Inguaribile sognatrice
I giorni seguenti furono un susseguirsi di impegni e di avvenimenti. Fui costretta a tornare al lavoro e questo significò lasciare Viola in una scuola materna privata che avevo accuratamente scelto nei giorni precedenti. I miei genitori avrebbero pagato la retta scolastica. Mia madre i primi tempi mi telefonò almeno due volte al giorno, preoccupata che Viola si trovasse male o potesse avere un altro trauma.
«Mamma, ascolta, tu puoi anche chiamarmi ogni ora ma questo non cambierà le cose» le dissi un giorno in cui andavo particolarmente di fretta perché ero in ritardo sul lavoro. «Tesoro lo so, ma sono preoccupata per la bambina. Nel giro di poco tempo ha perso sua madre, si è trasferita in una nuova città e adesso si trova costretta a frequentare una nuova scuola con nuovi compagni. Temo che per lei sia eccessivo» rispose mia madre con la voce rotta dall’ansia e dalla preoccupazione.
«Dispiace anche a me ma non ci sono altre soluzioni purtroppo. Ho un lavoro, lo sai, e ho già preso molti giorni per stare a casa con Viola. L’unica soluzione era metterla in un asilo. Tu e papà piuttosto vi state dando da fare per trovare una tata a tempo pieno? Non potrò tenere la bambina qui per sempre» chiesi frettolosamente mentre attraversavo a passo veloce la strada diretta verso il mio ufficio.
«È ancora presto, devi darmi tempo. Tuo padre non è stato bene, abbiamo dovuto fare delle analisi e in più mi sono dovuta occupare di alcune formalità riguardo la casa di tua sorella e altre noiose pratiche burocratiche. Devi darmi tempo. E comunque smettila di trattare Viola come fosse un pacco postale» concluse con severità mia madre.
Mi sentii avvampare dalla rabbia. «Io la tratto come un pacco postale? A dire il vero siete voi che me l’avete mollata come un pacco, senza nemmeno pensare alle mie esigenze e al cambiamento di vita che Viola avrebbe avuto venendo ad abitare con me. Io qui sono da sola nel caso non te lo ricordassi, mamma. E la bambina non mi aiuta affatto visto che non mi rivolge nemmeno una parola. Come al solito pago io per gli sbagli di Alessia!».
Mi pentii di quella frase nell’attimo esatto in cui la pronunciai. Per quanto mia sorella mi avesse fatto del male in passato non era giusto dire che sua figlia era uno sbaglio e soprattutto non era bello che io dicessi simili cose adesso che Alessia era morta. Mi sentii una persona pessima ed egoista. Ma il fatto era che gli eventi mi stavano sfuggendo di mano e io ero spaventata, non sapevo come avrei fatto a far fronte a tutte le incombenze quotidiane. Inoltre il silenzio di Viola cominciava davvero a diventare insopportabile per me.
«Mamma perdonami adesso devo chiudere la telefonata perché sto entrando al lavoro e sono già maledettamente in ritardo» aggiunsi tagliando corto per evitare di ascoltare i rimproveri di mia madre. La salutai e mi diressi rapidamente al settimo piano dell’elegante palazzo situato dietro a Piazza del Popolo dove si trovavano il mio ufficio e l’agenzia di moda.
«Buongiorno cara, ben rivista. Ci chiedevamo tutti che fine avessi fatto» mi apostrofò con asprezza una delle segretarie che era alla reception non appena io varcai la soglia dell’ufficio. Non godevo della sua stima e simpatia, questo era ovvio. In particolar modo da quando ero diventata io il braccio destro di Ethan anziché lei.
«Buongiorno a te Maria, noto che sei sempre felice di vedermi» risposi ironica punzecchiandola a mia volta. Non ne potevo più anche di quelle sottili angherie in ufficio, tutte pronte a puntare il dito contro di me aspettando solo un mio passo falso. Mi diressi a passo sicuro nella mia stanza, trovando la scrivania invasa come sempre da una valanga di carte, cataloghi, foto e scartoffie di ogni genere. La settimana che ero stata in ferie a casa ancora faceva sentire i suoi devastanti effetti sulla mole di lavoro che avevo da sbrigare. Mi misi subito a lavorare con un orecchio sempre teso al cellulare. Da quando Viola aveva iniziato ad andare a scuola avevo sempre il terrore che le succedesse qualcosa e che le maestre mi potessero chiamare. Era strana e inspiegabile quella mia apprensione quasi materna, non sapevo giustificarla nemmeno io, eppure era così, vivevo nella paura costante che potesse succedere qualcosa alla bambina in mia assenza. Forse avrei avuto bisogno di qualche seduta da uno psicologo perché probabilmente tutte quelle responsabilità mi stavano uccidendo. Da quando avevo Viola con me mi sentivo addirittura anche più brutta, meno attraente, come se solo il fatto di avere a casa con me una bambina facesse di me una casalinga tutta cucina e lavatrici. Quella mattina per andare al lavoro avevo impiegato più di mezz’ora per scegliere gli abiti adatti e alla fine avevo messo uno dei miei completi da battaglia che usavo per le grandi occasioni. Una corta gonna nera a tubino che mi fasciava perfettamente fianchi e sedere, un’attillata camicetta bianca in perfetto stile segretaria, calze velate e scarpe con tacco vertiginoso. Dovevo ammetterlo, forse era un look piuttosto esagerato per una normale mattinata lavorativa ma adesso più che mai avevo bisogno di ritrovare la mia femminilità e la mia sicurezza, recuperando l’immagine di me che avevo prima dell’arrivo di Viola nella mia vita. All’ora di pranzo finalmente arrivò Ethan nel mio ufficio. Non ci vedevamo da molti giorni, da quando avevamo litigato quel sabato mattina. Lui era stato fuori Roma per diversi giorni, impegnato in alcune sfilate di moda a Milano, non mi aveva invitata ad andare né io gli avevo chiesto di poterlo accompagnare visto che non avrei saputo dove lasciare Viola. Un tempo sarebbe stato tutto diverso. Fino a qualche settimana prima io lo avrei accompagnato, avremmo assistito alle sfilate seduti uno accanto all’altra facendo invidia a molti, io sarei stata sensuale ed elegante e lui mi avrebbe presentato con orgoglio ai suoi amici, avremmo alloggiato in un hotel di lusso e fatto l’amore tutte le notti fino all’alba.
