CANTO VENTIQUATTRESIMO

I racconti di guerra si addicono agli animi nobili e dunque al pubblico del romanzo (1-3). Prosegue la battaglia tra l’esercito di Carlo e quello di Marsilio. Feraguto e Rodamonte cavalcano con i loro contro i cristiani. Carlo organizza una schiera per contrastarli, ma Feraguto è formidabile: uccide Otachiero e disarciona Gano. Nella confusione generale molti baroni cadono, mentre non si trovano Orlando e Rinaldo. L’imperatore invoca Dio e affronta Feraguto, ma ne è abbattuto e sembra morto (3-21). Balduino, figlio di Gano, trova Orlando e gli dice di Carlo: il conte si infuria e si dirige rapidamente verso l’imperatore. Uggero di Dardena raggiunge invece Rinaldo e lo esorta a correre in soccorso di Carlo, sempre che Orlando non abbia già provveduto. Rinaldo parte subito e riesce a salvare l’imperatore che, circondato dai nemici, è allo stremo (22-39). Sopraggiungono Feraguto e Marsilio che fanno strage di avversari, ma i cristiani vedono Rinaldo a cavallo e si rinfrancano passando al contrattacco. Carlo affronta Marsilio e Rinaldo si scontra con Feraguto. La zuffa tra questi due è violentissima: Rinaldo perde i sensi e sta per cadere, ma poi si riprende e colpisce il saraceno tramortendolo (40-52). Il racconto torna a Orlando che vede Carlo ormai in salvo e teme di avere perso Angelica. Il paladino decide di vendicarsi contro i saraceni e comincia a massacrarne quanti gliene vengono a tiro. La notizia arriva a Rodamonte, che si precipita dove è Orlando per affrontarlo (52-66).

1.
Quando la tromba ala bataglia infesta
Sonando al’arme sveglia il crudo gioco,
Il bon destrier soperbo alcia la testa
Batendo e pedi, e par tuto di foco:
Squassa le crine e menando tempesta
Borfa ’le nare e non ritrova luoco,
Ferendo a calci a chi s’avicina,
Sempre innisse e mena alta roina;

2.
Cossì ad ogni ato degno e signorile
Qual se raconti, di cavaleria,
Sempre s’alegra l’animo gentile
Come nel fatto fosse tuttavia,
Manifestando fuor, il cor virile,
Quel che gli piace e quel che più disìa:
Onde io di voi comprendo il spirto audace,
Poi che d’odirme vi diletta e piace.

3.
Non debbo adunqua a gente sì cortese
Donar dileto a tuta mia possanza?
Io debbo e voglio e non facio contese,
E torno ov’io lassai, nel’altra stanza,
Di Feraguto che ’l monte discese,
E Rodamonte, con tanta aroganza
Che dai lor guardi e del’oribil faza
Par che ’l ciel tremi e ’l mondo se disfaza.

4.
Venìan davanti agli altri e doi baroni
Più d’una arcata per quela pianura.
Sì come fuor del bosco i fier leoni
Ch’abian scorto l’armento ala pastura,
Cossì venìan spronando e lor ronzoni
Sopra la gente che de ciò non cura:
Io dico e cristïan e Carlo Mano,
Che ben veduti gli han calar al piano.

5.
L’imperator gli vide ala costiera
(Dico e pagani e ’l re Marsiglïone);
Abenché alora non sapëa che gli era,
Pur fece presto a ciò provisiöne:
Subitamente fece una gran schiera
De cavalier arditi e gente bone;
Ove gli trova, senza altro riguardo,
Tuti gli aduna intorno al suo stendardo.

6.
Poi mosse Carlo questa compagnia
Sopra un destrier a tera copertato.
Per quel furor la tera sbigotìa:
Tamburi e trombe sonan d’ogni lato.
Marsiglio d’altra parte anco vien via,
Ma son davanti (com’io v’ho contato)
Il franco Feraguto e Rodamonte:
E doi de’ nostri a lor scontrarno a fronte.

7.
Il conte Gano e l’ongaro Otachiero
Contra di lor spronarno a gran baldanza;
E Rodamonte, che gionse primero,
Scontrò nel scudo al conte di Maganza;
Tuto ’l fracassa il saracin altiero,
E usbergo e ’l fianco passa con la lanza.
Turpin il dice, e io da lui lo scrivo,
Che Satanasso alor lo tiéne vivo:

8.
Questo servicio alor gli fiè de certo
Per far dapoi del’anima più stracio!
Or Feraguto, il cavalier esperto,
Ben dete ad Otachier più presto spacio:
Usbergo e scudo tuto gli ebe aperto,
Detro ale spale andò di lanza un bracio.
Caderno entrambi a grave disconforto,
L’un megio è vivo e l’altro al tuto morto.

9.
E doi pagan lassàr costor in tera
E dan tra ’ nostri a briglia abandonata.
Il conte Gano ben presto si sfèra
E se nascose, l’anima damnata!
Or chi m’aiuta a ricontar la guera
Che fan color, crudiel e disperata?
Io non me credo maï poter dire
L’aspre percosse e ’l lor crudo ferire:

10.
Lingua di fero e voce di bombarda
Bisognarebe a questo raccontare,
Che par che ’l ciel di lampi e di foco arda
Vegendo e brandi intorno fulminare!
E benché nostra gente sia gagliarda,
Contra a’ doi saracin non può durare:
Come iudichi il Ciel quel giorno a morte
L’imperator e la sua real corte.

11.
Questo da quela e quel da questa banda
Arme e persone taglian a traverso.
Il re Carlon a Dio s’aricomanda,
Che come gli altri di stupor è perso,
Benché per tuto provede e comanda;
Ma tanto è ’l crido orribil e diverso
Di gente occisa, e d’arme il gran romore,
Che non sentrebbe alcun l’imperatore.

12.
Ma ciascadun, ove meglio far crede,
Corre ala zuffa come disperato.
Ben vi sciò dir, se Dio non gli provedde,
Che Carlo questo giorno è disertato!
E rimarà la Franza senza erede,
Che ogni baron a quel campo è tagliato,
Ed è occiso anco il popul più menuto
Da Rodamonte insieme e Feraguto.

13.
Dal destro lato intrò re Rodamonte
Col brando di Nembrot ad ambe mano,
E partì Ranibaldo per la fronte,
Duca de Anversa, ch’è bon Cristïano;
Dapoi Salardo, che d’Alverna è conte,
Taglia a traverso e lassa morto al piano;
Ugo e Ramondo trova il maledetto:
L’un fin al colo e l’altro fende al peto,

14.
Quel di Cologna, e questo era Picardo.
Il saracin a tera gli abandona
E gli altri occide senza alcun riguardo,
Quel re che di prodeza è la corona.
Né di lui Feraguto è men gagliardo,
Che maraviglie fa dela persona:
Raner di Rana, il patre d’Olivero,
Ferito a morte abate del destriero.

