè per indurlo a salvarla. 8. in tanta crudeltate: ‘in una situazione così tremenda’.

40. 2. lo mosse: ‘lo spinse (a intervenire)’. 3. o che l’abia a spicare: ‘o che la stacchi dall’albero’. 4. di presente: ‘subito’. 5. s’ebe a disfidare: ‘si sfidarono’. 7. vengosi: ‘si vengono’. 8. incontro: ‘scontro’. il pose in terra: ‘lo disarcionò’.

41. 1. ‘Dopo che il cavaliere fu caduto a terra’. 2. prestamente: ‘velocemente’. 3. Nei romanzi bretoni il nano è una presenza abituale; di solito ha il ruolo di “imbonitore”, si presta cioè a introdurre un’avventura. Qui, più semplicemente, dà l’allarme e chiama un altro cavaliere. 5. a mano a mano: ‘subito’. 7. menaza: ‘minaccia’. 8. a vinte braza: ‘a meno di venti braccia’ (cfr. I, vi, 26, 3).

42. 2. aresta: ‘mette in resta’ (cfr. I, i, 70, 6). 3. ferise al: ‘colpisce il’. 4. il fiè: ‘gli fece’. 5. gli avanza: ‘gli resta’. 6. a gran tempesta: ‘con gran furia’.

43. 2. ne vien palese: ‘si presenta’. 3. forte sperona: ‘sprona il cavallo con forza’.

44. 1. le rame: ‘i rami’ (cfr. I, xx, 24, 7). 3. ‘dopo che l’aveva salvata da una situazione tanto pericolosa’. 4. con sieco: ‘con lui’. 5-6. ‘perché si sarebbe fatto di lei grande strazio se la si fosse trovata lì’. In croppa se la pone: ‘la fa salire in groppa al cavallo’.

45. 2. Malicïosa: ‘astuta’. 3-4. ‘teneva sempre le lacrime pronte a sua volontà come fossero acqua di sorgente’. 5. fìa: ‘faceva’. veritate: ‘sincerità’. 6. serena: ‘lieta’. 7. amanti: cfr. 20, 8. 8. beffa: ‘befferebbe’; cfr. 14, 3. con dolci sembianti: ‘con volto soave’.

46. 4. Lo incese: ‘lo infiammò’. 5. non se ne avide: ‘non se ne accorse’. rivoltando: ‘rivolgendo’. 6. il viso: forse ‘lo sguardo’ meglio che ‘il volto’. 7. sì novo: ‘così inusitato’. 8. non ramenta più: ‘non ricorda più’. l’antiquo amore: Angelica. Sembra che l’innamoramento per Angelica abbia trasformato Orlando, che – prima poco sensibile alla seduzione femminile – ora ne diviene ingenuamente succube. Non avrà tuttavia miglior fortuna con Origille.

47. 2. scorta: ‘esperta’. 4. pone ogni cura: ‘si ingegna’. 5. bei mòti: ‘frasi spiritose’. faza ridente: ‘viso sorridente’. 6-8. ‘lo invita a parlare con lei, perché il conte, che non era abituato, parlava d’amore come trasognato’. Per come insonïato cfr. 9, 8. È notevole il duetto tra l’accorta Origille, che ha già capito che potrà prendersi gioco del suo sprovveduto compagno di viaggio, e il sempre impacciato Orlando.

48. 1. ch’asconde il sole: ‘che si nasconda il sole’, cioè che tramonti; per la forma senza pronome riflessivo cfr. non mostra stanco (I, i, 69, 5). 2. al scur: ‘al buio’. 4. ‘spera di sapere agire quando ce ne sarà bisogno’. 6. rampogna: ‘maledice’. La goffaggine e l’impazienza di Orlando, che conta di sopperire con le azioni alla mancanza di savoir faire,è piuttosto esilarante.

49. 2-6. ‘parlando di diverse cose tra di loro, trovarono in mezzo al prato una rupe, intorno alla quale c’era un’iscrizione a lettere d’oro e, dalla cima al fondo, c’erano trenta gradini intagliati in modo preciso’. 4. letre: forma scempiata, cui la sincope dà un aspetto gallicheggiante (MENGALDO 1963, p. 70). 7. se salliva: ‘si saliva’. 8. ‘a quella rupe, che sembra fiamma viva’. La pietra è dunque rossa, e il colore allude al pericolo che il luogo nasconde; si ricordi «l’alto scolio» dove vive la sfinge: «La ripa di quel scoglio è d’erba priva, E di color asembra a fiama viva» (I, v, 59, 7-8).

