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Danza di farfalle
La nuova cameretta di Viola era davvero molto carina, ero soddisfatta dei nuovi acquisti e anche lei sembrava piuttosto felice. Si aggirava per la piccola stanza guardandosi intorno, saliva e scendeva dal letto continuamente, ci si rotolava sopra, giocava con i due nuovi cuscini a forma di fiore che le avevo comprato e sembrava davvero contenta. Ero molto soddisfatta anche del bel colore primaverile bianco e lilla che avevo scelto, dava luminosità alla camera ed era adatto ad una bambina senza però risultare troppo stucchevole. Il letto aveva anche due comodi cassetti estraibili in basso e proposi a Viola di sistemarci le sue cose. «Sono felice che la tua nuova cameretta ti piaccia. Adesso se ti va possiamo sistemare nei cassetti i tuoi giochi, i tuoi colori e tutti i libri che la nonna ti ha dato, va bene?» dissi mentre mi dirigevo in salotto. Viola mi seguì come un’ombra. Iniziavo perfino ad abituarmi a quei suoi silenzi, era come avere accanto una piccola elfa dei boschi. Scalza e taciturna, mi seguiva senza far rumore eppure la sua presenza riempiva tutta la casa. Mi sorpresi perfino a chiedermi come trascorrevo le giornate da sola in casa prima dell’arrivo di Viola. Era buffo ma ormai mi stavo così abituando alla sua presenza che quasi non ricordavo cosa facessi nel mio tempo libero prima che lei venisse a vivere con me.
«Prendi la tua bambola e il tuo coniglietto, io prendo tutti i libri che sono più pesanti» le proposi. Lei subito ubbidì. Iniziavo a pensare che una bambina tanto ubbidiente come lei sarebbe stata probabilmente il sogno di moltissime mamme. Tornammo in camera e Viola mi aiutò a sistemare ogni sua piccola cosa nei cassetti. In verità aveva così poca roba che riempimmo a malapena un solo vano e ancora avanzava spazio. Mi fece tenerezza. In un mese che era a casa con me non le avevo mai comprato niente, nemmeno una bambola o un album per disegnare. Mi sentii davvero una persona pessima ed egoista, provai vergogna di me stessa. «Ascolta piccola, sai cosa pensavo? Che un pomeriggio della prossima settimana potremmo andare a comprare qualche altro gioco nuovo. Così riempiamo tutti e due i cassetti del tuo lettino» dissi mentre mi accovacciavo davanti a lei e le prendevo le mani tra le mie.
Il suo viso si illuminò e un immenso sorriso le scoprì tutti i denti. Eccola finalmente la bambina che usciva fuori con i suoi cinque anni. Ancora non parlava, questo purtroppo era evidente, ma piano piano i suoi occhi tristi si illuminavano di nuova speranza e il suo viso sempre cupo e corrucciato lasciava trasparire sempre più spesso grandi sorrisi che mi scaldavano l’anima.
«Ho una sorpresa per te adesso» le dissi mentre mi alzavo da terra. «Aspettami qui e ti mostro una cosa che ho comprato per la tua nuova cameretta». Andai velocemente nella mia stanza e estrassi dall’armadio un pacco piuttosto voluminoso. Era il primo regalo che le compravo. E adesso ero più che mai felice di avere qualcosa da donarle. Quando Viola mi vide arrivare con quel grande pacco sgranò gli occhi stupita. Era quasi più grande di lei.
«Mi aiuti ad aprirlo?» le proposi per coinvolgerla.
