19
Ricordi e nostalgia
Per qualche giorno io e Andrea ci evitammo. Forse non lo facevamo consapevolmente, magari fu solo una semplice casualità, ma non ci incontravamo più sul pianerottolo e, per qualche sera, nessuno dei due suonò alla porta dell’altro come negli ultimi tempi eravamo soliti fare. Io ero molto combattuta sui miei sentimenti e cercavo di respingere quell’amore che sentivo crescere dentro di me giorno dopo giorno. Ne ero in parte spaventata forse perché credevo di non essere pronta adesso a rimettermi in gioco, forse per paura di soffrire nuovamente o forse solo perché Andrea sapeva leggermi perfettamente dentro l’anima, sembrava conoscermi da sempre e questo mi rendeva vulnerabile. E in quel momento avevo anche dannatamente paura che il bacio che ci eravamo scambiati avesse potuto danneggiare quel bel rapporto che ultimamente avevamo instaurato. Più passavano i giorni e più temevo che la distanza tra di noi potesse diventare incolmabile. Non sapevo cosa fare e come dovessi comportarmi. Alla fine decisi con caparbietà che quella sera stessa sarei andata a suonare alla sua porta insieme a Viola che era diventata per me anche un’ottima scusa per vederlo. Mentre mi aggiravo per la casa con tutti quei pensieri in testa, in attesa di andare a riprendere Viola a scuola, mi tornò all’improvviso in mente la scatola che mia madre mi aveva spedito diversi giorni prima. L’avevo totalmente rimossa dalla mia mente, gettata nel dimenticatoio, troppo spaventata per aprirla. Alcune volte è più facile scappare da ciò che potrebbe farci soffrire piuttosto che affrontare la realtà. Nel corso degli anni avevo imparato a nascondere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi per proteggermi dal dolore. Con passo incerto andai fino in camera, aprii l’armadio dove l’avevo ben nascosta in fondo ai vestiti e la tirai fuori. Sedetti sul letto con la scatola ancora chiusa sulle mie ginocchia. Non sapevo che fare, mi faceva fatica perfino tenerla tra le mani, mi sembrava che scottasse. Sfiorai delicatamente con le dita le tre piccole roselline bianche di raso, così delicate e lisce che lasciavano una piacevolissima sensazione al tatto. Poi chiusi un attimo gli occhi e feci un profondo respiro inalando tutta l’aria che riuscivo, come se stessi per immergermi sott’acqua. Trattenni il fiato per qualche istante e poi aprii la bocca buttando fuori tutta l’aria.
«Va bene Camilla, è solo una stupida scatola. Che ci sarà mai? Non sei una bambina, puoi farcela» dissi a bassa voce per farmi coraggio.
Poi sollevai il coperchio celeste con le mani un po’ tremanti ma decisa a vedere cosa contenesse quella scatola. Al suo interno trovai diverse cose. Presi inizialmente un piccolo sacchetto rosso di velluto avvolto da un nastrino che lo teneva chiuso. Sciolsi il fiocco e girai il contenuto sul palmo della mia mano. Ne uscì un braccialetto che riconobbi immediatamente, nonostante fossero passati molti anni dall’ultima volta che lo avevo visto. Era in argento, lavorato finemente, con una lavorazione in filigrana sul cinturino e una pietra di ametista viola incastonata nel centro. Era bellissimo, proprio come lo ricordavo. Chiusi gli occhi e tornai per un attimo a tanti anni prima, ad uno degli ultimi compleanni che io ed Alessia passammo insieme in armonia, anzi, forse fu proprio l’ultimo. Ricordavo ancora perfettamente la sua espressione felice quando aprì il mio regalo e trovò il braccialetto. Mi abbracciò con entusiasmo stringendomi a lei, poi volle indossarlo subito e mi promise che non lo avrebbe tolto mai più per quanto le piaceva.
«È stupendo! Mi piace tantissimo, grazie! Lo terrò per sempre al mio polso a ricordarmi che ho una sorella che mi ama così tanto da conoscere alla perfezione ogni mio gusto e desiderio» la voce di Alessia mi risuonò nelle orecchie come se fosse là davanti a me a ripetere quelle stesse parole entusiaste che mi aveva detto molti anni prima. A quel ricordo sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi e li riaprii di scatto passandomi la manica sulle ciglia umide per asciugarle. Non volevo piangere e non lo avrei fatto. Dopo averlo rigirato un po’ tra le mie mani rimisi il braccialetto all’interno della sua piccola custodia rossa. Sospirai.
