Rinaldo e Rodamonte combattono con ferocia facendosi vicendevolmente a pezzi le armature, mentre gli spettatori non sanno giudicare quale dei due sia il più forte (1-11). Sopraggiunge l’esercito di Carlo Magno e Rodamonte abbandona il duello per affrontarlo, ma l’arrivo della notte pone fine alle ostilità. Il saraceno continua a cercare Rinaldo, finché un prigioniero impaurito gli mente dicendo che il paladino si è incamminato verso la selva di Ardenna. Rodamonte parte dunque per Ardenna lasciando i suoi soldati al loro destino (11-19). L’armata mussulmana priva di guida si affretta a salpare portandosi via i prigionieri, tra i quali c’è Dudone. Rinaldo investe con furia i ritardatari e viene a sapere da un superstite dove è andato Rodamonte; prende allora la stessa direzione (20-27). Nel frattempo Rodamonte incontra Feraguto che si strugge per Angelica e si ferma a parlare amichevolmente con lui; ma quando viene a sapere che, in passato, il giovane è stato innamorato della sua adorata Doralice, lo sfida a duello: comincia uno scontro violentissimo (28-41). Rinaldo raggiunge la selva e incontra Amore e le tre Grazie che, riconosciutolo, lo percuotono con fiori procurandogli dolori terribili e lasciandolo a terra tramortito. La punizione è dovuta al suo disamore per Angelica. Poi la grazia Pasitea gli spiega che solo bevendo a una fonte lì vicino potrà salvarsi: Rinaldo non lo sa, ma è la fonte dell’amore. Il paladino segue il consiglio e si riprende, ma si innamora di Angelica, che prima odiava, e si rammarica di averla respinta in modo così scortese. Ora vuole tornare in India a cercarla. Mentre sta per partire vede arrivare unadonzella accompagnata da un cavaliere che porta l’insegna del vulcano (42-66). Il racconto torna a Marfisa, che ancora insegue Brunello. L’abilissimo ladro continua a farsi beffe di lei e di quanti deruba nella sua fuga (66-70).
1.
A cui piace de odir aspra bataglia,
Crudeli assalti e colpi smisurati,
Tragasse avante e oda in che travaglia
Son dui guiereri arditi e desperati,
Che non stiman la vita un fil de paglia,
A vincer o morir inanimati:
Renaldo è l’un, e l’altro è Rodamonte,
Che a questa guerra son conduti a fronte.
2.
Avea ciascun di lor tanta ira acolta
Che in faza avean cangiata ogni figura
E la luce degli ochi, in fiama volta,
Gli sfavilava in vista orrenda e scura.
La gente ch’era in prima intorno folta
Da lor se discostava per paura;
Cristian e saracin fugìan smariti
Come fosser quei dui de Inferno ussiti.
3.
Sì come dui demonii del’Inferno
Fossero ussiti sopra dela terra,
Fugìa la gente, volta in tal squaderno
Ch’alcun non guarda se ’l destrier si sferra;
E poi da largo (sì com’io discerno)
Se rivoltarno a rimirar la guerra
Che fano e dui baron a brandi nudi,
Speciando usbergi e maglie, piastre e scudi.
4.
Ciascun più forïoso se proccacia
De trar a fin il dispiatato gioco;
Al primo colpo se gionsero in facia
Ambi ad un tempo istesso e ad un loco.
Or par che ’l ciel a fiama se disfacia
E che quel’elmi sian tutti di foco:
Le barbute speciàr come di vetro;
Ben diece passi andò ciascun adetro.
5.
Ma l’un e l’altro del’elmi è sì fino
Che non li nòce taglio né percossa:
Quel de Renaldo già fo de Mambrino,
Ch’avea dua dita e più la piastra grossa;
E questo che portava il saracino
Fo fato per incanto in quella fossa
Ove nasce le pietre del diamante:
Nembrot il fece far, il fier gigante.
6.
Sopra a quest’elmi speciàr le barbute
Al primo colpo (comm’io v’ho contato);
Mai non son ferme quelle spade argute,
Disarmando e baroni d’ogni lato;
Le grosse piastre e le maglie menute
Van a gran squarci con roina al prato;
Ogni armatura va di mal in pezo,
Del scudo suo non ha più alcun il mezo.
7.
Renaldo, a cui non piace il star a bada,
Mena a doe man al drito dela testa;
E Rodamonte, che ’l ferir agrada,
Mena anco esso a quel tempo e non s’aresta;
E incontrosse l’una e l’altra spada,
Né se odete giamai tanta tempesta,
E ben d’intorno per quelle confine
Par che ’l mondo arda e tuto ’l ciel roine.
8.
Re Rodamonte, che sempre era ussato
Mandar al primo colpo ogni om ad erba,
Essendo con Renaldo or affrontato
Che rende agresto a lui per prugna acerba,
Cruciosse fuor di modo, e disdignato
Spregiava il Ciel, quell’anima soperba,
«Dio non ti porrìa dar» dicendo «iscampo,
Ch’io non ti ponga in quatro peci al campo!».
9.
Cossì dicendo, quel saracin crudo
Mena a doe man un colpo di traverso;
Renaldo mena anco esso il brando nudo,
E non crediati ch’abia il tempo perso,
Onde l’un gionse l’altro a megio il scudo.
Fo ciascun colpo oribil e diverso,
Fiacando tutti e scudi a gran roina:
Né·lor ferir per questo se raffina,
10.
Ché l’un non vòl che l’altro se diparta
Con avantagio sol d’un vil lupino,
E come l’arme fossero de carta,
Mandano a squarci sopra del camino.
La maglia si vedea per l’aria sparta
Volar d’intorno sicome polvino,
E le piastre lucente alla foresta
Cadean sonando a guisa di tempesta.
11.
Stava gran gente intorno a rimirare
(Comm’io vi disse) la bataglia scura,
Né alcun vantagio vi san iudicare
Pensando e colpi a ponto e per misura.
Eco una schiera sopra al pogio appare
Che scende con gran cridi ala pianura,
Con tanti corni e tamburin e trombe
Che par che ’l mar e ’l ciel tuto ribombe.
12.
Mai non se vide la più bela gente
Di questa nova che discende al piano,
Di sopraveste e arme relucente
Con cimeri alti e con le lanze in mano;
Perché sapiati il fato intieramente,
Vi fò palese che ’l re Carlo Mano
È quel che vien, il magno Imperatore,
E ha con sieco de’ cristian il fiore:
13.
Più de setantamiglia cavalieri
(Che tolto è, dico, il fior d’ogni paese),
Sì ben guarniti e sì gagliardi e fieri
Che tuto ’l mondo non ve avrìa diffese.
