Ludovico Ariosto nacque, primogenito di dieci figli, da Niccolò e da Daria Malaguzzi, l’8 settembre 1474 a Reggio Emilia, dove il padre era comandante della guarnigione. La sua vita giovanile non fu né umbratile né separata ma relativamente ricca di diverse e vivaci esperienze. Se è vero che le testimonianze, tutte letterarie, dei suoi amori giovanili non consentono di ricostruirne, come pure ha tentato qualche biografo, una storia precisa, non si può tuttavia non ammettere che quelle testimonianze mostrano da parte del poeta almeno una conoscenza varia e spregiudicata della passione amorosa. Né sarà supposizione del tutto gratuita pensare che i cinque anni (1489-1494) trascorsi controvoglia, e solo per obbedire al padre (come l’Ariosto ricorderà nella Satira VI), a «volger testi e chiose» di giurisprudenza presso lo Studio ferrarese, gli abbiano tuttavia offerto la possibilità di contatti non solo con l’ambiente studentesco (di cui si rammenterà nei Suppositi e negli Studenti), ma anche con questioni e persone variamente legate ad interessi pratici. Per quanto riguarda le sue esperienze di carattere cortigiano e più generalmente politico, sembra che il suo ingresso ufficiale fra gli stipendiati della corte estense non sia anteriore al 1498; e che non gli siano stati affidati precisi incarichi prima del 1501-1503, quando tenne il capitanato della rocca di Canossa. È lecito però affermare che, fin, dai primissimi anni della giovinezza, l’Ariosto poté acquistare una chiara e realistica conoscenza sia della vita cortigiana ferrarese, sia dell’inquieta e drammatica situazione politico-militare contemporanea. Appartenente ad una famiglia di origine bolognese, ma legata da secoli alla corte estense, e da secoli fornitrice agli Estensi di fedeli e abili funzionari, Ludovico ebbe, più particolarmente, modo di rendersi conto – fino, si può dire, da fanciullo – della cruda e dura realtà cortigiana e politica del suo tempo attraverso le agitate vicende del padre, tipico personaggio della storia ferrarese e italiana dello scorcio del secolo XV.
Orientata invece in senso separato, sulla linea del neoplatonismo prevalente allora anche a Ferrara, appare la sua formazione culturale. È interessante, a questo proposito, ricordare quali sono le personalità culturali con cui sicuramente egli ebbe contatti: Gregorio Elladio da Spoleto, reduce dalla Firenze laurenziana e amico del Ficino; Sebastiano dell’Aquila, medico e filosofo, di cui il poeta seguiva con grande impegno le lezioni sul Timeo platonico; Alberto Pio, già provato da drammatiche esperienze politiche, alle quali egli, nipote del Pico e allievo di Aldo Manuzio, reagiva dedicandosi ad elevati studi letterari e filosofici; Ercole Strozzi, orientato, nella sua opera poetica, verso temi e forme squisitamente raffinate; e infine il Bembo, che proprio durante i soggiorni ferraresi (1498; 1502-1503) veniva componendo gli Asolani. Queste diverse esperienze si riflettono nelle opere da lui composte nel periodo giovanile, e in particolare nelle poesie latine, quasi tutte collocabili in questo periodo.
A partire dai primi anni del ’500 la sua vita assume un respiro più robusto e impegnativo. Come la morte del padre (1500) comporta per il giovane Ariosto nuove e più gravi responsabilità familiari; come i suoi amori di adolescente cedono il posto alle relazioni con una certa Maria e con Orsolina Sassomarino, dalle quali gli nascono i figli Giovambattista (1503) e Virginio (1509), e infine alla passione, che il poeta fa iniziare nel 1513 e che continuerà fino alla morte, per la fiorentina Alessandra Benucci, moglie e poi vedova (dal 1515) di Tito Strozzi; così l’ingresso al servizio del cardinale Ippolito (ottobre 1503) segna l’inizio di una attività cortigiana e politica non solo non riducibile a quella di «cavallaro», ma spesso di grande importanza. Basterà ricordare, fra i numerosi incarichi a lui affidati, le missioni presso Giulio II tra il 1509 e il 1510, in un momento cioè in cui le relazioni fra il Papa e gli Estensi erano assai burrascose: missioni compiute con varia fortuna, ma sempre con una abilità e un coraggio che trovano testimonianza e riconoscimento in relazioni di contemporanei non soltanto ferraresi. A questa più intensa attività di uomo e di funzionario risponde l’ampliarsi e l’arricchirsi, nei medesimi anni, dei suoi contatti con persone e ambienti del mondo culturale italiano. Il passaggio stesso al servizio del cardinale Ippolito gli consente di intrecciare rapporti con uomini di vari e aperti interessi, quali il Calcagnini, il Negri, il Mainardi e il Silvestri. Ma soprattutto le sue missioni a Mantova, a Urbino, a Venezia, a Bologna, a Firenze, a Roma, giovano a fargli conoscere per diretta esperienza non soltanto le corti in cui si elaborava la politica contemporanea, ma anche i protagonisti della vita letteraria italiana dell’epoca, dal Castiglione al Bibbiena, dal Vida al Trissino, dal Lascari al Musuro: tutti personaggi, che insieme alle più colte gentildonne del tempo, figureranno non a caso nel proemio dell’ultimo canto del Furioso. Entro questa prospettiva di più larghi e spregiudicati interessi pratici e di più ricchi e vari contatti culturali si colloca l’attività propriamente letteraria della prima maturità del poeta, comprendente, accanto alla composizione del primo Furioso, cominciato intorno al 1503-1504 e pubblicato nel 1516, l’ecloga scritta nel 1506 per la congiura di don Giulio d’Este, la maggior parte delle liriche volgari e la redazione in prosa delle due prime commedie, la Cassaria e i Suppositi, rappresentate rispettivamente nel 1508 e nel 1509.