15.
Il conte Ansualdo, il qual era alemano,
Ed è signor dela cità de Nura,
Percote sopra al’elmo ad ambe mano
E tuto ’l parti insin ala cintura.
Tuta la gente fuge per il piano:
Chi non avrìa di que’ colpi paura?
’L duca di Clevi e ’l duca di Sansogna,
Ciascun ha un colpo e più non vi bisogna,

16.
Però che ’l colo ad un tagliò di neto:
Volò via il capo e l’elmo col cimero;
L’altro divise dala fronte al peto;
Poi dà tra gli altri, quel saracin fiero.
Re Carlo avea di ciò tanto dispetto
Che non capìa di doglia nel pensiero!
Ecco Marsiglio ariva, e la gran gente:
Non scià re Carlo che farsi nïente.

17.
Nïun Renaldo vi è, nïun Orlando,
Nïun Danese e nïun Olivero!
Chi qua chi là nel campo combatando,
Ciascun de adoperarse avìa mistiero;
Onde il bon re, d’intorno riguardando,
Poi che non vede conte o cavaliero
Ch’a soi nemici più se volte ’n faza,
Fasse la croce e ’l forte scudo imbraza,

18.
Dicendo: «O Dio, che mai non abbandoni
Chiunque in Te spera con perfeto core
(Sì come fan adesso e mei baroni
Ch’abandonan al campo il suo signore;
Meglio è morir, e poter star tra ’boni,
Che più campar al mondo in disonore!).
Aiutame, mio Dio, dami baldanza!
In Te sol fido e ho la mia speranza».

19.
Tra le parole una grossa asta aresta,
Sempre chiamando a Dio del ciel aiuto,
E dove è la bataglia e più tempesta
Sprona il destrier e scontra Feraguto.
Proprio ala vista il gionse nela testa,
Poco mancò che non fosse caduto!
Ma tal possanza avea il crudo barone
Che se manten a forza nel’arzone.

20.
La lanza volò in pecci con romore
E Feraguto, che ’l colpo avea preso
Qual mai pigliato non avìa il magiore,
Se rivoltò di furia e d’ira acceso:
Gionse nel’elmo al franco imperatore
E sopra al prato lo mandò disteso.
Ciascun che ’l vide, crede ch’el sia morto:
Ben han e nostri e crucio e disconforto!

21.
Ma sopra agli altri il franco Balduino,
Benché sia nato dela falsa gesta,
Forte piangendo se chiama tapino,
E via corendo di cercar non resta
Per ritrovar Orlando paladino.
Ugero di Dardena ancora in questa,
Vegendo il fato se partì di saldo
E va corendo per trovar Renaldo.

22.
Ma il re Marsilio entrò nela bataglia,
Sonando trombe e corni e tamburini:
E tanto è il crido dela gran canaglia
Che par che nel’abisso il ciel roini.
La nostra gente tutta se sbaraglia,
Perché adosso gli sónno e saracini
Che gli tagliano tutti a pezi e a·ffetta:
Chi può fugir, nel campo non aspeta!

23.
Ma Balduin cercando atrovò il conte
Che pur alor occise Balgurano:
Come di sangue là fosse una fonte,
Fato avea rosso tuto intorno il piano.
E Balduin, batendosi la fronte,
Conta piangendo come Carlo Mano
È morto al campo, o sta con tal martire
Che in poco d’ora converà morire.

24.
Orlando ale parole stete un poco
Per la gran doglia che gli gionse al core,
Ma poi divenne rosso com’un foco
Batendo e denti insieme a gran furore;
Da Balduin avendo inteso il loco
Ove abatuto è Carlo imperatore,
Là s’abandona quel’anima fiera:
Ciascun fa luoco più che volentiera.

25.
E chi nol fa ben presto, se ne pente,
Che lui non cegna, ma del brando mena
Ed è tanto turbato e tanto ardente
Che non discerne e soi dagli altri a pena:
Per quel camin occise una gran gente.
Ma ritorno ad Ugero di Dardena
Qual mai non pòssa, cercando a ogni mano,
Sinché ha trovato il sir de Montealbano;

26.
Né ’l conoscìa, tanto era sanguinoso
Che ’l scudo avea coperto e l’armatura.
Poi che ’l conobe, tuto lacrimoso,
Gli racontò la gran disaventura,
Come era andato il fato doloroso
E che ’l re Carlo, sopra ala pianura,
Era abatuto, dela vita in bando,
Se non l’ha già soccorso il conte Orlando;

27.
Perché venendo lo vide passare
Ed era sieco a lato Baldovino,
Qual forse questo gli debe contare,
Però che anco esso a Carlo era vicino.
Quando Renaldo odìa ciò racontare,
Forte piangendo disse: «Ahimè tapino,
Che s’egli è ver ciò che costui favela,
Perduta ho in tuto Angelica la bela!

28.
E di me prima se vi gionge Orlando,
Io sciò che Carlo aiuterà di certo
E io sarò, come fo’ sempre, in bando,
Disgracïato, misero e diserto!
Almen potevi tu venir trotando!
Venuto sei di passo: io il vedo aperto,
Né mel farìa discreder tuto ’l Cielo,
Ché ’l tuo destrier non ha sudato un pelo!».

29.
«A tuta briglia, sempre speronando,»
Rispose Uger «e tu pur fai dimora!
Or che sai tu se qualche impacio Orlando
Ha retenuto, e non gionto sia ancora?
Tu provar debe la Ventura, e quando
Venga falita, lamentarti alora!
Sì presto è ’l tuo destrier ch’a questo ponto
Prima d’ogni altro ti vedo esser gionto.»

30.
Parbe a Renaldo ch’el dicese il vero,
Però ben presto se pose a camino,
Spronando a tuta briglia il suo destriero:
A gran fracasso va quel paladino!
Qualunque trova sopra del sentiero,
O voglia esser cristian o saracino,
Con l’urto geta a tera o con la spada,
Né vi ha riguardo, pur ch’avanti vada:

31.
Morcolfo il grande (che fo un pagano
Che servìa in corte il re Marsiglïone),
Il qual seguendo e nostri in su quel piano,
Scontrossi a caso nel figlio d’Amone,
Che de Fusberta lo gionse a do mano
E tuto lo partì fino al galone;
E poco apresso trova Folvirante,
Re di Navara (di cui disse avante):

32.
Renaldo d’una ponta l’ha percosso,
Detro ale spale ben tre palmi il passa
E d’urto gli caciò Baiardo adosso,
Percotendolo a tera, e qui il lassa;
E Baliverno, quel saracin grosso
Ch’avea rivolto al capo una gran fassa,
De cotal colpo toca con Fusberta
Che gli ha la faza insin al colo aperta.

