CANTO NONO

Esortazione ai cortigiani (1-2). Orlando insegue Morgana nel luogo desolato mentre infuria la tempesta. Appare una donna pallida e magra che si flagella: è la Penitenza, che punisce coloro che abbandonano la buona sorte. Questa comincia a percuotere il paladino che vorrebbe reagire, ma i suoi colpi sono inutili contro il corpo evanescente della donna. Adirato, Orlando prosegue l’inseguimento tormentato dalla nuova arrivata finché riesce ad afferrare Morgana per il ciuffo. Il luogo diventa bellissimo e il cielo si rasserena. La Penitenza ammonisce il cavaliere a usare la buona fortuna con prudenza e torna nella sua grotta (2-20). Orlando chiede alla fata la chiave della porta che gli permetterebbe di liberare i prigionieri e lei accetta solo a patto di potere trattenere Ziliante, di cui è innamorata. Ziliante si dispera, ma il paladino tornerà poi a liberarlo (20-29). Orlando e i prigionieri ormai affrancati cominciano la risalita. Rinaldo vorrebbe trafugare una pesante sedia d’oro, parte del tesoro di Morgana, ma un vento violentissimo lo ricaccia indietro finché non desiste dal proposito (30-41). Giunti in superficie, i cavalieri recuperano le proprie armi, ringraziano Orlando e prendono quasi tutti strade diverse. Dudone racconta a Orlando e a Rinaldo che Agramante vuole invadere l’Europa e che Carlo chiede il loro aiuto per la difesa dai saraceni. Rinaldo si prepara a tornare subito in Francia, mentre Orlando, stretto dalla passione per Angelica, preferisce tornare da lei. Brandimarte lo segue (41-48). Rinaldo, Dudone, Iroldo e Prasildo si incamminano a piedi verso la Francia e, dopo qualche giorno, arrivano nei pressi di un castello su un monte. C’è anche un fiume che devono attraversare e una donzella al timone di una barca si offre di traghettarli. I cavalieri salgono a bordo e la ragazza li informa che dovranno parlare con il castellano. Questi viene loro incontro sull’altra riva e dice che, prima di proseguire, dovranno servire per un giorno Manodante, il re del luogo, e affrontare per lui Balisardo, un gigante mago che infesta quella terra. Rinaldo accetta spavaldamente e parte in barca con i compagni alla volta del ponte dove Balisardo si staglia minaccioso (48-62).

1.
Odeti e ascoltati il mio consiglio,
Voi che di corte seguite la tracia:
Se ala Ventura non dati de piglio,
Ela si turba e vòltavi la facia.
Alor convien tenir alciato il ciglio,
Né se smarir per fronte che minacia
E chiudersi le orechie al dir d’altrui,
Servendo sempre, e non guardar a cui.

2.
A che da voi Fortuna è biastemata?
Ché la colpa è di lei, ma il danno è vostro.
Il tempo avien a noi sol una fiata,
Come al presente nel mio dir vi mostro:
Perché essendo Morgana adormentata
Presso ala fonte nel fiorito chiostro,
Non sepe Orlando al zuffo dar di mano;
E or la siegue nel deserto invano,

3.
Con tanta pena e con fatiche tante
Che ad ogni passo convien che si torza.
La fata sempre fuge a lui davante;
Ale sue spale il vento se rinforza
E la tempesta, che sfronde le piante
Giù diramando fin soto la scorza.
Fugion le fiere, el mal tempo li cacia
E par che ’l ciel in pioggia si disfacia.

4.
Nel’aspro monte e ne’ valon ombrosi
Conduto è ’l conte a perigliosi passi:
Calano e rivi grossi e roinosi
Tirando giù le rippe, arbori e sassi,
E per quei boschi oscuri e tenebrosi
S’odon alti romor e gran fracassi,
Però che ’l vento, il trono e la tempesta
Dale radice schianta la foresta.

5.
Pur segue Orlando, e fortuna non cura,
E prender vuol Morgana ala fenita.
Ma sempre cresce sua disaventura,
Perché una dama d’una grota ussita,
Palida in faza e magra di figura,
Che di color di tera era vestita,
Prese un flagel in mano aspero e grosso
Batendo a sé le spale e tuto ’l dosso.

6.
Piangendo se batea quela tapina,
Sì come fusse astreta per sentencia
A flagelarsi da sera e matina.
Turbosse il conte a tal apparisencia
E dimanda chi fosse la mischina.
Ela rispose: «Io son la Penitencia,
D’ogni dileto e d’alegreza cassa,
E sempre seguo chi Ventura lassa.

7.
E però vengo a farti compagnia,
Poiché lassasti Morgana nel prato:
E quanto durerà la mala via
Da me sarai batuto e flagelato;
Né te varà ardir o vigoria
Se non sarai da pacïentia armato».
Presto rispose il figlio de Melone:
«La pacïencia è pasto da poltrone!

8.
Né te venga talento a farme oltragio,
Che pacïente non sarò di certo!
Se a mi faï onta, a te farò danagio;
E se mi servi, ancor n’avrai bon merto:
Dico de acompagnarmi nel viagio
Dove io camino per questo diserto».
Cossì parlava Orlando, e pur Morgana
Tutavia fuge, e a lui se alontana.

9.
Onde lasciando megio il ragionare,
Detro ala fata se pose a seguire
E nel suo cor se aferma a non mancare
Sinché vinca la prova o de morire;
Ma l’altra di cui mo’ vi ebe a contare,
Qual per compagna se ebe a proferire,
S’accosta a lui con ati sì vilani
Che de cucina avrìa caciati i cani:

10.
Perché giongendo col flagello in mano
Discontiamente detro lo batìa.
Forte turbosse il senator romano
E con mal viso verso lei dicìa:
«Già non farai ch’io sia tanto vilano
Ch’io traga contra a te la spada mia;
Ma se ala trecia ti dono di piglio,
Io te trarò di sopra al ciel un miglio!».