Avanti a tuti il marchese Oliveri,
E sieco a paro a paro il bon Danese,
E dela corte tuto il concistoro
Con le bandere azure a zigli d’oro.
14.
Quel’Affrican, ch’ha tuto ’l mondo a cianza,
Renaldo dimandò di quela gente,
E quando intese ch’egli è el re di Franza,
Divien alegro in facia e nela mente,
Come colui ch’avea tanta aroganza
Che tuti gli stimava per nïente;
E sanza altro parlar né altro combiato
Verso questi altri subito è driciato.
15.
Di corso andava il saracin gagliardo
E già Renaldo nol potea seguire,
Ch’e’ facea salti assai magior d’un pardo;
Gionto è tra ’ nostri e comencia a ferire.
E se non era il giorno tanto tardo,
Facea de’ fati soi molto più dire.
Ma la luce che sparve a note scura
Impose fin ala bataglia dura.
16.
Pur vi rimase ferito il Danese
Nel bracio manco e sopra del galone;
E Oliver assai ben si diffese,
Benché perdesse il scudo dal grifone
E fossegli speciato ogni suo arnese.
Grande tra gli altri fo la occisïone:
Coperti eran a morti tuti e piani
De nostra gente e anco di pagani.
17.
La scura note (comm’io vi contai)
Partite alfin la zuffa encomenciata.
Or ben mi fa maravigliar assai
Quel fier pagan, che tuta la giornata
Ha combatuto e non se possò mai;
E poi che la bataglia è raquietata,
Va roinando tuto ’l monte e ’l piano
Per ritrovar il sir de Montealbano.
18.
Avanti fa condurse ogni pregione,
Che molti n’avea presi ala catena,
E lor dimanda del figlio de Amone
E qual spaventa e qual forte dimena.
Un, per paura o per altra cagione,
Disse ch’era ito nel bosco de Ardena;
E già non eran sue parole vere:
Né lo sapea, né lo potea sapere,
19.
Però che ’l bon Renaldo era tornato
A rimontar Baiardo, il suo destriero.
Ma poi ch’al saracin fo ciò contato,
Lassa sua gente e più non ha pensiero.
Il caval de Dudon ebe pigliato,
Qual era grande a maraviglia e fiero;
Sopra vi salta il forte saracino,
E verso Ardena prende il suo camino.
20.
Una grossa asta e tropo sterminata
Fuor dela nave sua fece arecare;
E’ non aspeta luce né giornata,
Ma quela note prese a caminare;
Onde sua gente, ch’era abandonata,
Sanza il suo aiuto non scià che si fare:
Tuti smariti e pien d’alto spavento
Entrarno in nave e dièr le vele al vento.
21.
Ogni pregion e tutti i lor arnese
Portavan alle nave con gran freta:
Dudon tra ’ primi, il giovene cortese,
Menava via la gente maledetta;
Ma chi fo tardo a destaccar le prese,
Sopra di lor discese la vendetta:
Perché Renaldo, a destrier risalito,
Con gran roina gionse in su quel lito.
22.
De Rodamonte va il baron cercando
Per ogni luoco, a lume dela luna:
A nome lo dimanda, e va cridando
Ad alta voce per la notte bruna;
E sopra ala marina riguardando
Vedde la gente che l’arnese aduna:
A più poter ciascun forte se traffica
Per porlo in nave e via passar in Affrica.
23.
Renaldo dà tra lor sencia pensare,
Ch’e’ ben cognobe ch’eran saracini.
Quivi d’intorno fo il bel sbaratare,
Fugendo tutti in rota quei mischini:
Chi nela nave, e chi saltava in mare,
L’un non aspeta che l’altro se chini
A prender cosa che gli sia caduta,
Ma sol fugendo ciascadun s’aiuta.
24.
Gli altri che a tera avean volto il timone,
Via se ne andarno abandonando il lito,
E sieco ne menàr preso Dudone:
Che, se Renaldo l’avesse sentito,
Avrìa menata gran destrutïone
E forsi entro a quel mar l’avrìa seguito.
Ma lui non si pensava di tal onte,
Sol dimandando ove era Rodamonte.
25.
Un saracin ben forte spaventato
Nanti a Renaldo in genochion si pose;
Di Rodamonte essendo dimandato,
La pura verità presto rispose:
Come al bosco d’Ardena era inviato
Tutto soleto per le piagie umbrose,
Essendo deto a lui che a quel camino
Giva Renaldo al fonte di Merlino.
26.
Il fonte di Merlin era in quel bosco
(Sì come un’altra volta vi contai),
Ch’era agli amanti un velenoso tosco,
Che ivi bevendo, non amavan mai;
Benché lì presso a quel luoco fosco,
Passava un’acqua ch’è meglior assai;
Meglior de vista e de affetto pegiore:
Chiunque ne gusta, in tuto arde d’amore.
27.
Quando Renaldo intese ch’a quel luoco
Andava Rodamonte a·rricercarlo,
Di questa gente si curava poco
E più presto partì ch’io non vi parlo.
Il cor gli fiamegiava come un foco
Del gran disio ch’avea di ritrovarlo,
E via trotando a gran fretta camina
Verso ponente, acanto alla marina.
28.
E Rodamonte simigliantemente
De gionger ad Ardena ben si spacia;
E parlava tra sé nela sua mente,
Dicendo: «Questo dono il Ciel mi facia,
Pur che ritrovi quel baron valente:
E ch’io l’ocida, o torni sieco in gratia;
Che, essendo morto, in tera non ho pare,
E, s’egli è meco, il ciel voglio acquistare.
29.
Né creder potrò mai che ’l conte Orlando
Abia di questo la mera bontate:
Io l’ho provato e di lanza e di brando,
Non è più forte al mondo, in veritate!
E re Agramante, a Dio t’aricomando!
Se tu discendi per queste contrate
Essendote io, come sarò, lontano,
Tutta tua gente fia sconfita al piano.
30.
Come diceva il ver il re Sobrino!
Sempre creder si debe a chi ha provato.
Or s’egli è tal Orlando paladino
Come costui che meco a fronte è stato,
Tristo Agramante e ogni saracino
Che fia di qua dal mar con lui portato!
Io che tutti pigliarli avea aroganza,
Assai n’ho d’un, e più che di bastanza!».
31.
Cossì parlando andava il re pagano,
E, non sapendo aponto quel viagio,
Nel far del giorno gionse in un bel piano
Là dove un cavalier venïa ad agio.
E Rodamonte, con parlar umano,
Dimanda al cavalier in suo lenguagio
Quanto indi fosse ala selva d’Ardena,
Se lo sapesse, e qual strata vi mena.
32.
