Carezze
Sentii una carezza gentile sui miei capelli, una mano grande ma leggera che mi sfiorava appena, una presenza dolce e non invadente. Avevo gli occhi appannati dalle lacrime e la testa reclinata sul cuscino, non riuscivo a calmarmi eppure quel tocco leggero e amorevole piano piano riuscì a placare la violenza dei singhiozzi. Per un attimo tornai bambina e assaporai per qualche istante la stessa sensazione di calore e sicurezza che provavo da piccola quando mia madre mi teneva stretta tra le sue braccia per tranquillizzarmi dopo che avevo fatto un brutto sogno la notte e mi svegliavo piangendo. Lentamente mi calmai, tirai su col naso e mi asciugai gli occhi con un lembo del cuscino, l’unica cosa che avevo a mia disposizione in quel momento. Non appena riuscii a mettere a fuoco le immagini vidi accovacciato a terra, in ginocchio, accanto a me, Andrea che mi sorrideva dolcemente mentre seguitava ad accarezzarmi i capelli. Poco distante da lui c’era anche Viola che mi guardava pensierosa con i suoi grandi occhi verdi spalancati e un velo di preoccupazione dipinto sul viso. Mi sembrava di svegliarmi da un incubo e faticavo ancora a capire come Andrea potesse essere entrato a casa mia proprio nell’esatto momento in cui avevo più bisogno di lui. Forse era davvero un supereroe. Mi piaceva crederlo. In quel momento ero così fragile e vulnerabile che avevo tremendamente bisogno di protezione. Gli sorrisi a mia volta e la sola cosa che riuscii a mormorare, con la voce ancora rotta dall’emozione e dallo spavento di poco prima, fu un semplice «Grazie». Andrea mi porse con gentilezza la maglietta del mio pigiama. Solo in quel momento mi resi conto di essere quasi nuda, con una scollata canottiera bianca e sottile, senza nemmeno il reggiseno. Subito arrossii, sentii le mie guance avvampare e chinai la testa imbarazzata mentre cercavo di coprirmi il seno con la maglietta. Andrea scoppiò a ridere. «Sei così buffa, sembri una bambina colta sul fatto a rubare le caramelle» mi prese in giro.
Probabilmente stava solo cercando di farmi ridere e di farmi ritrovare un po’ di buonumore ma io ero davvero troppo imbarazzata e sentivo le mie guance in fiamme.
«Guarda che so come è fatta una donna, eh» seguitò lui strizzandomi l’occhio divertito. «Anche se devo dire che tu, così nuda e sconvolta, sei davvero un bellissimo spettacolo» aggiunse con dolcezza.
Sentivo l’imbarazzo aumentare a dismisura.
«Smettila ti prego, sono terribilmente a disagio per questa situazione. Se ti volti un attimo mi infilo la maglia del pigiama» gli dissi mordendomi un labbro piuttosto impacciata.
«Ti ho visto mezza nuda fino ad ora e mi chiedi di girarmi?» mi stuzzicò lui divertito.
Misi il broncio.
«Sei adorabile, anche col broncio» seguitò dandomi un buffetto leggero sulla guancia.
«Ma la vuoi smettere? Stai diventando sfacciato» lo rimproverai. Ma dovevo ammettere in cuor mio che quella sua nuova veste di supereroe seduttore mi piaceva moltissimo. Lui alzò le mani in aria in segno di resa e si voltò ridendo, dandomi le spalle. Viola seguiva tutto in silenzio ma osservandola notai che non aveva più l’espressione spaventata di poco prima ma piuttosto sembrava quasi che stesse sorridendo. Mi infilai la maglietta e cercai di sistemarmi al meglio i capelli che nel frattempo mi si erano tutti appiccicati sul viso e sul seno bagnati da tutte le lacrime che avevo versato.
«Posso girarmi ora?» chiese Andrea e si voltò senza nemmeno aspettare la mia risposta.
«Ad ogni modo ti ringrazio davvero per quello che hai fatto con Ethan» gli dissi tornando seria mentre lo fissavo dritto dentro gli occhi.
Mi accorsi per la prima volta di quanto fossero profondi e belli. Erano di un grigio così particolare che mi ricordavano gli occhi di un gatto e poi, ogni tanto, brillavano di riflessi dorati, come fossero illuminati da mille pagliuzze color ambra. Erano stupendi, mi piacevano, avevano un misto di dolcezza e di mistero, due qualità che Andrea racchiudeva perfettamente in tutto il suo essere.
«Se non fossi arrivato in tempo non me lo sarei mai perdonato» rispose lui con tenerezza mentre mi sfiorava appena un braccio con una carezza leggera.
Mi piacque quel contatto tra di noi e provai un brivido.
«Ma come hai fatto a sapere che Ethan era qua? E come hai fatto ad entrare? Non mi sembra di averti sentito suonare» chiesi con curiosità.