11.
La dama, come fuor de sentimento,
Nulla risponde e anco non l’ascolta.
Il conte a lei voltato, in mal talento,
Gli mena un pugno ala sinistra golta;
Ma come gionto avesse a megio il vento,
Over nel fumo, o nela nebia folta,
Via passò il pugno per mezo la testa
D’un lato ad altro, e cosa non l’aresta;

12.
E a lei nòce quel colpo nïente
E sempre intorno il suo flagello mena.
Ben se stupisse el conte nela mente,
E ciò vegendo non lo crede apena.
Ma pur, sendo batuto e d’ira ardente,
Radopia pugni e calci con più lena:
Qua sua possanza e forza nulla vale,
Come pistasse l’aqua nel mortale.

13.
Poi che bon pecio ha combatuto invano
Con quella dama che un’ombra sembrava,
Lassolla alfin il cavalier soprano,
Ché tutavia Morgana se n’andava,
Onde prese a seguirla a man a mano.
Ora quest’altra già non dimorava,
Ma col flagelo intorno lo ribuffa:
E lui se volta, e pur a lei s’azuffa.

14.
Ma come l’altra volta, il franco conte
Tocar non puote quella cosa vana;
Onde lassòla ancor e per il monte
Se pose al tuto a seguitar Morgana;
Ma sempre detro con oltragio e onte
Forte lo bate la dama villana.
Il conte, ch’ha provato il fato a pieno,
Più non se volta e va rodendo il freno.

15.
«Se a Dio piace» diceva «on al demonio
Ch’io abi pacïencia, e io me l’abbia!
Ma sìame il mondo tuto testimonio
Ch’io la tragualcio con sapor di rabia.
Qual frenesia di mente o qual insonio
M’ha qua giuso conduto in questa gabia ?
Dove entraï io qua dentro? o come? e quando?
Son fato un altro o sono ancor Orlando?»,

16.
Cossì diceva e con molta roina
Sempre seguìa Morgana il cavaliero.
Fiacca ogni bronco e ogni mala spina,
Lassando detro a sé largo il sentiero
E ala fata molto se avicina,
E già d’averla pres’è il suo pensiero:
Ma quel pensier è ben fallace e vano,
Però che presa ancor scappa di mano.

17.
O quante volte gli dete de piglio,
Ora ne’ pagni e or nela persona!
Ma il vestimento ch’è bianco e vermiglio
Nela speranza presto l’abandona.
Pur una fiata, rivoltando il ciglio
(Come Dio volse e la Ventura Bona),
Volgendo il viso quella fata al conte,
Lui ben la prese al zuffo nela fronte.

18.
Alor cangiosse il tempo, e l’aria scura
Diviéne chiara e ’l ciel tuto sereno
E l’aspro monte si fece pianura;
E dove prima fo de spine pieno
Se coperse de fior e de verdura;
E ’l flagelar del’altra vienne meno,
La qual con miglior viso che non sòle
Verso del conte usava tal parole:

19.
«Attènti, cavalier, a quela chioma
Che nela man hai volta, de Ventura:
E guarda d’aiustar sì ben la soma
Ch’ela non cagia per mala misura.
Quando costeï par più queta e doma,
Alor del suo fugir abi paura,
Che ben resta gabato che li crede,
Perché fermecia in lei non è né fede».

20.
Cossì parlò la dama scolorita
E dipartisse al fin del ragionare:
A ritrovar sua grota se n’è gitta
Ove se bate e stasse a lamentare.
Ma il conte Orlando l’altra avìa gremita
(Com’io vi disse) e sanza dimorare,
Or con menacie, or con parlar soave,
Dela pregion domanda a lei la chiave.

21.
Ella con riso e con falso sembiante
Diceva: «Cavalier, al tuo piacere
Son quelle gente prese, tute quante,
E me con sieco ancor potraï avere;
Ma sol d’un figlio del re Manodante
Te priego che mi vogli compiacere:
O menime con sieco o quel mi lassa,
Che sanza lui sarìa de vita cassa.

22.
Quel gioveneto m’ha ferito el core
Ed è tuto il mio ben e ’l mio disio,
Sì che io te prego per lo tuo valore
Ch’hai tanto al mondo, e per lo vero Dio,
Se a dama alcuna mai portasti amore,
Non trar di quel giardin l’amante mio!
Mena con tieco l’altri quanti sono,
Che a te tuti li lasso in abandono».

23.
Rispose il conte ad essa: «Io te prometo:
Se mi doni la chiave in mia bailìa,
Qua tieco restarà quel gioveneto,
Poiché averlo il tuo cor tanto disia.
Ma non te vuò lassar, che hagio sospeto
De ritornar a quella mala via
Ove io son stato, e però s’el ti piace
Dàme la chiave e lassaroti in pace».

24.
Avea Morgana aperto il vestimento
Dal destro lato e dal sinistro ancora,
Onde la chiave ch’è tuta d’argento
Trasse di soto a quel sanza dimora,
E disse: «Cavalier d’alto ardimento,
Vàne ala porta e sì aconcio lavora
Che non se rompa quella seratura,
Che caderesti nela tomba scura,

25.
E tieco insieme e tuti e cavalieri:
Sì che saresti in eterno perduto,
Che trarti quindi non sarìa mestieri,
Né l’arte mia varebe, on altro aiuto».
Per questo intrato è il conte in gran pensieri,
Dapoiché per ragion avìa veduto
Che mal se trova alcun soto la luna
Che adopri ben la chiave de Fortuna.

26.
Tenendo al zuffo tutavia Morgana,
Verso al giardin alfin se fo inviato
E, traversando la campagna piana,
A quella porta fo presto arivato;
Con poco impacio la saraglia strana
Aperse, come piacque a Dio beato,
Perché qualunque ha sieco la Ventura,
Volta la chiave aponto per misura.

27.
Già Brandimarte e ’l sir de Montealbano
E tuti l’altri che fòr presi al ponte
Avean veduto Orlando di lontano
Che tenea presa quela fata in fronte;
Onde ogni saracin e cristïano
Rengraciava il suo Dio con le man gionte.
Or ciascadun de ussir ben si conforta,
Sentendo già la chiave nela porta.

28.
Dapoi che aperto fo il rico portelo,
Tuta la gente ussite al verde prato.
Il conte domandò del damigelo
Qual era tanto da Morgana amato,
E vide il gioveneto bianco e belo,
Nel viso colorito e delicato,
Negli ati e nel parlar dolce e iocondo:
E fo il suo nome Zilïante el biondo.

