Amica immaginaria
Quei pensieri continuarono a girarmi vorticosamente in testa per molti giorni, così come la strana sensazione che in fondo stessi sprecando la mia vita dietro a valori futili che non appartenevano al mio modo di essere. Seguitavo a pensarci anche adesso, mentre chiusa in bagno stavo preparando un bagno caldo a Viola. La sera era sempre il momento peggiore di tutta la giornata perché avevo tutta la stanchezza del lavoro sulle spalle e mi toccava anche preparare la cena per due visto che non vivevo più da sola, oltre al fatto che dovevo anche pensare a Viola, a farle il bagno, metterle il pigiama, rimboccarle le coperte. Forse per qualsiasi altra donna quelle sarebbero state incombenze banali e poco impegnative, ma non per me. Da diversi anni ormai vivevo da sola, spesso senza orari e a malapena riuscivo ad occuparmi di me stessa, figuriamoci di un minuscolo essere come una bambina.
«Viola vieni, la vasca è pronta» gridai dal bagno mentre versavo ancora un po’ di bagnoschiuma nell’acqua.
Immaginavo che ai bambini piacesse giocare con la schiuma, almeno dai ricordi che avevo di me quando ero piccola. Qualche volta io e Alessia facevamo il bagno insieme, ci immergevamo fino al collo nella soffice schiuma scoppiettante e giocavamo a fare le sirene nel mare. Oppure altre volte portavamo con noi le nostre due bambole preferite e facevamo il bagno anche a loro restando immerse a mollo per molto tempo finché nostra madre, arrabbiata, non veniva a tirarci fuori quasi a forza. Erano ricordi piacevoli, che forse credevo di aver rimosso dopo che avevo deciso di eliminare Alessia dalla mia vita ma che invece erano sempre là, annidati nel mio cuore e adesso mi tornavano in mente lasciandomi un velo di malinconia dell’anima e un nodo in gola. Ricacciai indietro a fatica le lacrime che sentivo già pizzicarmi gli occhi. Viola aprì la porta avvicinandosi con i suoi piedini scalzi, delicata e silenziosa come sempre, com’era sua abitudine, con passi leggeri come il battito d’ali di una farfalla. Alcune volte sembrava danzasse in punta di piedi come una ballerina. La guardai e per la prima volta da quando vivevamo insieme il suo silenzio non mi diede fastidio e non mi fece arrabbiare ma anzi provai un’infinita tenerezza improvvisa per quella bimba che in fondo cercava solo di sopravvivere in un mondo che probabilmente non riusciva più a capire e che la spaventava. La spogliai e la misi nella vasca.
«Vado a cucinare e tra poco torno per asciugarti. Tu intanto gioca con la schiuma, è divertente!» dissi a Viola sorridendole.
Poi andai in cucina a mettere l’acqua della pasta. Apparecchiai e feci un semplice sugo al pomodoro. Cucinare era sempre stata una delle mie passioni, ero brava e me la cavavo piuttosto bene, ma ultimamente avevo messo da parte anche questa mia attitudine, sia per mancanza di tempo, sia perché frequentando Ethan, erano più le serate fuori tra cene e aperitivi che le volte in cui riuscivo a restare a casa a cucinare. Dopo venti minuti tornai da Viola per tirarla fuori dall’acqua ed asciugarla. Ma, poco prima di entrare nel bagno mi immobilizzai, stupita da ciò che udii.
«Tu non puoi fare il bagno, sei raffreddata Pippi» la sentii dire dal bagno, quasi in un sussurro, con la sua voce delicata.
Mi fermai pietrificata dietro la porta e cercai di sbirciare attraverso uno spiraglio, senza farmi vedere e senza far rumore. Lei era là, nella vasca, giocava con la schiuma e sorrideva.
«Ti ho già detto che non puoi bagnarti perché poi ti viene la febbre. Adesso stai buona che poi tra poco arriva la zia Camilla e vieni a cena con noi» seguitava a chiacchierare rivolta alla sua amica immaginaria.
