Frammenti di vita
Piangevo ormai da un’infinità di tempo, non avrei saputo dire nemmeno più da quanto. Ero distesa sul letto, con le guance completamente rigate di lacrime e i capelli appiccicati sul viso. Perfino il collo sentivo che era bagnato e qualche lacrima mi era finita sul seno. Ero esausta, bagnata, sudata. Non riuscivo più a smettere, era come se stessi svuotando adesso, dopo anni, tutto il mio immenso serbatoio di lacrime. Quelle lettere di mia sorella avevano avuto un effetto dirompente sul mio cuore, erano scese in profondità e ora non volevano più lasciare la mia anima. Mille ricordi mi avevano attanagliato il cuore, immagini ancora nitide che scorrevano davanti ai miei occhi. Sentivo dolore dappertutto, come se tanti piccoli spilli appuntiti mi si fossero conficcati dentro l’anima. Una nostalgia improvvisa e spasmodica mi stava stritolando il petto. Ero fuori dal tempo e dallo spazio, come se fossi sospesa in aria. Mi sentivo su una barca alla deriva in mezzo alla tempesta. In balia di un uragano.
Subito dopo aver letto le lettere di Alessia avevo subito chiamato Andrea dicendogli che non mi sentivo bene e chiedendogli il favore di andare lui a prendere Viola a scuola. Sapevo di metterlo in difficoltà con il suo lavoro ma davvero non mi reggevo in piedi, sentivo le gambe molli e la testa che mi girava, non avrei mai avuto la forza di uscire. Probabilmente Andrea capì dalla mia voce che qualcosa non andava, forse si accorse anche che stavo piangendo perché con la sua solita consueta gentilezza mi disse che non c’erano problemi e sarebbe andato lui a prendere Viola. Rimasi là a piangere distesa sul letto per un tempo indefinito e stavo quasi per addormentarmi esausta e stremata quando il suono del campanello mi fece sobbalzare, risvegliandomi da quel torpore ovattato nel quale ero sprofondata. Mi alzai vacillando e per poco non caddi in terra perché sentivo la testa pesante, gli occhi gonfi e le gambe molli. Mi sentivo come se fossi stata messa a fare la centrifuga dentro la lavatrice, come se avessi avuto uno scontro frontale con un tir. Mi trascinai a passo incerto e traballante fino alla porta di casa, appoggiandomi al muro per non cadere, cercando nel frattempo di asciugarmi gli occhi come meglio potevo e di sistemarmi i capelli arruffati. Aprii la porta e in quel momento, vedendo lo sguardo attonito e smarrito che si dipinse sul volto di Viola e Andrea, capii di avere un aspetto davvero terribile. Rimanemmo qualche secondo tutti e tre immobili, in silenzio, mentre io seguitavo a specchiarmi nei loro occhi sbarrati e preoccupati.
«Santo cielo Camilla, stai davvero male. Ma cosa ti è successo? Hai pianto?» mi chiese poi Andrea rompendo il silenzio.
Cercai di farmi forza e recuperare uno dei miei sorrisi di circostanza, soprattutto per tranquillizzare Viola.
«Sto meglio adesso, non preoccupatevi, è tutto a posto» risposi ostentando una calma forzata.
Poi feci una carezza sulla testa di Viola e la aiutai a sfilare il suo cappottino rosso. Lei seguitava a fissarmi sospettosa, con lo stesso sguardo preoccupato che aveva anche Andrea. Cercai di ritrovare la mia serenità e di mostrarle che stavo bene.
«Hai fame piccola?» le chiesi, sforzandomi di sorriderle.
Poi la condussi in cucina e le preparai distrattamente un po’ di pane e marmellata, con le poche residue forze che ancora avevo in corpo. Seguitai a dispensarle carezze e sorrisi, cercando di farle credere che stavo bene e che era tutto a posto. La lasciai a far merenda in cucina e tornai a distendermi sul letto dimenticandomi completamente di Andrea, il quale poco dopo si affacciò sulla soglia della mia camera, bussando educatamente alla porta, sebbene fosse spalancata.
«Stai bene?» mi domandò appoggiandosi allo stipite.