33.
Renaldo non gli stima tuti un asso,
Purché se spaci a trovar Carlo Mano.
Ecco un abbate ch’è davanti al passo,
Limosiner di Carlo e capelano:
Grassa era la sua mula, e lui più grasso,
Né scià che farsi, abenché sia nel piano.
Questo avea tanta tema di morire,
Che stava fermo, e non sapea fugire.

34.
Renaldo l’urta a megio del camino:
Lui cade sotto, sopra è la sua mula.
Quel che ne fosse, non scrive Turpino
E io più oltra ve ne sciò dir nula.
Sopra a lui salta il franco paladino
E ben col brando intorno se trastulla
Facendo braze e teste al ciel volare:
Ben ve sciò dir che largo se fa fare!

35.
Ecco davanti vide una gran folta,
Ma che sia in megio non può discernire.
Questa è gente pagana, ch’era involta
D’incerco a Carlo per farlo morire;
E detro tanta ve n’era raccolta
Che ad alcun modo non potëa gire;
Benché lui mostri arditamente il viso
E si diffenda, pur l’avrìan occiso.

36.
Renaldo adosso a lor sprona Baiardo,
Avengaché non sapea di quel’atto;
Ma come dentro al cerchio fiè riguardo,
Subitamente s’accorse del fato.
Qua vi sciò dir che se mostra galiardo!
Onde il re Carlo il cognobe di trato,
«Aiutami,» dicendo «figliol mio!
Ch’al mio soccorso t’ha mandato Idio!».

37.
Parlava Carlo e tutavia col scuto
Stava coperto e la spada menava:
E veramente gli bisogna aiuto,
Tanta la gente adosso gli abondava!
Di Cordoba era el conte qua venuto
(Partan il saracin se nominava),
Qual mai non lassa che Carlo se mova:
Per dargli morte pone ogni gran prova.

38.
Ma gionto da Renaldo al’improviso,
Non se diffese, tanto s’impaurì
(Abench’in ogni modo io facia aviso
Che ’l fato serìa pur gito cossì);
Renaldo dà nel’elmo, e fése il viso,
E ’l manto e ’l colo e ’l peto gli partì.
Làssalo andar, e mena a più non posso
A un altro ch’al re Carlo è pur adosso:

39.
Questo era el conte de Alva, Paricone.
Renaldo lo tagliò tutto a traverso
E prese prestamente il suo ronzone,
Però che quel di Carlo era già perso;
E tanto se sostenne il fio d’Amone
Dando e toliendo in quel stormo diverso,
Ch’a mal dispeto di ciascun pagano
Sopra al destrier salì re Carlo Mano.

40.
Né bisognava che fosse più tardo,
Perché non era apena in sula sela
Che Feragù, il saracin galiardo,
E ’l re Marsilio agionse proprio in quela.
Venìan quei doi pagan senza riguardo,
Ciascadun a do man toca e martela:
Come era gente rota e dissipata
Venìan foriando a brilia abandonata.

41.
La nostra gente avante a lor non resta,
Ma fuge in rota, piena di spavento;
Che avìa frappato il viso e chi la testa:
Non fo veduto mai tanto lamento!
Ma quando Carlo e i baron di soa gesta
Al campo se voltàr con ardimento
E apparbe Renaldo in sul Baiardo,
Che più fugiva più tornò galiardo.

42.
Sonàr le trombe. El crido se rinova
E la bataglia più s’accende e aviva:
Ciascun intorno a Carlo se ritrova,
Né mostra d’esser quel che mo’ fugiva,
Anci per amendar pone ogni prova.
Marsiglio, che sì rato ne veniva,
E Feraguto ancor dal’altro canto,
A ciò mirando s’affermarno alquanto:

43.
Ciascun di lor in sula briglia sta,
Già non temendo ch’altri se gli apressi!
Or l’un e l’altro a furia se ne va
Ove e nemici son più folti e spessi.
E’ si sòl dir che Dio gli omini fa,
Poi se trovano insieme per sé stessi:
Sì come Carlo al re Marsiglïone
Trovosse, e Feragù al fio d’Amone.

44.
O colpi orrendi, o bataglia infenita!
Che chi l’avesse con gli ochi veduta,
Credo che l’alma tuta sbigotita
Per tema avrìa cridato: «Aiuta! Aiuta!»,
E poi che fossi for del corpo ussita,
Mai non sarebe in quel luoco venuta,
Per non veder in viso e doi guerieri
D’ira infiammati e d’aroganza fieri.

45.
Or de Marsiglio e del’imperatore
Vi lassarò (ch’io non ne fo gran stima),
E contarò la forza e ’l gran valore
Degli altri doi che son d’ardir in cima.
A comenciarla mi spaventa il core:
Che debo io dir al fin? che dirò in prima?
Doi fior de gagliardia, doi cor di foco
Sono a bataglia insieme a questo loco.

46.
E’ comenciarno con tanta roina
L’aspra baruffa e con tanto fracasso
Che già non sembra che dala matina
Sian stati in arme, al sol ch’era già baso.
Ciascun star al suo loco se destina,
Né se tirar dal campo adetro un passo,
Menando colpi di tanto furore
Che a ’ riguardanti fa tremar il core.

47.
Renaldo gionse in fronte Feraguto,
E se non era quel’elmo affatato
L’avrïa franto in peci sì menuto
Che nel’arena non se avrìa trovato;
Calò Fusberta, e giù colse nel scuto
Ch’era di nerbo e di piastra ferato:
Tuto lo speza, e toca nel’arzone.
Mai non se vide tal destrutïone!

48.
E ben risponde il saracin al gioco,
Ferendo a lui nel’elmo di Mambrino:
E quel se divampava a fiama e foco,
Ma nol pòte atacar, cotanto è fino;
Il scudo fracassò proprio a quel loco
Ch’a lui l’avea fracato il paladino,
E gionse nel’arzon a gran tempesta:
Più de tre quarti en porta ala foresta

49.
Né pone indugia, ch’un altro ne mena
E gionse pur nel’elmo di traverso;
Pensati s’egli avea soperchia lena:
Quasi Renaldo a tera andò roverso.
E’ se sostenne con fatica e pena,
La vista aveva e l’inteleto perso;
Baiardo il porta e nel corso si serra,
Ciascun che ’l guarda dice: «Eccol in tera!