Lei si avvicinò e mi aiutò ad aprire la grande scatola di cartone e sbirciò dentro in punta di piedi. Era così buffa. La guardai strizzandole l’occhio e poi estrassi un nuovo coloratissimo lampadario per la sua nuova cameretta. Aveva la forma di un fiore, dalla lampada centrale partivano a raggiera dei grandi petali color lilla ai quali erano attaccate, con dei fili sottili, tante farfalle colorate di rosa, giallo, azzurro e lilla. Era bellissimo e appena lo avevo visto in negozio mi si erano illuminati gli occhi. Probabilmente lo avevo acquistato più per soddisfare me stessa e i miei sogni di bambina che per rendere felice Viola, ma adesso invece ero felice di donarlo a lei, per la sua nuova camera. In quel momento la mia priorità era diventata vederla sorridere e farla stare bene. Non appena lei vide il lampadario emise un gridolino di gioia e di sorpresa e iniziò a saltellare allegramente per tutta la stanza. Mi metteva di buonumore vederla così e anche io a mia volta mi misi a ridere di cuore. Poi si avvicinò al lampadario per osservarlo meglio, facendo muovere qua e là, con piccoli colpetti delle dita, tutte le farfalle colorate.
«Grazie» mormorò all’improvviso tenendo gli occhi bassi sempre fissi sul lampadario.
Fu un sussurro appena udibile, come un soffio di vento estivo sul mare, come il fruscio di una foglia che si stacca da un ramo e si posa in terra senza far troppo rumore. Eppure io lo udii. Il mio cuore udì quel grazie appena sussurrato, come una carezza delicata sull’anima. Mi si velarono gli occhi di lacrime per la commozione e rimasi senza fiato, ferma immobile, vicino a lei, col lampadario in mano e i battiti del mio cuore accelerati per l’emozione. Avrei voluto chiederle di ripetere quella parola, per essere proprio sicura di averla udita per davvero ma temevo che Viola potesse richiudersi nuovamente a riccio se l’avessi forzata. Così le sorrisi e risposi solamente «Prego, è stato un piacere».
Poi, dopo qualche istante, riprese a saltellare felice per la stanza ridendo come una qualsiasi bimba della sua età e infine si buttò a braccia aperte sul letto. Vederla così serena mi scaldava il cuore. Non pensavo sarei mai riuscita a provare affetto per la figlia di mia sorella, eppure quello che sentivo in quel momento dentro di me gli assomigliava moltissimo.
«Andiamo a suonare ad Andrea? Così gli chiediamo il favore di metterci il lampadario?» proposi a Viola.
Lei accettò di buon grado come sempre quando pronunciavo il nome di Andrea. Iniziavo quasi ad essere gelosa. C’era una strana intesa innata tra di loro. Sembravano capirsi perfettamente. Era un’intimità così particolare che sembrava quasi che condividessero un loro segreto dal quale io fossi esclusa. Viola corse avanti precedendomi ma poi si fermò ubbidiente dietro la porta aspettando che fossi io stessa ad aprirla. Uscimmo sul pianerottolo e suonammo il campanello di Andrea. Erano le otto di un sabato sera, sperai di trovarlo in casa.
«Ma guarda chi si vede, le mie vicine preferite!» ci salutò calorosamente Andrea aprendo la porta in maglietta, jeans e infradito ai piedi.
«Giri in infradito con questo freddo polare?» esclamai stupita notando subito i suoi piedi nudi. «Mi viene freddo soltanto a guardarti, io d’inverno giro con tre paia di calzini».
«Beh, ma tu sei attraente anche con tre paia di calzini e un berretto di lana in testa» rise strizzandomi l’occhio.
Rimasi un po’ spiazzata da quella affermazione perché non riuscivo a capire se fosse un reale complimento o soltanto una battuta ironica. Viola, come sempre, gli prese la mano ed iniziò a tirarlo verso casa nostra.
«Ehi, piccola signorina quanta forza che hai» le disse lui con dolcezza.
Avevo già più volte notato che quando parlava a Viola abbassava sempre il tono di voce, facendolo diventare un sussurro gentile. Mi chiedevo dove avesse imparato a capire così bene una bambina difficile come mia nipote. Ne rimanevo affascinata e rapita ogni volta che li vedevo insieme.
«Ecco sì, in effetti io e Viola volevamo chiederti il favore di montarci un lampadario nuovo per la sua cameretta. Ma mi rendo conto che è un sabato sera e magari sarai stanco o forse hai altri impegni» spiegai timidamente per giustificare la fretta di Viola che seguitava a strattonarlo.
