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Come il sole di primavera
Le valige erano quasi finite. Stavo piegando con cura l’ultima maglietta e poi tutto sarebbe stato pronto.
«Viola vieni un attimo qua» chiamai a voce alta dalla stanza da letto dove stavo sistemando i bagagli. Sentii i suoi passi leggeri correre lungo il corridoio. Si muoveva sempre con la grazia di una ballerina che danza sulle punte. Amavo quella sua delicatezza innata. Poco dopo fece capolino dalla porta con la bocca tutta sporca di cioccolato.
«Stai mangiando il budino? Ma Viola tra poco sarà ora di cena! Devi dire alla nonna di smetterla di darti cose da mangiare ad ogni ora» sbuffai contrariata.
«È stato Andrea» ammise lei, sorridendo maliziosa.
Venne da ridere anche a me vedendola con i baffi neri di cioccolato.
«Allora vai a dire ad Andrea di finire la sua valigia e di smetterla di darti dolci prima di cena» risposi cercando invano di restare seria. «Volevo sapere se il tuo coniglietto di peluche vuoi metterlo in valigia oppure preferisci tenerlo in aereo insieme a te, domani» le chiesi poi.
«Lo porto in aereo con me» affermò lei risoluta incrociando le braccia sul petto.
Poi sparì nuovamente nel corridoio. Risi tra me e terminai di fare la valigia. Mia madre entrò nella stanza poco dopo, mentre io ero intenta a raccogliermi i capelli in una coda davanti allo specchio. Non la sentii arrivare e trasalii quando girandomi me la ritrovai di fronte.
«Mi hai spaventata» dissi portandomi una mano sul cuore. «Sono silenziosa, lo sai» osservò lei pacatamente. Poi sedette sul bordo del letto e batté due volte la mano sul materasso facendomi segno di sederle accanto. Ubbidii, come facevo da piccola. Mia madre non era tipo da ammettere repliche né capricci.
«Ho parlato con Viola giorni fa. Le ho chiesto se volesse tornare a Roma con te o se preferisse restare qui con noi, a Parigi» disse lei senza guardarmi in viso.
Io sussultai e sbarrai gli occhi incredula. Mi aveva colto alla sprovvista.
«Tu cosa?» gridai offesa puntandole addosso due occhi di fuoco. «Hai parlato a Viola di nascosto senza nemmeno darmi la possibilità di essere presente? Ma ti rendi conto?».
Gesticolavo fendendo l’aria. Ero furiosa e mi sentivo tradita da mia madre. Lei rimase seduta impassibile sul letto e aspettò che terminassi la mia sfuriata.
«Non ho fatto nulla di nascosto per ferirti. Desideravo solo avere un confronto con mia nipote e sapere cosa fosse meglio per lei. Ma nel mio cuore sapevo già che Viola ti adorava. Vi ho viste insieme quando sono venuta a Roma» affermò calma, senza scomporsi e rivolgendomi un timido sorriso.
Ma io ero davvero arrabbiata e la sola idea di aver corso il rischio di perdere Viola mi faceva mancare il respiro.
«Non è questo il punto, mamma. Ti sei permessa di parlare con lei del suo futuro senza nemmeno interpellarmi. Ho trascorso cinque mesi insieme a Viola, cavolo! Vorrà pur significare qualcosa, no? Quando è morta Alessia non mi hai neppure chiesto se fossi d’accordo a tenere la bambina. Mi hai imposto la sua presenza e basta! E adesso che io e Viola ci siamo trovate, abbiamo cominciato a conoscerci e a volerci bene, tu che fai? Vuoi portarmela via?» gridai, con le lacrime agli occhi.