29.
Costui rimase dentro lacrimando,
Vegendo tuti l’altri indi partire;
E benché ne dolesse al conte Orlando,
Pur sua promessa volse mantenire:
Ma ancor tempo sarà che sospirando
Se convirà di tal cosa pentire
E forza li sarà tornar ancora
Per trar del loco il gioveneto fora.

30.
Ivi il lasciarno, e l’altri tuti quanti
Ussirno del giardino ala verdura:
Facea quel bel garzon estremi pianti
E biastemava sua disaventura.
Or ala porta ch’io dice davanti,
Che ritornava nela tomba scura,
Intrarno tuti, e ’l conte andava prima;
Montàr la scala e presto fòrno in cima.

31.
E dentro al’altra porta eran passati
Ove sta nela piaza il gran tesoro,
Quel re che sede e l’altri fabricati
De robin e diamanti e perle e oro.
Tuti color che fòrno impregionati
Miravan con stupor il gran lavoro,
Ma non ardisce alcun porve la mano
Temendo incanto o qualche caso istrano.

32.
Renaldo, che non scià che sia dotanza,
Prese una sedia ch’è tuta d’or fino,
Dicendo: «Questa io vuò portar in Franza,
Ch’io non fece giamai più bel botino!
A’ mei soldati io donerò prestanza;
Poi non affido amico né vicino,
O prete o mercatante o messagero:
Qualunque io trova mandarò ligero!».

33.
Il conte li dicea ch’era viltate
A girne carco a guisa de somero.
Disse Renaldo: «E’ mi ricordo un frate
Che predicava, ed era suo mestero
Contar dela astinentia la bontate,
Mostrandola a parole de ligero:
Ma egli era sì panzuto e tanto grasso
Che a gran fatica potea trar il passo.

34.
E tu fai nel presente più né meno,
E dritamente sei quel fratachione
Che lodava il degiuno a corpo pieno
E sol nel’oche avea devocïone.
Carlo ti dona sempre sanza freno
E dàti il papa gran provissïone,
E hai tante castelle e ville tante
E sei conte di Brava e sir de Anglante.

35.
Io tengo, poverello, un monte apena,
Ch’altro al mondo non ho che Montealbano,
Onde ben spéso non trovo che cena
S’io non descendo a guadagnarla al piano;
Quando Ventura on qualcosa mi mena,
E io me aiuto con ciascuna mano,
Perch’io mi stimo ch’el non sia vergogna
Pigliar la robba quando la bisogna».

36.
Cossì parlando gionsero al portone
Ch’era la ussita fuor di quella piaza;
Quivi un gran vento dete al fio de Amone
Drito nel peto e per megio la faza,
E detro il pinse a gran confusïone
Longi alla porta più de vinte braza.
Quel vento al’altri non tocava niente
E sol Renaldo è quel che ’l fiato sente.

37.
Lui salta in piede e pur torna ala porta:
Ma come gionto fo sopra ala soglia
Di novo il vento adetro lo riporta,
Soffiandolo da sé come una foglia.
Ciascun del’altri assai si disconforta
E sopra tuti Orlando avìa gran doglia,
Però che de Renaldo temea forte
Che ivi non resti o riceva la morte.

38.
Il fio de Amone, sanza altro spavento,
Pone giù l’or e ritorna ala ussita:
Passa per megio e più non soffia il vento,
E via poteva andar ala polita.
Ma lui portar quel’oro avìa talento
Per dar le page a sua brigata ardita;
Benché più volte si ha provato invano,
Pur vòl portarlo in tuto a Montealbano.

39.
Ma poi che indarno assai fo rimprovato,
Né carco puòte ussir di quela tomba,
Trasse la sedia contra di quel fiato
Che dala porta a gran furia ribomba.
La sedia d’or (di cui sopra ho parlato)
Sembrava un saxo ussito d’una fromba,
Benché è seicento libre o poco manco:
Cotanta forza avea quel baron franco.

40.
Trasse la sedia (comme io ve ragiono),
Cridendola gitar del porton fore:
Ma il vento forïoso in abandono
La spense adetro con molto romore.
L’altri a Renaldo tuti intorno sono,
E ciascadun lo prega per suo amore
Ch’egli esca fuor con essi de pregione,
Lassando l’oro e quela fatasone.

41.
Sì che al fin abandonò la impresa
E con questi altri dela porta ussiva.
Era la strata un gran miglio distesa
Sinché ala scala del petron s’arriva,
Ed è trea miglia la malvasa ’scesa
Sempre montando per la pietra viva;
E con gran pena ussirno al ciel sereno
In megio a un prato di cipressi pieno.

42.
Ciascun conobe incontinente il prato
E gli cipressi e ’l ponte e la rivera
Ove stava Aridano il disperato;
Ma quivi nel presente più non era,
Anci è nel fondo, de un colpo tagliato
Da cima al capo insin ala ventrera,
E più non tornerà suso in eterno:
Là giuso è ’l corpo, e l’anima al’Inferno.

43.
Quivi eran l’arme de ciascun barone
Ne’ verde rami d’intorno distese;
Roverse l’avea posto quel felone
Per far la lor vergogna più palese.
Renaldo incontinente e poi Dudone,
E insieme ognon del’altri le sue prese
E tuti quanti se fòrno guarniti
De’ lor arnesi, e cavalier arditi.

44.
Tuti quei gran baron e re pagani
Che fòrno presi alo incantato ponte
Ne andarno, chi vicini e chi lontani,
Ma prima molto ringratiarno il conte;
E sol ristarno quivi e cristïani,
Ove Dudone con parole pronte
Espose che Agramante e sua possanza
Eran guarniti per passar in Franza;

45.
E come lui, mandato da Carlone,
Avìa cercate diverse contrate
Per ritrovar lor dui, franche persone
Ch’eran el fior de corte e la bontate,
E per condurli, come era ragione,
Ala diffesa di Cristianitate.
Ciò de Renaldo diceva e de Orlando,
E a lor proprio lo venìa contando.

46.
Renaldo incontinente se dispose
Sanza altra indugia in Franza ritornare;
Il conte a quel parlar nulla rispose,
Stando sospeso e tacito a pensare,
Ché ’l cor ardente e le voglie amorose
Nol lasciava sì stesso governare:
L’amor, l’onor, il debito e ’l dileto
Facìan bataglia dentro dal suo peto.