Rispose prestamente il cavaliero:
«Nulla ti sciò contar di quel camino,
Perch’io, sì come tu, son forestiero
E vo piangendo, misero e tapino,
Non riguardando strata né sentiero,
Ma dove mi conduce il mio destino,
A strugimento, a morte, a ogni dolore,
Poiché sì piace al deslial Amore».
33.
Perché sapiati il fato ben compiuto,
Quel cavalier che fa tal lamentanza
Dolendossi d’Amor, è Feraguto,
Che fo al suo tempo un ragio di possanza;
E ora travestito era venuto,
Nascosamente, nel regno di Franza
Sol per saper, quela anima ’focata,
Se giamai fosse Angelica tornata.
34.
Egli anco amava quela damigela
(Come potesti odir primeramente)
E non potendo aver di lei novella,
Benché ne dimandasse ad ogni gente,
Or per questa ventura e or per quella,
Se consumava dolorosamente,
E giorno e note non avìa mai bene,
Sempre languendo e suspirando in pene.
35.
Or (come aveti inteso) il giovenetto
Trovò quel re pagan ala campagna
E stérno insieme alquanto a lor dileto,
E ciascadun d’Amor si dole e lagna.
Pur cossì ragionando, venne deto
A Feraguto come era di Spagna,
E che pur mo’ tornava di Granata
Ove una dama avea gran tempo amata,
36.
E come era chiamata Doralice,
Quella figliola dil re Stordilano.
«Non più parole!» Rodamonte dice
«Ma prendi la bataglia a man a mano!
Chi t’ha conduto, misero infelice,
A morir ogi sopra a questo piano?
Ché comportar non voglio e non potrei
Ch’altri che me nel mondo ami colei!»,
37.
Rispose Feraguto: «Essendo grande,
L’esser crucioso assai ti disconviene.
Ma poiché la bataglia me dimande,
Tra noi la partiremo, o mal o bene,
E l’altereza tua che sì se spande
Porìa tornarti in dolorose pene.
Amai colei: l’amor ebe a passare;
Per tuo dispeto ancor la voglio amare!».
38.
Con tal parole, e con del’altre assai
Se fòrno insieme e doi baron sfidati;
Ambi avean lanze (comm’io ve contai),
Con esse a resta se fòr rivoltati.
Più crudel scontro non se odì giamai!
E doi destrier di peto insieme urtati
Andarno a tera, e i cavalier adosso
Con tal fracasso che contar non posso.
39.
E le lor lance, grosse oltra a misura,
Se fragelarno insin presso ala resta.
Ciascun de sviluparsi se procura
Per rimenar col brando un’altra festa.
Or si comencia la bataglia dura
De colpi sterminati, e la tempesta
Del’arme rote e piastre con roina,
Sì com’ batesse un fabro ala fucina.
40.
Non avea indugia o sosta il lor ferire,
Ma quando l’un promete, e l’altro dona;
E ben da longi se potrebe odire,
Perch’ogni colpo d’intorno risona.
E certamente io non saprei ben dire
Qual sia più ardita e più franca persona
Tanto son di gran cor e di gran lena,
Ch’un altro par ne trovo al mondo a pena.
41.
Ciascun è d’ira e di superbia caldo,
E però combatean con molto orgoglio,
L’un più che l’altro ala bataglia saldo.
Ma quela nel presente dir non voglio,
Perché convien contarvi di Renaldo;
Dapoi ritornerò, sì come io soglio,
A dirvi questa zuffa ala distesa,
Sì che vi fia dileto averla intesa.
42.
Giva Renaldo (come aveti odito)
Inverso Ardena ala ripa del mare,
Credendo Rodamonte aver seguito:
Ma lui giamai non pòte ritrovare,
Perché ’l drito viagio avea smarito
E poi con Feraguto ebe che fare;
Onde lui caminando avanti passa
E a sé dreto Rodamonte lassa.
43.
Quando fo gionto ala selva fronzuta,
Drito n’andava al fonte di Merlino:
Al fonte che d’amor il petto muta,
Là drito se n’andava il paladino.
Ma nova cosa ch’egli ebe veduta
Lo fece dimorar in quel camino:
Nel bosco un praticelo è pien di fiori,
Vermigli e bianchi e de mille colori;
44.
In megio ’l prato, un gioveneto ignudo
Cantando solaciava con gran festa;
Tre dame intorno a lui, come a suo drudo,
Danzavan nude anco esse e senza vesta.
Lui sembianza non ha da spada o scudo:
Negli ochi bruno e biondo nela testa,
Le piume dela barba a ponto ha messe,
Chi sì chi no direbbe che l’avesse.
45.
De rose e de vïole e d’ogni fiore
Costor ch’io dico avean canestri in mano;
E standossi con zolia e con amore,
Gionse tra lor il sir de Montealbano.
Tuti cridarno: «Or ecco il traditore!»
Come l’eber veduto «Ecco il vilano!
Ecco il dispregiator d’ogni dileto,
Che pur gionto è nel lacio al suo dispeto!».
46.
Con quei canestri, al fin dele parole
Tutti a Renaldo s’aventarno adosso.
Chi geta rose, chi geta vïole,
Chi zigli e chi zacinti a più non posso.
Ogni percossa insin al cor li dole
E trova le medolle in ciascun osso,
Acendendo un ardor in ogni luoco,
Come le foglie e ’ fior fosser di foco.
47.
Quel gioveneto che nudo è venuto,
Poi ch’ebe vuoto tutto ’l canestrino,
Con un fuste di ziglio alto e fronzuto
Ferì Renaldo al’elmo di Mambrino:
Non ebe quel baron alcun aiuto,
Ma cadde a tera com’un fanciulino;
E non era caduto al prato apena
Ch’ai piedi il prende e strasinando il mena.
48.
Dele tre dame, ognuna avea girlanda,
Chi de rosa vermiglia e chi de bianca;
Ciascuna se la trasse in quela banda,
Poi ch’altra cosa da ferir gli manca,
E benché ’l cavalier mercé dimanda,
Tanto il baterno che ciascuna è stanca,
Però ch’al prato lo girarno intorno,
Sempre batendo insin a megiogiorno.
49.
Né ’l grosso usbergo, né piastra ferrata
Potean a tal ferrir aver diffesa,
Ma la persona avìa tuta piagata
Sotto a quele arme, e di tal foco accesa
Che nel’Inferno ogni anima dannata
Ha ben doglia minor, senza contesa;
Là dove quel baron, de disconforto,
Di tema e di martir, quasi era morto,
50.
Né scià se omini o dei fosser costoro:
Nulla diffesa o pregera vi valle.
E standossi cossì, senza dimoro
Crescerno in sule spalle a tuti l’ale.