«Non c’è problema, vengo subito ad aiutarvi. In effetti più tardi avrei un impegno ma non ho molta voglia di andarci a dire il vero. Prendo le chiavi di casa e sono subito da voi» rispose con allegria.
Era sempre così gentile e disponibile che mi domandai se forse Ethan non avesse ragione nel dire che aveva un debole per me. Andrea tornò un attimo dentro il suo appartamento e ne uscì poco dopo tenendo in mano il cellulare e le chiavi di casa, poi chiuse la porta e ci seguì fino nella stanza di Viola.
«Che meraviglia questo letto nuovo!» esclamò entusiasta rivolgendosi a Viola.
Lei rise e poi gli indicò il lampadario che era poggiato sulla scrivania.
«È davvero bellissimo e molto colorato con tutte queste farfalle» seguitò Andrea prendendolo e rigirandolo tra le mani per osservarlo con attenzione dandogli la giusta importanza.
«Hai una scala?» chiese poi rivolto a me.
«Certamente, te la porto subito».
Andai a prenderla e in pochi attimi fui di ritorno.
«Ebbene signore, cercherò di fare un lavoro accurato e di non rovinare questo meraviglioso lampadario degno di una principessa» disse Andrea mentre saliva sulla scala fino al gradino più alto.
Viola lo seguiva con attenzione restando seduta sul letto con il naso all’insù. Io gli reggevo la scala da sotto per timore che potesse oscillare e perdere l’equilibrio. Alzando per un attimo lo sguardo notai le sue gambe muscolose racchiuse dentro i jeans attillati e il suo fondoschiena sodo e perfetto. Arrossii subito per la sfacciataggine dei miei pensieri. "Santo cielo ma che mi prende? Devo darmi un contegno" pensai tra me abbassando il viso per nascondere il rossore che mi aveva colorato le guance. Da quando guardavo così spudoratamente il sedere di un uomo? O meglio, la domanda esatta forse era, da quando trovavo attraente il mio vicino di casa? Scossi la testa per togliermi dalla mente quei pensieri così audaci e cercai di riconquistare una certa compostezza. Ma alzando nuovamente lo sguardo verso Andrea che montava il lampadario non potei fare a meno di notare anche le sue scapole perfette che si intravedevano da sotto la maglietta. "Oddio Camilla, smettila" mi ripeté nuovamente una vocina dentro la mia testa. Era forse la prima volta da quando conoscevo Andrea che mi accorgevo di quanto fosse attraente. Mi domandai ancora una volta come mai non avesse una ragazza e uscisse così raramente.
«Perfetto!» esclamò dopo un po’ scendendo dalla scala. «Il lampadario è montato, ora non resta che accenderlo».
Fuori era ormai buio e quando accendemmo la luce l’effetto fu incredibile, ancora più bello di quanto avessi immaginato. Improvvisamente sul muro bianco intorno a noi vennero proiettate tante ombre di mille farfalle che sembravano rincorrersi danzando in un volo leggero mentre la luce, passando attraverso il lilla dei petali, creava caldi effetti di colore nell’ambiente. Restammo tutti e tre qualche istante in silenzio, poi Viola iniziò a fare piroette per tutta la stanza sorridendo felice e tenendo stretto a sé il suo fidato coniglietto. Subito dopo, senza nemmeno sapere come, senza nemmeno voltarmi a guardare la sua espressione, chiesi all’improvviso «Ti fermi a cena con noi?».
Lo dissi e me ne stupii io stessa. Anche Andrea credo rimase sorpreso e per qualche attimo non rispose.
«Sarebbe un onore immenso» disse alla fine, dopo alcuni lunghissimi istanti di silenzio, facendo una specie di inchino come un cavaliere d’altri tempi. E mi sembrò uscito da un libro di fiabe che leggevo da bambina quando sognavo di essere una principessa.