Subito dopo afferrai un altro pacchetto avvolto, questa volta, in un semplice foglio di carta bianco, tenuto insieme da un elastico. Conteneva alcune fotografie che mi scivolarono dalle mani e si sparsero sul letto non appena tolsi l’elastico. Sentii subito un tuffo al cuore e per un attimo mi mancò il respiro. Non sapevo se sarei riuscita a guardare tutte quelle immagini perché ognuna era un tuffo nel passato, un’immersione nei ricordi, vago ricordo di un tempo ormai passato per sempre. Iniziai a guardarle con il cuore in tumulto e un nodo in gola. Erano come un fermo immagine della mia vita. Alcune ritraevano me e mia sorella, altre solo lei con mia madre, altre ancora i miei genitori abbracciati. C’erano anche diverse foto di Alessia insieme a Viola, in alcune la teneva in braccio quando era ancora una neonata piccola e paffuta, in altre invece erano a casa o al parco e Viola era già più grande. Ma una foto in particolare mi colpì tantissimo, perché ricordavo quell’esatto momento come fosse stata scattata ieri. Eravamo io e Alessia al mare, la nostra ultima estate come due sorelle normali, prima che il nostro rancore e le nostre gelosie ci separassero irrimediabilmente. Era il tramonto, il cielo era tinto di rosso e dietro di noi il mare ci lambiva i piedi. Io avevo un corto abito bianco ricamato, estivo e leggero, i miei boccoli biondi sciolti mi ricadevano morbidi sulle spalle. Accanto a me c’era mia sorella che mi abbracciava stretta circondandomi la vita con le braccia. Indossava un appariscente vestito aderente nero che faceva risaltare i suoi capelli ramati e la sua figura snella e sensuale. Mi ero sempre sentita meno bella e meno attraente di lei, ma la cosa non mi era mai pesata più di tanto fino al giorno in cui litigammo per un uomo. Le emozioni che adesso provavo rivedendo quelle foto erano così violente e pressanti che non potei impedire a una lacrima di scendere a bagnarmi il viso e fui costretta, per un attimo, a chiudere nuovamente gli occhi e calmare il mio cuore. Restai così per diverso tempo, avvolta dal silenzio della casa vuota che adesso, con quelle foto sparse intorno a me a ricordarmi un passato con il quale avevo cercato di chiudere i conti, sembrava ancora più pesante. Mi mancava Viola in quel momento. Mi mancavano anche i suoi silenzi. Pensai che in fondo lei, anche senza bisogno di parlare, riempiva quella casa molto più di quanto io stessa non sapessi fare. Mi chiesi se sarei stata in grado di lasciarla andare via nel momento in cui i miei genitori l’avrebbero rivoluta con loro. Non era affatto previsto che io mi affezionassi a lei, eppure, mio malgrado, stava accadendo.
Decisi di andarla subito a prendere a scuola, non avrei resistito nemmeno altri cinque minuti là da sola, in quel silenzio che regnava intorno a me. Raccolsi velocemente tutte le foto sparse sul letto, le legai nuovamente con l’elastico e le risposi nella scatola azzurra. Poi, mentre le stavo sistemando, mi cadde l’occhio su una busta da lettera. Il primo pensiero fu di far finta di nulla e correre a prendere Viola. Per quel giorno avevo fatto il pieno di emozioni senza rischiare di dover piangere ancora. Rimasi per un po' così, immobile, con gli occhi fissi su quella che sembrava tanto essere una lettera, indecisa su cosa fare. Poi però la mia curiosità ebbe la meglio e d’istinto afferrai la busta. L’aprii e ne estrassi un foglio, adornato da una delicata cornicetta di fiori, scritto con una calligrafia piccola e leggera, in penna blu. Iniziai a leggere fortemente incuriosita e sussultai subito non appena lessi le prime righe che portavano il mio nome. In quel momento capii che il mio cuore avrebbe subito un altro duro colpo probabilmente ma ormai ero in ballo e non potevo più tirarmi indietro né fingere di non aver mai aperto quella scatola azzurra. Così mi sistemai meglio sul letto, inspirai profondamente e seguitai a leggere quella lettera.