47.
Ben lo stringeva il debito e l’onore
De ritornarsi ala real impresa,
E tanto più ch’egli era senatore
E campïon dela romana Chiesa;
Ma quel che vince ogni om, io dico Amore,
Gli avea di tal furor l’anima accesa
Che stimava ogni cosa una vil fronda
Fuorché veder Angelica la bionda.

48.
Né dir saprìa che scusa ritrovasse,
Ma da’ compagni si fo dispartito;
E non stimar che Brandimarte il lasse,
Tanto l’amava quel baron ardito!
Or di lor doi convien che oltra mi passe
Perch’io vuò ricontar a qual partito
Renaldo ritornasse a Montealbano:
Longa è la istoria, e ’l camin lontano.

49.
E’ prima cercarà molte contrate,
Strane aventure e diversi paesi:
Ma il tuto contaremo in brevitate
E con tal modo che saremo intesi;
E mostraremo il pregio e la bontate
De Iroldo e de Praseldo, e doi cortesi,
La possa de Dudon, el baron saldo,
Che tuti son compagni de Renaldo.

50.
Eran a piede quei quatro baroni,
Di piastre e maglia tuti quanti armati;
Perduti avean al ponte e lor ronzoni
Quando nel lago fòrno trabucati;
Onde ridendo e con dolce sermoni
Tra lor scrizando se fòrno inviati,
E la fatica dela longa via
Minor li par essendo in compagnia.

51.
Ed era già passato il quinto giorno
Poi che lasciarno quel loco incantato,
Quando da lungi odér sonar un corno
Sopra ad un castel alto e ben murato.
Nel monte era il castel, e poi d’intorno
Avea gran pian, e tuto era d’un prato;
Intorno al prato un bel fiume circonda:
Mai non se vide cosa più ioconda!

52.
L’aqua era chiara a maraviglia e bela,
Ma non si può vargar, tanto è corente.
Al’altra rippa stava una dongella,
Vestita a bianco e con facia ridente,
Sopra ala poppa d’una navicella;
Diceva: «O cavalier, o bela gente!
Se vi piaci, signor, entrati in barca,
Però ch’altrove il fiume non si varca».

53.
E cavalier ch’avean molto disire
Di passar oltra e prender suo viagio,
La rengratiarno di tal proferire
E travargarno el fiume a quel passagio.
Disse la dama nel lor dipartire:
«Dal’altro lato si paga il pedagio,
Né mai de quindi ussir se può, se prima
A quella roca non saliti in cima.

54.
Perché questa aqua che qua giù discende,
Vien da doe fonte di quel pogio altano
E dal’un lato al’altro se distende
Tanto che cinge intorno questo piano,
Sì che ussir non si può chi non ascende
A far prima ragion col castellano,
Ove bisogna aver ardita fronte.
Eccovi lui che fuor esce del ponte».

55.
Cossì dicendo li mostrava a dito
Una gran gente che del ponte ussiva:
Alcun de’ nostri non fo sbigotito;
La gente armata sopra al pian ariva.
Renaldo avanti, il cavalier ardito,
E ben ciascun del’altri lo seguiva,
Con le spade impugnate e ’ scudi in brazo
Ben se aprestarno ussir di tal impazo.

56.
Era tra quella gente un bel vechione
Che a tutti l’altri ne venìa davante,
Sanza arme indosso, sopra a un gran ronzone.
Costui con voce queta e bon sembiante
Disse: «Sapiati, voi gentil persone,
Che questa è tera del re Manodante,
Ove or intrasti, e non potresti ussire
Se non volesti un giorno a lui servire.

57.
E quel servigio è di cotal manera
Qual io ve conterò, se me ascoltati.
Onde discende al mar questa rivera,
Son doi castelli a un ponte edificati:
Ivi dimora una persona fiera
Che molti cavalier ha dissipati.
Balisardo se apella quel gigante,
Malvagio incantator e negromante.

58.
Re Manodante lo vorìa pregione
Perch’al suo regno ha fato assai danagio,
E ha ordinato che ciascun barone
Che varca al passo di quel bel rivagio,
Promete star un giorno a parangone
Sinché sia preso o prenda quel malvagio:
Onde anco a voi là giuso convien gire,
O in questo prato di fame morire».

59.
Disse Renaldo: «Là vogliamo andare,
Né andiamo cercando altro che bataglia.
E io questo gigante vuò pigliare,
E manco il stimo che un fasso di paglia:
E incanti incanta pur, se scià incantare,
Che non troverà verso che li vaglia.
Or face pur guidar via sanza tardo
Sì ch’io me azuffi a questo Balisardo!».

60.
Il castellano, sanza altra risposta,
Chiamò la dama de bianco vestita
E a lei disse: «Fa’ che sanza sosta
Tu porte al ponte questa gente ardita».
Ela ben presto ala rippa s’accosta
E soridendo quei baron invita
Ad entrar nela nave picolina:
Lor saltàr dentro, e lei gioso camina.

61.
Giù per quella aqua come una saeta
Giva la barca dal fiume portata;
Di qua, di là, girando la isoleta,
Pur se piegarno al mar l’ultima fiata,
Là dove del gran ponte eber vedeta
Ch’avea tra doe castel l’alta murata,
E sopra al’arco di quella gran foce
Sta Balisardo, saracin feroce.

62.
Proprio un fuste di tore a megio il ponte
Sembrava quel pagan di cui ragiono:
Barbuto in facia e crudo nela fronte,
El crido de sua voce parrìa un trono.
Convien ch’altrove il tuto vi raconte,
Ché al presente al fin del canto sono;
Nel’altro conterò tal maraviglia
Ch’altra nel mondo a quela non somiglia.

