Verso una nuova vita
Viola dormiva serenamente accanto a mia madre, nel grande lettone dei miei genitori, emettendo un leggero sibilo dal nasino. Mi inginocchiai vicino a lei.
«Tesoro, svegliati. Dobbiamo uscire» le sussurrai dolcemente in un orecchio.
Erano le prime luci dell’alba, Parigi era ancora silenziosa, le finestre delle case ancora chiuse, le strade attraversate solo da qualche gatto randagio in cerca di cibo e da qualche irriducibile corridore mattiniero che faceva i suoi consueti chilometri.
Viola si stiracchiò allungando le sue paffute braccia in alto sopra la testa e spalancò la bocca in un sonoro sbadiglio, come fosse un leone che si risveglia nella savana. Mi dispiaceva moltissimo svegliarla così presto, tanto più che nel pomeriggio avremmo anche avuto il volo aereo per tornare a Roma e sarebbe stato stancante. Ma se volevamo spargere le ceneri di mia sorella occorreva farlo mentre la città ancora sonnecchiava pigramente avvolta dai primi raggi del sole del mattino, in quella tiepida domenica mattina di maggio.
Viola si girò verso mia madre dandomi la schiena. Non accennava a svegliarsi. Mia madre invece aprì subito gli occhi celesti e mi fissò, in silenzio, pronta a fare ciò che doveva. Chiamai ancora Viola, scuotendola dolcemente per le spalle, fino a quando aprì gli occhi. Se li stropicciò con le sue piccole manine e sbatté ripetutamente le ciglia per cercare di mettere a fuoco il mio viso. Non appena realizzò che ero io e capì che era mattina, si mise subito a sedere sul letto con quell’immediatezza e quell’entusiasmo che solo i bambini possiedono.
«Dove andiamo? Partiamo con l’aereo?» chiese subito, eccitata. Le sorrisi. «No amore, l’aereo lo prenderemo oggi pomeriggio. Adesso andiamo a fare una cosa. Dopo ti spiegherò. Dobbiamo uscire subito però» le dissi, mormorando a bassa voce per non rompere la quiete silenziosa nella quale era ancora avvolta tutta la casa. Sembravamo quasi dei ladri pronti a compiere il colpo del secolo. La feci alzare, la portai in bagno a fare la pipì e a lavarsi il viso. Poi le infilai al volo una comoda tuta che avevo lasciato già pronta sulla sedia la sera prima e le legai frettolosamente i capelli in una morbida coda. Era bellissima. Immaginavo fin da adesso quanti ragazzi avrebbe fatto girare per strada quando sarebbe stata più grande. Con i suoi boccoli biondi e i suoi grandi occhi verdi avrebbe fatto strage di cuori, proprio come sua madre, mia sorella. Poi le infilai un leggero cappottino primaverile rosa con un grazioso colletto blu ricamato e due fiocchetti sulle tasche, che mia madre le aveva regalato qualche giorno prima, comprandolo in uno dei negozi più chic di Parigi. Uscimmo, precedute da Andrea che aveva già messo in moto la macchina di mio padre, giù in strada.
Sulla porta mia madre mi consegnò l’urna con le ceneri di Alessia e le nostre mani si sfiorarono. Sentii le sue dita tremare e irrigidirsi per un istante, come se non volesse lasciare andare l’ultimo prezioso ricordo che la legava a sua figlia. Mi si strinse il cuore e mi chiesi se quello che stavo facendo non fosse solo una follia e un mio egoismo. Ma poi lei aprì le mani e lasciò andare l’urna, affidandola a me. Poi sparì rapidamente dentro casa chiudendosi la porta alle spalle, senza nemmeno girarsi per vederci andare via. Probabilmente era troppo doloroso per lei.
Noi ci dirigemmo verso la Torre Eiffel. Io e Andrea ci lanciavamo ogni tanto un’occhiata amorevole e lui mi sfiorava dolcemente il ginocchio ogni volta che cambiava marcia. Mi dava molto coraggio, anche semplicemente con la sua presenza, sebbene restassimo in silenzio senza dire niente. Ogni tanto mi voltavo e guardavo Viola che, ancora un po’ assonnata e frastornata, stava seduta calma e buona sul sedile posteriore, guardando fuori dal finestrino la città che lentamente si risvegliava. Io tenevo forte l’urna stringendola tra le mani come se in quel modo potessi trasmettere un’ultima volta all’anima di mia sorella tutto l’amore che le avevo negato negli ultimi anni e volessi dirle tutte quelle parole che non le avevo mai detto. Cercavo di stabilire un ultimo contatto tra me e lei. Volevo fermamente credere che in quel momento Alessia mi stesse guardando da qualche angolo lassù nel cielo. Un velo di lacrime mi velò gli occhi e cercai di ricacciarle indietro strofinandomi rapidamente gli occhi con il dorso della mano. Andrea forse se ne accorse perché mi accarezzò dolcemente una guancia sistemandomi i capelli dietro l’orecchio. Poi mi sfiorò una gamba e lasciò la mano là, ferma, sulla mia coscia. Mi diede subito calore e fiducia.
