Petali di rosa
Andrea mi portò in un delizioso ristorante nel cuore di Trastevere, in uno dei vicoli stretti di questo storico quartiere di Roma che io amavo moltissimo. Mi era sempre piaciuto passeggiare lungo quelle strade così caratteristiche e pittoresche, punteggiate da tantissime trattorie, ristoranti e botteghe storiche. Soprattutto le sere, quando il chiarore soffuso delle tante luci di Trastevere, come fossero mille lucciole, trasformavano questo rione in un paesaggio da cartolina dando l'impressione di trovarsi dentro ad una favola, avvolti da un alone di romanticismo e mistero. Era una fredda serata di marzo e dopo una breve passeggiata sui sampietrini- dove io camminando a fatica maledissi le mie scarpe col tacco che si incastravano continuamente in ogni fessura tra i sampietrini- finalmente arrivammo al ristorante. Fummo subito avvolti dal tepore della sala riscaldata e immediatamente accompagnati al nostro tavolo da un paffuto e sorridente cameriere dal marcato accento romanesco. Il locale era piccolo, con pochi tavoli, ma proprio per questo era molto accogliente ed intimo, proprio come piaceva a me. Su ogni tavolo c’era un delizioso vaso di vetro, basso e trasparente, che conteneva una profumata candela galleggiante circondata da petali di rosa che si muovevano leggeri nell’acqua. Era un bellissimo centrotavola, molto romantico, che creava degli effetti di luce caldi e suggestivi. Il cameriere, efficiente e cortese, prese subito le nostre ordinazioni dei primi. Io ordinai delle linguine al limone e Andrea degli spaghetti alle vongole.
«Scusami ancora per la scenata di oggi, spero che tua sorella non mi consideri una pazza» borbottai mordendomi un labbro impacciata.
Lui mi sorrise comprensivo. «Smettila di scusarti, lo hai fatto già non so più quante volte. Mia sorella ha capito, non ti giudica male, stai tranquilla. Avrei dovuto presentartela subito ma eravamo appena tornati dal negozio, lei era stanca e ha voluto farsi subito una doccia. Non avrei mai pensato che tu potessi fraintendere in quel modo».
Poi mi guardò a lungo, intensamente e mi sembrò che i suoi occhi si soffermassero sulla mia scollatura. Ma non potevo dirlo con certezza e forse era solo una mia impressione.
«Perché mi fissi così?» chiesi a un certo punto sentendomi nuda sotto quel suo sguardo così magnetico e profondo.
«Perché sei bellissima. Questo vestito ti sta un incanto, sembra ti sia cucito addosso» rispose Andrea mentre un leggero rossore gli colorò il viso.
Non lo avevo mai visto imbarazzato prima di allora eppure avrei giurato che in quel momento fosse arrossito come un bambino. Chinai la testa leggermente a disagio, come spesso mi accadeva ultimamente con Andrea.
«È merito tuo allora, sei tu che mi hai regalato questo vestito» replicai mentre giocavo con la forchetta che era sulla tavola rigirandola tra le mani.
«Non è merito mio né del vestito. Sei tu che sei stupenda con qualsiasi cosa addosso, renderesti speciale anche un semplic pigiama» mi disse ancora chinando un po’ la testa per incrociare il mio sguardo.
L’arrivo del cameriere con i nostri piatti mi tolse dall’imbarazzo di dover rispondere. I primi erano ottimi, avevano un profumino invitante e un sapore squisito. E poi io ero sempre stata una buona forchetta, amavo mangiare e adoravo andare a cena fuori esplorando sempre nuovi piatti e nuovi sapori.
«Sono squisite queste linguine. Hai scelto davvero un ristorante meraviglioso, ti ringrazio» dissi mentre ingoiavo il boccone con un po’ troppa foga, prendendo subito un’altra forchettata di pasta. Avevo una fame da lupi quella sera. Anche se in verità io avevo quasi sempre una fame esagerata. O forse era l’amore che metteva appetito. Andrea sembrava pensieroso, aveva lo sguardo fisso sul suo piatto di spaghetti e non mi aveva nemmeno sentita. Gli toccai una mano e lui sembrò ridestarsi dai pensieri che lo avevano rapito.
