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Decisioni
Andrea ci raggiunse nel fine settimana. Io e Viola eravamo a Parigi già da cinque giorni, a casa dei miei genitori. Avevo deciso di portarla nella città dove era cresciuta per farle rivedere i luoghi dove, fino a qualche tempo prima, aveva vissuto insieme ad Alessia. E in fondo era importante anche per me poter tornare in quella città con la pace nel cuore dopo essermi riconciliata con il mio passato. Era anche necessario che io e i miei genitori affrontassimo definitivamente la questione del futuro di Viola, di dove avrebbe vissuto e del suo mantenimento. Anche se ormai tutti sapevamo già la risposta. Non avrei mai più rinunciato a lei né al ruolo che mia sorella, morendo, mi aveva affidato. Ma c’era anche un altro motivo per il quale decisi di portare mia nipote a Parigi ed era una questione piuttosto delicata che ancora non avevo avuto il coraggio di affrontare con mia madre e mio padre. Sapevo infatti che mia sorella era stata cremata e mia madre custodiva gelosamente l’urna con le sue ceneri in una stanza della casa. Avevo molto riflettuto in quegli ultimi tempi circa la possibilità di far vedere a Viola quell’urna perché potesse dare un ultimo saluto alla sua mamma e poter piangere qualche lacrima, se ne avesse sentita la necessità. Era piccola, quello era vero, aveva solo cinque anni e non sapevo bene come avrebbe potuto reagire e se avesse compreso il significato di quella piccola urna contenente le ceneri di sua madre. Ci avevo pregato diverse sere, al buio, nel mio letto, chiedendo a Dio di aiutarmi a fare la scelta migliore per Viola, senza spaventarla ma senza nemmeno negarle un ultimo addio a sua madre. E alla fine avevo deciso.
Anche per questo eravamo andate a Parigi. Ma nel frattempo mi era balenata in mente anche un’altra idea. Desideravo gettare via le ceneri di Alessia, affidarle al vento, al sole, all’acqua. Lei era sempre stata uno spirito libero, aveva girato il mondo, senza trovare pace, probabilmente. Immagino che in quel momento si sentisse stretta a stare in un’urna. Il suo posto non era quello. Volevo liberare le sue ceneri, permettere al vento di portarle in luoghi lontani, magari verso qualche spiaggia esotica. Ricordo che da ragazze ci eravamo fatte la promessa che un giorno saremmo partite, soltanto io e lei, per andare in una di quelle spiagge bianche che si vedono sui cataloghi delle agenzie di viaggi, quelle con il mare turchese e trasparente e tante palme meravigliose. Ma Alessia non avrebbe mai più potuto realizzare questo sogno ormai. Sentivo nel mio cuore l’impulso di spargere le sue ceneri e volevo farlo proprio là, a Parigi, la città dove avevamo passato tante estati da piccole e che ci legava indissolubilmente, città che Alessia aveva nuovamente scelto per far crescere sua figlia e dove avrebbe voluto vederla diventare adulta mentre lei invecchiava serenamente.
Il problema sarebbe stato affrontare i miei genitori perché non sapevo come avrebbero preso quella mia proposta. In quei cinque giorni non avevo ancora trovato il coraggio di parlarne con loro ma adesso, che stava per arrivare anche Andrea, sapevo che avrei trovato il coraggio per farlo.
Era un sabato mattina e avevamo appena finito di fare colazione tutte e tre insieme, io, mia madre e Viola, quando suonò il campanello. Scattai dalla sedia e corsi ad aprire la porta, saltellando a piedi nudi come una bambina. Andrea apparve sulla soglia, sorridente e spettinato come sempre. Ero così felice di vederlo che gli saltai addosso appendendomi al suo collo e avvinghiandomi a lui come un koala e lo tempestai di baci.
«Che accoglienza calorosa, principessa» esclamò divertito con le labbra premute sulle mie.
«È quasi una settimana che non ti vedo. Mi sei mancato» borbottai strofinando il naso contro il suo. Adoravo farlo.
«Mi sei mancata anche tu mia bella francesina» sussurrò.
«Je t'aime à la folie, mon chevalier» risposi con un sospiro senza distogliere i miei occhi dai suoi.
«Sei arrivato!» gridò una piccola voce alle nostre spalle.
Ci girammo all’unisono, giusto in tempo per vedere Viola che correva verso di noi fino ad abbracciare strette le gambe di Andrea. Lui mi lasciò e si chinò dolcemente verso di lei prendendola in braccio. Le diede un bacio e lei si strinse forte a lui, appoggiando il mento sulla sua spalla. Adoravo vederli così uniti e affiatati, mi piaceva la loro intimità delicata, fatta di sguardi e abbracci, spesso silenziosi, ma che racchiudevano un mondo di emozioni. Mi commuovevo ogni volta che li vedevo e anche in quel momento sentii le lacrime velarmi gli occhi. Tutti noi avevamo capito quanto Viola avesse bisogno, non solo di una mamma, ma anche di una figura maschile che le era sempre mancata. Probabilmente vedere gli altri bambini con i loro papà le aveva fatto percepire chiaramente il vuoto che c’era nella sua vita e Andrea, con la sua dolcezza e la sua pazienza, stava incarnando perfettamente il ruolo paterno di cui Viola aveva bisogno.