«Ah, sei qui. Sono felice di ritrovarti al tuo posto di lavoro» mi salutò freddamente Ethan quando entrò nella mia stanza.
Gli sorrisi e risposi dolcemente «Sono tornata già da diversi giorni ma ho saputo che tu eri a Milano per le sfilate. Sono felice di rivederti».
Lui mi squadrò con attenzione dalla testa ai piedi e mi sentii nuda sotto al suo sguardo penetrante. Sembrò stesse riflettendo su qualcosa, corrucciò la fronte e socchiuse per un attimo gli occhi. Poi tenendo la porta della mia stanza aperta disse con un tono volutamente alto per farsi sentire dalle altre segretarie che erano là fuori alla reception «Seguimi nel mio ufficio per favore, ho una lettera urgente da dettarti e alcuni disegni da catalogare e mi serve un aiuto».
Si avviò nella sua stanza alla fine del corridoio ed io lo seguii docilmente. Entrammo e richiusi la porta alle mie spalle. «Dimmi pure cosa ti serve, inizierò subito» gli dissi andando verso la scrivania per sedermi.
Ma Ethan mi prese per un braccio e mi baciò con passione. Sentii la sua lingua entrare prepotentemente nella mia bocca e attorcigliarsi alla mia mentre le sue mani mi accarezzavano le gambe sotto la gonna. Mi spinse sulla scrivania e scese a baciarmi il collo, poi scese ancora, fino all’attaccatura del seno. «Vuoi sapere cosa mi serve? Mi servi tu, mi serve il tuo corpo, mi serve fare l'amore con te adesso» mi sussurrò perentorio, ansimando. «Sei molto attraente oggi, lo sai? Decisamente sensuale il tuo abbigliamento» seguitò a bisbigliarmi mentre si soffermava a mordermi il lobo dell'orecchio.
Bingo! Era valsa la pena perdere mezz’ora per trovare l’abito adatto quella mattina, avevo fatto centro vestendomi in quel modo. Era terribilmente eccitante sentirmi di nuovo sua dopo tanto tempo. Mi era mancato molto, mi era mancata la nostra intesa e la nostra intimità. Mi sbottonò con impazienza la camicetta lasciando che il mio seno uscisse fuori, pronto per le sue labbra calde. Percorse il bordo del mio reggiseno di pizzo mentre intanto mi alzava su la gonna. Era terribilmente eccitante. Non avevamo mai fatto prima l’amore in ufficio durante il normale orario di lavoro, mentre gli impiegati si aggiravano nel corridoio fuori la stanza. La paura di essere scoperti rendeva tutto più stimolante. Ethan mi sistemò meglio sulla scrivania, mi sfilò rapidamente le calze e in un attimo fu dentro di me. Facemmo l’amore là, così, improvvisamente, avidamente, appassionatamente. Ma in quel momento, per la prima volta, un pensiero mi attraversò la mente. Era davvero quello che desideravo? Era davvero quella la vita che sognavo? Non sapevo più dire se quel suo modo di fare così sicuro di sé mi piacesse davvero e non ero nemmeno sicura che nei miei sogni di bambina il dolce principe azzurro avesse le sembianze di Ethan. Di sicuro il principe che tante volte avevo immaginato però non faceva l’amore con me su una scrivania dura e scomoda in orario di ufficio. Io amavo Ethan, o almeno credevo di amarlo, ma dopo tanti mesi di quella vita forse una parte di me si chiedeva cosa avessi in comune con lui. Io ero sempre stata una ragazza molto dolce e romantica, da sempre sognavo i corteggiamenti in grande stile, quelli che si vedono anche nei film, con le rose rosse, una romantica passeggiata in riva al mare, le stelle e la luna come cornice. Io, che ancora ero capace di piangere davanti a un film romantico o perfino guardando un cartone della Disney, io che mi commuovevo davanti a un tramonto sul mare, io che desideravo trascorrere le serate in inverno avvolta in una coperta calda, accoccolata a un uomo che sapesse stringermi e farmi sentire amata, io inguaribile sognatrice, sensibile e romantica. E fu in quel momento, mentre scendevo dalla scrivania e mi rivestivo in fretta, sistemandomi come meglio potevo, che mi chiesi se forse Andrea non avesse ragione. Tu meriteresti di fare l’amore con un uomo che ti rispetti. Un fiore non deve essere maltrattato come fosse comune erbaccia, un’orchidea non dovrebbe essere trattata come banale ortica…
le sue parole mi tornarono improvvisamente alla mente, risuonandomi dentro la testa. Forse io meritavo di più. Forse in quegli ultimi anni mi ero smarrita, avevo confuso le mie priorità, avevo messo il lavoro, la carriera e Ethan ai primi posti della classifica dimenticando chi io fossi realmente e cosa mi rendesse davvero felice. E forse, se fossi riuscita a vedere l’arrivo di Viola nella mia vita come un’opportunità per cambiare, invece che come uno spiacevole e fastidioso imprevisto, forse soltanto allora avrei davvero potuto mettere a fuoco quali fossero le vere priorità per me e riscoprire i valori che avevo perduto negli anni lungo la strada.