1. Il tema della Fortuna, che regge questo tratto del romanzo e delle avventure Orlando, è qui associato alla vita delle corti, per esortare chi le frequenta alla fortezza e alla perseveranza. L’instabilità della sorte è uno dei motivi ricorrenti nella poesia sulla (e spesso contro la) corte fin dal Medio Evo; basti qui ricordare la figura di Piero della Vigna nell’Inferno dantesco. Tuttavia Boiardo non si lancia in un’invettiva e si limita a un pratico suggerimento ai cortigiani. 1. Odeti: ‘udite’. 2. ‘voi che vivete in corte, fate i cortigiani’. Seguire la traccia è una metafora venatoria (TISSONI BENVENUTI 1999). 3. ‘se non afferrate la Fortuna’. 4. vòltavi: ‘vi volta’. 5-6. ‘Allora bisogna tenere gli occhi aperti e non perdersi d’animo di fronte a un volto minaccioso’. 8. ‘restando fedeli al proprio signore, chiunque egli sia’. Il verso propone un proverbio che doveva essere piuttosto noto, se lo troviamo quasi uguale nel Rinaldo (XXV, 1, 1-3): «Servire e diservir mai non si scorda / e però servi e non guardare a cui / – un bel proverbio fra [la] gente s’accorda –» (TISSONI BENVENUTI 1999, che riporta anche altri luoghi simili).

2. 1. ‘Perché biasimate la Fortuna?’. 3. ‘L’occasione ci si presenta solo una volta’. 4. dir: ‘racconto’. 6. chiostro: ‘luogo chiuso’; il giardino dove Orlando l’ha trovata. 7. al zuffo dar di mano: ‘afferrare il ciuffo’. 8. la siegue nel deserto:‘la insegue in quel luogo disabitato’. Ottava aperta.

3. 2. convien che si torza: ‘si deve contorcere (per il dolore)’ (TROLLI 2003, p. 293). 5. sfronde: ‘sfronda’. 6. ‘strappando i rami fin sotto la corteccia’. 7. Fugion le fiere: ‘fuggono gli animali selvatici’. cacia: ‘scaccia’. 8. si disfacia: ‘si sciolga’.

4. 1. valon: ‘valloni’. 2. ‘il conte arriva a luoghi pericolosi’. 3. e rivi grossi e roinosi: ‘i fiumi gonfi e impetuosi’. 4. le rippe: ‘gli argini’. arbori: ‘gli alberi’. 6. alti romor: ‘forti rumori’. 7. Però che: ‘perché’. il trono: ‘il tuono’ o ‘il lampo’ (cfr. I, ii, 2, 3).

5. 1. ‘Orlando continua a inseguire e non si cura del temporale’. 2. ala fenita: ‘infine’. 3. ‘Ma la sua situazione diventa sempre più difficile’. 4. d’una grota ussita: ‘uscita da una grotta’. 5. faza: ‘faccia’. di figura: ‘di corpo’. 6. tera: ‘terra’. 7. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha in man aspro e; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. aspero: ‘duro’. 8. tuto ’l dosso: ‘tutta la schiena’.

6. 1. tapina: ‘sventurata’. 2. ‘come se fosse costretta da una condanna’. 3. da sera e matina: ‘per tutto il tempo’. 4. ‘Il conte si turbò a tale apparizione’. 5. dimanda: ‘domanda’. mischina: ‘l’infelice’. 7. dileto: ‘piacere’. cassa: ‘priva’. 8. lassa: ‘lascia, abbandona’.

7. 1. però: ‘perciò’. 3. la mala via: ‘il cammino disagevole’. 5. te varà: ‘ti serviranno’. vigoria: ‘forza’. 6. da pacïentia: ‘di pazienza’. 8. è pasto da poltrone!: ‘è degna di un uomo vile!’.

8. 1. ‘E non ti venga voglia di offendermi’. 2. pacïente: ‘paziente’. 3. a mi faï onta: ‘mi offendi’. danagio: ‘danno’ (cfr. I, xxvi, 60, 5). 4. n’avrai bon merto: ‘sarai ben ricompensata’. 8. Tutavia fuge: ‘continua a fuggire’.

9. 1. ‘Perciò, lasciando il discorso a metà’. 2. Detro: ‘dietro’. 3. se aferma a non mancare: ‘si ripromette di non desistere’. 5. mo’ vi ebe a contare: ‘vi raccontai poco fa’. 6. ‘che si offrì come compagna’. 7. con ati sì vilani: ‘con modi così scortesi’. 8. ‘che avrebbe scacciato i cani dalla cucina’; espressione proverbiale. Ottava aperta.

10. 2. ‘lo picchiava violentemente alla schiena’. 3. Forte turbosse: ‘si adirò molto’. senator: cfr. I, v, 83, 3. 4. con mal viso: ‘con espressione arrabbiata’. 6. traga: ‘estragga’; e dunque ‘usi’. 7-8. ‘ma se ti prendo per i capelli, ti faccio volare per un miglio nel cielo’.

11. 1. fuor de sentimento: ‘fuori di sé’. 2. anco non: ‘nemmeno’. 3. in mal talento: ‘arrabbiato’. 4. Gli: ‘le’. golta: ‘guancia’; per la forma cfr. oldir (I, i, 1, 2). 5-8. Il pugno di Orando attraversa la sagoma incorporea della Penitenza. 5. a megio: ‘in mezzo’. 8. e cosa non l’aresta: ‘e nulla lo ferma’.

12. 1. nòce… nïente: ‘non nuoce per niente’. 2. mena: ‘muove’. 3. se stupisse:‘si stupisce’. 4. ‘e, pur vedendolo, a malapena riesce a crederci’. 5. sendo: ‘essendo’. 6. lena: ‘forza’. 7. possanza e forza: sinonimi. nulla vale: ‘non servono a nulla’. 8. Diffusa espressione idiomatica che indica un’azione inutile (MATARRESE 2004, p. 43). mortale: ‘mortaio’.

13. 1. Poi che bon pecio:‘dopo che per un bel pezzo’. 2. Bisticcio nel secondo emistichio. 3. Lassolla:‘la lasciò stare’. soprano:‘eccellente’. 4. tutavia: cfr. 8, 8. 5. a man a mano:‘subito’. 6. quest’altra:Penitenza. non dimorava:‘non faceva sosta’. 7. lo ribuffa:‘lo colpisce’. 8. a lei:‘con lei’.

14. 1. franco: ‘valoroso’. 2. vana: ‘incorporea’ 5. con oltragio e onte: ‘provocandogli grave fastidio’. 7. ch’ha provato il fato a pieno: ‘che ha sperimentato quella situazione fino in fondo’; dunque sa che è inutile reagire. 8. va rodendo il freno: ‘morde il freno’; metafora per ‘è impaziente’.