Aveva ancora la giacca addosso, probabilmente doveva tornare al lavoro piuttosto in fretta ma io non riuscivo a pensare a niente. Seguitavo a rimanere sul letto inerte, con lo sguardo fisso sul soffitto. Non risposi, le mie labbra erano sigillate, la gola mi bruciava, la testa sembrava esplodermi per i troppi pensieri che si accavallavano. Solo a quel punto Andrea si decise a togliere la giacca e a sedersi accanto a me. Mi sfiorò la guancia con una carezza, poi mi tolse qualche boccolo che avevo sul viso. Lo guardai a mia volta, in silenzio. Già il semplice fatto che lui ora fosse vicino a me mi infondeva tranquillità. Mi era mancato molto non vederlo in quei giorni. Notai che si era fatto crescere un po’ di barba incolta e pensai che fosse molto sensuale, stava davvero bene e sembrava più grande.
«Mi stai facendo preoccupare Camy. Dimmi cosa è accaduto, per favore» insistette Andrea.
Notavo chiaramente lo smarrimento nei suoi occhi. Gli presi una mano tra le mie, senza pensarci troppo, senza sapere se stavo facendo la cosa giusta, semplicemente perché sentire il calore della sua pelle mi faceva stare meglio.
«È una storia lunga e non credo tu abbia né voglia e tempo per ascoltarla. Inoltre ci sta Viola di là e non voglio che lei senta certe cose» bisbigliai con la voce rotta dall’emozione.
Andrea sembrò rifletterci un po’ su, corrugò la fronte e si morse l’unghia del pollice. Mi domandai cosa stesse pensando così profondamente assorto.
«Aspettami qui, forse ho un’idea. So io cosa potrà distrarre Viola per un po’» disse con un sorriso.
Mi strizzò un occhio e sparì di là. Lo sentii mentre parlava a bassa voce in cucina con Viola. Non riuscivo a sentire cosa si dicessero ed ero tremendamente curiosa. Poco dopo udii il suono della televisione che si accendeva, poi una risata sommessa di Viola ed una più fragorosa di Andrea. Poi regnò nuovamente il silenzio e lui mi raggiunse, sedendosi accanto a me sul letto.
«Cos’hai combinato di là? Sai che Viola non ama guardare la televisione» gli dissi facendo una smorfia.
Ma lui mi sorrise entusiasta. «Lo so, ma qualche giorno fa le avevo comprato un piccolo regalo. Dal momento che Viola ama così tanto i gatti ho pensato sarebbe stato carino farle vedere "Gli Aristogatti" della Disney. Così qualche giorno fa gliel’ho comprato e oggi, quando mi hai detto se potevo andarla a prendere a scuola, ho pensato che poteva essere carino darglielo» spiegò con più entusiasmo di un bambino. «Dovevi vedere poco fa quanto è stata contenta appena l’ha visto. Penso che adesso starà buona di là per un bel po’».
Poi tornò serio, mi guardò negli occhi e attese che probabilmente io iniziassi a parlare. Mi misi a sedere sul letto, emisi un profondo respiro e chinai la testa, affranta. Non sapevo da dove iniziare. Era tutto maledettamente complicato. Era tutto maledettamente doloroso. Deglutii e feci un respiro profondo, cercando di soffocare la commozione e ritrovare la lucidità.
«Qualche giorno fa mi è arrivato un pacco da parte di mia madre. Oggi mi sono decisa ad aprirlo e conteneva molte cose appartenute a mia sorella, molte foto e molti ricordi della nostra infanzia. È stato un tuffo nel passato improvviso e molto violento» dissi in un sussurro.
Lui mi prese le mani e se le portò sulle labbra, lasciandovi un bacio leggero. «Immagino sia stato doloroso per te rivedere certe cose adesso che tua sorella è morta» mi disse comprensivo.
Deglutii a fatica e chiusi gli occhi, pronta a rivelare quel piccolo enorme segreto che da sempre pesava sul mio cuore.
«Non è tutto, c’è dell’altro» aggiunsi sospirando.
Non riuscivo a trovare le parole, mi sembrava di precipitare vorticosamente da un dirupo di trenta metri. Era difficile rivelare un dolore tenuto nascosto in fondo alla mia anima per così tanti anni. Era difficile convivere con il rimorso che, come una belva dagli artigli affilati, dilaniava il mio cuore affondando le sue unghie nella mia carne.
«Io e mia sorella non ci vedevamo e non ci parlavamo da otto lunghissimi anni» ammisi a testa bassa, tutta d’un fiato.