«Ma no, Camilla, hai frainteso le mie intenzioni» cercò di giustificarsi mia madre addolcendo il tono della sua voce. Poi poggiò una mano sulla mia gamba e avvicinò il suo viso al mio. «Io ero assolutamente certa che Viola stesse bene con te. Hai visto anche tu le mie lacrime di gioia quando sono venuta a Roma e vi ho viste insieme. Ma non ero sicura che anche tu la rivolessi a casa con te. Mi hai sempre parlato dei tuoi impegni di lavoro e dell’importanza della tua libertà. Ho solo voluto capire davvero cosa volesse Viola, cosa provasse, se si sentisse amata. E lei ha scelto te» concluse mia madre con gli occhi lucidi e un sorriso che metteva in risalto le rughe intorno ai lati della bocca.
La vedevo stanca e anziana per la prima volta, forse.
«I miei impegni di lavoro e la mia libertà erano importanti in un’altra vita. Nella mia esistenza precedente. Adesso le mie priorità sono cambiate, sono Viola e Andrea. E aggiungerei anche me stessa. Mi sembra di essere tornata a vivere solo da qualche mese e lo devo solamente a loro due. Non so più nemmeno immaginare la mia vita senza Viola» ammisi con onestà arrotolandomi una ciocca di capelli su un dito.
Fuori dai vetri il cielo si stava scurendo per lasciare il posto alla sera. Mi alzai e andai alla finestra. Si potevano ancora vedere, sparse in lontananza nel cielo, le striature color arancio e rosso del sole da poco tramontato. Alcune rondini facevano festose piroette nel cielo, disegnando buffe figure mentre garrivano assordanti. Ero stranamente rilassata.
«Comunque ci ho riflettuto a lungo e ne ho parlato anche con tuo padre. La nostra risposta è sì, va bene».
La voce pacata di mia madre, ancora seduta sul letto alle mie spalle, ruppe il silenzio e mi destò dai miei pensieri. Mi voltai appena quel tanto che bastava per guardarla in viso e alzai un sopracciglio fingendo di non capire. In realtà nel mio cuore compresi immediatamente di cose lei stesse parlando e trattenni il respiro per l’emozione.
«Se ritieni giusto spargere insieme a Viola le ceneri di tua sorella per noi va bene. In fondo Alessia resterà per sempre nel nostro cuore e nei nostri ricordi, non abbiamo bisogno di un’urna che ce la ricordi» osservò mestamente mia madre con la voce che le tremava, per la nostalgia e la commozione.
La raggiunsi e mi chinai sui talloni accanto a lei. Poi le presi le sue sottili mani fredde e raggrinzite tra le mie e gliele strinsi con amore. Entrambe eravamo commosse. Ma entrambe però sorridevamo serene.
«Domattina sveglierò Viola alle prime luci dell’alba e usciremo portando con noi l’urna» affermai con decisione.
Mia madre si limitò ad annuire pensierosa. Quella stessa sera a cena chiese a Viola di dormire insieme a lei nel suo lettone. Sarebbe stata l'ultima notte in cui avrebbe potuto abbracciare sua nipote prima di lasciarci partire e compresi la tristezza che provava. Viola mi guardò come se io fossi la sua mamma ormai e lei attendesse il mio permesso. Questa cosa mi scaldò il cuore riempiendomi di gioia.
«Ma certo amore, dormi insieme alla nonna, stasera. Domani pomeriggio poi partiremo e dovrai salutare i nonni, lo sai» le dissi sorridendole.
Gli occhi di mia madre erano velati di malinconia e le sue labbra tremavano lievemente, forse per lo sforzo che stava facendo per trattenere le lacrime. Ormai dopo tanti anni avevo imparato a interpretare e decifrare ogni suo piccolo movimento corporeo, ogni suo sguardo, ogni sua lieve smorfia. Immaginai che per lei e mio padre fosse molto difficile lasciarci partire l’indomani e doverci salutare. Dopo aver avuto me e Viola a riempire la loro casa di risate e chiacchiere per una settimana, doveva essere particolarmente difficile e doloroso per entrambi rimanere nuovamente da soli tra quelle mura dove solo il silenzio avrebbe fatto loro compagnia. Mi si stringeva il cuore anche a me. Ma la mia vita era a Roma così come loro qualche anno prima avevano deciso di tornare a vivere a Parigi dove mia madre era nata e desiderava trascorrere gli ultimi anni della sua esistenza.