Quel’ale eran vermiglie e bianche e d’oro,
E in ogni péna è un ochio naturale:
Non come di pavon o d’altro occelo,
Ma d’una dama, gratïoso e belo.
51.
E poco stando se levarno a volo,
L’un dopo l’altro verso il ciel saliva;
Renaldo al’erba si rimase solo.
Amaramente quel baron piangiva,
Perché sentìa nel cor sì grande il duolo
Che a poco a poco l’anima gli ussiva;
E tanta angoscia nela fin il prese
Che come morto al prato se distese.
52.
Mentre che tra quei fior cossì iacea
E de morir al tuto quivi estima,
Gionse una dama in forma d’una dea
Sì bela che contar nol posso in rima,
E disse: «Io son nomata Pasitea,
Dele tre l’una che te offese in prima,
Compagna del’Amor e sua servente,
Come vedesti e provi di presente.
53.
E fo quel gioveneto il Dio d’amore,
Qual te getò d’arzon come nemico;
Se contrastar ti credi, hai preso erore,
Ché nel tempo moderno o nel’antico
Non si trovò contrasto a quel signore.
Or atendi al consiglio ch’io te dico,
Se vòi fogir la dolorosa morte;
Né sperar vita o pace in altra sorte.
54.
Amor ha questa lege e tal statuto
Che ciascun che non ama essendo amato,
Ama po’ lui e non gli è l’amor creduto,
Aciò che provi il mal che egli ha donato:
Né questo oltragio che t’è intravenuto,
Né tuto ’l mal che puote esser pensato
Se può pesar con questo ala bilanza,
Ché quel cordoglio ogni martir avanza.
55.
Il non esser amato e altri amare
Avanza ogni martir, comm’io t’ho deto;
E questa lege converai provare,
Se vòi fogir d’Amor ogni dispeto.
Or, perch’intenda, a te convien andare
Per questo bosco ombroso a tuo dileto,
Sinché ritroverai sopra a una riva
Un alto pin e una verde oliva.
56.
La rivera zogliosa inde dichina
Per li fioreti e per l’erba novela:
Nel’acqua troverai la medicina
A quel dolor ch’al peto ti martela».
Cossì parlò la dama peregrina,
Poi nel’aria volò come una ocela;
Salendo sempre in su, del ciel aquista,
Onde a Renaldo uscì presto di vista.
57.
Lui, doloroso, non scià che si fare
Poi che incontrata ha sì forte ventura;
Né tra sé stesso puote imaginare
Come tal cosa sia, for de natura,
Che vedda gente per l’aria volare,
Né contra a lor val forza né armatura:
Da gente ignuda è vento il suo valore
Con zigli e rose e con foglie de fiore!
58.
A gran fatica il suo corpo tapino
Levò dove languendo l’avean messo,
E con più pena si pose in camino,
Cercando intorno il bosco ombroso e spesso;
E’ trovò verso il fiume l’alto pino
E l’arbor del’oliva a quel apresso:
Dale radice stila un’acqua chiara
Dolce nel gusto e dentro al cor amara,
59.
Perché d’amor amar il cor accende
A chi la gusta, l’aqua delicata.
E però già Merlin, per far amende,
La fonte avìa qua presso edificata
Che fa lasciar ciò che a questa se prende:
Comm’io vi racontai quela giornata,
Quando Renaldo bevete ala fonte
Ove Angelica poi n’ebe tante onte.
60.
Or nel presente non se racordava
Più il cavalier di quel tempo passato;
Ma come aponto in sul fiume arivava,
Essendo doloroso e affannato,
Ch’ogni percossa gran pena li dava,
Sopra ala ripa fo presto chinato
E per gran sete, il principe gagliardo
Assai bevete, e non vi ebe riguardo.
61.
Bevuto avendo, e alciando la facia
Da lui se parte ogni passata doglia,
Benché la sete per ciò non se sacia,
Ma più bevendo, più del bere ha voglia.
Lui di questa ventura Idio rengratia.
E standossi contento e con gran zoglia,
Li tornò nela mente a poco a poco
Ch’un’altra fiata è stato in questo luoco,
62.
Quando, dormendo nel’erba fiorita,
Con zigli e rose Angelica il svegliò;
E ricordosse che l’avìa fugita,
Dil che agramente se ripente mo’.
D’Amor avendo l’anima ferita,
Vorrebe adesso quel ch’aver non pò:
La bella dama, dico, in quel verzero,
Ché nel presente non sarrìa sì fiero!
63.
E biasimando la sua crudeltate
E le grande onte fate a quela dama,
Tutte le amenta, quante n’ha già usate,
E sé crudiel e dispietato chiama.
Già l’odïava, poche ore passate,
Più che sé stesso nel presente l’ama;
E tanta voglia ha dentro al cor acolta
Che vòl tornar in India un’altra volta.
64.
Sol per veder Angelica la bela
Un’altra volta in India vuol tornare.
Vienne a Baiardo per salir in sela,
Che poco longi il stava ad aspetare,
E, cossì andando, vide una dongela,
Ma non la potea ben rafigurare
Perch’era dentro al bosco ancor lontana,
Oltra a quel fiume, a lato ala fontana.
65.
Le chiome avea rivolte al lato manco
E la cima increspata e sparta al vento,
Sopra d’un palafren crinuto e bianco
Ch’ha tuto ad or bronito il guarnimento;
Un cavalier gli stava armato al fianco,
Nela sembianza pien d’alto ardimento,
Ch’ha per cimer un Mongibel in testa,
Ritrato al scudo e nela sopravesta.
66.
Dico che quel baron ha per cimero
Una montagna che getava foco;
El scudo e la coperta dil destriero
Avean pur quela insegna nel suo loco.
Ora, cari signori, egli è mistiero
Questa ragion abandonar un poco:
Per accordar la storia ch’è divisa,
Torno a Brunel ch’ancor detro ha Marfisa.
67.
Non l’abandona la dongela altiera,
Ma giorno e note sanza fin il cacia,
Né monte alpestro, né grossa rivera,
Né selva né palude mai l’impacia.
Ma Frontalate, la bestia ligera,
Li facìa indarno seguitar tal tracia:
Quel bon destrier, che fo di Sacripante,
Com’un ocel a lei fuge davante.
68.
Quindici giorni già l’avea seguito,
Né d’altro che di fronde era pasciuta.
El falso ladro, ch’è forte scaltrito,
Ben d’altro pasto il suo fugir aiuta,
Perch’era tanto presto e tanto ardito
Ch’ogni taverna ch’avesse veduta
Dentro ve intrava e mangiava di botto:
Po’ via fugiva e non pagava il scoto.