Andrea si voltò verso Viola e le sorrise facendole il gesto di avvicinarsi. Lei ci pensò un po’ su, poi sembrò convincersi e si avvicinò a noi. Lui la mise a sedere sul suo ginocchio e le fece una carezza amorevole tra i capelli.
«È merito suo se sono arrivato in tempo» affermò rivolto a me. Io sgranai gli occhi, incredula. Corrucciai la fronte con aria interrogativa.
«Ero tornato a casa da poco e ho sentito il campanello. Quando ho aperto ho visto Viola, da sola e in pigiama. Ho subito pensato che ti fosse successo qualcosa e subito dopo ti ho sentita gridare. Sono corso subito qui, Viola per fortuna aveva lasciato la porta di casa tua aperta e quando ho visto quello che ti stava facendo Ethan… io…» Si interruppe e serrò la mascella con rabbia.
Vidi il suo viso contrarsi in una smorfia di disgusto mentre stringeva la stoffa dei pantaloni tra i pugni chiusi. Mi fece tanta tenerezza e provai un’infinita gratitudine sia per lui sia per Viola. Guardai entrambi con gli occhi lucidi dalla commozione mentre sentivo il cuore martellarmi dentro al petto quasi volesse schizzarmi fuori. Poi d’impulso allungai una mano e afferrai Viola attirandola dolcemente verso di me e la strinsi forte tra le mie braccia, sul mio seno. Lei non si sottrasse al mio abbraccio ma all’inizio rimase rigida, come fosse di legno. Fino a qualche settimana prima me ne sarei risentita e mi sarei offesa ma adesso non mi importava, volevo solo farle sentire l’affetto che nutrivo per lei e ringraziarla per essere stata così tanto in gamba e coraggiosa da aver chiamato Andrea in mio soccorso. Una lacrima di gioia e commozione mi scese dagli occhi e, scivolando sul mio viso, cadde su quello di Viola. Lei sollevò il viso e mi guardò, io le sorrisi. Poco dopo sentii il suo piccolo corpo ammorbidirsi e lei finalmente si lasciò andare, abbandonandosi con fiducia al mio abbraccio. Sentivo il cuore scoppiarmi dalla gioia e, nonostante tutto quello che era accaduto poco prima con Ethan, adesso mi sentivo di nuovo bene, solo grazie a Viola e Andrea.
«Vuoi che prima che vado via ti faccio una camomilla calda?» mi chiese lui premuroso.
«È un pensiero davvero gentile da parte tua» lo ringraziai. Poi guardai l’ora e mi accorsi che erano ormai le nove passate e Viola probabilmente era stanca, soprattutto dopo lo spavento che si era presa con Ethan.
«La metto a letto e vengo a bere la camomilla, grazie. Trovi tutto l’occorrente in cucina, nello sportello in alto a destra, sopra al lavandino» gli spiegai gentilmente mentre intanto portavo Viola in camera sua tenendola per mano. La accompagnai prima al bagno, poi la misi a letto e le rimboccai con premura le coperte. Forse Ethan aveva ragione, stavo cambiando a causa di quella bambina e magari stavo diventando un po’ più materna e un po’ meno donna in carriera sensuale e mondana. Magari fino a qualche giorno prima questa cosa mi avrebbe anche piuttosto infastidita ma adesso tutto era cambiato, mi sentivo diversa e, grazie a Viola e grazie anche ad Andrea, stavo riscoprendo un lato del mio carattere che per troppo tempo avevo nascosto e che invece mi apparteneva.
«Vuoi che chiami Pippi e Nina a dormire insieme a te?» le chiesi sorridendole.
Lei strinse tra le braccia il suo coniglietto dal quale non si separava mai e scosse la testa in segno di diniego, poi alzò un braccio verso il soffitto e con il suo piccolo dito indicò il lampadario. Non ero sicura di aver capito cosa volesse dire e soprattutto pensai che se avessi seguitato a interpretare tutti i suoi silenzi lei non avrebbe mai provato a parlare. Così feci la finta tonta e dissi: «Sì tesoro è proprio un bellissimo lampadario».
Lei ritrasse il braccio sfiduciata e io pensai di aver sbagliato tutto. Ma dopo qualche istante di silenzio, Viola, guardandomi con gli occhi rossi di sonno, bisbigliò in un sussurro appena udibile «Luce».
