Mosca, 12 agosto 1945

La guerra è terminata da poco e quasi sessanta milioni di esseri umani non risorgeranno dalle tombe di fango in cui li ha sepolti la follia di Adolf Hitler. Una settimana prima due città giapponesi sono state rase al suolo da un nuovo tipo di bomba sganciata dai B52 americani e sono morte forse duecentomila persone.

Nicola Maestri e Sebastian Fuchs si trovano in un edificio immenso. Fuchs ha detto che si chiama Lubjanka ed è la sede di un importante organismo sovietico. Nella stanza disadorna in cui si trovano c’è solo un tavolo, qualche sedia impagliata e un proiettore. Con loro c’è un compagno di Sebastian, si chiama Anatolji.

«Vedi, Nicola, fra non molto a Norimberga inizierà il processo ai gerarchi nazisti e io lo seguirò come cronista. Il mondo deve sapere ciò di cui è capace l’essere umano, perché voglio che tutto questo non accada mai più.»

«Anch’io lo voglio, Sebastian. Con tutte le mie forze.»

«Per questo abbiamo bisogno di te.»

«Bisogno di me? Cosa potrei fare io per voi?»

«Ora che la guerra è finalmente finita, inizia il momento più delicato. Dobbiamo ricostruire l’Europa.»

«E quale sarebbe il mio ruolo?»

«Quando tornerai in Italia potresti comunicarci con regolarità quello che avviene nel tuo paese. Qualcosa di più dei titoli di giornale. Diciamo che del tuo paese ci serve conoscere le atmosfere politiche, quali uomini si fanno largo nei partiti, gli umori della gente e via dicendo. Dobbiamo calibrare la nostra politica estera e queste informazioni ci sarebbero molto utili.»

«A proposito, credo che mi candideranno a qualche carica pubblica, ma non penso che sarebbe un problema informarti di quanto avviene in Italia.»

«Grazie della tua disponibilità, Nicola. Ora ascoltami bene. Se farai quello che ti ho chiesto, nessuno dovrà sapere del nostro rapporto. In patria mostrati ambizioso e fa’ la tua carriera politica, perché in questo modo il tuo contributo alla causa sarà ancora più prezioso.»

Nicola Maestri sembra perplesso. «Io però…»

«L’Unione Sovietica è il paese che ha sconfitto Hitler, immolando milioni dei suoi figli e sottraendosi allo sfruttamento del capitale, Nicola. Abbiamo realizzato l’utopia che il cristianesimo non è mai riuscita a realizzare: abolire le diseguaglianze, la miseria, le ingiustizie sociali.»

«Ma io voglio che si applichi la parola di Cristo e tu sei comunista, Sebastian. Tu non accetti Cristo. Come puoi pensare che mi possa star bene la tua ideologia?» Nicola si sente dilaniare tra la fedeltà alle sue idee e la fascinazione per l’ideologia di quell’amico amatissimo, forse l’unico che abbia.

Fuchs ha un inaspettato scatto d’ira. Batte il pugno sul tavolo e prende a camminare per la stanza. «Io non accetto Cristo, dici? Vuoi vedere con i tuoi occhi la vera eguaglianza fra gli uomini? Te la mostro subito, è qua fuori, davanti a te. Cos’altro sono le strade di Stalingrado e le fabbriche di Mosca se non l’applicazione della parola di Cristo? Il comunismo è la massima e unica e vera manifestazione terrena della parola di Cristo, e tu mi dici che non posso capire? Ma come fai a dire certe cose?»

«Apprezzo l’egualitarismo socialista, ma è il vostro materialismo che non posso condividere.»

Fuchs si infervora. «Sai qual è il problema del capitalismo? Il problema è che chi non ha niente vuole poco, chi ha poco vuole il giusto e chi ha il giusto vuole troppo. Qui da noi invece tutti hanno il giusto senza volere il troppo. Questo, e solo questo, è il famoso materialismo socialista.»

«Cosa sarebbe di me, se mi scoprissero qui?»

«Non ti scoprirà nessuno perché sei fra i miei compagni, Nicola.» Fuchs si avvicina all’amico e gli stringe forte la spalla con un gesto rassicurante, di cui Nicola in quel momento ha bisogno.

«Non puoi neanche immaginare quello che hanno visto i sovietici quando sono entrati ad Auschwitz. Devo mostrarti qualcosa, amico mio.»

«Cosa?»

Fuchs resta in silenzio per qualche attimo, e Maestri ha la sensazione che stia iniziando a singhiozzare. Sebastian si rivolge all’operatore della proiezione.

«Sei pronto Anatolji?»

Anatolji chiude le imposte e aziona il proiettore che abbaglia di luce bianca la parete nuda. Maestri stringe gli occhi, e teme quello che vedrà.

AUGUST 1941

BELAJA TSERKOV’ – KIEV – BABI YAR

SS EINSATZGRUPPE C-SONDERKOMMANDO 4°

Il filmato parte. Le immagini sono mosse: un casolare diroccato in un villaggio semidistrutto. Alcuni soldati con la scritta SS a forma di doppio lampo sull’elmetto e le divise nere, si agitano nervosi e guidano il tragitto del cineoperatore. Alcune donne con gli occhi stravolti si avvicinano ai soldati, ma loro le allontanano con i calci dei fucili. Un’ SS apre una porta di legno ed entra in una stanza sorvegliata da una sentinella, che si scosta per far passare l’operatore. Nella semioscurità si scorge un ammasso di corpi. Sono bambini, tra loro anche neonati, stanno seduti a terra uno addosso all’altro; alcuni piangono, altri hanno gli occhi vuoti, immobili.