50.
Ma pur rivien e, vegendo il periglio
A ch’era stato e la vergogna tanta,
Tuto nel viso divene vermiglio,
Dicendo: «Un saracin di me se vanta!
Ma se mo’ mo’ vendeta non ne piglio,
La vita vuò lassarvi tuta quanta;
E l’anima al’Inferno e ’l corpo ai cani,
Se mai di ciò se vanta tra ’ pagani!».

51.
Mentre che parla, ponto non s’aresta,
Ma mena a Feraguto invelenito
E gionse il colpo orribil ala testa
Tal che ale crope il pose tramortito.
Ferir non fo giamai di tal tompesta!
Ben stava il saracin a mal partito,
Per ussir d’ogni lato del’arzone:
Quasi megiora stete in stordigione.

52.
Il sangue gli ussìa for di boca e naso:
Già n’avea l’elmo tuto quanto pieno.
Or lassar me il convien in questo caso,
Che la storia ad Orlando volge il freno.
Detro a Renaldo è ’l paladin rimaso,
Però che ’l suo destrier core assai meno
(Io dico Brigliador che non Baiardo);
Però qua gionse il conte un poco tardo.

53.
Quando fo gionto, e vide il re Carlone
For di periglio in sul’arzon salito,
Ch’avea affrontato il re Marsiglïone,
Anci in tre parte già l’avea ferito;
E d’altra parte il franco fio d’Amone
Conduce Feraguto a mal partito;
Quando ciò prese il conte a rimirare,
«E mi,» diceva «qua non ho che fare!

54.
A quel ch’io vedo, le poste son prese:
Mal agia Balduin, il traditore,
Qual bene è dela gesta magancese,
Che in tuto ’l mondo non è la pegiore!
Per lui son consumato ala palese,
Perduta è la speranza del mio amore;
Persa è mia zolia e ’l mio bel paradiso,
Per lui, che tardo gionse a darmi aviso!

55.
Ben dirà Carlo ch’io véne in gran freta,
Per dargli aiuto, comm’io debbo fare!
Ma tu, gente pagana maledeta,
Tuta la pena convirai portare:
Sopra di voi serà la mia vendeta!
E s’io dovessi il mondo roinare,
Farò quanto Renaldo questo giorno,
O che davanti a Carlo mai non torno!».

56.
Cossì dicendo, indreto se rivolta
Torcendo gli ochi de disdegno e d’ira.
Sì come un tempo oscuro alcuna volta
Che brontolando intorno al ciel s’agira,
E ’l tristo vilanel che quello ascolta,
Guarda piangendo e forte se martira,
E quel pur vien e ha il vento davante,
Poi con tempesta abate arbori e piante,

57.
Cotal veniva col brando a do mano
Il conte Orlando, orribil a guardare.
Non ebe tanto ardir alcun pagano
Che sopra al campo osasse d’aspetare:
Tuti a roina e in folta se ne vano,
Ma il conte altro non fa che speronare,
Dicendo a Brigliador gran vilania,
Dandoli gran cagion del mal ch’avìa.

58.
Il primo ch’egli agionse, in suo mal ponto,
Fo Valibrun, il conte di Medina,
E tuto lo partì (com’io vi conto)
Dal capo in sul’arzon con gran roina;
Posia Alibante di Toledo ha gionto,
Che non avea la gente saracina
Di lui magior ladron e più scaltrito:
Orlando per traverso l’ha partito.

59.
Poi dà tra gli altri, e trova Baricheo
Ch’ha il tesor di Marsilio in suo domino:
Costui primeramente fo giudeo,
E dapoi cristïan, poi saracino,
E in ciascuna lege fo più reo,
Né credeva in Macon né in Dio divino.
Orlando lo partì dal zuffo al peto,
Non sciò chi s’ebe il spirto maledeto.

60.
Non sciò se tra iudei o tra pagani
Giù nel’Inferno prese la sua stanza.
Il conte il lasia e tra ’ saracin cani
Ferisse ad ogni banda con baldanza.
Sì come in Puglia, negli aperti piani,
Ponése il foco alcun per mala usanza
Quando trà il vento e la biada è matura:
Ben farìa largo e neto alla pianura;

61.
Cotal tra ’ saracin il sir d’Anglante
Tagliando e dissipando ne veniva.
Ecco longe cernito ebe Origante,
Ma nol volse ferir quando fugiva,
Anci correndo gli passò davante
E poi se volta e nel scudo lo ariva,
E taglia il scudo e lui con Durindana
Sì che in doi peci il manda a tera piana.

62.
Di Malica signor era il pagano
Qual v’ho contato ch’è in doi pezi in terra.
Orlando toca Urgin ad ambe mano
E in doe bande a ponto lo disserra.
A Rodamonte, il qual era lontano
E facea in altro luoco estrema guera,
FO aportato a furia il gran periglio
Nel qual è Feragù e ’l re Marsiglio.

63.
Incontinenti lascia Salamone,
Quel di Bertagna, ch’era rimontato:
E mal per lui, però che nel galone
E in faza Rodamonte l’ha piagato,
E già lo trabucava del’arzone,
Che tuto ’l mondo non l’avrìa campato;
Quando quel messo ch’io disse giongìa,
Lui lassa Salamon e tira via.

64.
E nel’andar trovò il duca Guielmino,
Sir de Orlïense, de iesta reale:
Insin ai denti il parte il saracino,
Ché la barbuta o l’elmo non vi vale.
Quanto più andando avanza del camino,
Più gente urta per tera e fa più male;
Ovunque passa, quel pagan ardito,
Qual morto abate e qual forte ferito.

65.
Miser Ottin, il conte di Tolosa,
E ’l bon Tebaldo, duca di Borbone,
Per tera abate in pena dolorosa.
E via passando, con destrutïone,
Trovò la tera tutta sanguinosa
E un monte de destrieri e de persone
L’un sopra al’altro morti e dissipati:
Il conte è quel che gli ha sì mal menati.

66.
Quivi le strida e ’l gran lamento e ’l pianto
Son in quel luoco ove se trova Orlando,
Qual era sanguinoso tuto quanto
E mena intorno con roina il brando.
Ma già fenito nel presente è ’l canto,
Ché non me n’era accorto, ragionando.
Segue l’assalto di spavento pieno
Qual fo tra il conte e ’l figlio d’Ulïeno.

