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Impulsività
Quella mattina segnò per me un nuovo inizio. Tante cose erano successe in soli due mesi. Avevo perso il lavoro al quale mi ero dedicata anima e corpo negli ultimi cinque anni. Avevo perso un uomo che credevo di amare e che mi garantiva una vita fatta di lusso e divertimenti che mi illudevo potessero appagarmi. Avevo versato più lacrime in quei due mesi che in tutta la mia precedente vita. Eppure avevo anche guadagnato moltissime altre cose che mai avrei immaginato fino a qualche tempo prima, tesori preziosi ai quali non avrei più saputo rinunciare. Avevo trovato una nipote che non sapevo di avere e che con i suoi ostinati silenzi mi aveva costretto a fare i conti con il mio egoismo e la mia incapacità. Avevo riempito il mio appartamento vuoto con i passi leggeri di una bambina dolce e caparbia, avevo riscoperto la capacità di amare, ero riuscita a perdonare mia sorella e a riconciliarmi col mio passato. Avevo ritrovato me stessa e mi ero imbattuta in un uomo che aveva saputo entrare in punta di piedi nel mio cuore facendolo battere nuovamente d’amore. Mi mancava Andrea. Ultimamente sembrava che non ci capissimo più e giocavamo al gatto e al topo. Era evidente che io fossi innamorata di lui così come lui desiderava me. Eppure non riuscivamo a essere onesti fino in fondo, era come se la paura e l’imbarazzo ci bloccassero. Sembravamo due equilibristi in bilico su una corda sospesa nel vuoto, con la paura di mettere un piede in fallo, cadere e farci male. Forse se Viola la sera prima non ci avesse interrotti saremmo arrivati ad un chiarimento. O forse avremmo fatto l’amore.
Santo cielo ma è un chiodo fisso ultimamente il sesso con Andrea, pensai sbuffando. Cercavo di tenere impegnata la mia mente il più possibile pur di non pensare a lui.
Quel pomeriggio io e Viola uscimmo per andare a fare un po’ di spesa e per comprare, come le avevo promesso, delle cornici da mettere in camera sua con le foto di Alessia. Quando entrammo nel negozio ce n’erano moltissime e Viola trascorse molto tempo a guardarle una per una con attenzione. Sembrava un critico intento ad osservare qualche preziosa opera d’arte, pronto ad emettere il suo insindacabile giudizio. Mi venne da ridere vedendola così assorta e concentrata ma mi trattenni perché compresi che per lei era un momento molto importante. In fondo stava scegliendo la cornice dove mettere la foto della sua mamma, l’unico ricordo che ancora aveva di lei. Alla fine ne prendemmo tre, tutte scelte da Viola. Una era in argento, con una piccola farfallina nell’angolo in alto, le altre due erano in ceramica con tanti fiori bianchi e rosa intorno.
«Sono belle, vero?» mi chiese Viola con orgoglio appena fummo uscite dal negozio.