15. L’ottava presenta, al v. 7, un impiego decontestualizzato di Rvf 126, 6: «Qui come venn’io o quando?» (BRUSCAGLI 1995), con un forte scarto rispetto alla fonte che descrive lo stato di beatitudine stuporosa di Petrarca al ricordo di Laura (CANOVA 2008, pp. 57-58). Il secondo emistichio è peraltro formulare. 1. on: ‘o’. 2. abi: ‘abbia’. e io me l’abbia: costruzione paraipotattica; per il pronome me cfr. I, xvii, 18, 5. 3. sìame: ‘mi sia’. 4. tragualcio: ‘ingoio’; voce dialettale (TROLLI 2003, p. 294). 5. frenesia di mente: ‘follia’. insonio: ‘sogno’. 6. qua giuso: ‘quaggiù’.

16. 1. roina: ‘furia’. 3. ‘spezza ogni rovo e ogni cespuglio spinoso’ (cfr. II, viii, 60, 8). Qui potrebbe esserci un contatto con il Morgante pulciano: «e rami e sterpi ed ogni cosa fiacca» (XXII, 36, 5; DONNARUMMA 1995, p. 193). 6. ‘e pensa di averla già presa’. 7. fallace: ‘ingannevole’. 8. presa: cioè afferrata, ma non per il ciuffo.

17. 1. gli dete de piglio: ‘la afferrò’. 2. ne’ pagni: ‘nei panni, nei vestiti’. 4. Cioè non gli dà la certezza di avere catturato la fata, ma lo lascia nella speranza di farlo. 5. ‘Ma una volta, volgendo gli occhi’. 6. volse: ‘vollero’. 8. zuffo: ‘ciuffo’.

18. 1. cangiosse: ‘cambiò’. 2. Diviéne: ‘divenne’. 4. fo: ‘fu’. 5. verdura: ‘vegetazione’. 6. vienne meno: ‘cessò’. 7. che non sòle: ‘di quanto era solita’.

19. 1. Attènti: ‘tieniti stretto’. 2. hai volta: ‘hai avvolta’. 3-4. ‘e fai attenzione a disporre bene il carico così che non cada per un errore di calcolo’. Metafora che invita Orlando alla misura, da usare anche quando la Fortuna è propizia (TISSONI BENVENUTI 1999). 4. cagia: cioè caggia ‘cada’; è una forma letteraria ben attestata (SERIANNI 2009, pp. 194-195). 6-8. ‘allora abbi paura che lei ti scappi, perché resta certamente ingannato chi le si affida, poiché in lei non ci sono né stabilità, né lealtà’.

20. 1. scolorita: ‘pallida’. 2. ‘e se ne andò alla fine del discorso’. 3. se n’è gitta: ‘se n’è andata’. 4. stasse a lamentare: ‘si sta a lamentare’. 5. avìa gremita: ‘aveva ghermita’. 7. parlar soave: ‘parole dolci’.

21. 1. con riso: ‘sorridendo’. falso sembiante: ‘espressione ingannevole’. 2. al tuo piacere: ‘a tua disposizione’. 3. prese: ‘prigioniere’. 4. con sieco: ‘con loro’. 5. Manodante: cfr. 56, 6. 6. compiacere: ‘accontentare’. 7. ‘o portami via con lui o lasciamelo’. 8. sarìa de vita cassa: ‘sarei privata della vita, morta’.

22. 1. gioveneto: ‘giovane’. 2. disio: ‘desiderio’. 5. Morgana prega Orlando in nome della sua amata. 6. trar: ‘fare uscire’. 7. ‘porta con te tutti gli altri’. 8. in abandono: ‘senza esitazione, completamente’; espressione formulare.

23. 2. doni: ‘dai’. in mia bailìa: ‘in mio potere’. 4. disia: ‘desidera’. 5-6. ‘Ma non voglio lasciarti, perché ho paura di dovere tornare a quel terribile cammino’. 7. s’el ti piace: ‘per favore’. 8. lassaroti: ‘ti lascerò’.

24. 1. il vestimento:‘il vestito’. 2. ancora:‘anche’. TISSONI BENVENUTI 1999 suggerisce che la duplice apertura alluda alla «rapidità della volubilis per antonomasia». 4. Trasse di soto:‘estrasse da sotto il vestito’. 6. Vàne: ‘vai’. sì aconcio lavora: ‘agisci con tale cura’. 8. tomba: ‘grotta’.

25. Proseguono gli spunti allegorici: l’occasione è perduta se colui cui è capitata non la sa sfruttare; e poi è impossibile risollevarlo dalla disgrazia in cui cade. Inoltre Orlando sa per esperienza che è molto difficile agire in modo accorto per avvantaggiarsi della buona sorte. 2. in eterno: ‘per l’eternità’. 3. ‘perché non ci sarebbe modo di farti uscire di lì’. 4. l’arte mia: la magia. 5-8. ‘il conte si è molto preoccupato, perché aveva visto in dettaglio che difficilmente si trova al mondo qualcuno che adoperi bene la chiave della Fortuna’.

26. 1. al zuffo: ‘per il ciuffo’. 2. se fo inviato: ‘si incamminò’. 5-6. ‘con poca difficoltà aprì quella serratura straordinaria’. 7-8. ‘perché chiunque ha la Fortuna con sé, gira la chiave alla perfezione’.

27. 2. fòr presi: ‘furono catturati’. 4. in fronte: ‘per i capelli’. 7. de ussir ben si conforta: ‘si rassicura sul fatto che uscirà di lì’.

28. 1. il rico portelo: ‘la preziosa porta’. 2. ussite: ‘uscì’ (cfr. I, ii, 59, 4). 3. damigelo: ‘giovane’. 4. Qual: ‘il quale’. 8. Zilïante: nome parlante; da zilio ‘giglio’.

29. Come Boiardo anticipa qui, nel canto xiii Orlando dovrà tornare per liberare Ziliante e condurlo verso un inaspettato lieto fine. 2. indi partire: ‘andarsene di lì’. 5. ancor tempo sarà: ‘ma arriverà un tempo’. 6-8. ‘dovrà pentirsene e sarà costretto a tornare per fare uscire il giovane da quel luogo’.