Una nuova svolta nella vita dell’Ariosto si verifica intorno al 1517. Che a questa svolta abbia potuto contribuire, di riflesso, l’inquieta crisi che proprio in quegli anni si nota nella situazione politica italiana e ferrarese, sembra assai probabile. Ma alle preoccupazioni e alle ansie derivate da quella situazione, e alle quali il poeta non poteva rimanere insensibile, soprattutto quando, fra il 1522 e il 1525, ebbe l’incarico di governare una provincia periferica e turbolenta come la Garfagnana, si aggiungono non meno gravi affanni di carattere personale. Giunto ormai alla fine della prima maturità, si pone anzitutto per lui il problema di una sistemazione più stabile e tranquilla di quella che poteva offrirgli il cardinale, specialmente dopo il suo trasferimento in Ungheria. Abbandonato quindi il servizio di Ippolito, e dopo aver visto deluse le sue speranze, sorte all’avvento di Leone X, di entrare nella più libera e agiata carriera ecclesiastica, egli accetta, nell’aprile 1518, un posto alla corte del duca Alfonso. Ma, a parte i dispiaceri procuratigli dalle liti, anche e soprattutto con gli Estensi, per l’eredità del cugino Rinaldo (morto nel 1519), l’Ariosto, che aveva scelto quella soluzione soprattutto per rimanere a Ferrara, è invece costretto, per ragioni economiche, ad assumere l’oneroso e rischioso incarico che si è accennato nella lontana regione garfagnina: un incarico assolto, come dimostrano anche le lettere da lui scritte in questo periodo, con attivo e generoso impegno umano e anche con abilità e competenza, ma al quale rinuncerà appena possibile, nel 1525; così come l’anno precedente aveva rifiutato la proposta di trasferirsi a Roma come ambasciatore ferrarese presso il Papa. Né è da dimenticare un altro e più segreto cruccio, quello di non poter fermare la sua relazione con la Benucci mediante un matrimonio, che avrebbe tolto a lui ogni residua possibilità di sistemazione ecclesiastica e alla donna l’usufrutto dell’eredità del marito.
Non rallenta, tuttavia, in questo periodo l’attività letteraria: a parte la revisione del poema per la seconda edizione del 1521, egli comincia, intorno al 1518-1519, ad elaborare i Cinque canti; scrive tra il 1517 e il 1525 le sette Satire; e compone tre commedie in versi: il Negromante (abbozzato intorno al 1509-1510, ma steso solo intorno al 1519-1520), gli Studenti (che secondo ogni probabilità furono cominciati, e lasciati incompiuti, pure in questo periodo; saranno poi continuati dal fratello Gabriele con la Scolastica e dal figlio Virginio con l’Imperfetta) e la Lena (rappresentata nel carnevale del 1528, insieme con il rifacimento del Negromante).
Relativamente più tranquilli gli ultimi anni della vita del poeta. La situazione politica, almeno a Ferrara, si viene notevolmente rischiarando, soprattutto quando Modena e Reggio vengono definitivamente assegnate, come feudi dell’Impero, agli Estensi: brillante risultato di abili trattative con Carlo V, alle quali forse non dovette essere estraneo l’Ariosto, che troviamo più volte fra gli accompagnatori del duca presso l’Imperatore; e che nel 1531 fu inviato in missione presso Alfonso d’Avalos, accampato a Correggio con l’esercito imperiale, e da questo ricevette una pensione annua di cento ducati d’oro. Dopo il 1528 la sua attività di funzionario consiste soprattutto, a parte gli onorevoli incarichi sopra ricordati, nell’esercitare l’ufficio di membro del Maestrato dei Savi e nel dirigere gli spettacoli teatrali della corte estense: direzione apprezzata, fra gli altri, anche dal Ruzzante. Nel 1527 o nel 1528 si trasferisce nella casetta di Mirasole; e forse negli anni immediatamente successivi sposa segretamente, anche se i due sposi continueranno a vivere per conto loro, Alessandra Benucci. Il lavoro più impegnativo di questi anni è la nuova correzione del poema, non solo riveduto dal punto di vista formale, ma arricchito di ampi episodi; ad esso si aggiunge la rielaborazione della Lena, rappresentata nella nuova redazione nel carnevale del 1529, nonché il rifacimento in versi sdruccioli della Cassaria (1529) e dei Suppositi (1532).
All’inizio del 1533 l’Ariosto si ammala di enterite, e in seguito a complicazioni polmonari muore a Ferrara il 6 luglio. Le sue ossa sono conservate nella Biblioteca Comunale Ariostea della medesima città.
E.B.