E così alle nove, dopo aver messo il pigiama e essersi lavate i denti insieme, mia madre e Viola si chiusero in camera con dei libri di favole. Immagino che avessero programmato una bella serata tutta per loro fatta di coccole e fiabe della buonanotte e, forse, anche qualche lacrima. Mio padre invece sprofondò, come faceva sempre ogni sera, nella sua comoda poltrona dai larghi braccioli. Ogni volta diceva che avrebbe visto un film e invece finiva sempre puntualmente per chiudere gli occhi dopo poco tempo, fino a russare profondamente addormentato. Io e Andrea ci ritirammo nella camera degli ospiti dove i miei genitori, vecchio stampo, avevano preparato il letto per lui. Chiusi la porta alle nostre spalle e lo abbracciai stretto incrociando le mie braccia dietro al suo collo.
«Mi distrugge averti qui in casa e non poter fare l’amore con te» cinguettai ammiccando maliziosa. Mi diede un bacio sulla punta del naso e le sue labbra si schiusero in un sorriso compiaciuto. «Vorrà dire che appena saremo tornati a casa nostra recupereremo tutta questa settimana di lontananza» rispose con un ghigno furbetto.
«Ma sai che mi piace quando dici a casa nostra ? Sembra che viviamo già insieme come una vera famiglia» esclamai.
«Tu sei la mia casa. Non ho bisogno di altro e non importa dove mi trovo. Ovunque sei tu io mi sento a casa mia. Anzi, se posso permettermi di dirlo…» esitò qualche istante prima di finire la frase. «Tu e Viola siete la mia casa, la mia famiglia. Voi mi date quel calore e quell’amore che mi è sempre mancato».
Santo cielo, ma come faceva a dire delle cose tanto dolci?
Ogni sua parola era un’ondata di emozioni dentro al mio cuore. Ogni cosa che mi diceva era come una nuova dichiarazione d’amore che mi avvolgeva l’anima come un abbraccio caldo.
«Mi avevi già convinta con tu sei la mia casa » risi dandogli un bacio sulle labbra. «Ma adesso che hai aggiunto anche Viola come parte di noi e del nostro futuro mi hai commossa definitivamente» sussurrai sentendomi sopraffare dalla gioia e dalla commozione.
Lo guardai a lungo negli occhi sperando che potesse leggervi tutto ciò che con le parole non riuscivo ad esprimere. Non ero mai stata troppo brava a spiegare i miei sentimenti. Non ero mai stata tipo da eclatanti dichiarazioni amorose né da biglietti sdolcinati e parole romantiche. O meglio, forse un tempo lontano lo ero stata, sensibile, dolce, sentimentale, sognatrice. Ma la delusione avuta con Luca mi aveva profondamente cambiata. Avevo indossato una maschera per nascondermi e una corazza per difendermi da altro dolore. Avevo chiuso il mio cuore all’amore e le mie labbra al romanticismo. Soltanto adesso con Andrea stavo lentamente ritrovando me stessa e quella ragazza romantica e insicura che ero stata molti anni prima. Ma ci sarebbe voluta molta pazienza da parte di entrambi. «Comunque devo avvisarti che non avrai vita facile con me. Sappi che sono un disastro» sussurrai imbronciata mentre seguitavo a perdermi nei suoi occhi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla luce intrappolata nelle sue iridi grigie così profonde come gli abissi del mare. Non avevo bisogno di osservare il cielo per vedere le stelle cadenti, mi bastava guardare dentro i suoi occhi per vederle. «Sono lunatica e impulsiva, spesso testarda fino allo sfinimento, sono piena di imperfezioni e di contraddizioni. Devo anche avvisarti, per onestà, che tendo sempre agli eccessi, piango troppo spesso e rido troppo sfacciatamente. Sono eccessivamente insicura, tremendamente sensibile, molto incostante, profondamente sognatrice. È impegnativo starmi accanto. Ah, e giusto perché tu lo sappia, mangio spesso la Nutella con il dito, canto a squarciagola sotto la doccia e di notte parlo con le stelle e confido i miei segreti alla luna» conclusi con un sussurro divertito mentre gli accarezzavo la nuca sotto i suoi capelli castani, ribelli e spettinati.