1. Anche questo canto è tutto guerresco e si apre con un lungo paragone i cui due elementi sono collocati rispettivamente nella prima e nella seconda ottava, entrambe uniperiodali. Gli esegeti hanno notato che la similitudine del cavallo ha diversi precedenti classici e romanzi; quello più vicino sembra essere ovidiano: «Ut fremit acer equus, cum bellicus aere canoro / signa dedit tubicen, pugnaeque adsumit amorem» (Met. III, 704-705: BRUSCAGLI 1995; altri riscontri in DONNARUMMA 1992, pp. 531-532 e ZAMPESE 1994, pp. 187-188). Ulteriori paragoni topici si incontreranno più avanti (p. es. 4, 2-3; 60-61). 1. infesta: ‘funesta’; latinismo. 2. Sonando al’arme: ‘dando il segnale della battaglia’. crudo: ‘crudele’. gioco: la consueta metafora per il combattimento (cfr. I, xvi, 14, 2). 3. bon: ‘valente’. alcia: ‘alza’. 4. e pedi: ‘i piedi’. 5. menando tempesta: ‘dimenandosi furiosamente’. 6. ‘soffia dalle narici e non sta fermo’ (cfr. I, ii, 33, 8). 7. Ferendo… a: ‘colpendo’. 8. innisse: ‘nitrisce’; latinismo. È lezione del solo P, che richiede dialefe prima di e; gli altri testimoni danno un più consueto e metricamente regolare anitrisce, con prefissazione o prostesi sett. mena alta roina: ‘smania violentemente’.

2. 1. ato degno: ‘gesto nobile’. 2. Qual: ‘il quale’. 3. s’alegra: ‘si rallegra’. gentile: ‘nobile’. 4. ‘come se proprio partecipasse al fatto’. 5. virile: ‘coraggioso’. 6. disìa: ‘desidera’. 8. diletta e piace: coppia sinonimica.

3. 2. ‘dare divertimento quanto più posso’. 3. non facio contese: ‘non mi oppongo’. 4. lassai: ‘interruppi’. stanza: ‘canto’; ma forse è termine più canterino e vale ‘seduta di recitazione’ (TISSONI BENVENUTI 1999).

4. 1. e doi baroni: ‘i due cavalieri’. 2. una arcata: ‘un tiro d’arco’; modo consueto di indicare la distanza. 3. fier: ‘feroci’. 4. ‘che abbiano visto il gregge al pascolo’. 5. e lor ronzoni: ‘i loro cavalli’. 6. ‘contro la gente che non se ne preoccupa’. 8. al piano: ‘verso la pianura’; cioè il luogo dove si svolge lo scontro.

5. 1. gli: ‘li’. ala costiera: ‘sulla costa del monte’. 3. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha alhor; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. che gli era: ‘chi fossero’. 4. ‘tuttavia prese subito provvedimenti’. 6. gente bone: ‘soldati valorosi’. 7. senza altro riguardo: ‘senza tenere conto di altro’ (TROLLI 2003, p. 244); espressione formulare. 8. gli aduna: ‘li raduna’.

6. 2. a tera copertato: ‘i cui paramenti toccavano terra’. 3. sbigotìa: ‘si sbigottiva’. 5. ‘Anche Marsilio arriva dall’altra parte’. 6. contato: ‘raccontato’. 7. franco: ‘valoroso’. 8. ‘e due dei nostri li fronteggiarono’.

7. 1. ongaro: ‘ungherese’. 2. a: ‘con’. 3. primero: ‘per primo’. 4. Scontrò nel scudo: ‘colpì con la lancia nello scudo’. 5. altiero: agg. formulare; qui potrebbe valere ‘feroce’. 6. usbergo: ‘corazza’ (cfr. I, ii, 61, 3). passa: ‘trafigge’. 7. Turpin: fonte abituale, specialmente per i fatti più inverosimili (cfr. I, i, 61, 7). 8. lo tiéne vivo: ‘lo mantenne in vita, lo salvò’.

8. 1-2. ‘Di certo gli rese questo servigio allora per fare poi maggiore strazio della sua anima’. Gano tradirà i cristiani a Roncisvalle e avrà dunque un peggiore supplizio all’Inferno. 4. dete… spacio: ‘si liberò, eliminò’. 5. gli ebe aperto: ‘gli squarciò’. 6-7. ‘la lancia uscì di un braccio dalla schiena. Caddero entrambi con grande sofferenza’. 8. megio è vivo: ‘è mezzo vivo’.

9. 1. lassàr: ‘lasciarono’. 2. dan: ‘colpiscono’. abandonata: ‘sciolta’. 3. si sfèra: ‘si sconficca la lancia dal corpo’. 5. Formula di coinvolgimento del lettore. ricontar: ‘raccontare’. 6. disperata: ‘spaventosa’ (TROLLI 2003, p. 134). 7. dire: ‘descrivere, narrare’. 8. Le espressioni contenute nei due emistichi sono pressoché sinonime e indicano la ferocia dei colpi dei combattenti.

10. 1-2. È topica la dichiarazione per cui la forma poetica si dovrebbe adeguare al contenuto, specie in situazioni eccezionali; basti ricordare il dantesco «S’ïo avessi le rime aspre e chiocce» (Inf. XXXII, 1). Ma qui la fonte più prossima sembra Aen. VI, 625-627: «non, mihi si linguae centum sint oraque centum, / ferrea vox, omnis scelerum comprendere formas, / omnia poenarum percurrere nomina possim» (PRALORAN 1995, p. 43). 4. ‘vedendo le spade che lanciano bagliori intorno’ (TROLLI 2003, p. 156). 6. durare: ‘resistere’. 7. ‘come se il Cielo in quel giorno avesse condannato a morte’.

11. 1. banda: ‘parte’. 2. a traverso: ‘per traverso’. 3. s’aricomanda: ‘si raccomanda’ (cfr. I, ii, 4, 7). 4. di stupor è perso: ‘è smarrito per la sorpresa’. 5. ‘benché intervenga e dia ordini dappertutto’. 6. orribil e diverso: coppia sinonimica formulare (cfr. I, v, 69, 8). 8. sentrebbe: forma sincopata.

12. 2. disperato: ‘forsennato’. 3. sciò: ‘so’. non gli provedde: ‘non vi provvede’. 4. è disertato: ‘è rovinato’. 5-6. I nobili francesi saranno tutti uccisi e dunque non potranno avere figli. 7. il popul più menuto: le classi non nobili.

13. 1. intrò: ‘entrò (nella mischia)’. 2. Nembrot: cfr. II, xiv, 32, 6. ad ambe mano: cfr. I, v, 3, 4. 3. partì: ‘tagliò’. 5. Dapoi: ‘poi’. Alverna: Alvernia. 6. al piano: ‘a terra’. 8. fende: ‘taglia’. Ottava aperta.