«Cara Camilla,
non so se avrò mai davvero il coraggio di spedirti questa lettera o se invece resterà per sempre chiusa in fondo a un cassetto in camera mia, eppure già il semplice fatto di scriverti mi fa stare meglio e lenisce un po’ questo dolore che porto nel mio cuore ormai da anni. Sono successe tante cose da quel lontano giorno in cui le nostre strade si sono divise, quando le nostre urla hanno squarciato l’aria, le nostre lacrime ci hanno spezzato il cuore e le parole taglienti uscite dalle nostre bocche sono state per noi reciproci pugnali. Vorrei adesso poter alzare il telefono e raccontarti tante cose, chiederti perdono, dirti che solo ora comprendo davvero il dolore che ti ho provocato. Ma forse ormai è tardi. In questo momento sono da sola, in un piccolo appartamento a Barcellona e dalla mia finestra vedo un meraviglioso cielo azzurro spruzzato da piccole nuvole bianche. È tutto ciò che riesco a vedere dalla mia posizione distesa a letto. Il dottore dice che non devo alzarmi. Sono incinta sai? Mi piacerebbe dirtelo , farti sapere che stai per diventare zia. Vorrei che tu fossi qui a farmi compagnia e a darmi coraggio come facevamo da piccole. Ho avuto una minaccia d’aborto e il medico mi ha messo ferma a riposo, a letto. Non è semplice stare sdraiata senza far niente quando non si ha nessuno accanto sul quale appoggiarsi. Per fortuna ho due inquiline molto carine che vivono con me e spesso mi danno una mano quando tornano a casa la sera. Ma non è semplice trascorrere il resto del giorno da sola, a letto. Però ho avuto modo di riflettere tanto e a lungo in questi giorni di riposo forzato ed è proprio per questo che ho deciso di scriverti. Per dirti che mi manchi molto. Mi manca mia sorella, mi mancano le nostre chiacchierate di quando eravamo solo due bambine piene di sogni, mi manca quello che eravamo insieme io e te. Forse un giorno troverò il coraggio di telefonarti, chissà. O forse no. Magari hai sempre avuto ragione tu quando mi dicevi che ero un’egoista e una codarda. Penso che tu sia sempre stata più forte di quanto non fossi io. Ti ho sempre ammirata. Vorrei avere una spugna per cancellare gli ultimi anni e riavvolgere il nastro, per cancellare il male che ti ho fatto e avere il coraggio di chiederti di perdonarmi. E comunque sai, Luca non era l’uomo giusto per te, forse non lo era nemmeno per me. Non valeva la pena perdere una sorella per un uomo. Ho sbagliato. Ma so che questo non rimetterà a posto le cose ormai, non più. Posso solo assicurarti che sono molto cambiata in questi anni, sono maturata e ho acquistato consapevolezza anche degli errori che ho commesso. Se solo anche tu non fossi così dannatamente testarda e permalosa… se solo dessi a chi ti circonda una seconda opportunità senza emettere subito la tua sentenza di colpevolezza. Se solo…» .
La lettera terminava così. Notai anche una piccola macchia di inchiostro blu sbavato in fondo alla pagina e mi chiesi se per caso non fosse una lacrima caduta sul foglio mentre Alessia scriveva. Forse era per quello che la lettera non era stata portata a termine. Poco dopo però notai che allegato dietro ci stava anche un secondo foglio, questa volta scritto con una calligrafia più lineare e decisa, con una penna nera. Sentivo la testa girarmi vorticosamente e mi mancava la terra sotto ai piedi ma, nonostante ciò, desideravo continuare a leggere. Era come un filo sottile che mi legava ancora a mia sorella e non volevo più spezzarlo. Avrei letto anche tutta la sua intera biografia pur di sentirla nuovamente accanto a me e potermi riappropriare del nostro rapporto. Mi mancavano così tanti frammenti della vita di Alessia di quegli ultimi anni che ero avida di sapere ogni minimo dettaglio di lei e di come avesse vissuto. Così, nonostante il dolore sordo che sentivo dentro al petto, girai il foglio, emisi un profondo respiro e seguitai a leggere.