Andrea mi guardò con una tenerezza infinita e mi sembrò di vedere i suoi occhi lucidi velati da una lacrima. Mi accarezzò la schiena mentre seguitava a tenermi stretta a lui abbracciata. Poi le sue mani scesero giù fino ai miei glutei dove si soffermarono ad accarezzarne dolcemente le rotondità.
«Se è vero che sei un disastro allora vuol dire che sei il mio meraviglioso disastro perché colori la mia vita e non cambierei niente di te. Sei il mio arcobaleno. E se mangi la Nutella con le dita vorrà dire che la mangeremo insieme e quando parlerai con le stelle di notte chiamami, perché lo farò insieme a te» rispose sorridendomi con amore. «Io ti amo perché tu sei bella così come sei. E non intendo solo bella fuori, perché questo è innegabile, hai una tale sensualità che lasci una scia quando cammini e basta solo il profumo della tua pelle per farmi impazzire».
Sorrisi e abbassai lo sguardo. Andrea mi prese il viso tra le mani, obbligandomi a guardarlo negli occhi.
«Ma tu sei bella anche dentro, nel tuo animo, in ogni sfaccettatura del tuo essere. Sei bella perché sei sempre te stessa, perché sei limpida e mezza matta, perché ridi senza motivo e cambi umore mille volte nell’arco di una sola giornata. Sei bella perché il tuo sorriso è aperto e pulito come quello di una bambina e hai due occhi meravigliosi da cerbiatta selvatica che brillano anche al buio rischiarando la notte più di due raggi di sole. Mi piaci quando hai i capelli arruffati appena sveglia, mi piace guardarti dormire accoccolata sul mio petto, mi piaci perché profumi di frutta e quando ti bacio sai di mare. Mi piaci perché le notti passate insieme a te sono state le più belle di tutta la mia vita, mi piace guardare i tuoi boccoli color del grano sparsi sul lenzuolo, morbidi come onde del mare. Quando tu mi sorridi è come se io vedessi l’arcobaleno stando sulla luna. Io sono una nuvola e tu il raggio di sole che mi attraversa e mi riscalda».
Dischiusi le labbra in un sorriso e abbassai lo sguardo. Non sapevo cosa dire, era riuscito di nuovo a farmi restare senza fiato e senza parole. Era una sorpresa continua. Mi domandai come avessi fatto ad avere quel ragazzo così speciale come mio vicino di casa, per tre anni, senza riuscire a vedere davvero chi si celasse dietro la sua maschera di timidezza e riservatezza. Come avevo potuto essere tanto cieca? Come avevo potuto stare con un uomo tanto cinico come Ethan quando, a pochi passi da me, esisteva un ragazzo che viveva per me, che mi amava per come ero e che in pochi mesi era già riuscito a buttare giù la barriera che avevo costruito per difesa intorno al mio cuore?
Mi avvicinai al suo viso e poggiai le mie labbra sulle sue. Mentre lo baciavo cercavo di trasmettergli così tutto il mio amore e la mia riconoscenza perché con le sole parole non ci sarei mai riuscita. Lui mi strinse le mani, intrecciando le sue dita alle mie e subito mi pervase un dolce calore, come il sole di primavera, tiepido e piacevole.
«Usciamo?» mi chiese poi a bruciapelo «È la nostra ultima notte a Parigi e voglio viverla con te».
Annuii silenziosamente, ancora scossa per la sua meravigliosa dichiarazione d’amore di poco prima.