14. 4. di prodeza è la corona: ‘è il migliore quanto a valore’. 6. dela persona: alla lettera ‘con la (sua) persona’. 7. Raner di Rana: cioè Raniero di Reims. Incongruenza rispetto a quanto Boiardo aveva scritto a I, xxviii, 10, 1-2, dove – secondo Rinaldo – il padre di Olivieri sarebbe già stato ucciso da Carlo per colpa di Orlando. Nella Spagna ferrarese si dice esplicitamente: «Ulivier, figliuol de Rainer de Raina» (XXXI, 6, 1).

15. 1. alemano: tedesco. 2. Nura: forse Norimberga. 3. Percote: ‘colpisce’; il sogg. è Feraguto. 4. parti: cioè parte ‘taglia’ (piuttosto che partì), con desinenza dialettale o forse influenzata dall’iniziale seguente. Tranne P, la cui lezione è a testo, tutti i testimoni hanno parte. 6. avrìa: ‘avrebbe’. 8. ha: ‘riceve’. Ottava aperta.

16. 1. Però che: ‘perché’. 2. cimero: ‘cimiero’ (cfr. I, i, 38, 5). 4. : ‘colpisce’. 6. ‘che non stava in sé per il dolore’. 8. Non scià… che farsi nïente: ‘non sa per nulla che cosa fare’.

17. 1-3. Le anafore accentuano il senso di smarrimento e confusione di Carlo e dei cristiani. 1. Nïun: ‘nessun’. 3. combatando: per la forma del gerundio cfr. I, xvi, 40, 5. 4. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha adoprarsi; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni. ‘ciascuno doveva darsi da fare’. 5. Onde: ‘perciò’. riguardando: ‘guardando’. 7. ‘che affronti più i suoi nemici’. 8. Fasse la croce: ‘si fa il segno della croce’. Ottava aperta.

18. 3-4. Sarcastico. 3. e mei: ‘i miei’. 4. al campo: ‘sul campo di battaglia’. 5. Forse c’è una lontana memoria dantesca: «cader co’ buoni è pur di lode degno» (Tre donne intorno al cor mi son venute, v. 80). 6. più campar: ‘sopravvivere’. 8. fido: ‘confido’.

19. 1. ‘Mentre parla mette in resta una grossa lancia’ (per aresta cfr. I, i, 70, 6). 2. chiamando: ‘invocando, chiedendo’. 3. più tempesta: ‘infuria di più’ (TROLLI 2003, p. 288). 4. scontra: ‘colpisce con la lancia’. 5. ‘lo colpì alla testa proprio, nella visiera dell’elmo’. 6. fosse caduto: ‘cadesse’. 7. possanza: ‘forza’. 8. nel’arzone: ‘in sella’.

20. 1. pecci: ‘pezzi’. 3. ‘che non ne aveva mai ricevuto uno più forte’. 5. franco: ‘valoroso’. 6. sopra al: ‘sul’. 8. e crucio e disconforto: sinonimi per ‘dolore’.

21. 1. Balduino:è il figlio di Gano. Nell’epica francese è solo un bambino, ma nei romanzi italiani diviene un giovane cavaliere già in grado di combattere e protagonista di un episodio drammatico durante la rotta di Roncisvalle. Diversamente dal padre, Balduino è un cavaliere valoroso e leale. Gano chiede ai saraceni di risparmiare il ragazzo e indica loro la sopraveste che porterà in modo che lo possano riconoscere. Il figlio è ignaro dell’accordo, ma quando si accorge dello stratagemma preferisce strapparsi la sopraveste e morire da eroe (cfr. Falconetto 1483, pp. 38-40). 2. falsa gesta: ‘stirpe traditrice’; quella di Maganza. 3. se chiama tapino: ‘si dà dello sventurato’. 4. non resta: ‘non smette’. 6. ‘Anche Uggero di Dardena in questo frangente’. 7. Vegendo: ‘vedendo’. se partì: pseudoriflessivo. di saldo: ‘subito’.

22. 3. gran canaglia: la massa dell’esercito saraceno. 4. roini: ‘rovini, precipiti’. Var. del solito verso “apocalittico” (cfr. I, iii, 5, 2). 5. se sbaraglia: ‘si sbanda’. 6. ‘perché i saraceni le sono addosso’. 7. a pezi e a·ffetta: coppia sinonimica formulare (cfr. II, xxiii, 28, 6).

23. 1. atrovò: per la forma cfr. 1, 8. 2. pur alor: ‘proprio allora, in quel momento’. 6. Conta: ‘racconta’. come: ‘che’. 7. tal martire: ‘tale sofferenza’. 8. ‘che dovrà morire in breve tempo’.

24. 1. stete: ‘si fermò’. 2. doglia: ‘dolore’. 4. La solita manifestazione parossistica (cfr. p. es. I, xv, 19, 5). 7. s’abandona: ‘si precipita’. 8. Ciascun fa luoco: ‘ciascuno gli fa largo’.

25. 2. ‘perché lui non fa finta di colpire, ma colpisce sul serio’; cegna vale letteralmente ‘fa l’atto, la mossa’ (TROLLI 2003, p. 110). 4-5. ‘che a malapena distingue i suoi dagli altri: lungo quella strada uccise molta gente’. 7. non pòssa: ‘non riposa, non si ferma’. a ogni mano: ‘in tutte le direzioni’. 8. il sir de Montealbano: Rinaldo. Ottava aperta.

26. 1. ‘E non lo riconosceva, tanto era insanguinato’. 3. lacrimoso: ‘piangente’. 7. dela vita in bando: ‘ucciso’ (TROLLI 2003, p. 97). 8. Altra ottava aperta.

27. 2. sieco a lato: ‘con lui al suo fianco’. 3. gli debe contare: ‘gli dovette raccontare’. 5. odìa: ‘udiva’. 7. favela: ‘dice’. 8. in tuto: ‘definitivamente’.

28. 3-4. Rinaldo era il barone ribelle per eccellenza, spesso in contrasto con Carlo Magno e spesso bandito dalla corte. 3. fo’: ‘fui’. 4. diserto: ‘infelice’ (TROLLI 2003, p. 127). 6. di passo: ‘senza correre’. aperto: ‘chiaramente’. 7. Né mel farìa discreder: ‘e non mi farebbe cambiare opinione’.

29. 1. ‘A briglia sciolta, spronando continuamente’. 2. e tu pur fai dimora: ‘tu continui a indugiare’. 3. Orlando: complemento oggetto. 4. retenuto: ‘trattenuto’. 5-6. ‘Tu devi provare la Sorte e, se va male, lamentarti allora!’. 7. presto: ‘veloce’. 8. esser gionto: ‘arrivare’.

