A piccoli passi
Continuai a ripensare alla conversazione avuta con Andrea per tutta la sera e per tutta la notte cercando di capire come poter instaurare un rapporto di amore e di fiducia con Viola. Forzarla a parlare non era servito a nulla, questo era evidente. Alla fine, alle prime luci dell’alba, ebbi un’idea, un’illuminazione. Non sapevo se avrebbe funzionato ma volevo tentare. Visto che Viola non voleva accettare la realtà sarei andata io nel suo mondo fatto di silenzi e di amici immaginari. Avrei cercato con dolcezza – anche se a dire il vero non ero proprio una campionessa di tatto e delicatezza- di entrare in punta di piedi in quella bolla di sapone eterea dove lei si era rifugiata. Decisi di iniziare fin da subito, quella mattina stessa a colazione. Per fortuna era sabato e avremmo avuto tempo per stare insieme, senza la fretta della scuola o del mio lavoro. Così quando svegliai Viola e lei arrivò in cucina, la tavola era apparecchiata per quattro. Lei sembrò notarlo subito e osservò stupita le quattro tazze, i quattro cucchiaini e i quattro tovaglioli che avevo ordinatamente disposto ad ogni lato del tavolo. Poi si voltò verso di me guardandomi con aria interrogativa.
«Da oggi ho pensato che potremmo mangiare tutti e quattro insieme, se tu sei d’accordo. Ho invitato anche la mia amica Nina e la tua amica Pippi» dissi sorridendole mentre la fissavo con attenzione per vedere la sua reazione.
Viola sussultò a sentire il nome di Pippi e un lieve rossore le colorò le guance. Probabilmente si sentì vulnerabile, scoperta nel suo piccolo segreto. Mi rendevo conto che correvo il rischio di farla chiudere ancora di più in sé stessa ma qualcosa dovevo pur tentare. E sperai in cuor mio che quella potesse essere la strada giusta. Feci finta di nulla e sedetti a tavola. Versai il latte nella tazza di Viola e il caffè nella mia, poi, guardandola chiesi «Pippi vuole un po’ di latte?».
Lei rimase immobile, fissando il biscotto che stava tuffando dentro al latte. Gli diede un morso lentamente, poi mi guardò e scosse la testa. Era forse una risposta quella? Non ne ero sicura così ripetei la domanda «Niente latte per Pippi? Sicura?».
Lei scosse nuovamente la testa e tornò ad occuparsi dei suoi biscotti immersi nella tazza. Ero dannatamente felice. Va bene, d’accordo, tecnicamente non aveva parlato e non era cambiato poi molto, ma se non altro mi aveva risposto, era stata al gioco. Quando Viola terminò di mangiare si alzò e scese dalla sedia ma prima che uscisse dalla cucina le dissi «Per favore puoi controllare se anche Nina e Pippi hanno finito la colazione?». Sperai tanto che anche stavolta andasse bene, che lei non fuggisse via chiusa nel suo mutismo. E Viola infatti non se ne andò. Rimase per qualche istante ferma, immobile, pensierosa, indecisa sul da farsi. Poi si decise. Si avvicinò al posto di Nina e prese la tazza in mano per guardarci dentro, poi fece la stessa cosa con la tazza di Pippi. Alla fine mi guardò, fece cenno di sì con la testa e le labbra si mossero impercettibilmente in quello, che mi sembrava di vedere, fosse un leggero sorriso appena accennato. Poi sgattaiolò via fuori dalla cucina. Rimasta sola tirai un profondo sospiro, come se per tutta la colazione fossi stata in apnea, tesa come una corda di violino. Non sapevo se il mio gioco avrebbe funzionato ma era la sola idea che mi fosse venuta in mente, a parte quella di portare Viola da uno psicologo infantile, cosa che però attualmente non volevo nemmeno prendere in considerazione perché avrebbe significato un notevole impegno sia per me che per lei e non ero neppure sicura che fosse ciò che le serviva davvero. Parlare con Andrea mi aveva molto aiutato a capire alcune cose ed ero convinta che quello che adesso occorreva a Viola non fosse tanto un estraneo, seppur psicologo, ma piuttosto sentirsi di nuovo amata e protetta. Per la prima volta capii che volevo provarci davvero, volevo aiutarla, potevo riuscirci. Forse non lo dovevo a mia sorella, con la quale ero ancora profondamente arrabbiata, ma sentivo di doverlo fare per Viola e, forse, anche per me stessa, per ritrovare la persona che ero prima. Prima di vivere da sola, prima di essere risucchiata da questo lavoro, prima di essere plasmata da Ethan, prima che perdessi di vista i valori nei quali avevo sempre creduto. Raggiunsi Viola in salotto e sedetti accanto a lei.