«Dopo ti porto a vedere la Torre Eiffel» cinguettò lei, come un'esperta guida turistica.
Scoppiai a ridere divertita. Ci raggiunse anche mia madre e porse con educazione la mano ad Andrea salutandolo.
Capii che quello era il momento adatto per parlare con lei.
«Viola, perché non porti Andrea nella camera degli ospiti che la nonna ha preparato per lui? Così lo aiuti a sistemare la valigia» proposi sorridendole.
Lei scese dalle braccia di Andrea e lo tirò per la mano lungo il corridoio. Mia madre fece per seguirli, rendendo onore al dovere dell’ospitalità, che per lei era sacra. Ma io la trattenni per un braccio. Si voltò a guardarmi stupita.
«Mamma resta un momento qui per favore, vorrei parlare con te di una cosa».
Lei mi guardò stupita, alzando un sopracciglio, e mi fissò con aria interrogativa.
«Ebbene?» mi chiese dopo qualche secondo vedendo che io non parlavo. In effetti ero piuttosto a disagio e non riuscivo a trovare le parole adatte. Alla fine, incalzata da mia madre, decisi che avrei semplicemente detto ciò che pensavo, facendo parlare il cuore.
«Si tratta delle ceneri di Alessia. Mi piacerebbe molto spargerle insieme a Viola se tu e papà siete d’accordo» mormorai ad occhi bassi.
Mia madre sussultò, esitando diversi minuti prima di rispondermi.
«Spargerle? E dove?» mi domandò sospettosa.
«Non lo so ancora. Magari lasciandole trasportare dal vento o magari nella Senna, lasciando che le acque del fiume le portino lentamente fino al mare» risposi con un’alzata di spalle.
Mia madre sembrava contrariata. Scosse la testa e incrociò le braccia sul petto.
«Perché mai dovrei lasciartelo fare? Sai bene che quell’urna è l’unica cosa che mi rimane di tua sorella a parte qualche foto sbiadita» rispose con tono accusatorio.
«Non lo so perché, ma è una cosa che sento dentro di me. Alessia ha girato il mondo e insieme fantasticavamo di isole lontane dove poter andare un giorno. Penso che sarebbe un atto d’amore lasciare libere le sue ceneri. E Viola potrebbe fare questo gesto insieme a me. Credo le farebbe piacere» affermai con voce calma prendendo una mano di mia madre e stringendola tra le mie.
Mia madre distolse lo sguardo eppure avrei giurato di scorgere i suoi occhi lucidi di lacrime. Si voltò dandomi le spalle e sospirò. «Non lo so, Camilla. Devo pensarci. Non so se voglio farlo» commentò scuotendo la testa. La voce le tremava e a me si strinse il cuore. Forse non era stato gentile da parte mia chiederle un sacrificio per lei così grande. Forse la mia era una richiesta da egoista.
«Va bene mamma, non sei obbligata a fare nulla che tu non voglia. La mia era solo un’idea. Ma magari mi sbaglio» la rassicurai allungando la mano per farle una carezza leggera sulle sue esili spalle ricurve.
Poi lei sparì in cucina come un’ombra silenziosa e lieve. Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori assorta nei miei pensieri, chiedendomi se non avessi ferito troppo mia madre. Poi udii dei passi leggeri e saltellanti come quelli di un folletto dei boschi. Mi voltai e vidi arrivare Viola di corsa.
«Andiamo in giro, zia?» mi domandò allegramente.
Era una gioia vederla così serena. La sua voce ogni volta mi scaldava il cuore in un miracolo sempre nuovo.
«Mettiamoci le scarpe e usciamo, va bene» risposi in un sospiro. Avevo bisogno di distrarmi, di sentire sulla pelle i raggi del sole e di passeggiare mano nella mano con Viola e Andrea. Mi avrebbe fatto bene di sicuro uscire. Non riuscivo a stare in quella casa nemmeno un minuto di più. Andrea ci raggiunse e lesse probabilmente lo smarrimento nei miei occhi. Mi fece uno dei suoi sorrisi, dolci e rassicuranti, che mi scaldavano l’anima nel profondo e mi facevano stare subito bene. In quel momento pensai che non avevo bisogno di grandi cose per essere felice. Mi sarebbe bastato poter vedere ogni giorno quel sorriso per il resto della mia vita.