69.
E benché i taverneri e ’ lor sargenti
Detro li sian con orci e con pignate,
Lui se n’andava stropeciando e denti
E faceva a ciascun mile ghignate,
Ale qual far avea tanti argumenti
Che donne spoletine o folignate,
Qual porton l’ovo da matina a cena,
S’avrìan guardati da soi trati a pena.
70.
E pur Marfisa sempre il seguitava,
Quando più longe, e quando più da presso.
«Al ladro! Al ladro!» sempremai cridava,
E ciascun rispondeva: «Egli è ben desso!».
Ognon di quel gioton se lamentava,
Perch’e miglior boccon pigliava spesso,
E lor il menaciavan pur col dito.
Ora non più, che ’l canto è qui fenito.
1. 1. A cui: ‘(colui) al quale’. Con un forte anacoluto, l’attacco indentifica negli appassionati di racconti guerreschi il pubblico ideale per il canto, o almeno per la sua parte iniziale. 3. ‘si faccia avanti e ascolti in quale affanno’. 4. dui guiereri: ‘due guerrieri’. desperati: ‘forsennati’). 5. un fil de paglia: ‘per nulla’; espressione formulare. 6. inanimati: ‘decisi’. 8. a fronte: ‘l’uno di fronte all’altro’.
2. 1. acolta: ‘raccolta in sé’; cfr. Inf. VIII, 24: «fecesi Flegïas ne l’ira accolta» (SANGIRARDI 1998, p. 816). 2. ‘che l’aspetto del loro viso era totalmente stravolto’. 3. volta: ‘trasformata’. 4. in vista orrenda e scura: ‘terribile a vedersi’ (con coppia sinonimica). 8. ussiti: ‘usciti’.
3. Ripresa e amplificazione dall’ottava precedente: in questo canto le iterazioni da un’ottava all’altra saranno numerose. 2. sopra dela terra: ‘sulla terra’. 3. squaderno: ‘sconquasso’. 4. ‘che nessuno si preoccupa se il cavallo perde i ferri’. 5. da largo: ‘da lontano’. discerno: ‘vedo’. 6. rimirar: ‘guardare’. 7. ‘che fanno i due cavalieri a spade sguainate’. 8. Speciando usbergi: ‘facendo a pezzi armature’. maglie, piastre: cfr. I, ii, 1, 5.
4. 1-2. ‘Uno più rabbioso dell’altro, tentano di concludere il combattimento’; per dispiatato gioco cfr. I, iv, 3, 1. 3. se gionsero: ‘si colpirono’. 4. ‘entrambi nello stesso tempo e nello stesso luogo’. 5. a fiama se disfacia: ‘vada a fuoco e si distrugga’; iperbole. 7. ‘spezzarono le protezioni del mento come fossero di vetro’. 8. adetro: ‘indietro’.
5. 1. fino: ‘robusto’. 2. non li nòce: ‘non gli nuoce, non lo danneggia’. 3. fo: ‘fu’. Mambrino: cfr. I, iv, 82, 5. 4. L’elmo era spesso più di due dita. 6. per incanto: ‘per magia’. 7. La durezza del diamante è sempre stata proverbiale. 8. Nembrot: cfr. II, xiv, 32. fier: ‘feroce’.
6. 1. Ripresa da 4, 7. 2. contato: ‘raccontato’. 3. argute: agg. formulare; qui forse ‘taglienti’ (TROLLI 2003, p. 89). 4. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha baron; si preferisce qui la lezione metricamente più regolare di R. 5. menute: ‘minute, sottili’. 6. squarci: ‘pezzi’. roina: ‘distruzione’. 7. in pezo: ‘in peggio’. 8. il mezo: ‘la metà’.
7. 1. il star a bada: ‘il perdere tempo’. 2. ‘colpisce a due mani proprio sulla testa, dall’alto verso il basso’. 3. che ’l ferir agrada: ‘cui piace combattere’. 4. non s’aresta: ‘non si ferma’. 5. incontrosse: ‘si scontrarono’. 6. se odete: ‘si udì’. tanta tempesta: ‘tale fracasso’. Consueto topos dell’evento senza precedenti (cfr. I, ii, 68, 8). 7. per quelle confine: ‘in quel territorio’. 8. tuto ’l ciel roine: ‘precipiti al suolo’; formulare (cfr. I, iii, 5, 2).
8. 1. ussato: ‘abituato’. 2. ad erba: ‘a terra’. 4. ‘che gli rende pan per focaccia, che gli risponde colpo su colpo’. agresto: qualità di uva che resta aspra. 5-6. ‘si infuriò oltre misura, e indignato disprezzava il Cielo’. 7-8. ‘dicendo: «Dio non potrebbe evitare che io ti faccia cadere a terra tagliato in quattro pezzi!»’.
9. 1. crudo: ‘crudele’. 5. ‘perciò l’uno colpì l’altro nel mezzo dello scudo’. 6. oribil e diverso: coppia sinonimica formulare (cfr. I, v, 69, 8). 7. ‘spezzando tutti gli scudi con gran distruzione’. 8. Né·lor: ‘né il loro’. se raffina: ‘si interrompe’. Ottava aperta.
10. 1-2. ‘perché l’uno non vuole che l’altro si allontani con un minimo di vantaggio’. 4. sopra del camino: ‘sul campo’. 5. sparta: ‘sparsa’. 6. sicome polvino: ‘come polvere’. 7. lucente: ‘risplendenti’. alla: ‘nella’. 8. a guisa di tempesta: ‘come grandine’.
11. 3-4. ‘e valutando i colpi accuratamente non sanno giudicare quale dei due superi l’altro’. 8. ribombe: ‘rimbombi’.
12. 2. al piano: ‘alla pianura’. 4. cimeri: ‘cimieri’ (cfr. I, i, 38, 5). 6. Vi fò palese: ‘vi faccio palese, vi informo’. 7. magno: ‘grande’. 8. ‘e ha con sé i migliori tra i cristiani’.
13. 1. setantamiglia: ‘settantamila’. 2. tolto è: ‘è stato preso, scelto’. 3. ben guarniti: ‘ben equipaggiati’. 4. non ve avrìa diffese: ‘non potrebbe contrastarli’. 6. ‘e con lui fianco a fianco il valoroso Danese’. 7. il concistoro: ‘i personaggi più importanti’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 8. zigli d’oro: l’insegna francese (cfr. I, vii, 14, 2).
14. 1. ch’ha tuto ’l mondo a cianza: ‘che disprezza tutto il mondo’. 2. ‘chiese a Rinaldo chi fosse quella gente’. 6. ‘che tutti li considerava nulla’. 7. né altro combiato: cioè senza accomiatarsi da Rinaldo (cfr. I, xviii, 1, 8). 8. è driciato: ‘si dirige’.