Mi fece uno strano e piacevole effetto sentirla pronunciare il mio nome per la prima volta. Sentii un’ondata di tenerezza invadermi il cuore e capii quanto si sentisse sola, quanto in fondo ci sentissimo sole entrambe, incapaci di comprenderci, probabilmente più per la mia incapacità che per il suo silenzio. Spalancai la porta e le sorrisi. Lei però sussultò sbarrando gli occhi e si portò subito le mani sulla bocca come se volesse imporsi di stare zitta, probabilmente spaventata che io potessi aver scoperto il suo segreto e la sua amica immaginaria. Io rimasi qualche secondo in silenzio non sapendo bene quale fosse la cosa migliore da fare ma alla fine seguii il mio istinto e decisi di non tradire il segreto di Viola. Così feci finta di nulla, come se non l’avessi sentita parlare. Tuttavia quella sera a cena iniziai a riflettere seriamente sulla possibilità di trovare un modo per comunicare con lei perché il fatto che preferisse rifugiarsi in un suo mondo di fantasia con amici immaginari piuttosto che affrontare la realtà era sicuramente indice di un grande dolore e un profondo disagio che stava vivendo e solo adesso me ne rendevo davvero conto, solo ora stavo aprendo gli occhi. Come avevo potuto anche solo minimamente pensare che il silenzio di Viola fosse dovuto al suo carattere insensibile e testardo? Come avevo potuto essere tanto accecata dai miei bisogni e dalle mie esigenze da non vedere l’immensa sofferenza che quella bambina si portava dentro? Quella notte stentai a prendere sonno, avevo tanti pensieri che si accalcavano in mente e facevano una gran confusione.
Il giorno seguente decisi che dopo il lavoro sarei andata a trovare Andrea in negozio insieme a Viola. Lei sembrava sempre molto serena e felice in mezzo agli animali e sembrava anche trovarsi piuttosto a suo agio con Andrea, forse perché anche lui era silenzioso e schivo come lei. Così quando il pomeriggio uscii dall’ufficio andai a prendere Viola a scuola e poi ci dirigemmo al negozio di animali. Mentre andavamo mi chiamò Ethan al cellulare.
«Ehi bambolina, oggi in ufficio non ti ho visto» esordì con voce allegra.
«Ciao Ethan, sì è vero non ci siamo visti. Ma ho avuto molto lavoro da sbrigare e quando ho terminato tu eri dentro in riunione e non ho voluto disturbarti» risposi mentre intanto davo la mano a Viola per attraversare la strada.
«Ascolta ti ho chiamato per invitarti con me a Parigi. Non è meraviglioso? Passeremo un fine settimana romantico e passionale e ti offro una cena sulla Senna» seguitò euforico, sicuro del fatto suo.
In verità detestavo quando ostentava così esageratamente i soldi che aveva e si riempiva la bocca di tutto ciò che lui poteva offrirmi. Sembrava che io stessi insieme a lui per la bella vita che mi concedeva invece che per amore. E comunque non mi allettava affatto la proposta di andare a Parigi. Proprio a Parigi, dove solo il mese prima ero stata al funerale di mia sorella e dove era cominciata la mia improvvisa e complicata vita da zia senza che io nemmeno avessi mai saputo di avere una nipote.
«E quando dovremmo partire?» chiesi distrattamente senza troppo entusiasmo.
«Domattina dolcezza, sto per fare proprio adesso online i biglietti dell’aereo».
Alzai incredula le sopracciglia e risposi piuttosto infastidita: «Domattina? E me lo dici soltanto adesso all’ultimo minuto?». «Ho avuto una giornata piuttosto impegnativa e mi sono dimenticato di dirtelo. Che problema c’è? In fondo non è la prima volta che decidiamo le cose all’ultimo. È proprio questo il bello del nostro rapporto, non avere orari, non farci problemi, decidere di vivere così come viene» replicò stupito e spazientito.