Sentii Andrea sussultare e immaginai tutte le domande che probabilmente si affacciarono alla sua mente eppure fu così gentile e rispettoso da restare zitto e non chiedermi nulla. Gli fui estremamente grata perché aveva capito la situazione senza chiedermi troppe spiegazioni. Ma in fondo non avevo bisogno ormai di nessuna domanda perché il mio cuore era pronto per essere svuotato, i ricordi erano riaffiorati con prepotenza e sentivo le labbra muoversi quasi da sole, spinte dall’esigenza pressante di dare sfogo a un dolore taciuto troppo a lungo.
«Io e Alessia siamo sempre state molto unite sin da piccole. Avevamo un bellissimo rapporto, ci aiutavamo a vicenda, ci consolavamo, passavamo le nostre giornate sempre insieme. Lei non era solo mia sorella ma anche la mia migliore amica. Crescendo Alessia divenne sempre più bella, esuberante, appariscente. Essendo più grande di me di sei anni ovviamente sviluppò molto tempo prima mentre io seguitai a rimanere a lungo il brutto anatroccolo. Ai miei occhi lei era bellissima con quei suoi capelli mossi e lunghi, color rame, che sotto la luce del sole si illuminavano dei riflessi rossi del fuoco. Aveva un seno florido, due gambe affusolate e un’allegria contagiosa. Ben presto ebbe molti ragazzi ai suoi piedi. Poi, in un angolo, c’ero io. Per molto tempo la mia corporatura esile mi fece assomigliare ad una piccola ranocchia ma alla fine anche io riuscii a sbocciare, seppure all’ombra di mia sorella. Ma non era un peso per me, anzi, l’ammiravo molto e lei mi confidava tutti i suoi segreti in tema di ragazzi. Se le serviva un consiglio o se doveva anche solo sfogarsi veniva in camera mia e parlavamo per ore».
Continuavo a parlare come un fiume in piena, dimenticandomi quasi di Andrea seduto in silenzio al mio fianco. In verità era come se raccontassi a me stessa più che a lui, come se io stessi rivivendo il mio passato in maniera catartica. Feci una piccola pausa, giusto il tempo di deglutire e di inumidirmi le labbra, poi ripresi.
«Ad ogni modo a vent’anni anche io ero una ragazza piacevole da guardare. Non avevo tutti i corteggiatori di mia sorella ma io non ero come lei, ero piuttosto timida, schiva e riservata, anche se, vedendomi adesso magari, ti riuscirà difficile crederlo» dissi rivolta ad Andrea facendogli un sorriso divertito, giusto per smorzare un po’ la tensione che sentivo crescere dentro di me. «Così successe che a vent’anni mi fidanzai con un ragazzo di nome Luca. Era più grande di me di qualche anno, era molto gentile e premuroso e mi corteggiò con pazienza e dolcezza. Restammo fidanzati per due lunghi anni durante i quali io vissi una vera e propria favola d’amore insieme a lui. Spesso uscivamo anche con mia sorella e il suo gruppo di amici ed io finalmente mi sentivo alla sua altezza, mi sentivo grande come lei e mi piaceva molto frequentare anche la sua compagnia. Con Luca mi sentivo protetta e amata per la prima volta nella mia vita. Non ero esuberante come Alessia e non amavo troppo uscire o frequentare tanti ragazzi come faceva lei. Ma Luca era riuscito a conquistare il mio cuore e la mia anima. Mi fidavo ciecamente di lui e lo amavo moltissimo. Era il solo ed unico ragazzo che desideravo. Finalmente dopo due anni decidemmo di sposarci. Io ero al settimo cielo e mi sembrava di essere la persona più fortunata al mondo. Iniziammo a trascorrere le nostre serate parlando di quali fiori avremmo scelto per addobbare la chiesa, di quali amici avremmo invitato e di dove saremmo voluti andare in viaggio di nozze».
Dovetti fermarmi un attimo perché rievocare tutti quei ricordi iniziava a farmi male al cuore e sentivo le gambe intorpidite e la gola secca. Andrea mi fece una carezza delicata sulla mano e solo allora rivolsi la mia attenzione a lui. Ero stata così presa dal mio stesso racconto che mi ero totalmente estraniata, come se stessi rivedendo al rallentatore il film della mia vita, seduta su una poltrona al cinema.