15. 1. corso: ‘corsa’. 2. nol potea seguire: ‘non riusciva a inseguirlo’. 3. d’un pardo: ‘di un leopardo’. 5. Era ormai sera. 6. ‘avrebbe fatto parlare delle sue imprese molto di più’. Protasi e apodosi con l’indicativo imperfetto (cfr. II, v, 2, 5-6). 7. sparve: ‘scomparve’. 8. Impose fin: ‘pose fine’.
16. 2. ‘al braccio sinistro e sul fianco’. 4. dal grifone: ‘con il (simbolo araldico del) grifone’. 5. ‘e gli fosse stata rotta tutta l’armatura’. 6. la occisïone: ‘il massacro’. 7. a morti: ‘di cadaveri’.
17. 2. Partite: ‘divise, interruppe’. 5. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha non possò; si preferisce qui la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. non se possò: ‘non si riposò’. 6. è raquietata: ‘si è calmata’. 7. Va roinando: ‘distrugge’.
18. 1. ‘Si fa portare davanti tutti i prigionieri’. 3. figlio de Amone: Rinaldo. 4. ‘e spaventa alcuni e malmena altri’. 5. per altra cagione: ‘per un altro motivo’. 6. ito: ‘andato’. 8. Ottava aperta.
19. 1-2. ‘era andato a riprendersi Baiardo’. 4. e più non ha pensiero: ‘e non se ne cura più’. 5. ebe pigliato: ‘prese’. 6. Qual: ‘il quale’.
20. 1. asta: ‘lancia’. tropo sterminata: ‘enorme’. 2. arecare: ‘recare, portare’; per la forma cfr. I, ii, 4, 7. 6. Sanza: ‘senza’. non scià che si fare: ‘non sa che cosa fare’. 7. d’alto: ‘di grande’. 8. ‘salirono sulle navi e spiegarono le vele al vento’, cioè partirono.
21. 1. ‘Tutti i prigionieri e tutte le loro armi’. 3. cortese: ‘nobile’. 4. Menava: ‘conduceva’. 5. ‘ma chi fu lento a staccare gli ormeggi’. 6. Anacoluto. 8. roina: ‘furia’. in su quel lito: ‘su quella spiaggia’.
22. 3. A nome lo dimanda: ‘lo chiama per nome’. 5. sopra ala marina: ‘presso il mare’. 6. l’arnese aduna: ‘raccoglie l’armamento’. 7. ‘ciascuno si dà da fare più che può’. 7-8. Rima imperfetta.
23. 1. dà: ‘colpisce’. sencia: ‘senza’. 2. cognobe: ‘capì’. 3. fo il bel sbaratare: ‘si fece un bello sgombero’; ironico. 4. in rota: ‘in rotta’. mischini: ‘sventurati’. 8. ‘ma ciascuno si impegna solo nella fuga’.
24. 3. E sieco ne menàr: ‘e si portarono via’. 5. ‘avrebbe fatto un gran massacro’. 7. ‘Ma lui non pensava a questa vergogna’.
25. 2. Nanti: ‘davanti’. in genochion: ‘in ginocchio’. 5. era inviato: ‘si era diretto’. 6. ‘tutto solo per quei luoghi ombrosi’. 7. a quel camino: ‘per quella strada’. 8. Giva: ‘andava’.
26. Marcata ripresa dall’ottava precedente, con avvicinamento “a telescopio” della fonte e dei suoi poteri straordinari (cfr. I, iii, 33, 1). 3. un velenoso tosco: alla lettera ‘un veleno velenoso’. 5. fosco: ‘ombroso’. 7. Chiasmo. ‘migliore di aspetto e di effetto peggiore’. 8. in tuto: ‘completamente’.
27. 2. a·rricercarlo: ‘a cercarlo’; per la forma cfr. I, iii, 17, 7. 6. Del gran disio: ‘per il gran desiderio’. 7. a: ‘con’.
28. 1. simigliantemente: ‘allo stesso modo’. 2. si spacia: ‘si affretta’. 5. valente: ‘valoroso’. 6. o torni sieco in gratia: ‘o diventi suo amico’. 7-8. ‘perché, se lui muore, in terra non ho pari, e, se lui è con me, voglio conquistare il cielo’.
29. 2. la mera bontate: ‘l’assoluto valore’ (GDLI s. v. mero); TISSONI BENVENUTI 1999 preferisce mera ‘sfolgorante’. 3. e di lanza e di brando: ‘e con la lancia e con la spada’. 5. t’aricomando: ‘ti raccomando’ (cfr. I, ii, 4, 7). 6. ‘se sbarchi da queste parti’. 8. fia: ‘sarà’.
30. 1. Sobrino si era opposto all’invasione della Francia (II, i, 44-51). 2. si debe: ‘si deve’. 4. che meco a fronte è stato: ‘che mi ha affrontato’. 7-8. ‘A me, che mi vantavo di catturarli tutti, uno basta e avanza!’.
31. 2. ‘e, non conoscendo bene quella strada’. 3. Nel far del giorno: ‘all’alba’. 4. venïa ad agio: ‘si avvicinava lentamente’. 5. umano: ‘gentile’. 7. Quanto indi fosse: ‘quanto mancasse’. 8. e qual strata vi mena: ‘e quale strada vi conduce’.
32. 1. prestamente: ‘subito’. 2. ti sciò contar: ‘ti so dire’. 4. misero e tapino: coppia sinonimica. 5. Non riguardando: ‘non curandomi di’. 7. A strugimento: ‘alla mia consumazione’. 8. deslial: ‘sleale, crudele’.
33. 1. ben compiuto: ‘nella sua completezza’. 4. un ragio: espressione formulare che indica eccellenza (TROLLI 2003, p. 51); perciò qui ‘un prodigio di forza’. 6. Nascosamente: ‘di nascosto, in incognito’. 7. ’focata: ‘infuocata’, dalla passione.
34. 1. Egli anco: ‘anch’egli’. 2. primeramente: ‘in precedenza’. 3. novella: ‘notizia’. 5. ventura: ‘occasione’. 7. non avìa mai bene: ‘non aveva mai pace’.
35. 1. il giovenetto: ‘il giovane’. 2. quel re pagan: Rodamonte (è il sogg.). 3. stérno: ‘stettero’. a lor dileto: ‘a loro piacere’. 4. si dole e lagna: ‘si lamenta’; coppia sinonimica. 5-6. ‘Mentre parlavano così, Feraguto disse che veniva dalla Spagna’. 7. pur mo’: ‘proprio allora’. 8. gran tempo: ‘per molto tempo’.