«Sì ma adesso le cose sono cambiate. Non so se ti sei accorto che non vivo più da sola. Se devo partire con te devo saperlo per tempo in modo da organizzarmi e lasciare Viola. Possibile che ti riesce così difficile pensare anche a me quando fai i tuoi programmi?» sbottai furiosa.
Nel frattempo eravamo arrivate davanti al negozio di Andrea e subito Viola lasciò la mia mano e sgattaiolò da sola dentro. Io rimasi fuori al freddo.
«Ecco qual è il punto. Quella bambina! Lo sapevo che alla lunga ci avrebbe dato problemi» mi assalì Ethan gridando.
«Non è lei che ci dà problemi, sei tu che non ti metti mai nei miei panni e non capisci le mie esigenze! Sarebbe bastato saperlo un po’ prima e mi sarei organizzata. Ma tu pensi sempre che il mondo ruoti intorno a te» lo rimproverai a mia volta, decisa a non passare sempre io dalla parte del torto.
Ethan aveva questa innata capacità di farmi sentire sempre in colpa come se fossi io a non voler trascorrere del tempo con lui, come se ogni volta io non facessi mai abbastanza. Non so come ci riuscisse ma mi faceva sempre vivere in bilico tra la paura di sbagliare e il terrore di perderlo. Terminammo la conversazione piuttosto brutalmente, ci salutammo a malapena ed io entrai nel negozio affranta e spossata.
«Ehi, eccoti. Che brutto aspetto che hai» mi salutò Andrea vedendomi, mentre terminava di servire un’anziana signora che aveva al guinzaglio un minuscolo cagnolino con una buffa mantellina rosa.
«Grazie del complimento» bofonchiai contrariata incrociando le braccia sul petto.
Andrea salutò la signora e l’accompagnò educatamente fino alla porta, poi si avvicinò a me dandomi un buffetto sulla guancia con affetto. «Io ti trovo comunque sempre molto carina».
Arrossii mio malgrado e lui mi sorrise strizzandomi l’occhio. Quando stavo accanto a lui mi sentivo bene, aveva la capacità di farmi rilassare e di abbassare tutte le mie difese. Andrea mi faceva l’effetto opposto di Ethan con il quale invece mi sentivo sempre sulle spine.
«Immagino che Viola sia sempre di là con i gattini, vero?» chiesi cercando di distogliere l’attenzione di Andrea dal mio rossore e dal mio imbarazzo.
Lui annuì.
«Qui sembra felice, sembra una bambina come tante. A casa invece è come l’ombra di sé stessa» dissi quasi in un sussurro, con voce flebile rotta dalla tristezza.
In verità le parole mi uscirono da sole senza che potessi controllarle e non avevo idea del motivo per cui stessi confidando proprio ad Andrea quella situazione così delicata. In fondo era un semplice vicino di casa con il quale avevo intrattenuto rapporti saltuari e sporadici di buon vicinato, niente di più. Per di più era un ragazzo e dubitavo fortemente che avesse qualche conoscenza in materia di bambini. Eppure lui mi guardò profondamente, si avvicinò a me e mi sorrise con dolcezza. Eravamo così vicini che riuscii a percepire il suo profumo penetrante, un misto di borotalco, legno e sandalo. Era molto buono, non ci avevo mai fatto caso prima e ne fui rapita per qualche attimo.
«Io non so quale sia la storia di Viola ma da quello che ho potuto vedere lei si porta dentro un grande dolore, un disagio, una sofferenza così difficile per lei da gestire o da accettare che ha preferito chiudersi in sé stessa. Ti va di raccontarmi cosa le è accaduto?» chiese con gentilezza Andrea.
Mi morsi il labbro, indecisa su cosa fare. Non ero sicura di essere pronta a confidarmi e non ero neppure sicura che lui potesse capire la situazione. Ma alla fine capii che avevo un disperato bisogno di sfogarmi con qualcuno o sarei impazzita e lui era un ragazzo così discreto e profondo che sentii in cuor mio di potermi fidare.