30. 1. Ivi il lasciarno: ‘lo lasciarono lì’. 2. Ussirno: ‘uscirono’. 3. estremi: ‘grandi’. 4. ‘e malediceva la sua sfortuna’. 5. ch’io dice davanti: ‘che io descrissi prima’; dice è var. di dissi. 7. Intrarno: ‘entrarono’. prima: ‘per primo’. 8. Montàr: ‘salirono’. fòrno: ‘furono’.

31. 2. Cfr. II, viii, 24-27. 6. il gran lavoro: ‘la grande opera’. 8. caso istrano: ‘evento straordinario’; istrano è la solita forma prostetica.

32. 1. che non scià che sia dotanza: ‘che non sa che cosa sia la paura’; dot(t)anza è un gallicismo di lunga tradizione (CELLA 2003, pp. 395-396). 3. vuò: ‘voglio’. 5. donerò prestanza: ‘pagherò lo stipendio’ (TROLLI 2003, p. 229). 6. non affido: ‘non garantisco, non rassicuro’. 7. mercatante: ‘mercante’. 8. ‘chiunque io incontri, lo manderò via leggero’. Rinaldo si ripromette di derubare i viandanti: è un topos ricorrente nei romanzi cavallereschi. Feudatario povero, l’eroe si trova spesso in difficoltà economiche e ha problemi pratici rilevanti, come appunto pagare i suoi soldati. Decide dunque di darsi al brigantaggio, talvolta accompagnato da Astolfo, che pur essendo ricchissimo partecipa per amicizia e per “ribalderia”, e da altri cavalieri.

33. 1. li: ‘gli’. viltate: ‘cosa sconveniente’. 2. ‘andarsene carico come un somaro’. 4-6. ‘ed era sua consuetudine esaltare il valore dell’astinenza, dandone facilmente prova a parole’; per essere mestero, raro in questa accezione, cfr. TROLLI 2003, p. 195. 8. ‘che camminava a fatica’.

34. 2. dritamente sei: ‘sei proprio come’. fratachione: forma dispregiativa di frate. 3. a corpo pieno: ‘con la pancia piena’. 4. sol nel’oche: ‘solo per le oche’, di cui era presumibilmente ghiotto. TISSONI BENVENUTI 1999 pensa che ci possa essere un gioco di parole con una formula di tipo religioso (come «Hoc erat in principio», Ioh. 1, 2), simile a quello sullo stemma di Brunello (II, xxix, 7, 6-8). 5. ti dona: ‘ti elargisce doni’. 6. ‘e il papa ti dà un ricco stipendio’. 7. Chiasmo. Per castelle cfr. I, xx, 46, 4. 8. Brava… Anglante: feudi di Orlando.

35. 3. ‘per cui spesso non ho di che cenare’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 4. a guadagnarla al piano: ‘a procurarmela in pianura’, cioè rubandola. 5. on qualcosa mi mena: letteralmente ‘mi porta un qualcosa’; on è congettura dell’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani contro o di tutti i testimoni. 35. 6. E io me aiuto: ‘io mi do da fare’; costruzione paraipotattica. 7. mi stimo: ‘ritengo’. 8. la bisogna: ‘ce n’è bisogno’.

36. 3. dete al fio de Amone: ‘colpì Rinaldo’; dete: cioè dette ‘diede, colpì’. 4. per megio la faza: ‘in piena faccia’. 5-6. ‘e lo spinse indietro con grande rovina, lontano dalla porta più di venti braccia’; cioè circa 10 metri. 8. ’l fiato: ‘il soffio’.

37. 1. pur: ‘ancora’. 2. sopra ala: ‘sulla’. 4. da sé: ‘lontano da sé’. 5. si disconforta: ‘si sconforta, si preoccupa’. 6. doglia: ‘dolore’. 7. ‘perché temeva molto per Rinaldo’.

38. 1. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha Amon; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. 2. Pone giù: ‘depone’. 3. per megio: ‘in mezzo alla porta’. 4. ala polita: cioè alla pulita ‘senza difficoltà’. 5. avìa talento: ‘desiderava’. 6. le page: ‘le paghe, il salario’; probabilmente da pronunciare paghe. 7. si ha provato: pseudoriflessivo. 8. vòl: ‘vuole’. in tuto: ‘assolutamente’.

39. 1. ‘Ma dopo che ebbe riprovato inutilmente molte volte’. Forse rimprovato è analogico su forme del tipo rincominciare (TISSONI BENVENUTI 1999), ma TROLLI 2003, p. 245 ricorda anche verbi francesi come remprover. 2. carco: ‘carico’, cioè con la sedia in spalla. puòte: ‘poté’. 3. Trasse: ‘scagliò’. 4. a gran furia ribomba: ‘risuona fragorosamente’; ribombare è var. attestata di rimbombare. 6. ussito d’una fromba: ‘lanciato da una fionda’. 7. seicento libre: cioè circa 300 chili. manco: ‘meno’. 8. baron: ‘cavaliere’ (cfr. I, i, 8, 4).

40. 1. Ripresa lessicale forte dall’ottava precedente, che fissa l’attenzione sulla forza di Rinaldo e sullo straordinario prodigio in corso. ve ragiono: ‘vi racconto’. 2. ‘credendo di gettarla fuori dal portone’. 3. in abandono: cfr. 22, 8. 4. spense: ‘spinse’. 8. quela fatasone: ‘quell’incantesimo’.

41. 1. Dialefe tra che e al. 3. ‘La strada si stendeva per più di un miglio’. 4. del petron: ‘della roccia’. 5. ‘ed è lunga tre miglia la terribile salita’. 6. montando: ‘in salita’.

42. 1. conobe incontinente: ‘riconobbe subito’. 2. la rivera: ‘il fiume’. 3. disperato: ‘crudele’ (TROLLI 2003, p. 134). 5. Anci: ‘anzi’. de: ‘da’. 6. ‘dalla punta del capo fino alla pancia’. 7. suso: ‘su’. 8. giuso: ‘giù’.

43. 2. distese: ‘esposte’. 3. ‘quel malvagio le aveva messe alla rovescia’. La forma posto è lezione di P e potrebbe essere dovuta a falsa restituzione dell’atona finale; gli altri testimoni hanno poste. 4. palese: ‘evidente’. 6. ognon: ‘ognuno’. 7-8. se fòrno guarniti De’ lor arnesi: ‘vestirono le loro armature’. 8. e: ‘i’.