36. 1. Doralice:è la donna amata da Rodamonte, che l’ha fatta effigiare sulla propria bandiera (cfr. II, vii, 28). 4. a man a mano: ‘subito’. 7. comportar: ‘sopportare’.
37. 1. grande: ‘di grande corporatura’. 2. crucioso: ‘iracondo’. assai ti disconviene: ‘non ti si addice proprio’. Come sarà spiegato a II, xxii, 37, 5-8, le persone di piccola statura sono più impetuose perché il loro cuore è più vicino alle membra. 3. me dimande: ‘mi chiedi’. 4. ‘risolveremo la questione tra noi, bene o male’. 5. altereza: ‘alterigia’. se spande: ‘si gonfia’ (TROLLI 2003, p. 275). 6. Porìa: ‘potrebbe’. 7. ebe a passare: ‘passò, finì’. 8. Pur di offendere l’avversario, Feraguto dimentica Angelica e dichiara un improbabile ritorno di fiamma per Doralice.
38. 2. ‘i due cavalieri si sfidarono a vicenda’. 4. a resta: ‘in posizione orizzontale’. se fòr rivoltati: ‘si diressero l’uno contro l’altro’. 5. Cfr. 7, 6. 6. ‘I due destrieri urtatisi di petto’. 7. adosso: cioè ‘sui cavalli’. 8. Topos dell’ineffabilità (cfr. I, i, 11, 6).
39. 2. Se fragelarno: ‘andarono in pezzi’. resta: la sporgenza dove si appoggia la lancia (I, i, 70, 6). 3. de sviluparsi se procura: ‘cerca di districarsi’. 4. ‘per cominciare lo scontro con la spada’. 6. sterminati: ‘smisurati’. 7. ‘dell’armatura e delle piastre rotte con violenza’. 8. ala: ‘nella’.
40. 1. indugia o sosta: coppia sinonimica (per indugia cfr. I, ii, 17, 7). 2. ‘ma quando l’uno minaccia, l’altro colpisce’; costrutto paraipotattico. 3. da longi: ‘da lontano’. 6. franca: ‘valorosa’. 7. cor: ‘coraggio’. lena: ‘forza’.
41. 3. saldo: ‘risoluto’. 4. Consueto tocco di regia, con spostamento dell’attenzione a un’altra vicenda del racconto. 5. convien: ‘bisogna’. 6. Dapoi: ‘poi’. soglio: ‘sono solito’. 7. ala distesa: ‘per esteso’. 8. ‘così che vi piacerà ascoltarla’.
42. 2. Inverso: ‘verso’. ala ripa: ‘lungo la riva’. 4. non pòte ritrovare: ‘non riuscì a trovare’. 5. Variazione sul celeberrimo Inf. I, 3. 8. a sé dreto: ‘dietro di sé’.
43. L’episodio è costruito su un registro allegorico e ha un preciso antecedente nel Roman de la Rose, vv. 631-1428 (cfr. I, xii, 26), testo che sarà sfruttato anche oltre per la leggenda di Narciso (II, xvii, 49-63). Il protagonista del Roman si ritrova nel giardino di Deduiz, personificazione della gioia d’amore, e osserva un tipico paesaggio da locus amoenus, molto simile a quello descritto da Boiardo. Diversi però sono i personaggi e gli sviluppi della vicenda, che nell’Inamoramento de Orlando assumono qualche tinta più umanistica. Il tema centrale è la punizione di Rinaldo che, essendosi seppur involontariamente disamorato, si è allontanato dalla cortesia. 1. fronzuta: ‘ricca di vegetazione’. 3. che d’amor il petto muta: ‘distoglie il cuore dall’amore’. 5. nova cosa: ‘una cosa inaspettata’. 6. dimorar: ‘sostare’. 8. Vermigli: ‘rossi’. Ottava aperta.
44. 1. un gioveneto ignudo: Amore. 2. solaciava: ‘si divertiva’. 3. Riformulazione dell’incipit dantesco Tre donne intorno al cor mi son venute. Le tre sono le Grazie. drudo: ‘amante’. 5. Non ha l’aspetto di un guerriero. 6. Chiasmo. 7. Porta i primi segni della barba.
45. 3. con zolia e con amore: ‘con gioia amorosa’; endiadi (TISSONI BENVENUTI 1999). 5. cridarno: ‘gridarono’. 6. il vilano: ‘lo scortese’. 7. dispregiator: ‘disprezzatore’. dileto: ‘piacere’. 8. ‘che è infine giunto nella trappola suo malgrado!’.
46. La punizione di Rinaldo ha un forte significato simbolico. I fiori, presenza abituale in ogni situazione amorosa, si trasformano in strumenti di tortura per il disamorato. 2. s’aventarno: ‘si avventarono’. 4. zigli: ‘gigli’. zacinti: ‘giacinti’. 5. percossa: ‘colpo’. li dole: ‘gli fa male’. 6. trova: ‘raggiunge’.
47. 2. vuoto: ‘svuotato’. 3. fuste: ‘fusto’. 4. Mambrino: cfr. 5, 3. 5. L’elmo non servì a nulla. 8. Amore lo prende per i piedi e lo trascina via.
48. 1. girlanda: da pronunciare probabilmente ghirlanda. 3. ‘ciascuna se la tolse in quell’occasione’. 4. da ferir: ‘per colpire’. 5. mercé dimanda: ‘chieda pietà’. 6. il baterno: ‘lo colpirono’. 7. lo girarno intorno: ‘lo fecero girare intorno’. 8. insin a megiogiorno: ‘fino a mezzogiorno’.
49. 2. ‘potevano opporsi a tali colpi’. 3. piagata: ‘ferita’. 6. ‘ha certo una pena minore, senza dubbio’. 7. de: ‘per’; con valore causale come di al v. 8.
50. 2. pregera: da pronunciare probabilmente preghera. vi valle: ‘gli serve’. 3. standossi: ‘standosene’. dimoro: ‘indugio’. 4. Crescerno: ‘crebbero’. 6. péna: ‘penna’.
51. 1. ‘E dopo un po’ si levarono in volo’. 3. si rimase: pseudoriflessivo. 4. piangiva: metaplasmo di coniugazione. 5. duolo: ‘dolore’. 6. l’anima gli ussiva: ‘stava per perdere i sensi’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 7. il: ‘lo’.
52. 1. iacea: ‘giaceva’. 2. ‘ed è assolutamente certo di morire lì’. 4. Cfr. 38, 8. 5. Pasitea: una delle tre Grazie. 6. in prima: ‘prima’. 7. servente: ‘servitrice’.