In poco tempo arrivammo e parcheggiammo vicino a Pont d’Iéna. Non era un ponte particolarmente romantico come invece ce ne sono molti altri a Parigi ma io l’avevo sempre trovato bellissimo perché mettendomi al centro potevo vedere da un lato la Torre Eiffel che troneggiava immensa alla mia sinistra e girandomi dall’altro lato avevo i suggestivi e splendidi giardini del Trocadéro, con la loro meravigliosa fontana costeggiata da filari di alberi e adornata di sculture.
Andrea prese Viola per mano mentre io tenevo stretta l’urna. Scendemmo la scalinata e ci sistemammo in un posto un po’ appartato, sotto al ponte. Guardai il cielo che si stava ormai schiarendo. Erano da poco passate le sei e il sole si stava svegliando illuminando con i suoi tenui raggi tiepidi tutta Parigi. Fissare quella luce che si irradiava nel cielo disperdendo le ombre della notte, quasi mi accecava gli occhi eppure non potevo fare a meno di osservarla col naso all’insù. Mi piaceva moltissimo l’alba. Era come se il sole volesse darmi il suo buongiorno personalmente e farmi una carezza sfiorandomi il viso con i suoi raggi miti e dolci. Mi perdevo nelle infinite sfumature dei colori del cielo che cambiavano repentini man mano che il sole saliva sempre più in alto. Prima il rosa tenue e pallido, poi un arancione più prepotente, fino a lasciare il posto all’azzurro turchese di un mattino limpido di primavera. Immaginavo che quella meravigliosa giornata fosse un dono di mia sorella. Non potevamo scegliere mattinata migliore per darle un ultimo saluto. Considerando soprattutto i continui capricci del clima parigino, spesso freddo e ingrato, più propenso a regalare nuvole di pioggia e cielo grigio che giornate limpide come quella.
Mi inginocchiai poggiando accanto a me la piccola urna, poi allungai un braccio e, prendendo Viola per mano, l’attirai vicina a me affinché i nostri occhi si guardassero.
«Tesoro, ti ho svegliato presto stamattina perché vorrei fare una cosa insieme a te» iniziai a dirle con la voce che mi tremava per l’emozione. Non era facile spiegare, ad una bambina di cinque anni, in pochi minuti, un concetto così delicato e profondo come la morte. Lei mi fissava in silenzio, paziente come sempre.
«Tua mamma sai che è in cielo. È diventata un angelo e ti guarda ogni giorno da lassù» seguitai a dirle alzando per un attimo gli occhi verso il cielo.
Anche lei reclinò la sua testa bionda all’indietro e fissò per un istante le soffici nuvole bianche mosse da una lieve brezza. Era rilassante in un certo senso stare là, nel silenzio dell’alba, nascosti sotto il ponte, noi tre soli. Poi, tornando a catturare il suo sguardo e la sua attenzione, indicai con una mano l’urna. «Qui dentro ci sono le ceneri della tua mamma. So che sei troppo piccola per capire bene quello che ti sto dicendo ma so anche che sei una bambina intelligente e che alcune cose le senti nel tuo cuore».
Così dicendo poggiai una mano sul suo petto.
«Quando le persone muoiono e vanno in cielo, una parte del loro corpo rimane a noi che gli vogliamo bene. Una piccola parte della tua mamma è qui, dentro quest’urna, sotto forma di cenere, una speciale polvere leggera, come se fosse polvere di fata» spiegai cercando di farle capire come meglio potessi il concetto. Non era facile e forse stavo sbagliando tutto, non lo sapevo, seguivo soltanto ciò che mi dettava il mio cuore. Viola mi guardava senza sbattere le ciglia, rapita dalle mie parole, con i suoi grandi occhi sbarrati, forse leggermente confusa. Io guardai per un attimo Andrea con sguardo implorante ma lui mi sorrise annuendo con la testa, sereno. Era il suo modo di dirmi che tutto era a posto e che stavo facendo un buon lavoro. Gliene fui grata. Mi poggiò una mano sulla spalla per infondermi coraggio ed io ripresi a parlare.