44. 3. Ne andarno: ‘se ne andarono’. 5. ristarno quivi: ‘restarono lì’. 6. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha Dudon; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. con parole pronte: formulare. 7. e sua possanza: ‘e il suo esercito’. 8. guarniti: ‘armati, pronti’. Ottava aperta.

45. 1. come: ‘che’. 2. ‘aveva esplorato molte regioni’. 4. ‘che erano i migliori e i più valorosi della corte’. 5. come era ragione: ‘come era giusto’. 6. di Cristianitate: ‘della Cristianità, dell’Europa’. 8. lo venìa contando: ‘lo raccontava’.

46. 1. se dispose: ‘si preparò a’. 2. indugia: ‘indugio’ (cfr. I, ix, 9, 8). 4. sospeso: ‘incerto’. 6. ‘non gli permettevano di dominarsi’ (TROLLI 2003, p. 164). 7. il debito e ’l dileto: ‘il dovere e il piacere’. Chiasmo: due coppie di moventi contrapposti lacerano Orlando. 8. dentro dal: ‘dentro il’.

47. 1. lo stringeva: ‘lo costringevano’. 2. ‘a tornare alla grande impresa’. 5. ogni om: ‘tutti’. 7. una vil fronda: ‘nulla’.

48. 1. ritrovasse: ‘trovasse’. 2. si fo dispartito: ‘si allontanò’. 3. ‘e non pensare che Brandimarte lo lasci’. 5-6. ‘Ora bisogna che trascuri loro due, perché voglio raccontare in che modo’. 8. Chiasmo. lontano: ‘lungo’; accezione rara (TROLLI 2003, p. 185).

49. 1. cercarà molte contrate: ‘attraverserà molte regioni’. 3. in brevitate: ‘brevemente’. 5. il pregio e la bontate: sinonimi per ‘valore’. 6. e doi: ‘ i due’. La cortesia è il tratto che distingue Iroldo e Prasildo fin dalla loro prima apparizione nella novella di I, xii. 7. possa: ‘forza’. saldo: ‘sicuro’.

50. 2. Di piastre e maglia: cfr. I, ii, 1, 5. 3. e lor ronzoni: ‘ i loro cavalli’. 4. fòrno trabucati: ‘furono fatti cadere’. 5. con dolce sermoni: ‘con discorsi piacevoli’. 6. ‘scherzando tra loro si avviarono’. 8. li par: ‘sembra loro’.

51. 3. odér: ‘udirono’. 6. Avea gran pian: ‘c’era una vasta pianura’. 8. ioconda: ‘amena, bella’.

52. 2. vargar: ‘varcare, attraversare’. corente: ‘veloce’. 3. Al’altra rippa: ‘sull’altra riva’. 7. piaci: ‘piace’; desinenza dialettale.

53. 1. disire: ‘desiderio’. 2. prender suo viagio: ‘proseguire il loro cammino’. 3. di tal proferire: ‘di tale offerta’. 4. travargarno: ‘attraversarono’. 5. nel lor dipartire: ‘mentre salpavano’. 7. de quindi ussir: ‘uscire di qui’.

54. 2. doe: ‘due’. di quel pogio altano: ‘di quell’alto colle’. 5-7. ‘sicché non si può uscire se prima non si sale a fare i conti con il castellano, là dove bisogna avere coraggio’.

55. 1. li: ‘loro’. 2. Una gran gente: ‘un numeroso gruppo’. 3. sbigotito: ‘spaventato’. 7. in brazo: ‘al braccio’. 8. ‘si prepararono per bene a uscire da quell’impaccio’; erano cioè pronti a combattere.

56. 1. vechione: ‘vecchio’. 4. bon sembiante: ‘aspetto cordiale’. 5. gentil: ‘nobili’. 6. Manodante: l’abbiamo già incontrato come padre di Leodilla (I, xxiii, 36). Il suo è un nome parlante, legato alla generosità e alla ricchezza (TISSONI BENVENUTI 1999). 7. intrasti: ‘entraste’; seconda pers. pl. come i successivi potresti e volesti.

57. 1. è di cotal manera: ‘consiste in questo’. 3. Onde: ‘dove’. 4. a un ponte: ‘presso un ponte’. 5. fiera: ‘crudele’. 6. ha dissipati: ‘ha ucciso’. 7. se apella: ‘si chiama’. 8. incantator e negromante: sinonimi per ‘mago’.

58. 1. lo vorìa pregione: ‘lo vorrebbe prigioniero’. 2. assai danagio: ‘molto danno’. 4. rivagio: ‘fiume’. 5. ‘prometta di combatterlo per un giorno’; per parangone cfr. I, v, 51, 3. 7. ‘perciò anche voi dovete andare laggiù’.

59. 4. un fasso di paglia: ‘un fascio di paglia’; cioè ‘non lo considero per nulla’ (cfr. 47, 7 e II, vii, 13, 6). 5. ‘e faccia pure incantesimi, se li sa fare’. Accumulo di figure etimologiche. 6. verso che li vaglia: ‘una formula magica che gli serva’; verso con questo significato è un latinismo piuttosto raro (TROLLI 2003, p. 307). 7. ‘Ora facci pure condurre via senza indugio’.

60. 3. sosta: ‘indugio’. 8. saltàr: ‘saltarono’. gioso camina: ‘conduce la nave in giù’.

61. 3. Di qua, di là: cfr. I, i, 50, 1. girando: ‘aggirando’. isoleta: il castello era circondato dall’acqua. 4. se piegarno al mar: ‘virarono verso il mare’. 5. del gran ponte eber vedeta: ‘avvistarono il gran ponte’; avere vedetta per ‘avvistare’ sembra attestato solo qui (TROLLI 2003, p. 305). 6-8. La muraglia congiunge due castelli, come un ponte (arco) sul punto in cui il fiume sbocca in mare (foce). Sul ponte c’è Balisardo.

62. 1-2. ‘Quel saraceno di cui racconto sembrava proprio un tronco di torre in mezzo al ponte’. 3. crudo nela fronte: ‘feroce nell’aspetto’. 4. parrìa un trono: ‘sembrava un tuono’. 5. vi raconte: ‘vi racconti’. 7-8. ‘un prodigio tale che nessuno al mondo gli somiglia’.