53. 2. te getò d’arzon: ‘ti fece cadere di sella’. 3. Se contrastar ti credi: ‘se credi di combattere’. 6. atendi: ‘fai attenzione’. 7. Se vòi fogir la: ‘se vuoi sfuggire alla’. 8. in altra sorte: ‘in modo diverso’.
54. 1. lege… statuto: sinonimi. 3. po’: ‘poi’. creduto: forse ‘affidato’ (GDLI s. v. credere) e dunque ‘concesso’. 5. oltragio: ‘affronto’. intravenuto: ‘accaduto’. 7. ‘può bilanciare questo dolore’; l’amore non ricambiato pesa più di ogni altro male. 8. ‘perché quel dolore supera ogni pena’.
55. 1-2. Poliptoto e ripresa dall’ottava precedente (MATARRESE 2004, p. 154). 3. converai: ‘dovrai’. 5. perch’intenda: ‘affinché tu capisca’. 7. sopra a una riva: ‘presso un fiume’. 8. Cfr. I, iii, 37, 8.
56. 1. ‘Il bel fiume scende di lì’. 2. novela: ‘fresca’. 4. ti martela: ‘continua a colpirti’. 5. peregrina: ‘bellissima’. 6. una ocela: ‘un uccello’; forma femm. arcaica (TISSONI BENVENUTI 1999). 7. del ciel aquista: ‘percorre un tratto di cielo’.
57. 1. doloroso: ‘addolorato’. 2. ‘dopo essersi imbattuto in un caso così drammatico’. 4-5. ‘come possa accadere un fatto così fuori dalle regole naturali, (cioè) che lui veda gente volare per l’aria’. 7. è vento: ‘è vinto’.
58. 1. tapino: ‘sventurato’. 2. languendo: gerundio con valore di participio presente. 4. Cercando: ‘esplorando’. spesso: ‘fitto’. 6. apresso: ‘vicino’. 7. stila: ‘stilla, sorge’. 8. Chiasmo. Ottava aperta.
59. 1. d’amor amar: bisticcio topico. 3. però: ‘perciò’. per far amende: ‘per riparare’, all’innamoramento di Tristano per Isotta (cfr. I, iii, 33). 5. ciò: l’amore. 6. quela giornata: ‘quella volta’. 7. bevete: ‘bevve’. 8. tante onte: cfr. I, iii, 39-50. Bisticcio.
60. 1. non se racordava: ‘non si ricordava’ (cfr. I, ix, 2, 1). 3. come aponto: ‘appena’. 6. fo presto chinato: ‘si chinò subito’. 8. bevete: cfr. 59, 7. non vi ebe riguardo: ‘non se ne curò’.
61. L’attenzione si fissa sull’acqua meravigliosa e sul fatto che Rinaldo la sta assumendo; Boiardo inserisce allora, tra l’ottava precedente e questa, un elaborato poliptoto incentrato sul verbo bere (MATARRESE 2004, p. 154). 1. alciando: ‘alzando’. 2. se parte: ‘si allontana’. 3. non se sacia: ‘non si sazi, non si estingua’. 5. ventura: ‘fortuna’. 8. altra fiata: ‘un’altra volta’. Ottava aperta.
62. 3. ricordosse: ‘si ricordò’. 4. ‘del che ora si pente amaramente’. Verso con marcata allitterazione. 6. pò: ‘può’. 7. verzero: ‘giardino’. 8. non sarrìa sì fiero: ‘non sarebbe così sdegnoso’.
63. 3. le amenta: ‘le ricorda’. 4. crudiel e dispietato: dittologia lirica tipica, solitamente attribuita alla donna che nega il proprio amore. 5. poche ore passate: ‘fino a poco fa’. 6. Più che sé stesso: anche questa è espressione formulare della poesia lirica. 7. ‘e ha il cuore tanto pieno d’amore’.
64. 2. Ancora una ripresa dall’ottava precedente. 3. Vienne a: ‘va da’. 5. una dongela: sapremo poi che è proprio Angelica. 6. rafigurare: ‘riconoscere’.
65. 1. manco: ‘sinistro’. 2. la cima: ‘la parte finale dei capelli’. 3. palafren: ‘cavallo’ (cfr. I, ii, 55, 2). crinuto: ‘dalla lunga criniera’. 4. ‘i cui finimenti sono tutti d’oro brunito’. 5. gli: ‘le’. 6. alto: ‘grande’. 7-8. Il cimiero ha la forma di un vulcano; il Mongibello, come noto, è l’Etna. La stessa insegna si trova nello scudo e sulla sopraveste. Sapremo in seguito che è Orlando.
66. 1-4. Lunga ripresa dall’ottava precedente, asseverata da Dico in apertura. 5. egli è mistiero: ‘è necessario’. 6. Questa ragion: ‘questo racconto’. 7. ‘per riunire le trame della storia, che sono sparse’.
67. 1. altiera: ‘orgogliosa’. 2. il cacia: ‘lo insegue’. 3. Chiasmo. alpestro: ‘impervio’ (TROLLI 2003, p. 82). grossa rivera: ‘fiume impetuoso’. 4. l’impacia: ‘la ostacolano’. 5. ligera: ‘leggera, veloce’. 6. ‘le faceva seguire inutilmente quella traccia’. 8. ocel: ‘uccello’.
68. 2. ‘e aveva mangiato solo foglie’. 3. falso: ‘traditore’. forte: ‘molto’. 5. presto: ‘svelto’. 7. di botto: ‘subito’. 8. il scoto: ‘il conto’. Tratto degno del Margutte pulciano (per quanto non suo esclusivo). La rima, non molto caratterizzante, è anche in Morgante IV, 33, 3-5.
69. 1. sargenti: ‘servi’. 2. Detro li sian: ‘lo inseguano’. orci… pignate: attrezzi da cucina. 3. stropeciando e denti: ‘nettandosi i denti’ (LUPARIA 1990, p. 115). 4. ghignate: ‘beffe’ (LUPARIA 1990, p. 114). 5-8. ‘per fare le quali conosceva tanti espedienti che le donne di Spoleto e di Foligno, che raggirano il prossimo dalla mattina alla sera, a malapena si sarebbero potute proteggere dalle sue astuzie’. Il senso è abbastanza chiaro, ma sfuggono i riferimenti precisi, che dovevano contare su qualche detto popolare molto noto (LUPARIA 1990, p. 114-115).
70. 2. longe: ‘lontano’. 3. sempremai: ‘sempre’; forma rafforzata. 4. Egli è ben desso!: ‘È proprio lui!’. 5. di quel gioton: ‘di quel furfante’. 7. ‘e loro riuscivano solo a minacciarlo con il dito’.