Ancora non mi ero abituata a sentirla parlare e ogni volta che diceva qualcosa il mio cuore sussultava nuovamente dentro al petto e un nuovo stupore si impadroniva di me. Avevo quasi paura che potesse smettere da un momento all’altro e potesse nuovamente ripiombare nei suoi silenzi. Non parlava ancora troppo a lungo né troppo spesso, era come se si stesse riabituando anche lei piano piano a comunicare con il mondo circostante, come se le sue parole sorprendessero anche lei. Le soppesava con attenzione, usandole con parsimonia. Ma io ero così felice che per nessuna ragione le avrei fatto pressioni. Avevo aspettato due lunghi mesi e adesso sentire la sua voce mi sembrava un miracolo, un dono del cielo. Era un po’ come un bambino piccolo che impara a parlare sperimentando le sue prime incerte parole. Viola stava lentamente riprendendo confidenza con la realtà circostante tornando a comunicare in punta di piedi, lentamente, con quel suo modo di porsi delicato e mai irruento che apparteneva al suo carattere speciale. Tornando verso casa passammo davanti al negozio di Andrea. Immediatamente Viola lo riconobbe e corse verso la vetrina dove c’erano due nuovi cuccioli di cane maltese che giocavano festosi facendo capriole e mordendosi le orecchie. Mi avvicinai alla porta e stavo per entrare quando attraverso il vetro vidi Andrea che rideva abbracciato ad una ragazza. Erano di spalle e non li vedevo in viso ma sembravano piuttosto affiatati. Mi spostai un po’ verso il muro per cercare di spiarli senza rischiare di essere vista da loro. A un certo punto la ragazza gli spettinò i capelli con una mano, lui le fece il solletico e lei gli saltò al collo abbracciandolo stretto. Non capivo chi fosse, certamente non una cliente. Non si stavano baciando, questo no, ma la loro intimità era evidente e si percepiva anche a distanza, da dietro un vetro. La complicità e l’affiatamento che vidi mi fecero male. Non volevo rimanere là un minuto di più, non volevo rischiare di scoprire che magari erano qualcosa di più e non volevo nemmeno sapere se si sarebbero baciati oppure no. Preferivo non saperlo, preferivo non vederli, preferivo non soffrire. Velocemente afferrai Viola per un braccio trascinandola via mentre cercavo di giustificare tutta quella mia strana fretta. «Tesoro dobbiamo tornare a casa, mi sta venendo un fortissimo mal di testa e devo subito prendere la mia medicina» le dissi. Notai un’ombra di delusione attraversarle il viso, sapevo che ci era rimasta male che non fossimo entrate dentro al negozio a vedere i gattini e a salutare Andrea, ma davvero non sarei stata in grado in quel momento di reggere un’altra delusione. Il mio cuore era già piuttosto malconcio. Tornata a casa cercai di distrarmi e proposi a Viola di sistemare le foto nelle cornici che avevamo appena comprato. Lei ne fu entusiasta. Così tirai fuori dalla scatola tutte le foto e le disponemmo ordinatamente in diverse file sul letto.
«Questa è molto bella, ti piace?» le chiesi indicandone una che ritraeva Alessia in un prato pieno di margherite mentre sorrideva felice verso l’obiettivo. Accanto a lei, nel passeggino, c’era Viola, con un buffo cappello rosso e un corto vestitino bianco che le lasciava scoperte tutte le gambe rosa e paffute. Avrà avuto forse un anno o poco più ed era adorabile.
«Questa bambina sono io?» mi chiese Viola, dubbiosa.
«Ma certo che sei tu tesoro. E sei bellissima» le dissi ridendo. «Sì, scegliamo questa, mi piace» affermò a quel punto Viola con enfasi.
Così sistemammo quella foto nella prima cornice e passammo subito in rassegna le altre. Le altre due le scelse Viola. In una lei e sua mamma si davano la mano, avvolte in pesanti giacconi invernali, mentre sullo sfondo risaltava maestosa la Torre Eiffel e tutto intorno era coperto da un soffice mantello bianco di soffice neve. Era una foto molto romantica e i loro volti sorridenti. Probabilmente era stata scattata di recente, quando erano tornate a vivere a Parigi e infatti Viola era già grande. L’altra foto al contrario era di molto tempo prima perché Viola era piccolissima e dormiva serenamente in braccio ad Alessia che era seduta su una sedia, in penombra, accanto alla finestra. Mi chiesi chi le avesse scattato tutte quelle foto, soprattutto quest’ultima dove Alessia sembrava molto stanca e assorta nei suoi pensieri, quasi triste. Pensai che forse potesse essere stato il padre di Viola a scattarle la foto. Ma non lo avrei mai saputo purtroppo. Mentre sistemavo anche queste due foto nelle altre cornici suonarono alla porta. Andai ad aprire e fuori al pianerottolo, in terra vicino alla porta, c’era una scatola color avorio chiusa con un nastro di raso. Sgranai gli occhi stupita, non avevo davvero idea di chi potesse averla lasciata e di cosa ci fosse dentro.