Nicola abbassa la testa e congiunge le mani, ha intuito cosa vedrà e, come conforto, non gli resta che la preghiera. «… Requiem aeternam dona eis…»

L’occhio della cinepresa si fa strada fino a un’altra stanza, dove sono stipati altri bambini, forse un centinaio. L’operatore si avvicina e li filma. Uno di loro ride, avrà un anno, gli altri sono quasi esanimi.

«… confutatis maledictis…»

Un’SS si fa strada con un frustino in mano e osserva la scena impassibile: un bambino gli tira i calzoni, il soldato si libera con un brusco gesto della gamba.

«… fiammis acribus addictis…»

C’è un cambio di scena. Si vede un bosco, il sole filtra attraverso gli alberi, sembrano betulle. Alcuni soldati con l’uniforme chiara sono in piedi e hanno in mano delle vanghe, sono esausti, davanti a loro c’è un grande fossato che hanno scavato. In testa hanno il berretto a bustina dell’esercito ucraino e, armati di fucile, si aggirano tesi, si guardano, c’è chi fuma ansiosamente. Arriva un camion con delle scritte in tedesco sulla fiancata e si ferma. Alcune SS scendono, fredde e scattanti.

Nicola sente gli occhi bagnarsi. «… Pleni sunt caeli et terra gloria tua…»

I soldati con la divisa nera si portano dietro il camion, alzano il telone e dal cassone spuntano decine di bambini, sono gli stessi della scena precedente. Alcuni vengono fatti scendere a spinta, mentre altri, stremati, non riescono a muoversi. I più piccoli, che non sanno ancora camminare, vengono afferrati dalle SS e portati sull’orlo del fossato. Un ufficiale tedesco si muove nervoso, mentre i soldati con la divisa chiara gli si avvicinano smarriti e dicono qualcosa. Lui prima annuisce poi con la testa fa ‘no’, e loro si allontanano con le spalle curve. Gli ucraini, quelli con la bustina in testa, restano sul posto e si muovono in modo scomposto.

«… Agnus Dei…» Nicola singhiozza.

L’ufficiale abbaia ordini ai soldati armati di fucile e questi si mettono dietro i bambini piangenti che iniziano a muoversi e a scappare. Mentre gli ucraini armano i fucili, le SS cercano di tenere fermi i bambini, poi l’ufficiale dà un ordine secco. I soldati prendono la mira e, dopo che le SS si sono allontanate dalla linea di tiro, aprono il fuoco. Alcuni bambini cadono a terra subito, mentre quelli feriti scappano impazziti dalla paura. Quando vengono colpiti quasi volano, tanto sono leggeri.

Fuchs guarda assorto, Maestri prega. «… qui tollis peccata mundi…»

I soldati inseguono i bambini che scappano sparandogli alla schiena e, mentre l’ufficiale urla altri ordini, qualche soldato ride. Alcuni bambini vengono colpiti due, tre, quattro volte, e i più piccoli sono finiti con un colpo alla testa. Una bambina bionda di cinque o sei anni si avvicina all’ufficiale e gli prende la mano, sta cercando un qualunque adulto che la protegga. L’ufficiale la guarda e smette di urlare.

Si fissano.

La bambina si stringe alla sua gamba destra piangendo e lui sta quasi per poggiarle una mano sulla testa, quando arriva un soldato che gli chiede qualcosa, forse chiede cosa debba fare con quella bambina. L’ufficiale ci pensa un attimo, poi annuisce lentamente. Il soldato chiama un compagno e insieme strappano la bambina dalla gamba dell’ufficiale, la gettano a terra, esitano un attimo e poi le sparano tre colpi in testa. L’ufficiale viene colpito dagli schizzi di sangue e di materia cerebrale, perchè di scatto si mette entrambe le mani sul viso. I due soldati portano il corpo della bambina vicino al fossato e lo gettano dentro. L’ufficiale delle SS resta immobile e, ancora coprendosi la faccia con le mani, appare stordito ma riprende a dare ordini. I bambini morti ammucchiati nella fossa comune sembrano marionette ma, improvvisamente, uno di loro, sporco di sangue, si alza e corre fra i corpi, inciampa, si rialza. Non ha più di due anni. Un soldato lo insegue calpestando gli altri piccoli cadaveri, lo raggiunge e con un coltello gli taglia la gola. Quando vede il bambino riverso a terra ancora vivo, inizia a ridere in modo sguaiato, ma mentre il miliziano sta per sferrargli un’altra coltellata, l’ufficiale lo richiama con forza e quando gli è vicino lo percuote violentemente con il frustino, poi dà un ordine. Un altro soldato scende nel fossato, arma la Luger, l’avvicina alla tempia del bambino rantolante ed esplode un colpo.

Ora nulla più si muove, nella radura. Si intuisce che è sceso il silenzio.

I soldati si guardano senza parlare. Le SS sono immobili. L’ufficiale con la divisa nera si passa la mano sul viso, fa alcuni passi barcollando e dà altri ordini. Il filmato si interrompe.

Nella stanza si accende la luce. Nicola Maestri ha la testa bassa, si tiene la faccia tra le mani. Fuchs guarda Anatolij e i due si lanciano un’occhiata di intesa.

«Quei bambini erano ebrei» dice il tedesco.

Nicola non parla, guarda davanti a sé respirando a fatica.

«Erano ospiti di un orfanotrofio» spiega Sebastian.

Nicola continua a restare in silenzio.

«Quale dio permetterebbe questo scempio?» dice Fuchs. «Capisci perché dobbiamo fare qualcosa affinchè tutto questo non accada più?»