Tirai un sospiro, era sempre un’immensa fatica anche riuscire a farle dire una singola piccola parola. Ma ero comunque felice che l’avesse fatto, che in qualche modo accettasse di comunicare con me. Inoltre speravo che fosse un buon segno anche il fatto che non volesse più tanto spesso accanto a sé la sua amica immaginaria Pippi. Forse stava lentamente riacquistando un contatto sereno con la realtà lasciando da parte il suo mondo immaginario popolato di coniglietti di peluche e amiche inventate dai nomi improbabili. In cuor mio speravo tantissimo che fosse così. Le diedi la buonanotte e poi uscii dalla sua stanza lasciandole ovviamente la luce accesa in modo che le farfalle colorate potessero tenerle compagnia. In salotto trovai Andrea in piedi davanti alla finestra che osservava le luci della città nel buio della notte. Sul tavolino accanto al divano c’era la tazza con la camomilla calda fumante. Lo raggiunsi e mi misi in silenzio accanto a lui a guardare anche io attraverso i vetri l’oscurità punteggiata dalle piccole luci accese nelle case e per le strade. Lui mi guardò con quel suo sguardo caldo e dolce che avevo imparato a conoscere e ad amare da qualche tempo. «Viola dorme?» mi domandò.
«Ancora no ma crollerà presto, aveva già gli occhi impastati di sonno» risposi ridendo. «E ha detto un’altra piccola parola stasera» aggiunsi.
«Molto bene, sono piccoli passi, lo so, è un percorso in salita, faticoso per entrambe, ma so che andrà sempre meglio» disse con enfasi Andrea e subito mi infuse tanta fiducia e speranza. «E tu? Come stai?».
Lo guardai sospirando. Il ricordo di ciò che era successo con Ethan era ancora vivo dentro di me ma stavo decisamente meglio.
«Sto bene, davvero. Puoi tornare a casa adesso, è tardi e sarai stanco».
Lui improvvisamente mi prese le mani tra le sue e le strinse poggiandosele sul suo petto. Sentii immediatamente una sensazione di calore, fu come se tutto il mio corpo andasse a fuoco. Non sapevo definire bene cosa provassi e onestamente avevo quasi paura di scoprirlo, ma quel contatto tra di noi era molto piacevole e sentii una scossa leggera percorrermi la spina dorsale.
«Se ripenso a quello che avrebbe potuto farti se io non fossi arrivato… Santo cielo mi sale una tale rabbia che…» disse con durezza emettendo un profondo respiro. Serrò la mascella e chiuse gli occhi come se le immagini di quella sera fossero ancora troppo vive e nitide anche nella sua mente e non solo nella mia. Non mi ero mai sentita tanto protetta in vita mia come in quel momento. Ero importante per qualcuno. Ero importante per lui.
«Non pensiamoci più, davvero. Lasciamoci tutto alle spalle» proposi mentre cercavo a mia volta di levarmi dalla testa le immagini orribili di Ethan che mi baciava e mi toccava contro il mio volere. Era vero, se Andrea non fosse arrivato non so proprio fino a che punto si sarebbe spinto Ethan. Sentivo ancora dolore ai polsi per quanto me li aveva stretti con violenza.
«Se poi penso a Viola, che era là e avrà visto e sentito tutto mi sale un nervoso che tornerei a prenderlo volentieri a pugni» seguitò Andrea.
«Non sapevo che il mio vicino dolce e riservato avesse anche questo lato da guerriero» lo presi in giro scherzando.
Ma lui mi guardò serio e rispose «Non sopporto le prepotenze e non sopporto i tipi arroganti come Ethan».
Mi lasciò le mani e, non so perché, provai una vaga fitta di delusione. Per un po’ Andrea rimase sovrappensiero e un’ombra di malinconia gli attraversò il volto. Mi domandai cosa stesse pensando e se stesse nascondendo qualcosa.
«Adesso è meglio che io vada. Non aprire la porta per nessun motivo tu, va bene?» mi disse premuroso sventolandomi un dito sotto al naso.
«Non aprirò a nessuno, stai tranquillo. Io e Viola ci chiudiamo dentro e staremo benissimo» gli dissi ridendo un po’ forzatamente per dimostrargli che ero assolutamente serena. Anche se, ad essere sincera, adesso che lui se ne stava andando, provavo un po’ di ansia e inquietudine a restare da sola con il timore che Ethan potesse tornare. Lo accompagnai alla porta e ci salutammo ma, prima di andarsene, Andrea si fermò un attimo sulla soglia di casa, mi guardò a lungo negli occhi e disse «E non permettere mai più a nessun uomo di trattarti in quel modo. Sei troppo intelligente per permettere che qualcuno ti consideri come una bambola e soprattutto sei troppo preziosa per lasciare che ti trattino come erba da calpestare».
Poi, senza darmi nemmeno il tempo di replicare, aprì rapidamente la porta del suo appartamento e sparì dalla mia vista. Tornai dentro casa, con una strana sensazione di insolito calore, con il cuore che mi batteva un po’ più forte e tanti pensieri per la testa. Tante volte avevo pensato di non essere abbastanza per nessuno, ma forse avrei avuto soltanto bisogno di una carezza e un incoraggiamento per riprendere il mio cammino e quella sera, Andrea, aveva saputo darmi entrambi.