Ultimamente va di moda recapitarmi pacchi sorpresa a casa, pensai frastornata.
Lo presi, lo poggiai sul tavolo della cucina e lo scartai delicatamente. Dentro c’era un bigliettino che lessi subito con curiosità spasmodica.
Spero vorrai farmi l’onore di indossarlo per uscire a cena fuori con me questa sera. Andrea .
Ero stupita, confusa, felice, imbarazzata, frastornata. Magari non esattamente in quest’ordine ma attraversai brevemente tutti questi stati d’animo. Guardai nella scatola e tirai fuori un delizioso abito nero di raso, con una morbida scollatura a cuore, due sottili bretelline e una corta gonna morbida che nascondeva un delicato tulle. Spalancai la bocca per quanto era bello. Nessuno mi aveva fatto mai un simile regalo e soprattutto mi stupivo di quanto Andrea avesse indovinato i miei gusti pur conoscendomi da così poco tempo. Il vestito mi piaceva tantissimo e lo trovavo anche piuttosto sensuale. Il mio primo impulso fu di correre a prepararmi, indossare quell’abito meraviglioso, farmi bella per Andrea e correre a suonare alla sua porta. Ma subito dopo due pensieri mi paralizzarono. Viola e la misteriosa ragazza che avevo visto poco prima al negozio abbracciata ad Andrea. Non potevo certo uscire con lui sapendo che magari frequentava altre donne! Rividi subito davanti ai miei occhi l’immagine di loro due che ridevano e di lei che gli accarezzava i capelli con quel gesto così intimo che si percepiva anche a distanza. E comunque rimaneva il problema di Viola, avrei dovuto portarla insieme a noi. Non che mi dispiacesse, ma certamente non si poteva definire propriamente romantica una serata con un uomo, avendo attaccata alla mia gonna anche una bambina di cinque anni. Ad ogni modo volevo prima chiarire con lui chi fosse quella misteriosa ragazza perché avevo già sofferto tanto per amore in vita mia e non volevo che un altro uomo, del quale ero ormai perdutamente innamorata – ed era inutile che io seguitassi a negarlo- giocasse con i miei sentimenti facendo a pezzi il mio cuore. Così decisi di riportargli subito indietro l’abito e chiarire alcune cose. Chiamai Viola che arrivò subito tenendo ancora in mano una cornice.
«Tesoro dobbiamo andare un attimo da Andrea perché devo parlare con lui» le dissi prendendola per mano.
Lei mi seguì docile come sempre. Suonai alla porta di Andrea e lui venne ad aprire, sorridente come sempre.
«Buonasera signorine belle» ci salutò calorosamente mentre faceva una carezza sulla testa di Viola.
Non so perché ma sentivo la rabbia crescermi dentro assieme ad una strana fitta di gelosia. Nei miei pensieri lo vedevo già colpevole di aver flirtato con un’altra e di fare il doppio gioco. «Sono venuta a restituirti questo» gli dissi freddamente mentre gli porgevo il pacco.
Andrea sbarrò gli occhi incredulo mentre un’ombra di tristezza gli adombrò lo sguardo. Forse ero stata un po’ troppo maleducata ma ormai era tardi per fare marcia indietro.
«Ti chiedo scusa, forse sono stato troppo invadente. O forse non ti piace? Non è di tuo gusto? Guarda che non sei obbligata a metterlo se...» bofonchiò Andrea piuttosto impacciato.
Mi fece tanta tenerezza vederlo in quello stato. Eppure la gelosia che provavo era così forte da accecarmi.
«Non è questo, ma non credo sia il caso di uscire stasera dopo che io ti ho visto…» mi morsi subito il labbro maledicendo la mia lingua troppo lunga e la mia dannata impulsività.
Ma perché prima di parlare non conti fino a dieci e rifletti? mi rimproverò subito la vocina nella mia testa.
Andrea alzò un sopracciglio mentre mi chiedeva stupito «Mi hai visto dove? Cosa? Non capisco quale sia il problema».