«Stamattina siamo venute qui perché mi piacerebbe che io e te insieme liberassimo il contenuto dell’urna qui nelle acque del fiume così che possano poi arrivare fino al mare, trasportate dal vento. Ti va di farlo insieme a me? Ti va di salutare in questo modo la tua mamma?» chiesi emozionata, cercando di mascherare la mia ansia con un tono sereno e disinvolto.
In verità avevo lo stomaco contratto in uno spasmo perché non sapevo come avrebbe reagito Viola. Magari avrebbe pianto. O forse si sarebbe rifiutata di toccare le ceneri. Probabilmente non aveva nemmeno capito bene tutto ciò che le avevo detto.
Lei restò qualche istante ferma, immobile davanti a me, con lo sguardo fisso sull’urna. Avrei pagato oro pur di sapere cosa le passava per la mente e a cosa stesse pensando in quel momento. Ma il suo volto era abbassato e non riuscivo a vedere la sua espressione. Guardai Andrea, spaventata e sconsolata. Lui mi sorrise nuovamente per rincuorarmi ma vidi un velo di tensione anche sul suo volto. Dopo diversi istanti, che però a me sembrarono eterni, Viola alzò il viso e incatenò nuovamente i suoi occhi nei miei. I suoi occhi verdi e limpidi, come un prato fiorito in primavera, scintillavano di mille pensieri ma la sua espressione era serena e rassicurante. Attesi con ansia spasmodica una sua risposta supplicandola con lo sguardo.
«Va bene zia. Salutiamo mamma e facciamola nuotare con quelle paperelle» disse allegra mentre con un braccio teso verso la Senna indicava qualcosa che a me era sfuggita.
Mi voltai e vidi che in effetti vi erano due graziose anatre che camminavano impettite sui gradini lambiti dall’acqua. Erano buffe con la loro andatura dondolante. Ogni tanto immergevano il becco dentro la Senna. Una salì i tre gradini e venne lentamente verso di noi. Poi si fermò vicino a un piccolo passerotto che beccava qualche briciola in terra. Tornai a guardare Viola e le sorrisi rincuorata.
«Mi sembra un’ottima idea farla nuotare con le paperelle» ripetei scoppiando a ridere.
Era incredibile come io mi ponessi tanti problemi pensando che Viola non comprendesse ciò che le stessi dicendo o che ne potesse rimanere turbata e invece lei trovava una soluzione a tutto, con quell’innocenza e quell’imprevedibilità che solo i bambini hanno. Le erano bastate due ochette per sistemare tutto e farmi sentire più leggera anche a me. Ci avvicinammo ancora di più alla sponda della Senna e io feci cenno ad Andrea di tenere saldamente Viola perché temevo che potesse cadere in acqua se si fosse sporta troppo con l’imprudenza tipica dei bambini. Lui subito si accovacciò sui talloni dietro di lei e le circondò la vita sottile con un braccio attirandola a sé, con forza, tenendola stretta al suo petto. Aprii l’urna e immersi una mano nella cenere. Era sottile e fredda, mi ricordava la sabbia del mare di notte. Era piacevole e in un certo senso non mi dava la sensazione di una vita spezzata ma sembrava piuttosto emanare un’energia positiva, un calore inaspettato.
Allungai il braccio affinché sporgesse oltre il bordo della sponda e aprii la mia mano lasciando che il vento portasse via con sé la cenere disperdendola rapidamente nell’aria e facendola poi depositare lieve e impalpabile sulla superficie calma e silente del fiume. Guardai Viola e attesi. Lei seguì il mio esempio e infilò la sua manina nell’urna lasciandola qualche istante dentro come se stesse pensando, valutando, soppesando la consistenza ed il valore della cenere che scivolava leggera tra le sue dita. O forse era il suo modo speciale per dire addio alla sua mamma.
