A mezzanotte passata i membri del Margutta si infilarono nelle rispettive auto, così un’Audi, una Volvo, due Carfe, una Porsche, una Jaguar e cinque Mercedes scivolarono silenziose nelle strade deserte della capitale.
Ma una Urlo scura non puntò verso l’abitazione del conducente, e si fermò in una piazza a pochi passi da una cabina telefonica. Una figura alta e snella scese dall’auto, si diresse all’apparecchio, infilò qualche moneta e compose un numero.
«Devo parlarti con urgenza» disse alla risposta.
Mezz’ora dopo l’uomo era seduto a un tavolino di un bar di piazza del Popolo.
«Ciao, Julius» disse Antonio Lami mentre si sedeva. Aveva il volto segnato dai giorni complicati vissuti in quelle settimane. Una barba scura gli copriva la mascella, attenuandone i lineamenti decisi. Non era particolarmente alto, ma aveva un fisico robusto e due occhi espressivi. I suoi modi pacati e ironici in genere rassicuravano chi gli stava davanti, e nell’intelligence militare in molti erano convinti che la sua abilità nell’agganciare informatori fosse in gran parte dovuta al suo carisma.
«Allora?»
«Ho delle notizie.»
Lami si accarezzò la barba, lo faceva sempre quando era pensieroso. «Di cosa si tratta?»
«Stasera ci siamo riuniti, ed è stata una cena importante.»
Julius parlò a lungo senza essere interrotto e descrivendo tutto quello che aveva sentito alla cena del Margutta. Concluse il resoconto, poi Lami trascrisse un numero su un foglietto e glielo porse. «Questo è un mio recapito sicuro. Se non rispondo io, risponderà qualcuno che ti dirà dove mi trovo e come raggiungermi. Intesi?»
«Intesi. Come pensi di procedere?»
«Non lo so ancora, ci devo pensare» rispose Lami. «Il mio vertice è legato a Olivadi, e, se chiedessi informazioni sui membri del Margutta, probabilmente lui verrebbe a saperlo la mattina dopo.»
«Vedi tu, l’esperto sei tu. Però, Antonio… ora devo chiederti una cosa personale, ma devi rispondermi con sincerità.»
«Dimmi pure.»
«È pericoloso quello che sto facendo? Potrebbero farmi del male, o peggio, secondo te?»
Lami sospirò e si guardò intorno. «Se seguirai le mie istruzioni e andrà tutto bene.» Sapeva che non era così, ma a Julius non poteva dire altro.
«Spero che tu abbia ragione» disse Julius pensieroso. «Dimenticavo, hanno detto anche che se il golpe fallisse, avrebbero un’ipotesi alternativa.»
«Di cosa si tratta?»
«Non ne ho idea. Se la tengono stretta Olivadi e Ferrandi, non ne parlano con nessuno. Lo chiamano ‘piano B’. Se riuscirò a saperne qualcosa ti avviserò subito.»
Poi l’uomo chiamato Julius abbassò il capo. Il 14 giugno del 1944, suo padre era fra i settantasette minatori fucilati dai nazisti a Niccioletta, un paesino in provincia di Grosseto. Fu una delle tante rappresaglie tedesche che colpirono civili innocenti dopo l’8 settembre del ’43. Il padre di Julius morì a venticinque anni, e sua moglie Lauretta lo seguì qualche tempo dopo stroncata dal dolore.
La tragedia che aveva segnato per sempre quella vita non era nota a nessuno degli uomini del Margutta. Julius l’aveva sempre tenuta segreta perché, con un simile precedente, il circolo non gli avrebbe certo consentito di partecipare alla preparazione del Piano Margutta.
Erano le tre del mattino quando Antonio Lami arrivò a casa.
L’aria era immobile e calda, e Marina dormiva al centro del letto tra le lenzuola stropicciate, con addosso solo una vecchia t-shirt striminzita. Lui si spogliò e gettò la camicia inzuppata di sudore sulla prima sedia a tiro. Non aveva sonno. Guardò Marina e le diede un bacio sui capelli, poi si richiuse alle spalle la porta della stanza e andò in soggiorno tentando di rilassarsi, ma non ci riuscì. Lo aspettava una giornata impegnativa. Il Servizio non aveva competenza su eversione e cose simili, perché era un campo riservato ai cugini civili.
Ma se c’era di mezzo una faccenda di quelle proporzioni, era difficile che Forte Braschi si facesse gli affari suoi.