«Ascolta piccola, oggi arriverà finalmente il letto che abbiamo ordinato per te, sei felice?» le dissi sorridendole.
In effetti quello era il giorno previsto per la consegna e io ne ero molto felice perché capii che era molto importante anche poter dare finalmente una cameretta a Viola dove potesse sentirsi a suo agio. Avrebbe finalmente avuto uno spazio tutto suo e si sarebbe sentita forse maggiormente accolta da me.
«Quindi oggi resteremo a casa ad aspettare i signori che portano il tuo lettino. Intanto, pensavo, se ti va, potremmo giocare un po’ insieme io e te con Nina e Pippi. Ti va?» le proposi mentre le accarezzavo lentamente i capelli.
Lei mi guardò sgranando i suoi occhioni verdi, forse stupita, forse sospettosa. Mi sembrava di essere sempre sotto esame con lei. Ma probabilmente Viola si sentiva ancor più vulnerabile adesso che io avevo scoperto Pippi, il suo piccolo segreto e me ne stavo appropriando. Probabilmente non sapeva se poteva fidarsi di me. E non potevo darle torto visto che per tutto quel tempo non ero stata proprio un modello di calore e di dolcezza, ma, piuttosto avevo solo adempiuto freddamente ai miei doveri di zia ignorando completamente i sentimenti di Viola. Ma ero decisa a cambiare e a recuperare. Quella bambina, non so come, mi stava lentamente cambiando, stava penetrando nel mio cuore anche con i suoi silenzi intrisi di mistero e di malinconia. «Potremmo fare una collana con la pasta oppure giocare alle principesse o far finta di essere delle cuoche e cucinare per gioco, che ne dici?» dissi con enfasi, tirando fuori, da un cassetto nella mia memoria, ogni tipo di gioco infantile che mi veniva in mente, retaggio della mia infanzia.
Un rapido lampo di interesse e curiosità si dipinse sul volto di Viola che incurvò la sua minuscola bocca rosa in una specie di lieve sorriso. Era poco ma potevo farmelo bastare, dovevo attaccarmi anche a questi piccoli segnali se volevo andare avanti. Decisi così di iniziare dalla collana di pasta. Mi sembrava la cosa più semplice da fare e la meno impegnativa per la mia scarsa inventiva. Ci mettemmo entrambe sul tavolo in cucina e rovesciai alcune manciate di penne e di maccheroni sulla tovaglia, poi presi del filo e dei pennarelli colorati che per mia fortuna trovai nella solita piccola valigia di Viola. Le mostrai dapprima come fare, iniziando io stessa a colorare qualche chicco di pasta e infilandolo poi nello spago. Viola seguiva con attenzione ogni mio gesto e sembrava piuttosto interessata. Prese la pasta ed iniziò anche lei a fare una collana. Era così assorta che sembrò totalmente dimenticarsi anche di me. Io la osservavo in silenzio per non disturbarla e mi faceva tanta tenerezza vedere la sua espressione attenta e corrucciata, con la lingua in mezzo ai denti, tutta presa da ciò che stava facendo, come fosse un’artista alle prese con un grande capolavoro.
«No Pippi, non si fa così, guarda me» disse a un certo punto, sovrappensiero, senza nemmeno sollevare la testa dalla sua collana. Poi però si accorse della mia presenza, ricordandosi che anche io ero là con lei. Le sue guance si colorarono di rosso mentre le sue labbra si strinsero nuovamente in una morsa di silenzio, era piuttosto imbarazzata. Chinò la testa sfuggendo il mio sguardo mentre rigirava nervosamente un chicco di pasta tra le mani. Decisi di riprendere subito anche io il gioco dell’amica immaginaria.
«Hai ragione Viola, anche Nina ha fatto un gran pasticcio. Vedi? Non ha colorato bene la sua pasta, non è brava come noi» dissi con naturalezza, indicando la sedia alla mia destra fingendo che ci fosse seduta Nina.
Viola sembrò rilassarsi e sorrise. Mi si allargò il cuore. Il percorso era lento e in salita, facevamo entrambe piccoli passi calcolati, tentando di non cadere, studiandoci a vicenda.
«Ti va se adesso facciamo un ciambellone? Potresti aiutarmi, che ne dici?» proposi battendo le mani.