«Cara Camy,
mentre sistemavo il mio nuovo appartamento, affittato da pochi giorni qui a Parigi, ho ritrovato in fondo a una scatola, piena di vecchie scartoffie, una lettera che ti scrissi anni fa mentre ero a Barcellona. Fu un periodo difficile perché ero bloccata a letto a causa di una minaccia di aborto ed ebbi davvero paura di perdere la mia bambina. Sono passati ormai quattro anni da allora e alla fine non ti ho più chiamata, nonostante i miei buoni propositi. E tu hai chiamato me naturalmente. Ma non posso biasimarti. Quanti stupidi rancori inutili, cara sorella mia! Sai, essere una madre ti cambia nell’animo, profondamente. Mia figlia, tua nipote, si chiama Viola ed è una bambina molto speciale, sveglia, intelligente, ubbidiente. Forse ha capito subito che la sua mamma non era capace di fare un granché e ha avuto molta pazienza con me. Sapessi quanti pannolini mi sono dimenticata di cambiarle e quante pappe ho fatto bruciare sul fuoco! Povera la mia Viola, ha capito subito che doveva imparare a sopravvivere da sola perché aveva una mamma a metà. Ed è per questo che ha imparato ad essere così ubbidiente e silenziosa, sembra un angelo. Sono stati anni molto difficili, io e lei da sole, senza suo padre, troppo egoista anche solamente per accettarla, completamente incapace di amare, né me, né lei. Ci ha abbandonate. Alcune volte ero così presa dal mio dolore e dalla mia solitudine che quasi mi dimenticavo di mia figlia. Ma lei non piangeva quasi mai, forse ha sempre percepito quanto la sua mamma fosse debole e incapace. Forse davvero il cielo mi ha donato un angelo. Vorrei che tu la conoscessi…
Ti assomiglia. Anche se mi fa un po’ rabbia questa cosa, devo ammettere però che in molti tratti lei assomiglia più a te che a me. Ha i tuoi stessi boccoli biondi e spesso le faccio due codini in alto sulla testa, proprio come mamma faceva con te, così mi sembra di rivederti in mia figlia. Ha quella tua stessa tranquillità dei nostri giochi da bambine e il tuo sguardo profondo. Alcune volte mi fermo a guardarla e mi sembra di rivedere te alla sua età. Come abbiamo fatto Camilla a finire così lontane, io e te? Quando è iniziata la nostra fine? Quando le nostre strade, così profondamente intrecciate, si sono poi definitivamente allontanate, separandosi per sempre?
Ho riflettuto molto a lungo su ciò che è accaduto tra di noi, sono maturata, soprattutto grazie a Viola che, con i suoi quattro piccoli anni, sta riuscendo a farmi diventare una donna migliore, più sana, meno egoista, più sorridente e meno ansiosa. Forse ti sembrerà strano ma sto mettendo la testa a posto. Ho deciso anche di smettere di girare di città in città come una zingara. Mi stabilirò definitivamente a Parigi insieme a Viola, vicino a mamma e papà. Sapessi che faccia esterrefatta hanno fatto quando giorni fa ho suonato alla loro porta senza alcun preavviso e gli ho presentato la loro nipotina!
Ho deciso di fermarmi qui, Viola ha bisogno di stabilità. Almeno finché sarà grande abbastanza da poter camminare da sola. E ho pensato che non potrò mai essere davvero felice senza di te, senza avere il tuo perdono. Così ho deciso.
Prima mi sistemerò per bene, arrederò questo minuscolo monolocale per renderlo confortevole, iscriverò mia figlia ad una scuola francese e cercherò di abituarmi ai ritmi di vita parigini. Dopo però verrò a cercarti.
Sì Camilla, voglio venire a suonare alla tua porta, a Roma e non me ne andrò più via finché non avremo chiarito tutto. Magari urleremo, forse ci insulteremo, probabilmente piangeremo, ma alla fine so che faremo pace e ci chiariremo, lasciandoci tutto il passato alle spalle. Ho voglia di abbracciarti stretta a me come facevo un tempo e di sentire i battiti del tuo cuore uniti ai miei in un’unica melodia. Ho capito che non posso più vivere senza di te. Sei parte di me. Implorerò il tuo perdono in ginocchio se sarà necessario, non ho più vergogna ad ammetterlo. Ho sbagliato e voglio assumermi ogni mia responsabilità davanti a te.
Ora ti saluto e chiudo qui questa mia lettera. Ma non sono triste, anzi, mi sento serena e leggera adesso che ho questa nuova consapevolezza che io e te ci rivedremo presto e torneremo le sorelle che eravamo un tempo».
Rimasi là, sul letto, con la lettera in mano, mentre sentivo le lacrime scendere incontenibili dai miei occhi. Ero incapace di pensare, incapace di muovermi, incapace di arrestare quel pianto ininterrotto.