Mi sentivo una cretina e anche piuttosto in imbarazzo perché non potevo certo dirgli che lo avevo spiato nel suo negozio come una ladra! E comunque a parte qualche carezza e qualche abbraccio non potevo rimproverargli nulla e ad ogni modo io non ero la sua ragazza. Mentre pensavo a quale scusa trovare e cosa poter dire per spiegargli il mio comportamento sentii la porta del bagno aprirsi e poco dopo apparve sulla soglia una bella ragazza mora. Era la stessa ragazza che avevo visto poco prima al negozio e sembrava anche piuttosto a suo agio visto che indossava un accappatoio e aveva appena fatto una doccia nel bagno di Andrea. Non riuscivo a crederci. Mi aveva appena regalato un vestito per invitarmi a cena fuori con lui e intanto si portava in casa sua un’altra donna così tanto intima da fare una doccia nuda a casa sua? Sentii nuovamente un’ondata di rabbia offuscarmi la mente e la gelosia accecarmi gli occhi.
«Non capisci quale sia il problema?» urlai fuori di me gesticolando. «Lei è il problema!» seguitai a gridare mentre indicavo la ragazza puntandole il dito contro.
Lei alzò le mani in segno di resa mentre rideva scuotendo la testa. «Ma no, ti sbagli. Non è come pensi…»
Io sbattei le palpebre incredula.
«Oh certamente, non è come penso. Questa è la frase più banale che io abbia mai sentito! Non stai recitando in un film, mia cara!» gridai inviperita e totalmente fuori controllo. «Siamo alla fiera della banalità. Una ragazza nuda in doccia nel tuo bagno e lei che dice che non è come sembra!».
Gesticolavo come una matta e anche Viola mi osservava stupita con gli occhioni spalancati. Mi rendevo conto che forse stavo esagerando e che lo spettacolo che stavo dando sarebbe rimasto per sempre negli annali catalogato sotto la voce "Scenate isteriche eccessive" ma era più forte di me, la gelosia mi aveva attanagliato il cuore e non volevo sentire nessuna scusa. Non permettevo nemmeno ad Andrea di parlare, non volevo ascoltarlo. Andavo avanti come un treno che ormai aveva deragliato ed era incapace di arrestare la sua corsa. Temevo di schiantarmi anche io.
«Pensavi di regalarmi un abito solo per portarmi a letto? Pensi che possa bastare una cena a lume di candela per fare sesso con me?» sbraitai senza ritegno.
Andrea si voltò versa la ragazza e si scambiarono una strana occhiata complice e divertita che ebbe l’effetto di farmi perdere ancora di più la calma. Non ne potevo più di stare là. Mi detestavo per lo spettacolo penoso che stavo dando, soprattutto perché era presente anche Viola. Così di colpo la presi per mano e le dissi «Scusami piccola, non avresti dovuto assistere a simili urli, la zia ti chiede scusa. Torniamo a casa ora».
Feci per voltarmi e uscire ma Andrea prontamente mi afferrò per un braccio bloccandomi. Lo fulminai con lo sguardo ma lui lo sostenne caparbiamente.
«Lasciami andare» sibilai con una finta calma solo per non seguitare a dare in escandescenze un’altra volta davanti a Viola. «Ti lascio andare, va bene, ma permettimi prima di presentarti mia sorella Lara» disse Andrea scandendo lentamente ogni parola, profondamente divertito, con un sorrisetto malizioso dipinto sul volto mentre indicava con la mano la misteriosa ragazza.
Mi pietrificai all’istante desiderando che il pavimento si spalancasse sotto ai miei piedi, inghiottendomi. Non potevo credere alle mie orecchie. E soprattutto non potevo credere di aver fatto a tal punto la figura della perfetta idiota. Ci sono attimi nella vita in cui vorresti sparire, diventare invisibile, nasconderti sotto terra perché l’errore che hai commesso è così colossale che nessuna parola potrà più porci rimedio. Ecco, quello era esattamente uno di quei momenti.