«Io non so perché tu mi stia raccontando tutte queste cose, ma non voglio farti soffrire nel ricordarle. Se non te la senti di continuare lo capisco…» disse con tono gentile, guardandomi premuroso.
Scossi la testa.
«No, voglio andare avanti, voglio dirti tutto. Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno, per la prima volta in vita mia» risposi con fermezza.
Ormai avevo aperto la botola che racchiudeva tutti i fantasmi del mio passato e non potevo più richiuderla e far finta di nulla. Era come strappare via un cerotto da una ferita ancora aperta, fa molto male ma è necessario per poter guarire. Afferrai con le mani la stoffa della mia gonna e abbassai gli occhi, tesa e nervosa come se stessi per rivelare il più grande segreto di tutta la mia vita.
«Un pomeriggio decisi di andarmi a provare qualche vestito da sposa e chiesi naturalmente a mia sorella di accompagnarmi. Per me il suo parere era importantissimo. Ma lei mi disse che aveva già un impegno quel pomeriggio e non sarebbe potuta venire con me. Non volle dirmi cosa dovesse fare e alla fine io andai con una mia amica. Provare quegli abiti da sposa fu un’emozione immensa, mi guardavo allo specchio e finalmente vedevo una bella donna, dagli occhi felici, che ben presto sarebbe diventata moglie dell’unico uomo che avesse mai amato. Al ritorno decisi di fare una sorpresa a Luca e andai a casa sua per raccontargli subito dell’abito. Lui viveva da solo e io avevo una copia delle chiavi di casa, per le emergenze. Aprii la porta di casa e fui subito avvolta dall’oscurità. All’inizio pensai che non fosse ancora rientrato dal lavoro ma poi udii delle risate sommesse. Restai in silenzio, al buio, sulla soglia di casa e cercai di ascoltare meglio. Percepii altre risate, qualche parola bisbigliata, poi un piccolo grido femminile. In quel momento mi si gelò il sangue e sentii i battiti del mio cuore accelerare. Cominciai a camminare lentamente verso la camera da letto di Luca e vidi la luce accesa filtrare attraverso la porta socchiusa. Poi nel silenzio profondo che avvolgeva la casa si udì nuovamente una risata di donna seguita, subito dopo, da un rumore di baci e un piccolo gemito di piacere. Improvvisamente tutto intorno a me iniziò a girare vorticosamente mentre le mie gambe tremavano, incapaci di sostenermi in piedi. Mi appoggiai al muro per non cadere svenuta a terra e chiusi gli occhi. Una parte di me gridava a gran voce di fuggire via, di scappare e far finta che nulla fosse successo. Ma un’altra parte di me invece sapeva perfettamente che dovevo aprire quella porta e conoscere la verità, per quanto scomoda e dolorosa potesse essere. Ma la cosa peggiore di tutte fu che, nonostante non volessi crederlo possibile, io dentro di me, quella risata di donna la riconobbi subito, immediatamente, ancor prima di spalancare la porta della stanza. Non avevo bisogno di vedere ciò che il mio cuore già sapeva. Avrei riconosciuto quella risata in mezzo ad altre mille».
Una lacrima mi scivolò silenziosamente sul viso e prontamente Andrea l’asciugò passandoci un dito dolcemente. Non parlava, sembrava anche lui sconvolto quasi quanto me. O forse, preferiva restare in silenzio per rispetto del mio dolore. Tirai su col naso e seguitai il racconto, decisa ormai ad arrivare fino alla fine di quella lunga e spinosa strada dei ricordi.
«Con grande fatica poggiai la mano sulla porta, le dita mi tremavano e ogni muscolo del mio corpo era contratto in uno spasmo di dolore e paura. Poi spinsi con forza e la porta si aprì lasciandomi paralizzata e senza fiato per la scena che si palesò davanti ai miei occhi. Nel letto ormai totalmente disfatto Luca stava facendo l’amore con un’altra donna, erano avvinghiati come due serpenti, completamente nudi e sudati, le mani intrecciate, le bocche unite. E sai chi era quella donna, Andrea?» chiesi girando il viso verso di lui. E guardando i suoi immensi occhi grigi spalancati e afflitti, velati di lacrime di turbamento, compresi che aveva già capito tutto.