30. Il comportamento di Rinaldo ricalca quello di Orlando (cfr. 24-25). 1. Parbe: ‘parve’. 2. Però: ‘perciò’. a: ‘in’. 4. A gran fracasso: ‘con gran furia’. 5. Qualunque: ‘chiunque’. 6. voglia esser: ‘che sia’. 8. vi ha riguardo: ‘se ne cura’.

31. La sintassi dell’ottava non è molto lineare. BRUSCAGLI 1995, seguito da TISSONI BENVENUTI 1999, intende Morcolfo come complemento oggetto ad sensum dell’azione di Rinaldo espressa nell’ottava precedente, o di trova al v. 7 di questa. 1. Dialefe tra fo e un. 3. seguendo: ‘inseguendo’. 4. ‘si imbatté per caso in Rinaldo’. 5. de: ‘con’. a do mano: cfr. I, v, 3, 4. 6. ‘e lo tagliò tutto fino al fianco’. 8. disse avante: ‘dissi prima’.

32. 1. d’una ponta: ‘con un colpo di punta’. 2-4. ‘gli ha fatto uscire la spada dalla schiena di ben tre palmi e con l’urto gli spinse addosso Baiardo, gettandolo a terra, e qui lo lascia’. 6. ‘che aveva una lunga fascia (di tela) avvolta intorno al capo’, cioè un turbante. 7. toca: ‘colpisce’.

33. 1. ‘Rinaldo non si cura per nulla di nessuno di loro’. 2. se spaci: ‘si sbrighi’. 3. ch’è davanti al passo: ‘che lo intralcia’. 4. Limosiner: ‘elemosiniere’; ecclesiastico che, a corte, era incaricato di distribuire la beneficenza. 5-8. Punta satirica antiecclesiastica (cfr. p. es. II, xxii, 55). 5. Chiasmo. 6. ‘e non sa che cosa fare, benché sia sul campo di battaglia’. 7. tema: ‘paura’. 8. sapea: ‘riusciva a’.

34. 1. a megio del camino: ‘lungo il cammino’. 2. Chiasmo. 5. Sopra a lui salta: ‘lo scavalca’. 6. se trastulla: ‘si diverte’. 8. che largo se fa fare!: ‘che si fa fare strada!’.

35. 1. folta: ‘mischia’. 2. ‘ma non riesce a capire chi c’è in mezzo’. 3. involta: ‘avviluppata’, cioè ‘che incalzava’. 4. D’incerco: ‘intorno’. 6. non potëa gire: ‘(Carlo) non poteva andarsene’.

36. 2. Cioè sebbene non sapesse che al centro della mischia c’era Carlo. 3. Ma come… fiè riguardo: ‘ma quando guardò’. 6. il cognobe di trato: ‘lo riconobbe subito’.

37. 1. tutavia: ‘continuamente’. 2. menava: ‘muoveva’. 4. gli abondava: ‘lo soverchiava’. 6. se nominava: ‘si chiamava’. 7. non lassa: ‘non lascia, non permette’. 8. pone ogni gran prova: ‘fa del suo meglio’.

38. 1. gionto: ‘colpito’. 3-4. ‘(sebbene io immagini che le cose sarebbero andate così in ogni modo)’, cioè anche se Partano si fosse difeso. 5. fése: ‘tagliò’. 7. Làssalo andar: ‘lo lascia cadere’.

39. 3. prestamente: ‘velocemente’. 5. se sostenne: ‘resistette all’assalto’ (TROLLI 2003, p. 274). 6. ‘dando e prendendo colpi in quella mischia incredibile’ (TISSONI BENVENUTI 1999). 7. a mal dispeto: rafforzativo di ‘a dispetto, malgrado’.

40. 1. ‘E non doveva essere più lento’. 4. agionse proprio in quela: ‘arrivarono proprio in quel momento’. 5. senza riguardo: ‘senza badare dove colpivano’ (TISSONI BENVENUTI 1999); l’espressione è formulare. 6. toca e martela: alla lettera ‘colpisce e continua a colpire’. 7-8. ‘poiché avevano davanti i cristiani in rotta, avanzavano furiosi a briglia sciolta’.

41. 1. avante: ‘davanti’. non resta: ‘non si ferma’. 3. Che avìa frappato il viso: ‘chi aveva la faccia ferita’. 4. lamento: ‘dolore’ (TROLLI 2003, p. 179). 5. di soa gesta: alla lettera ‘della sua stirpe’, ma qui genericamente ‘più vicini a lui’. 6. Al campo se voltàr: ‘diressero i cavalli verso il luogo dello scontro’. 7. in sul:è lezione di P, accolta dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani; gli altri testimoni hanno il più consueto in su. 8. ‘chi fuggiva con più paura divenne più coraggioso’.

42. 1. Sonàr: ‘suonarono’. 2. aviva: ‘ravviva’. 4. mo’: ‘poco fa’. 5. ‘anzi per rimediare fa del suo meglio’. 6. rato: ‘veloce’. 7. canto: ‘lato’. 8. ‘vedendo questo si fermarono un po’.

43. 1. in sula briglia sta: ‘trattiene il cavallo’ (espressione non documentata altrove; TROLLI 2003, p. 103). 2. se gli apressi: ‘gli si avvicini’. 4. folti e spessi: coppia sinonimica. 5-6. È il noto proverbio: Dio li fa e poi li accoppia. 5. E’ si sòl: ‘si suole’. 7-8. al… Trovosse: ‘si incontrò con il’.

44. 2. Per il costrutto sintattico cfr. I, xviii, 37, 3. 5. ‘e dopo che fosse uscita fuori dal corpo’. 8. d’aroganza fieri: ‘feroci nella loro furia’.

45. 2. ‘non vi parlerò (perché non li reputo molto valorosi)’. 5-8. Si prepara uno scontro formidabile e Boiardo indugia, simulando paura al solo racconto delle gesta. È quasi un esordio interno al canto. 7. fior: ‘cavalieri eccellenti, tra i migliori’. 8. insieme: ‘l’uno contro l’altro’ (cfr. I, ii, 3, 1).

46. 1. roina: ‘violenza’. 3-4. Cioè non sembra che abbiano già combattuto dalla mattina al tramonto. 5-6. ‘ciascuno è risoluto a mantenere la sua posizione e a non arretrare di un passo’. 7. Menando: ‘sferrando’. 8. a ’ riguardanti: ‘agli spettatori’.

47. 2. se non era… affatato: ‘se non fosse stato fatato’. 3-4. ‘l’avrebbe sminuzzato in pezzi così piccoli che non si sarebbero trovati nella sabbia’. 5. colse nel scuto: ‘colpì nello scudo’. 6. ‘che era fatto di tendini e munito di piastra di ferro’. 8. Topos dell’evento senza precedenti (cfr. I, ii, 68, 8).