Mi piaceva quel suo modo di essere così profondo e calmo, quasi da adulta, forse persino migliore di tanti adulti, migliore anche di me. Forse la sofferenza l’aveva resa più matura degli altri bambini della sua età. Mi guardò e sbatté le sue lunghe ciglia nere, poi estrasse la mano e lanciò anche lei, come avevo fatto io qualche istante prima, le ceneri che teneva nella mano. Nuovamente un alito leggero di vento le portò subito via e poco dopo l’acqua del fiume le cullò, trasportandole lontano. Ripetemmo quel gesto fino a che tutte le ceneri di Alessia furono libere e disperse, poi richiudemmo l’urna ormai vuota. Era difficile riuscire a capire cosa stessi provando, non avrei mai saputo spiegarlo a parole. Da un lato sentivo nel mio cuore tristezza e malinconia ma, allo stesso tempo, ero felice di aver fatto quel rito con Viola e Andrea, le uniche due persone che avevano riempito la mia vita e che sapevano farmi stare bene. Sapevo che entrambi avevano capito l’importanza e la profondità del gesto. Mi sentivo leggera, serena, senza più nessun rimpianto. Era come se si fosse chiusa un’epoca. Come se mi fossi definitivamente riappacificata con Alessia e il mio passato. Ora potevo davvero guardare al futuro con fiducia, gioia e tranquillità.
Ci alzammo da terra spolverandoci con le mani i pantaloni. Mi sentivo le gambe intorpidite per essere stata troppo a lungo in ginocchio, accucciata. Il sole era ormai alto nel cielo e le strade si stavano popolando di macchine e di gente. Ben presto quel nostro angolino di tranquillità si sarebbe riempito di turisti pronti ad imbarcarsi sul battello che fa il giro navigando lungo la Senna.
«Andiamo a fare colazione? Vi offro due belle brioches calde appena sfornate!» esclamò Andrea con entusiasmo.
Anche lui aveva capito l'importanza e il significato profondo del gesto che avevo appena compiuto. Non c'era bisogno di essere tristi, anzi, si doveva rendere omaggio alla vita ed essere felici, riconoscenti di ogni singolo attimo vissuto accanto alle persone che si amano.
«Buona idea» risposi già con l’acquolina in bocca.
Viola corse con due saltelli accanto ad Andrea e gli strinse una mano. Poi si avviarono ridendo verso la macchina con passo trotterellante, come due piccoli canguri. Vedendoli scoppiai a ridere divertita. Ero davvero serena. Stavo bene.
Li vidi allontanarsi tenendosi la mano e improvvisamente compresi come quei cinque mesi mi avessero cambiato più che tutti i miei anni precedenti e come la vita mi avesse fatto regali preziosi in quegli ultimi tempi più di quanto avessi osato sperare. Mi riusciva difficile pensare che fino a qualche mese prima ero totalmente sola, in un triste appartamento vuoto, dove mangiavo cibi precotti scaldati al microonde, magari all’una di notte, cercando conforto in cose che mi avevano resa schiava di me stessa. Invece adesso, del tutto inaspettatamente, mi ritrovavo con una splendida famiglia. Con una bambina che amavo come fosse mia figlia e con un uomo dolce e premuroso che voleva sposarmi e costruire un futuro con me. Andrea e Viola erano adesso la mia famiglia, la mia gioia, la mia felicità, il mio presente e il mio futuro. Non rimpiangevo nulla della donna che ero stata ma ero grata a Dio per avermi dato la forza di cambiare in meglio e di imparare dai miei errori. Il mio cuore era di nuovo aperto alla vita e, in quel momento, ogni alito di vento intorno a me sembrava emanare una dolce energia carica di promesse e di aspettative. Il nuovo sentiero da percorrere era là davanti a me, tracciato tra le pagine della vita, luminoso come una scia di lucciole, sottile come polvere di stelle, leggero come ali di farfalla eppure solido come ogni speranza che nutrivo nel mio cuore. Non dovevo fare altro che poggiarci i miei piedi e seguirlo, passo dopo passo, scrivendo io stessa, ogni giorno, un nuovo capitolo della mia vita, del mio presente e del mio futuro, resa più forte dagli sbagli del mio passato ma niente affatto sconfitta. E all'improvviso mi tornarono alla mente alcune parole che molto tempo prima avevo letto in un bellissimo libro:
“Da ogni minuscolo germoglio nasce un albero con molte fronde. Ogni fortezza si erige con la posa della prima pietra.
Ogni viaggio comincia con un solo passo
”
Mai come adesso quelle parole mi sembrarono più vere e adatte alla mia vita. A piccoli passi, accanto alle persone che amavo, sarei riuscita a costruire il futuro che desideravo. Passo dopo passo il mio sogno si sarebbe realizzato. E questa volta non sarei stata più da sola perché avevo Viola e Andrea al mio fianco, mi bastava solo stringere le loro mani nelle mie per volare lontano, come una farfalla che apre le sue ali e spicca il volo dopo essere stata a lungo soltanto un bruco.