«Tutto bene? Sei diventato improvvisamente silenzioso» chiesi sollevando un sopracciglio.
Lui mi sorrise. «Sì, tutto a posto. Stavo solo pensando a una cosa che volevo chiederti ma non so se sia il caso. Non vorrei rovinarti questa bella serata» ripose lui un po’ a disagio.
Mi stupii vedendolo così esitante, di solito era piuttosto deciso e risoluto. Cosa mai avrebbe potuto chiedermi di tanto brutto da rovinarmi la serata? Ero incerta anche io sul da farsi, ultimamente ero così emotivamente instabile e fragile che non avrei mai voluto scoppiare a piangere proprio al ristorante, in mezzo alla gente. Ma poi la mia curiosità ebbe la meglio. «Dimmi pure, non c’è problema, davvero».
Lui giocò per qualche istante con il guscio di una vongola che era nel piatto, restando in silenzio, pensieroso. Iniziai a preoccuparmi. Poi alzò il viso, mi guardò dritto negli occhi e chiese «Ricordi quando mi hai raccontato la storia di tua sorella e di Luca? Poi è arrivata Viola in stanza e non abbiamo più finito di parlare. Sono giorni che ci penso…devi aver sofferto davvero tantissimo. Ecco… mi chiedevo poi cosa fosse successo. Sempre se ti va di parlarne… Non vorrei che…».
Era piuttosto in imbarazzo, quasi balbettava, come se avesse timore di ferirmi o di sembrare maleducato. Seguitava a giocare con la forchetta, sparpagliando gli spaghetti nel piatto come se fosse un bambino che ha commesso una marachella.
«Non devi sentirti in colpa per avermelo chiesto, non preoccuparti. È vero, alcuni ricordi fanno ancora molto male ma sto imparando a conviverci» risposi serenamente.
Ed era vero, non stavo mentendo, mi sentivo davvero stranamente tranquilla. Raccontare alcune cose mi faceva ancora soffrire, quello era innegabile, in fondo avevo tenuto chiusi nell’anima alcuni ricordi per molti anni e adesso, per la prima volta, raccontandoli ad Andrea, li stavo tirando nuovamente fuori, riportandoli alla luce del sole e alla mia consapevolezza. Ma sentivo che stavo meglio, lentamente le ferite si stavano rimarginando e il dolore passava, ogni giorno un po’ di più. Forse raccontarli a qualcuno era stato anche terapeutico. Così come lo erano state le lettere di mia sorella, che mi avevano fatto capire per la prima volta che anche lei aveva molto sofferto la mia lontananza, che le mancavo, che aveva compreso i suoi sbagli e che sarebbe tornata da me per chiedermi scusa se la morte non se la fosse presa. Mi aveva fatto bene leggerle, nonostante ormai fosse troppo tardi per riconciliarmi con lei e per sanare un litigio che durava forse da troppi anni. Improvvisamente l’odio e il rancore che per otto anni avevo provato per lei si erano trasformati in amore e nostalgia. Ed era stato anche merito di Viola che, con la sua silenziosa e mite presenza, ogni giorno mi ricordava mia sorella e ciò che io e lei eravamo da bambine. Era come se Alessia mi avesse voluto fare un regalo prima di morire, sua figlia. Mi scossi da quei pensieri e tornai alla realtà presente. Andrea mi osservava in silenzio. Gli sorrisi per rassicurarlo ulteriormente che stavo bene, ma forse cercavo di rassicurare solo me stessa.
«Non voglio però che pensi che io sia un maleducato impiccione» disse lui mentre io finivo intanto l’ultima forchettata di pasta prima di iniziare a raccontare.
«Non penso che tu lo sia» replicai con dolcezza.