Mi sentivo un po’ bambina anche io quella mattina. Lei fece cenno di sì con la testa, poi scese con un salto dalla sedia e venne vicino a me porgendomi le mani. Non capii bene cosa volesse dire quel gesto e inizialmente rimasi spiazzata. Voleva un abbraccio? Oppure se l’avessi abbracciata si sarebbe ritratta? Forse in realtà voleva solo che io le dessi gli ingredienti per il ciambellone, forse le mani tese erano il suo modo per dirmi «Ehi, zia, passami gli ingredienti». Ero nel panico e non sapevo cosa fare. Temevo che se avessi sbagliato a interpretare quel suo gesto si sarebbe potuta offendere o richiudere in sé stessa. In quel momento, per mia fortuna, suonarono alla porta. Tirai un sospiro di sollievo.
«Viola corri, andiamo ad aprire, credo proprio sia il tuo bellissimo letto nuovo» dissi allegramente prendendole la mano e saltellando verso la porta.
Invece era Andrea. Rimasi sorpresa vedendolo.
«Buongiorno signorine, ho pensato che forse gradivate un cornetto caldo appena sfornato» esordì lui festosamente mentre ci sventolava sotto al naso due buste bianche che emanavano un profumo delizioso.
«Buongiorno Andrea, a dire il vero io e Viola ci stavamo apprestando a fare un ciambellone ma accettiamo volentieri la tua colazione» risposi sorridendo, mentre lo invitavo ad accomodarsi in casa.
Viola si avvicinò subito a lui e gli strinse la mano. Non riuscivo a spiegarmi quella inconsueta e immediata affinità che si era instaurata subito tra di loro ma adesso non mi dava più fastidio, come era successo giorni prima in negozio, anzi mi faceva piacere.
«Non vai al lavoro stamattina?» chiesi.
«Sì, ma posso andare più tardi, in genere il sabato mattina ci pensa il mio socio al negozio, così io posso prendermela più comoda».
«Fai colazione con noi? Anche se a dire il vero Viola ha già mangiato i suoi biscotti col latte stamattina» dissi guardandola e strizzandole l’occhio.
Lei mi sorrise, poi si voltò verso Andrea e allungò le mani per prendere le buste bianche che lui teneva in mano.
«Credo che una signorina qui abbia ancora fame» esclamò Andrea divertito mentre porgeva i cornetti a Viola, la quale corse subito in cucina ridendo.
Io rimasi ancora qualche istante in salotto con lui.
«Volevo ringraziarti per le tue parole di ieri, mi sono servite molto. Ho una nuova consapevolezza del dolore di Viola e questo lo devo soltanto a te. Oggi mi sembra addirittura di vederla più serena, più sorridente, non so… forse mi sto solo illudendo ma sento che le cose stanno iniziando a migliorare» dissi a bassa voce guardandolo negli occhi con gratitudine.
Lui mi sorrise, con quel suo sorriso caldo e rassicurante che avevo imparato a conoscere e che ultimamente riusciva ad emozionarmi.
«Alcune volte succede che la vita ci dia un’occasione per crescere, per cambiare, per migliorare. Io penso solo che Viola non sia capitata nella tua vita per caso. E, se posso dirlo, io vi trovo bellissime quando siete insieme».
Restammo qualche istante in silenzio, in piedi, uno di fronte all’altra, occhi negli occhi. Sentii una strana sensazione di calore e serenità dentro di me, non sapevo dire cosa fosse, ma percepii distintamente il mio cuore aumentare i suoi battiti. Fu Viola a riportarmi alla realtà, riscuotendomi dal torpore nel quale mi trovavo. Era là accanto a me e mi tirava per una manica.
«Credo che voglia fare colazione» rise divertito Andrea vedendo l’insistenza con la quale Viola mi tirava verso la cucina.
Sorrisi anche io e la seguimmo. Tirai fuori i cornetti e le ciambelle calde dalle loro buste e offrii una tazzina di caffè ad Andrea mentre intanto Viola addentava con gusto una ciambella. Mi venne da ridere vedendo la sua bocca e il suo nasino pieni di minuscoli granellini di zucchero. Ero finalmente rilassata e serena dopo tanto tempo. In quel momento mi sentivo bene ed ero esattamente dove desideravo essere, nella mia cucina, indossando una comoda tuta da casa, con una dolce bambina silenziosa che stavo imparando ad amare e uno strano ragazzo della porta accanto che sapeva farmi emozionare.