50. 1. te assicura: ‘stai certo’. 2. la virtù soprana: ‘grandissimo valore’. 3. la magior ventura: ‘la più grande avventura’. 4. strana: straordinaria’. 6. aperta a guisa di fontana: ‘cava come una sorgente’ (TROLLI 2003, p. 152); TISSONI BENVENUTI 1999 preferisce ‘come una fontana’. 7. ‘appoggiati lì e, guardando giù’. 7-8. La situazione ha qualche contatto con il Guiron le courtois, nel punto in cui Brehus, ingannato dalla perfida donzella, cade in una caverna dove trova la tomba di Febus (TISSONI BENVENUTI 1999, sulla scorta di RAJNA 1975, pp. 278-279).

51. 1. non vi fece altro pensiero: ‘non stette a pensarci’. 6-7. ‘non so se siete abituato ad andare a piedi, ma so ben dire che vi conviene abituarvici’. 6. usati: il participio è concordato con la II pl. del soggetto. 8. Dio ve conduca bene: saluto con formula augurale, qui usato in senso ironico.

52. 1. volta: il cavallo. 2. fogendo: ‘fuggendo’. 3. smemorato: ‘stupito’. 4. ‘e si definisce stupido e pazzo’. 6. di liger: ‘facilmente’. 7. pur: ha la solita funzione rafforzativa. 8. Lochio: ‘tonto’; il significato della parola si ricostruisce in base al contesto. La voce è, di fatto, sconosciuta: GDLI l’avvicina a locco ‘allocco’, ma TROLLI 2003, pp. 184-185 dissente, per motivi fonetici, e pensa piuttosto a forme non sett. come lócio (in aretino ‘dappoco, sciatto’) e simili, oppure al toscano ocio, lòcio ‘oca maschio’. nomandosi: ‘dandosi del’.

53. 1. che se far: ‘che cosa fare’. 2. bon: ‘valente’. 5. sopolto: ‘sepolto’ (cfr. I, i, 44, 8). Nino: leggendario fondatore della città assira di Ninive (OR. Hist. I, iv, 1-8, dove pure si legge che Nino «Zoroastrem Bactrianorum regem… interfecit», il che potrebbe avere influito sulla scelta di Batria per l’ambientazione della novella). 6. tenitoro: ‘territorio’. 7. alta: ‘nobile’. 8. in ogni verso: ‘per ogni lato’.

54. 1. che de guardar ha poca cura: ‘cui importa poco di guardare’. 2. soprano: ‘eccellente’. 5. Variante di I, i, 59, 5. 6. una gente: ‘un gruppo di persone’. 7. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha ognor s’avicina; si preferisce la lezione metricamente più regolare deglli altri testimoni. ognor: ‘continuamente’.

55. 1. Diròvi: ‘vi dirò’. 2. ‘che gli accadde quando li incontrò’. La scena avrà luogo a II, iii, 48 e, come nota TISSONI BENVENUTI 1999, l’uso del termine gioco – che di solito indica uno scontro armato – non è casuale: Orlando dovrà battersi con alcuni di quelli che ora ha solo avvistato per liberare gli altri. 3. di piacere e diletosa: sinonimi. 5. storia amorosa: una storia le cui vicende sono determinate dall’amore. 8. ricontarvi: ‘raccontarvi’.

56. 1. La ripresa lessicale dall’ultimo verso dell’ottava precedente sottolinea l’importanza della materia che sarà prossimamente narrata. 3. dil novo Ruger: Ruggero il giovane, iunior, perché figlio di Ruggero di Risa. Si annuncia l’ingresso in scena di un protagonista che avrà un ruolo fondamentale e cui si affida una funzione encomiastica di primo piano: egli sarà infatti il progenitore degli Estensi (si veda l’Introduzione, pp. 45-49). È probabile che il suo nome fosse già noto ai lettori vicini al casato ferrarese, esso infatti compariva anche nel poema latino Borsias, scritto da Tito Vespasiano Strozzi, zio di Boiardo, in onore del duca Borso d’Este. L’elaborazione di questo testo fu molto lunga (da prima del 1460 alla morte dell’autore nel 1505), ma la parte sull’origine degli Estensi dovrebbe essere stata redatta entro il 1471 (TISSONI BENVENUTI 1996, pp. 79-81). 4. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha virtù; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. 6-8. Chiusa del canto e del libro in stile canterino, con riferimento alla divinità non frequentissimo nel romanzo. Tuttavia TISSONI BENVENUTI 1999 rileva opportunamente che la cesura tra primo e secondo libro non è marcata in modo particolare, quasi si trattasse di un normale passaggio da un canto a un altro. 7. satia: ‘sazia’. 8. ‘se Dio mi conserva fino alla fine la grazia che mi dispensa di solito’.