Poi mi pulii lentamente la bocca con il tovagliolo, bevvi un bicchiere d’acqua e mi schiarii la voce, cercando forse la giusta calma per finire quel doloroso racconto iniziato giorni prima. «Come puoi immaginare quella sera stessa, quando mia sorella tornò a casa a notte fonda, io ero sveglia nel mio letto a piangere ormai da ore. Lei venne a bussare alla mia porta ma io mi ero chiusa dentro e non risposi, seguitavo solo a singhiozzare, troppo esausta anche solo per alzarmi dal letto e litigare con lei. Non avevo le forze. E comunque non c’era niente da dire visto che la scena apparsa davanti ai miei occhi era stata piuttosto chiara ed evidente. Mia sorella era a letto con Luca mentre io in quelle stesse ore mi stavo provando il mio abito di nozze per il matrimonio imminente. Non c’era molto altro da aggiungere, nessuna spiegazione plausibile avrebbe potuto cambiare ciò che avevo visto e nessuna parola di scuse avrebbe potuto lenire il dolore profondo e devastante che sentivo nel mio cuore» sospirai e bevvi un altro piccolo sorso di acqua.
Andrea allungò il braccio sul tavolo e mi prese una mano nella sua, tenendola stretta.
«I giorni successivi furono un incubo, successe il finimondo. Mia sorella si scusò infinite volte con me, piangendo e implorando il mio perdono. Disse che lei e Luca si erano innamorati e non sapevano come dirmelo perché non volevano ferirmi. Mi sembra di sentire ancora adesso le sue parole: «Sono cose che succedono purtroppo, non si può comandare il proprio cuore. Ho cercato di resistere, di oppormi a questo sentimento, ma l’amore è stato più forte e ci è sfuggito di mano. Non sapevamo come dirtelo, non volevamo ferirti»
. Non so spiegarti cosa provai in quei giorni, forse nemmeno li ricordo bene a dire il vero. È come se quei momenti fossero avvolti da una fitta nebbia, ho solo frammenti di ricordi confusi, come se avessi cercato di rimuoverli per il dolore troppo grande che mi procuravano. Ho solo qualche immagine che mi torna alla mente in maniera poco nitida… mia sorella che mi rincorreva chiedendomi perdono… i miei genitori disperati e increduli che non sapevano cosa dire… Luca che mi telefonava a ripetizione senza che io gli rispondessi mai. Ma una cosa la ricordo nitidamente ed è il dolore immenso che sentivo dentro. Fu come se qualcuno mi avesse strappato il cuore dal petto e ci stesse saltando sopra. Come se tutto il mondo intorno a me, fatto di poche solide certezze, si stesse sgretolando e io mi trovassi a fluttuare in uno spazio vuoto e scuro, da sola, a testa in giù, senza un appiglio. Fu come precipitare da un dirupo e schiantarsi sugli scogli. Fu come un brutto sogno dal quale avrei tanto voluto svegliarmi ma non riuscivo a capire come fare per aprire gli occhi. Mi sentivo profondamente sola, ferita, tradita dalle uniche due persone al mondo che amavo più di me stessa e delle quali mi fidavo ciecamente, mia sorella e il mio futuro marito».
Fui costretta a fare una pausa nel racconto perché sentii che la mia calma stava venendo meno e gli occhi mi pizzicavano, ma non potevo piangere là, non volevo che gli altri mi vedessero in lacrime nel bel mezzo della cena. Quei ricordi avevano ancora il potere di uccidermi. Avevano ancora l'effetto dirompente di una bomba. Andrea mi accarezzò la mano e mi versò un altro po’ di acqua nel bicchiere.
«Non devi continuare a raccontare se non te la senti. Sono stato un idiota a chiedertelo. Prima ti invito a cena per farti rilassare e dopo me ne esco con simili domande» si scusò, mortificato.
Lessi nei suoi occhi grigi tanta tristezza e compresi che era sincero. Scossi la testa e gli sorrisi debolmente.