48. 1. gioco: cfr. 1, 2. 2. Ferendo a lui: ‘colpendolo’. Mambrino: cfr. I, iv, 82, 5. 3. L’elmo colpito dalla spada faceva scintille. 4. ‘ma non poté intaccarlo, tanto è robusto’. 6. fracato: ‘rotto’. 7. a gran tempesta: ‘con gran violenza’; solito emistichio formulare. 8. en porta ala foresta: ‘fa cadere a terra’.

49. 1. Né pone indugia: ‘e non esita’. 3. Pensati: solita formula di coinvolgimento del lettore (cfr. I, iii, 55, 3). soperchia lena: ‘forza eccezionale’. 4. roverso: ‘disteso’. 5. se sostenne: ‘si mantenne in sella’. 6. l’inteleto: ‘i sensi’. 7. ‘Baiardo lo porta via e si lancia nella corsa’.

50. 1. rivien: ‘rinviene, riprende i sensi’. periglio: ‘pericolo’. 3. vermiglio: ‘rosso’. 4. di me se vanta: ‘si vanta di avermi battuto’. 5. mo’ mo’: ‘subito’. 6. lassarvi: ‘lasciarvi’, cioè ‘voglio morire’. 8. se vanta: il sogg. è ovviamente Feraguto.

51. 1. ponto: ‘punto, affatto’. 2. mena a: ‘colpisce’. invelenito: ‘infuriato’. 4-5. ‘tale che lo fece piegare tramortito sulla groppa del cavallo. Nessun colpo ebbe mai tale violenza’. Tompesta (lezione di P conservata dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani contro tempesta degli altri testimoni) è una voce ancora viva in diversi dialetti sett., ma è attestazione unica nel poema e sembra dubbio che risalga all’autore. 7. ‘per cadere di sella da ogni parte’. Feraguto vacilla sulla sella. 8. ‘rimase stordito per quasi mezz’ora’.

52. 1. ussìa: ‘usciva’. 3. ‘Ora devo lasciarlo in questa situazione’. 4. volge il freno: ‘si dirige’. 7. Brigliador… Baiardo:i cavalli rispettivamente di Orlando e Rinaldo.

53. 6. Conduce: ‘riduce’. 7. prese… a rimirare: ‘si mise a guardare’. 8. E mi: ‘e io’.

54. 1. le poste son prese: posta è termine del lessico venatorio per ‘luogo in cui appostarsi’; l’espressione qui vale ‘i giochi sono fatti’ (MATARRESE 2004, p. 178). 2. Mal agia: ‘sia maledetto’ (cfr. I, xvii, 52, 6). 3. bene è: ‘è proprio’. 4. Che… non è: ‘della quale non c’è’. 5. ‘per colpa sua sono chiaramente rovinato’. 7. zolia: ‘gioia’.

55. 1-2. Le parole di Orlando sono ironiche. 1. véne: ‘arrivai’. 4. convirai: ‘dovrai’ (cfr. I, i, 45, 6). 6. roinare: ‘distruggere’. 8. O che: ‘oppure’.

56. 1. indreto: ‘indietro’. 2. de: ‘per’. 3. un tempo oscuro: ‘un temporale’. alcuna: ‘qualche’. 6. forte se martira: ‘si addolora molto’. 8. arbori e piante: coppia sinonimica. Ottava aperta.

57. 5. a roina e in folta: ‘precipitosamente e in massa’. 6. speronare: ‘spronare’. 7. gran vilania: ‘grandi offese’. 8. ‘dandogli molta colpa del dolore che soffriva’.

58. 1. agionse: ‘raggiunse’. in suo mal ponto: ‘per sua disgrazia’. 5. Posia: cioè poscia ‘poi’.

59. 2. in suo domino: ‘sotto il suo controllo’; è insomma il tesoriere di Marsilio. 3. primeramente: ‘dapprima, originariamente’. 5. ‘e in ogni religione fu sempre più malvagio’. 6. Dio divino: quello cristiano. 7. dal zuffo: ‘dal ciuffo, dalla testa’. 8. chi s’ebe: ‘chi si ebbe, chi prese’. L’ironica dichiarazione è spiegata nell’ottava successiva.

60. 1. pagani: come al solito ‘mussulmani’. 2. stanza: ‘dimora’. 3. il lasia: ‘lo lascia’. 4. Ferisse ad ogni banda: ‘colpisce dappertutto’. 5-7. Paragone con precedenti classici (cfr. II, xxiii, 61, 6-8), che si estende all’ottava successiva. 5-6. Sì come… Ponése il foco alcun per mala usanza: ‘come se qualcuno appiccasse il fuoco per malvagità’. 7. trà: ‘tira, soffia’. 8. ‘(il fuoco) spazzerebbe via tutto nella pianura’. Ottava aperta.

61. 2. dissipando: ‘distruggendo’. 3. longe cernito ebe: ‘da lontano vide’. 6. P, seguito dall’edizione Tissoni Benvenuti-Montagnani, ha nel scudo ariva; si preferisce la lezione metricamente più regolare degli altri testimoni (per l’usus cfr. I, xxvii, 37, 5). lo ariva: ‘lo raggiunge (con un colpo)’. 8. in doi peci: ‘in due pezzi’.

62. 1. Malica: probabilmente Malaga. 2. Qual v’ho contato: ‘del quale vi ho raccontato’. 4. ‘e lo divide esattamente in due parti’. 7. ‘fu riferito rapidamente del grande pericolo’.

63. 1. Incontinenti: ‘subito’. 4. piagato: ‘ferito’. 5. lo trabucava: ‘lo avrebbe fatto cadere’. 6. non l’avrìa campato: ‘non l’avrebbe salvato’. 7. messo: ‘messaggero’. giongìa: ‘arrivava’. 8. tira via: ‘se ne va’.

64. 2. Sir de Orlïense: ‘signore di Orléans’. iesta: cfr. gesta (21, 2). 4. barbuta: protezione del mento. non vi vale: ‘non gli servono’. 6. urta per tera: ‘getta a terra con l’urto del cavallo’. 8. forte: ‘gravemente’.

65. 1. Miser: ‘messer’. 7. dissipati: ‘fatti a pezzi’. 8. ‘Orlando è colui che li ha ridotti così male’.

66. 1. Riscrittura di Inf. V, 35: «quivi le strida, il compianto, il lamento» (PANIZZI 1830). 6. ragionando: ‘parlando, raccontando’. 8. ’l figlio d’Ulïeno: Rodamonte.