«Viola ha perso sua madre circa un mese fa» dissi tutto d’un fiato, ad occhi bassi, quasi come se stessi tradendo un segreto. Andrea sussultò. Poi chiuse per un attimo gli occhi e fece una leggera smorfia storcendo la bocca mentre emetteva un lungo e profondo respiro.
«I miei genitori sono anziani e così l’hanno affidata a me, anche se io non l’avevo mai conosciuta prima. Non ha un padre per quanto ne sappiamo, mia sorella non ha mai voluto rivelarlo e adesso purtroppo sarà un segreto che rimarrà sepolto con lei per sempre».
Mi sentivo improvvisamente più leggera, come se aver rivelato a qualcun altro la mia angoscia potesse in qualche modo far diminuire il peso che portavo sulle spalle. Giocai nervosamente con una ciocca di capelli, arrotolandola con le dita. Andrea rimase per un po’ in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto e la fronte corrucciata.
«Ora capisco tutto, povera piccola, è una situazione davvero difficile. Si ritrova improvvisamente senza la sua mamma, senza un’altra figura a lei familiare. Tu sei la zia è vero, ma per lei in fondo sei un’estranea come qualsiasi altra persona perché non ti ha mai conosciuta prima di adesso. Capisci il dolore e la solitudine che sta vivendo?» mi chiese Andrea spalancando i suoi profondi occhi grigi.
Sì, forse piano piano me ne stavo rendendo conto. Annuii senza riuscire a parlare.
«Immagino anche che tu non le abbia nemmeno mai spiegato cosa sia successo alla sua mamma e quindi Viola non può elaborare il lutto, non capisce cosa sta succedendo, è confusa. È naturale che si sia chiusa in sé stessa, ormai il mondo fuori le fa troppa paura, capisci? Tu devi assolutamente parlarle, starle vicino, farla sentire capita e protetta» concluse Andrea con voce ferma e decisa, ma allo stesso tempo sorridendomi dolcemente come se fosse un papà che parla alla sua bambina capricciosa. Improvvisamente mi sentii una perfetta idiota.
«Non è facile starle vicino se lei si rifiuta di parlare con me» provai a giustificarmi.
«Camilla non puoi pretendere che una bambina di cinque anni che ha appena perso la sua mamma ti venga incontro e ti renda la vita facile. Sei tu che devi cambiare il tuo modo di vedere le cose. Sei tu l’adulta. Devi sforzarti di trovare un altro modo per comunicare con Viola, un’altra strada per interagire con lei, farle riacquistare serenità e fiducia nel mondo» seguitò Andrea prendendomi una mano tra le sue.
Era incredibile come riuscisse a calmarmi, come sapesse perfettamente cosa dirmi, come avesse saputo in pochi minuti capire la situazione e darmi una nuova spinta. Forse per la prima volta mi resi conto di quanto fossi stata cieca ed egoista con Viola per tutto quel tempo.
«Sei meglio di uno psicologo, sai?» scherzai dandogli un colpetto con il gomito. Poi tornai seria e aggiunsi «Ma tu come fai a sapere tutte queste cose? Hai forse studiato psicologia infantile?».
Lui si irrigidì e ritrasse le mani mentre un’ombra di malinconia gli velò il viso. Pensai di aver detto qualcosa di sbagliato. Mi sembrò piuttosto scosso. Stava quasi per rispondere qualcosa quando la porta del negozio si aprì ed entrò una signora.
«Un giorno forse ci sarà modo di parlarne» rispose frettolosamente con fare misterioso prima di dedicarsi alla sua cliente. Io rimasi là, in un angolo, con il cuore pieno di sensi di colpa ma allo stesso tempo con una nuova energia e una nuova speranza per il futuro. Forse adesso ero pronta ad accettare la sfida, a occuparmi fino in fondo di quella bambina, troppo spaventata per parlare e troppo sola per riuscire a farsi capire.