«No, sto bene. È stato solo un momento di smarrimento ma ora è tutto a posto» lo rassicurai senza distogliere lo sguardo. «Ad ogni modo come puoi immaginare, io non perdonai né Luca né mia sorella e nessuna delle loro parole e delle loro scuse, per quanto sincere e addolorate, poterono alleviare in alcun modo il mio dolore. Era diventato impossibile ormai per me e Alessia convivere nella stessa casa. Cercavo di evitarla ma era impossibile e ogni giorno c’erano urla, litigi, pianti, accuse, grida. La vita era diventata un inferno, sia per me che per i miei genitori. Così una mattina, uscendo per andare all’università, dissi ad Alessia che una di noi due se ne sarebbe dovuta andare via, per sempre. E così fu. Quando la sera rientrai a casa, mia sorella aveva fatto le valige e se n’era andata via. Mia madre piangeva disperata in camera sua, nel suo solito modo silenzioso e sommesso, con il viso nascosto nel fazzoletto. Quel giorno mi resi conto che la frattura tra me e Alessia era così profonda che difficilmente avremmo fatto pace e la mia vita era ormai distrutta. Ma in realtà avrei dovuto soffrire un altro po’ anche se in quel momento non lo sapevo ancora».
Sospirai e alzai lo sguardo incrociando quello di Andrea. In quel momento arrivò al nostro tavolo il cameriere, tolse i piatti e ci chiese gentilmente se gradissimo altro. Andrea propose un fritto di mare, io a dire il vero avevo ormai lo stomaco sottosopra e mi era passata la fame, ma per educazione acconsentii a fare a metà con lui. Quando il cameriere ci lasciò soli Andrea mi fece una carezza sulla guancia e bastò quel piccolo contatto per farmi stare subito meglio.
«Sai cosa successe qualche settimana dopo? Venni a sapere che mia sorella era andata a vivere insieme a Luca e che entrambi avevano lasciato Roma. Non so dirti cosa provai, non credo che esistano parole in grado di descrivere il dolore, la rabbia, lo sconcerto, lo smarrimento che provai, non solo nell’attimo in cui lo scoprii, ma anche per tutti i giorni, le settimane e i mesi successivi. Fu un periodo davvero terribile. Smisi di uscire, smisi di andare all’università, smisi di vedere gli amici, smisi anche di mangiare. Restavo ogni giorno chiusa nella mia stanza a piangere oppure trascorrevo ore stesa sul letto fissando il soffitto bianco senza sentire né la fame né la sete. Qualche volta pensai di farla finita perché non vedevo più il senso della mia vita. Luca e Alessia erano il mio presente e, credevo, anche il mio futuro, le colonne portanti di tutta la mia felicità. E mi avevano tradito, pugnalato alle spalle nel peggiore dei modi. Mia sorella mi aveva rubato l’unico uomo che avessi mai amato, l’uomo che stavo per sposare ed erano andati addirittura a vivere insieme. Non sapevo nemmeno dove fossero andati, in quale città o nazione, ma in quel momento non mi interessava nulla. E fu in quel momento, in quei giorni, che decisi che avrei dimenticato Alessia per sempre, che non l’avrei mai perdonata e che non volevo mai più sapere nulla di lei. Mia sorella per me era morta».
Deglutii e una lacrima scese dagli occhi, nonostante provassi a trattenerla, rigandomi silenziosamente il viso. Andrea si alzò e spostò la sua sedia vicino alla mia, poi mi circondò le spalle con il suo braccio, attirandomi a sé. Fu un gesto molto bello che mi toccò il cuore e mi consolò immediatamente.
«Mi dispiace tantissimo Camilla. Sia per quello che hai dovuto sopportare sia per avertelo chiesto. Non immaginavo un dolore così grande nella tua vita. Perdonami, mi sento un tale idiota» mi sussurrò con dolcezza ma anche con una punta di amarezza nella voce. Restai per un po’ così, in silenzio, appoggiata alla sua spalla, circondata dal calore del suo abbraccio, incurante della gente intorno a noi. Non esisteva più niente in quel momento, solo io e lui. Mi bastava restare ad occhi chiusi avvolta nel suo abbraccio per sentirmi meglio, come fosse una calda coperta di lana. Lui mi proteggeva ed io lo respiravo. Guardai i riflessi caldi e rassicuranti che faceva la piccola fiamma della candela galleggiante e mi lasciai cullare dal lieve moto ondulatorio dei petali di rosa che si muovevano lentamente nell’acqua. Poi chiusi gli occhi e ascoltai il battito del cuore di Andrea e pensai che sarei potuto rimanere là, così, per sempre.